Askanews, 8 febbraio 2015
"La prescrizione gioca un ruolo centrale nella costruzione del sistema penale che noi vogliamo realizzare, tuttavia, per come se ne discute, spesso rivela la sua ambiguità come istituto chiamato alla fine a svolgere un ruolo di carattere processuale, un rimedio alle disfunzioni del processo".
www.polpen.it, 8 febbraio 2015
Verranno soppressi diversi uffici dirigenziali, cominciando da due Direzioni Generali per finire ad alcuni Provveditorati: in effetti erano davvero troppi 16 Provveditorati regionali, tenuto conto del livello di dirigenza amministrativa generale. Ne resteranno 11 con accorpamenti che riguardano Lazio-Umbria-Molise, Toscana-Umbria, Puglia-Basilicata, Emilia-Marche, Piemonte-Liguria-Val d'Aosta, Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige.
www.giustizia.it, 8 febbraio 2015
Il Guardasigilli Andrea Orlando ha presentato ieri a Milano le iniziative con le quali il Ministero della Giustizia sarà presente all'Esposizione Universale che si aprirà il prossimo primo maggio. Il Ministero della Giustizia sarà presente al grande evento di Milano con progetti che seguiranno due filoni tematici.
Su materie più legate al tema di Expo2015 saranno presentati progetti specifici nati in carcere sul settore alimentare, nell'ambito di una più generale prospettiva che, dopo aver superato la fase più drammatica dell'emergenza sovraffollamento carcerario, vede l'Italia impegnata a sviluppare una nuova prospettiva della detenzione, anche e soprattutto valorizzando la funzione del lavoro. Nello stesso tempo il ministero vuole presentare ad una vetrina planetaria così importante le innovazioni normative e organizzative finalizzate a restituire alla nostra giustizia - in particolare quella civile - velocità e certezza, volani indispensabili per tornare ad attrarre investimenti e favorire una ritrovata crescita economica.
Progetti dal carcere: cento detenuti al lavoro
Inclusione sociale, diminuzione della recidiva, scambio di conoscenze, impegno partecipativo: sono queste le parole chiave della partecipazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria a Expo 2015. Curato dal provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Lombardia e finanziato da Expo 2015, il progetto "Inclusione socio lavorativa", approvato e co-finanziato da Cassa delle Ammende, punta sul lavoro penitenziario come strumento più efficace per ridurre la recidività offrendo ai detenuti un'esperienza lavorativa eccezionale che possa essere utile ad un nuovo progetto di vita sui binari della legalità.
Saranno circa un centinaio le persone in esecuzione penale che saranno dunque attivamente coinvolte nell'organizzazione logistica di Expo in servizi di facchinaggio, assistenza al personale ma anche accoglienza e supporto informativo.
I cento detenuti saranno così suddivisi: 35 persone provenienti dalla Casa di Reclusione di Opera; 35 persone provenienti dalla Casa di Reclusione di Milano Bollate;10 persone dalla Casa Circondariale di Monza; 20 persone provenienti dagli Uffici di Esecuzione Penale Esterna di Milano tra persone sottoposte all'Affidamento in Prova ai Servizi Sociali.
Il reinserimento dei detenuti e le produzioni agro-alimentari
Al tema del lavoro sarà dedicato anche il grande convegno che si terrà entro l'estate presso la Casa di Reclusione di Milano Bollate, attigua a Expo 2015 e quindi immediatamente raggiungibile, al quale saranno invitati i Commissari dei 146 Paesi partecipanti. L'obiettivo dell'iniziativa sarà quello di illustrare la strategia del ministero della Giustizia in tema di lavoro nelle carceri come elemento fondamentale per il reinserimento sociale nell'ambito del community sanctions (misure sanzionatorie - sanzioni, pene - che vengono scontate dall'autore del reato fuori dal carcere e che consentono di mantenere e ricostruire il legame con la società, nei confronti della quale viene offerta una prestazione lavorativa, anche in un'ottica riparativa).
L'amministrazione promuoverà percorsi di scambio di conoscenze e tecniche con i Paesi partecipanti sulle modalità di trattamento in tema di lavoro penitenziario e inclusione sociale. L'istituto di Bollate costituisce un progetto pilota sul trattamento avanzato dei detenuti, fondato essenzialmente sulla responsabilizzazione delle persone detenute, offrendo loro una gamma di opportunità scolastiche, formative, culturali ma soprattutto lavorative finalizzate a favorire processi di cambiamento per una pena autenticamente orientata al cambiamento, verso un modello di vita orientato alla legalità, nell'ottica del miglioramento delle condizioni detentive in linea con le raccomandazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Il convegno sarà inoltre l'occasione per valorizzare le più significative produzioni agro-alimentari nei penitenziari italiani. In linea con il tema portante di Expo l'occasione consentirà inoltre anche un confronto sul tema dell'alimentazione in ambito penitenziario, regolamentata nel nostro paese da specifiche tabelle predisposte e approvate dal Ministero della Salute, sulle abitudini alimentari dei detenuti, sulla cultura alimentare in un contesto che vede la presenza di numerose e diverse etnie.
