Ansa, 10 febbraio 2015
Sarebbe una sorta di "piano B": lo stato americano dell'Oklahoma sta valutando la possibilità di utilizzare le "camere a gas" come metodo per l'esecuzione delle condanne a morte, in attesa che la Corte suprema degli Stati Uniti si esprima sull'uso dei medicinali impiegati per le iniezioni letali. Proprio in seguito al ricorso di tre condannati a morte in Oklahoma, la Corte suprema Usa ha deciso di riesaminare la costituzionalità delle nuove combinazioni di farmaci per l'iniezione letale che alcuni stati utilizzano per le esecuzioni.
L'alta corte, che il mese scorso ha permesso l'esecuzione di un detenuto con lo stessa combinazione di farmaci, dovrà decidere se l'uso del cocktail viola il divieto della Costituzione americana di infliggere punizioni crudeli. In particolare, i giudici dovranno verificare se il sedativo midazolam possa essere utilizzato nelle esecuzioni a seguito dei timori che non produca un profondo stato comatoso e di incoscienza. Dovranno inoltre assicurarsi