Le carceri milanesi per Expo
Numerose sono le iniziative messe in campo dai due istituti penitenziari del territorio milanese. La casa circondariale di Milano "San Vittore" propone "libera scuola di cucina" nella sezione progetti per le donne di Expo 2015 che considera il valore del cibo anche come elemento privilegiato per il dialogo e la conciliazione; eventi didattici, comprese visite in istituto, per comprendere meglio l'azione di inclusione sociale a partire dal penitenziario; eventi nell'ambito di "Expo in città" per la conoscenza e degustazione di cibi con forte impronta etnica da parte dei cuochi coinvolti nel progetto Libera scuola di Cucina.
Ancora a Bollate ci sono invece in programma Visite guidate multilingue all'interno del carcere, sfruttando la particolare vicinanza a Expo; "Mercatini con aperitivo" per mostrare le potenzialità delle produzioni penitenziarie; un calendario "Eventi e concerti" per sensibilizzare la collettività e l'utenza di Expo ai temi dell'inclusione sociale attraverso discussioni; infine "percorsi artisti e mostre" per mostrare le capacità artistiche generate durante progetti trattamentali.
La riforma della giustizia, una sfida per il Paese
L'Auditorium del Padiglione Italia ospiterà a maggio una grande iniziativa di presentazione delle innovazioni in materia di giustizia, sia sul fronte organizzativo che su quello normativo, al fine di rendere il processo più celere e abbattere l'arretrato, e di raggiungere a breve la piena informatizzazione. Sarà l'occasione anche di presentare sul palcoscenico dell'Esposizione Universale i risultati dell'informatizzazione del processo civile, una delle esperienze più avanzate a livello internazionale che sta dando risultati importanti sia per il servizio offerto sia per il risparmio di tempi e costi.
È una sfida che il ministero vuole presentare al mondo utilizzando il palcoscenico più prestigioso del Paese e che mira a tornare ad attrarre investimenti stranieri grazie ad una riforma che ha l'obiettivo di dotare l'Italia di uno strumento decisivo ai fini di crescita, competitività ed efficienza.
"La riforma del sistema della giustizia civile - ha detto recentemente durante la sua visita a Roma il vice presidente della Commissione europea Katainen - è l'esempio perfetto di una riforma che avrà certamente un impatto positivo nel creare un ambiente più favorevole all'impresa e che attirerà investimenti sostenibili".
Il Garantista, 8 febbraio 2015
Palermo i penalisti si presentano con uno slogan: "Inauguriamo la Giustizia del futuro". Ma nel futuro non pare esserci la separazione delle carriere. Non nel futuro immediato. Le centinaia di avvocati e professori di Diritto penale accorsi nell'aula magna della Facoltà di Giurisprudenza per la prima giornata del convegno organizzato dall'Unione Camere penali registrano l'ennesimo no del governo sull'ipotesi di revisione dell'ordinamento.
"Dubito che si possa procedere senza intervenire sulla Costituzione, e credo che le tensioni di queste ore dimostrino quanto sia difficile una riforma di questo tipo", dice senza molti giri di parole il guardasigilli Andrea Orlando. Non c'è spazio, dunque, eppure un'ampia parte del dibattito di questa "Inaugurazione dell'anno giudiziario dei penalisti" è dedicata proprio alla separazione del ruolo dei pm da quello della magistratura giudicante.
Ed è interessante soprattutto lo scambio che avviene nel corso di una delle tavole rotonde organizzate nella giornata di ieri, a cui partecipano un decano delle Camere penali come Gaetano Pecorella e l'ordinario di Diritto penale dell'università Federico II di Napoli Vincenzo Maiello, che è nel direttivo del Centro studi Marongiu dell'Ucpi. A moderare una firma di primissimo piano del Corriere della Sera come Giovanni Bianconi.
Al quale spetta il compito di raffreddare l'ardore degli altri due relatori, che in realtà insistono a invocare una riforma ordina mentale profonda anche quando, a metà pomeriggio, in prima fila si siede proprio il ministro della Giustizia. "Il giudice dovrebbe guardare il pm con lo steso occhio di sospetto che dovrebbe avere verso chi sostiene le tesi di una parte, non la giustizia in senso assoluto", ricorda Pecorella.
"Se vogliamo un processo accusatorio, cioè un processo di parti, mettiamo un giudice che non abbia a che vedere né con il pm né con il difensore", continua il penalista ed ex parlamentare del centrodestra, "dico anzi di più: il pm che deve raccogliere le prove a favore dell'imputato è in realtà la negazione del processo accusatorio. Deve raccoglierle contro. Questo è l'accusatorio. Il pm deve essere un soggetto rispetto al quale il giudice è veramente terzo. E invece abbiamo a che fare con pm che dieci giorni prima sedevano a fare i giudici. O con pm famosi che poi ci ritroviamo in Cassazione".
Il tenore della discussione è pacato, ma Pecorella lo infarcisce della sua sottile ironia milanese: "Nessuno di noi che facciamo i penalisti se la sentirebbe di fare il matrimonialista". Poi aggiunge: "Non separare le carriere comporta una perdita. Il pm che per motivi di carriera va a fare il giudice non ha la cultura del giudice, ha la cultura del pm. Ci sono tutti i motivi per arrivare alla separazione delle Carriere. La Costituzione chiede la parità delle parti e il processo 'di partì. E allora perché mai non è stata fatto la separazione delle carriere, che sarebbe una riforma a costo zero?". Di fronte alla ritrosia su questo punto, sostiene l'ex difensore di Silvio Berlusconi, sarebbe più coerente "tornare al processo inquisitorio. Se vogliamo l'accusatorio, il pm deve diventare veramente parte e non essere invece intercambiabile nel tempo con il ruolo di giudice".
Bianconi prova a portare la discussione al suo punto di caduta finale: a chi risponderebbe il pubblico ministero in un nuovo assetto ordina mentale che lo vedesse separato dai magistrati giudicanti? Ricorda, la firma di Giudiziaria del Corriere, come molti considerino rischioso uno sviluppo del genere: "È plausibile, accettabile che vada sotto l'esecutivo? Deve decidere da solo quali reati perseguire e quali no, o resta l'obbligatorietà dell'azione penale".
Secondo Pecorella la questione non è in grado di scardinare l'idea che separare le carriere sia urgentissimo: "Potremmo ribaltare la domanda: a chi hanno risposto quei procuratori della Repubblica che hanno stilato graduatorie dei processi da fare prima o dopo? A nessuno. A chi risponde il pm che lascia sul tavolo per 3 o 4 anni un fascicolo e invece in poche settimane chiude un altro fascicolo: risponde a qualcuno? La separazione delle carriere non ha a che vedere con le scelte dei reati alla cui persecuzione dare priorità. Il tema di come regolare tali scelte è connesso con quello dell'obbligatorietà dell'azione penale. Oggi la Procura non risponde a nessuno, fa le stesse scelte che farebbe con le carriere separate".
Prosegue Pecorella: "Il pm fa scelte sul piano della priorità, e sui mezzi da impiegare, e quindi sul clamore che ciascuna inchiesta deve arrivare a produrre: e questa è appunto politica giudiziaria". C'è il ministro Orlando in platea che ascolta silenzioso. Il decano dell'Unione Camere penali lo prende di petto: "Perché non si fa la separazione delle carriere? Non vorrei si rispondesse che è meglio avere un corpo della magistratura unico e forte e non due corpi separati. D'altronde non credo ci vorrebbe una riforma costituzionale. In proposito si dovrebbe anzi dare seguito all'articolo 111 della Carta, che prevede un giudice terzo, eppure il sistema ordinamentale prevede che giudice e pm siano intercambiabili".
Bianconi chiede se in fondo non sia un vantaggio avere dei pubblici ministeri che condividano la stessa cultura del magistrato giudicante e che quindi ne possano immaginare la decisione. Gli risponde il professor Maiello: "Nessuno sostiene che svincolando l'organo inquirente dalla struttura ordinamentale dell'organo della decisione, si voglia creare dei soggetti incolti e non attrezzati. Figurarsi se immaginiamo un soggetto incaricato di sostenere l'accusa nel processo che non sia caratterizzato da standard elevati di cultura giuridica".
Il vero nodo, sostiene il professore di Diritto penale dell'università di Napoli, è quello delle garanzie, e cioè dei "limiti all'esercizio del potere, pensati perché in loro assenza il detentore del potere potrebbe usarlo per obiettivi non funzionali agli scopi della giurisdizione. La prospettiva della separazione delle carriere non si accompagna al depotenziamento del pm, anzi. Dal punto di vista dell'accusa, un sistema diverso potrebbe consentire di individuare meglio quelle strategie processuali che consentirebbero di condurre l'azione penale fino al traguardo" a traguardo il processo".
Maiello chiude il dibattito con un'analisi che individua l'aspetto più evidente dello squilibrio tra le parti del processo determinato dalla mancata separazione delle carriere: "Negli ultimi tempi, qualche pm impegnato in processi di risonanza, e personalmente schierato dal punto di vista politico, ha coltivato l'idea che un processo possa essere anche funzionale a ricostruire un fatto storico, più che ad arrivare a una condanna. Se il pm pensa di mettere in piedi un processo anche se sa che la prospettiva della condanna non c'è, e lo mette dunque in piedi per far capire come sono andate le cose in un certo settore della vita pubblica, siamo di fronte a uno sbandamento della giurisdizione". Evidentemente favorito dalla commistione tra ruoli inquirenti e giudicanti. Ma neppure questo basterà a spingere l'attuale Parlamento a rivoluzionare la giustizia.
Adnkronos, 8 febbraio 2015
"L'elezione del presidente Sergio Mattarella, persona semplice, proba e spontanea, ha suscitato molto apprezzamento tra i detenuti, anche in virtù del grande tributo che la sua famiglia ha pagato per la lotta alla mafia. Sono contento che un grande siciliano, un democratico cristiano, un cattolico, un fine giurista, una persona buona e per bene sia stata prescelta a rappresentare tutti gli italiani". Queste le parole dell'ex presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro, in carcere per scontare una pena a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, sull'elezione del nuovo Capo dello Stato. Le sue parole sono state affidate all'Adnkronos dal legale di Cuffaro, l'avvocato Maria Brucale.
"Il mio è un giudizio assolutamente sincero e non può essere letto come una captatio benevolentiae perché, a scanso di equivoci, ribadisco che non accetterei mai il beneficio della grazia - dice ancora Cuffaro. Al presidente Mattarella, che so essere molto sensibile alle difficoltà e alle sofferenze delle persone, mi permetto sommessamente di chiedere di rivolgere la sua attenzione alle condizioni di vita in cui versano i detenuti nelle sovraffollate carceri italiane".
di Carlo Verdelli
La Repubblica, 8 febbraio 2015
Una stanzetta per colloqui della Casa di Reclusione di Opera, freddo polare. Vallanzasca ha un giubbotto blu abbottonato fino al collo. Oggi ha 64 anni, di cui poco più di un terzo vissuti in libertà. Soltanto Raffaele Cutolo, il camorrista, ha passato più tempo di lui in prigione.
Eppure in questi giorni l'ex bandito della Comasina avrebbe potuto essere lontano dalle sbarre, se lo scorso giugno un vigilante non lo avesse sorpreso all'uscita di un supermercato (un Esselunga, la stessa catena del primo colpo importante, nel 1972), con un paio di mutande e qualche attrezzo da giardinaggio che non aveva pagato. "Qualcuno mi ha incastrato, ma non ho capito perché", dice, "mentre io in passato mi sono preso anche colpe non mie".
A Opera occupa una cella singola. I suoi compagni di prigione si chiamano Bernardo Provenzano, Mario Moretti e Fabrizio Corona. "Ho un'agenda fittissima", scherza, "qui mi reclamano. Del denaro non mene è mai importato niente. Una baita in montagna, champagne e bella compagnia, questo conta. Sembra poco?". "Dei soldi non me ne è mai fregato niente".
Beh, pochissimo rispetto ai 41 anni di carcere che le sta costando il sogno. "Quarantacinque, prego. Io sono nato in matricola, come si dice tra gente di galera".
Nella sua sterminata fedina penale ne risultano 41. "Ma va. A parte il minorile, che comunque sempre gabbio è, magari si sono dimenticati i due anni per una rapina a Lambrate nel 1969, o era il 1970, boh. Sì, sto un po' perdendo la memoria. Lei dov'era l'11 settembre? O quando abbiamo vinto il Mondiale del 1982? Ogni persona sa perfettamente cosa faceva in giorni così. Io no, forse ero in qualche braccetto speciale. I carceri non sono tutti uguali ma rendono tutto uguale".
Una stanzetta per colloqui della casa di reclusione di Opera, freddo polare nonostante le finestre chiuse. Vallanzasca ha un giubbotto blu abbottonato fino al collo, mani lunghe e curate, capelli corti e radi, e uno Swatch nero con lancette arancioni.
"Me l'ha portato la mia donna. Qui non si può tenere il Rolex, perché è di metallo. Sempre indossato Rolex, anche se il mio ciulava un minuto al giorno. Questo almeno non ruba".
Lei invece pare non aver smesso: un furto in un supermercato, almeno così ha stabilito il giudice, le ha cambiato il pezzo di vita che le restava davanti.
"Qualcuno mi ha incastrato. Sul processo, lasciamo perdere: tutto quello che ho chiesto, dalle impronte sulla merce al confronto con chi mi accusava, mi è stato negato. Nei mille tribunali dove sono stato, mi sono preso anche responsabilità non mie. Quali? Acqua passata. Ma stavolta, dai".
Stavolta è obiettivamente diversa da tutte le altre. Oggi, o domani, sarebbe potuto essere il primo giorno di libertà di Vallanzasca Renato. La domanda di scarcerazione era pronta, il cancello della prigione semiaperto. Magari, per festeggiare, andava alla cooperativa dove lavorava a offrire uno sciampagnino. Possibile, no? Federica, la direttrice del centro per orti e giardini, non prova neanche a sorridere.
"Basta che non scriva che stava qui. Quando i clienti scoprivano che da noi c'era il bandito Vallanzasca, si tiravano indietro". L'ex bandito Vallanzasca sta dentro da un secolo, sono passati vent'anni dall'ultima evasione, gli hanno pure rubato la bicicletta quando era in permesso. "Però un cognome così non si dimentica".
La cooperativa di Federica riunisce persone con varie disabilità e detenuti in via di reinserimento. Tra loro, per un anno, c'è stato anche il signor Renato, regolare contratto tra gli 800 e i 1.100 euro al mese e pranzo gratis. "Aveva un bel modo, gentile coi ragazzi, tante operatrici ne erano affascinate. E lui ci giocava un po': gli piace troppo piacere. Il personaggio vince sulla persona, e questo lo fotterà sempre".
L'Italia ha avuto tanti delinquenti. Ma pochi, o nessuno, come Renato Vallanzasca. E uno solo lo batte per durata della pena scontata: Raffaele Cutolo da Ottaviano. Un boss della criminalità organizzata contro un bandito da strada: 49 per l'imperatore di camorra contro i 41 (o 45) del ras della Comasina.
Che però stava per sfilarsi dall'ingrato podio. Non fosse stato per due paia di mutande marca Sloggi, che lui assicura non metterebbe mai perché indossa solo boxer Versace, più altra minutaglia da giardinaggio, per un totale di 65,97 euro; non fosse stato per un giudice molto puntiglioso, che gli ha rifilato10 mesi per tentata rapina (2 in più di quelli richiesti dall'accusa); non fosse stato per le conseguenze (revoca della semilibertà e stop a ogni beneficio per almeno 3 anni), Renato Vallanzasca sperimenterebbe un'ebbrezza dimenticata: rivivere fuori.
Non succederà, e moltissimi, non solo i parenti delle vittime che ha fatto, saranno sollevati. Quando Vallanzasca diventava Vallanzasca, Matteo Renzi aveva un anno, Berlusconi 40 e neanche una tv, il muro di Berlino sembrava infrangibile, la lira eterna e Nicola Di Bari vinceva Sanremo. La prima cosa incredibile è che, quarant'anni dopo, Vallanzasca è saldamente conficcato nella memoria di questo Paese e fa ancora notizia, basta che respiri o riporti la soffiata di un camorrista sulla morte di Pantani. La seconda è che il regno del balordo che prese Milano per la coda e con la sua banda la fece girare fu brevissimo: neanche sette mesi, il tempo di gestazione di un orso.
Una settantina di rapine, 6 omicidi (tra cui 4 poliziotti, tutti in scontri a fuoco stile western), 4 sequestri di persona, più una guerra vinta col clan Turatello. Il tutto tra il 28 luglio 1976, prima fuga di Vallanzasca da un penitenziario, e il 15 febbraio 1977, arresto definitivo a Roma. Seguiranno tre evasioni in stile col personaggio, macabri regolamenti di conti dentro le mura, persino uno smargiasso matrimonio a Rebibbia come fosse Broccolino.
Ma il più, a inizio 1977, è già alle spalle: all'epoca il "fiore del male", come l'ha colto nell'essenza Carlo Bonini nell'unico libro che il protagonista ha controfirmato, ha soltanto 26 anni e 10 mesi. Eppure le ferite che si lascia dietro non si rimarginano, come non sbiadisce la traccia delle sue spavalderie, lo sguardo beffardo e assassino, una specie di codice d'onore mai disonorato (nessun tradimento di compagni, una strafottenza per qualsiasi potere portata all'estremo). Solo una tardiva dichiarazione di resa, 1999, proprio nella prefazione del libro di Bonini: "La mia esistenza è un naufragio assoluto".
Sessantaquattro, anzi 65 il prossimo 4 maggio, di cui solo una ventina vissuti fuori da una prigione, infanzia compresa. Il fiore del male è appassito, ma stava per uscire dalla serra in ferro che si era costruito con le proprie mani. Quattro ergastoli (più 295 anni), e lo lasciavano andare? Succede per diversi criminali lungodegenti: scontata una cospicua fetta di pena, si prova a ridargli un lembo di dignità. Qualcuno usa male la carta, come Izzo Angelo, il demonio del Circeo: 4 mesi dopo che era libero, omicidio di altre due donne. Il jolly toccava a Vallanzasca. Non c'è modo di verificare se l'avrebbe sprecato.
"Lo Stato ha voluto infierire sul suo nemico, di fatto condannandolo a morte per due mutande", dice disperato, nel senso proprio di "senza speranza", Ermanno Gorpia, il suo ultimo e giovane avvocato. "Ma sì, ci appelleremo, se va bene fisseranno l'udienza tra due o tre anni, intanto non è che lui ringiovanisce". La vita, anche quella di Renato Vallanzasca, è fatta di coincidenze. Il primo arresto importante, nel 1972, fu per una rapina a una Esselunga, in viale Monte Rosa a Milano. Aveva 22 anni, e fu il vero inizio del suo romanzo criminale. L'ultima condanna, nel novembre scorso, è per lo stesso reato e sempre in una Esselunga di Milano, viale Umbria: neanche un anno di punizione supplementare, che però basta a catapultare l'ombra ingrigita di Vallanzasca alla casella di partenza.
Primo effetto: il trasferimento da Bollate, dove ormai dimorava in una cella aperta e col Rolex al polso, a un istituto di tutt'altra pasta come Opera, 37° penitenziario sperimentato in carriera. Un altro record; come l'enormità dei 5 chili e 700 grammi alla nascita. Oppure le sigarette. "Sono arrivato a 110 al giorno, 5 pacchetti e mezzo. Risparmiavo sugli accendini: con una appicciavo quella dopo". Ingabbiato nel giubbotto blu, Vallanzasca ricorda e ricorda, come se girare la testa indietro fosse l'unica salvezza per affrontare quel che ha davanti.
"Poi ho smesso. Di botto. Cazzo, 35 giorni senza cagare, il mio corpo non capiva. Appena sono arrivato a Opera ho comprato una stecca di Marlboro rosse. Saranno le ultime. Fino a qualche anno fa, a calcio, davo ancora la paga a tutti. Adesso mi viene il fiato grosso anche a scendere le scale. Devo avere qualcosa ai polmoni. E non è che l'arietta di Opera aiuta".
Un diverso, Vallanzasca, nel "gene" e nel male. E impermeabile alla superstizione. È un venerdì 13, metà dello scorso giugno, 7 di sera. Il signor Renato stacca dal lavoro nella cooperativa dei fiori e va a fare spesa in un supermarket da 17 casse; mette nel cestello una fetta d'anguria, insalata, mortadella e una busta di salmone, paga gli acquisti, fa per uscire quando un vigilante che l'ha tenuto d'occhio dalla "travespia", un corridoio sopraelevato da cui si sorvegliano i vari comparti (numero 1, giardinaggio; numero 5, intimo), lo ferma e gli chiede di aprire il borsone nero che ha con sé.
Dentro, una mesta refurtiva: le Sloggi, una forbice rasa erba, un flacone di fertilizzante. Il signor Renato dice che qualcuno gli ha infilato dentro quella roba per incastrarlo e che comunque è pronto a saldare, e poi è meglio per tutti chiuderla lì per evitare casini. Il vigilante, Emmanuele Mento, esclude di aver visto qualcuno infilare alcunché nel borsone. Documenti, prego: "Vallanzasca".
Arrivano i carabinieri, al comando del maresciallo Milo Fidelibus, e finisce il resto. Al processo per direttissima, il giudice Ilaria Simi decide che l'imputato ha mentito e in più ha minacciato il vigilante, quindi lo punisce. Ma Vallanzasca le ha rubate o no le mutande e il resto della paccottiglia da giardiniere fai da te? Il bottino fa pensare a un omaggio ai colleghi della cooperativa, un "ghe pensi mi" da trapassata grandeur. O magari una malevola manina voleva davvero vendicarsi per qualcosa. Chissà.
Tra le 225 carceri italiane, Opera è la più grande per numero di condannati in via definitiva (quasi mille). Un imponente cronicario di ex "qualcosa": Bernardo Provenzano, ex capo della mafia; Mario Moretti, ex comandante delle Br; gli Schiavone, ex signori di Gomorra; fino a Fabrizio Corona, ex ragazzo spericolato.
Tra le navate di questi sciagurati, contano zero le eventuali motivazioni psicologiche di Vallanzasca: una bravata, magari inconscia, per scongiurare il terrore di saltare da un muro che in quarant'anni è diventato un Everest. Nemmeno il direttore del carcere, Giacinto Siciliano, ha una spiegazione: "Forse la condanna nella condanna di Vallanzasca è l'impossibilità di diventare uno come gli altri".
Qualcuno bussa alla porta della cella frigorifera che ospita il colloquio. Vallanzasca dice sarcastico: "Mi reclamano. Sa, ho un'agenda fittissima". Lo aspetta una cella singola. "Se sogno di notte? Sempre cosette a sfondo sessuale. Saranno tutti i porno che girano in galera". Sorriso sotto i baffi. Mai visto in una foto senza baffi. "Solo una volta li ho tagliati, quando sono scappato dall'oblò di una nave a Genova. Di solito uno se li mette finti per non farsi riconoscere. Io, il contrario".
Adnkronos, 8 febbraio 2015
"Si è ancora lontani dall'assicurare condizioni tollerabili di vivibilità all'interno di gran parte degli istituti del Lazio, dove si verificano aggressioni al personale di polizia penitenziaria di Frosinone, e le difficili realtà degli istituti di Velletri e di Latina, sono spie di una tensione che resta ancora troppo alta".
Lo sottolinea la Fns Cisl, ricordando come secondo il dato ufficiale del Dap aumentano, anche se di poco, i detenuti nelle carceri della regione. Al 31 gennaio 2015 - spiega il sindacato - i reclusi presenti nei 14 istituti della Regione Lazio risultano essere 5.629, 486 in più rispetto ai 5.114 posti disponibili, e si registra un aumento di 29 detenuti rispetto al dato del dicembre 2014. Da segnalare, inoltre, la presenza di 408 detenute.
Attualmente gli istituti che soffrono maggiormente il sovraffollamento sono Cassino, Civitavecchia, Frosinone, Latina, Rebibbia femminile, Rebibbia nuovo complesso, Regina Coeli, Velletri, Viterbo. Per quanto concerne, invece, i dati forniti dal Dipartimento Giustizia Minorile, osserva ancora la Fns Cisl, "si registra un aumento anche nel settore minorile dove, infatti, sono presenti all'Ipm Casal del Marmo 56 utenti, con una presenza media giornaliera 53.1, 9 in più rispetto a dicembre 2014. Per il sindacato "l'aumento è dovuto dall'entrata in vigore della Legge 11 agosto 2014, n. 117".
Il Velino, 8 febbraio 2015
Il Guardasigilli Andrea Orlando ha presentato ieri a Milano le iniziative con le quali il ministero della Giustizia sarà presente all'Esposizione Universale che si aprirà il prossimo primo maggio. Il dicastero di via Arenula sarà presente con progetti che seguiranno due filoni tematici: su materie più legate al tema di Expo2015 saranno presentati progetti specifici nati in carcere sul settore alimentare, nell'ambito di una più generale prospettiva che vede l'Italia impegnata a sviluppare una nuova prospettiva della detenzione, anche e soprattutto valorizzando la funzione del lavoro.
Nello stesso tempo il ministero vuole presentare le innovazioni normative e organizzative finalizzate a restituire alla nostra giustizia - in particolare quella civile - velocità e certezza, indispensabili per tornare ad attrarre investimenti e favorire la crescita economica. Inclusione sociale, diminuzione della recidiva, scambio di conoscenze, impegno partecipativo: sono queste le parole chiave della partecipazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria a Expo 2015. Curato dal provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Lombardia e finanziato da Expo 2015, il progetto "Inclusione socio lavorativa", approvato e co-finanziato da Cassa delle Ammende, punta sul lavoro penitenziario come strumento più efficace per ridurre la recidività offrendo ai detenuti un'esperienza lavorativa eccezionale che possa essere utile ad un nuovo progetto di vita sui binari della legalità.
Saranno circa un centinaio le persone in esecuzione penale che saranno attivamente coinvolte nell'organizzazione logistica di Expo in servizi di facchinaggio, assistenza al personale ma anche accoglienza e supporto informativo. I cento detenuti saranno 35 provenienti dalla Casa di Reclusione di Opera; 35 dalla Casa di Reclusione di Milano Bollate; 10 dalla Casa Circondariale di Monza; 20 dagli Uffici di Esecuzione Penale Esterna di Milano tra persone sottoposte all'Affidamento in Prova ai Servizi Sociali.
Al tema del lavoro sarà dedicato anche il convegno che si terrà entro l'estate presso la Casa di Reclusione di Milano Bollate, attigua a Expo 2015 e quindi immediatamente raggiungibile, al quale saranno invitati i Commissari dei 146 Paesi partecipanti. L'obiettivo è di illustrare la strategia del ministero della Giustizia in tema di lavoro nelle carceri come elemento fondamentale per il reinserimento sociale nell'ambito del community sanctions. L'amministrazione promuoverà percorsi di scambio di conoscenze e tecniche con i Paesi partecipanti sulle modalità di trattamento in tema di lavoro penitenziario e inclusione sociale.
L'istituto di Bollate costituisce un progetto pilota sul trattamento avanzato dei detenuti, fondato essenzialmente sulla responsabilizzazione delle persone detenute, offrendo loro una gamma di opportunità scolastiche, formative, culturali ma soprattutto lavorative finalizzate a favorire processi di cambiamento per una pena autenticamente orientata al cambiamento, verso un modello di vita orientato alla legalità, nell'ottica del miglioramento delle condizioni detentive in linea con le raccomandazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Il convegno sarà inoltre l'occasione per valorizzare le più significative produzioni agro-alimentari nei penitenziari italiani. In linea con il tema portante di Expo l'occasione consentirà inoltre anche un confronto sul tema dell'alimentazione in ambito penitenziario, regolamentata nel nostro paese da specifiche tabelle predisposte e approvate dal ministero della Salute, sulle abitudini alimentari dei detenuti, sulla cultura alimentare in un contesto che vede la presenza di numerose e diverse etnie.
Numerose sono le iniziative messe in campo dai due istituti penitenziari del territorio milanese. La casa circondariale di Milano "San Vittore" propone "libera scuola di cucina" nella sezione progetti per le donne di Expo 2015 che considera il valore del cibo anche come elemento privilegiato per il dialogo e la conciliazione; eventi didattici, comprese visite in istituto, per comprendere meglio l'azione di inclusione sociale a partire dal penitenziario; eventi nell'ambito di "Expo in città" per la conoscenza e degustazione di cibi con forte impronta etnica da parte dei cuochi coinvolti nel progetto Libera scuola di Cucina.
Ancora a Bollate ci sono invece in programma Visite guidate multilingue all'interno del carcere, sfruttando la particolare vicinanza a Expo; "Mercatini con aperitivo" per mostrare le potenzialità delle produzioni penitenziarie; un calendario "Eventi e concerti" per sensibilizzare la collettività e l'utenza di Expo ai temi dell'inclusione sociale attraverso discussioni; infine "percorsi artisti e mostre" per mostrare le capacità artistiche generate durante progetti trattamentali.
L'Auditorium del Padiglione Italia ospiterà a maggio una grande iniziativa di presentazione delle innovazioni in materia di giustizia, sia sul fronte organizzativo che su quello normativo, al fine di rendere il processo più celere e abbattere l'arretrato, e di raggiungere a breve la piena informatizzazione. Sarà l'occasione anche di presentare sul palcoscenico dell'Esposizione Universale i risultati dell'informatizzazione del processo civile, una delle esperienze più avanzate a livello internazionale che sta dando risultati importanti sia per il servizio offerto sia per il risparmio di tempi e costi.
È una sfida che il ministero vuole presentare al mondo utilizzando il palcoscenico più prestigioso del Paese e che mira a tornare ad attrarre investimenti stranieri grazie ad una riforma che ha l'obiettivo di dotare l'Italia di uno strumento decisivo ai fini di crescita, competitività ed efficienza. "La riforma del sistema della giustizia civile - ha detto recentemente durante la sua visita a Roma il vice presidente della Commissione europea Katainen - è l'esempio perfetto di una riforma che avrà certamente un impatto positivo nel creare un ambiente più favorevole all'impresa e che attirerà investimenti sostenibili".
Ansa, 8 febbraio 2015
Dopo Buoncammino chiude anche un altro carcere sardo, quello di Iglesias. Da questa mattina è in corso il trasferimento degli ultimi detenuti nei carcere di Uta e Sassari. In giornata dovrebbero essere portati nella nuova casa circondariale a Uta una cinquantina di detenuti, altri quindici, invece, saranno trasferiti a Sassari. Come già successo a novembre per il carcere cagliaritano di Buoncammino, gli agenti della polizia penitenziaria si stanno occupando di tutti i dettagli del trasferimento utilizzando uomini e mezzi. Polizia e carabinieri sono impegnati nel servizio di vigilanza e scorta. Il trasferimento dei detenuti, iniziato ieri, si sarebbe reso necessario a causa di alcuni problemi all'interno della struttura, riguardanti l'impianto di riscaldamento, che hanno di fatto anticipato i tempi della chiusura della struttura carceraria, decisa con decreto a maggio dello scorso anno, quando furono programmate le chiusure del carcere di Macomer e della scuola della polizia penitenziaria di Monastir.
www.contattonews.it, 8 febbraio 2015
Una trentina di disoccupati ex Pip (Piano Inserimento Professionale), hanno occupato l'ingresso della cattedrale di Palermo. Chiedono di incontrare l'arcivescovo al quale potere esporre le proprie richieste rimaste inascoltate dal governo regionale. Si tratta di alcuni degli esclusi dal bacino "Emergenza Palermo" rimasti senza stipendio da undici mesi. I lavoratori hanno chiesto al presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, di abolire la retroattività del provvedimento che li esclude dal sussidio, ma al momento da Palazzo d'Orleans non è arrivata alcuna risposta. Ad incidere, secondo gli ex pip, sarebbero i loro passati guai giudiziari. Accanto ai lavoratori stamani è sceso anche padre Carollo: "Avranno pure sbagliato nel passato ma per questo non devono restare esclusi per sempre dall'inserimento nel lavoro. Se da undici anni lavoravano hanno dato segno di correttezza. La nostra richiesta è di risolvere il problema".
- Macomer (Nu): la Giunta regionale sostiene la battaglia per il mantenimento del carcere
- Pisa: Sappe; detenuto dà in escandescenze e ferisce otto agenti di Polizia penitenziaria
- Torino: Osapp scrive al Dap "detenuti sbeffeggiano gli agenti". Interrogazione Lega Nord
- Roma: a Rebibbia nasce il giornale del carcere, con due articoli firmati da Totto Cuffaro
- Libri: gli "Encerrados" di Valerio Bispuri, un capolavoro della fotografia diventato libro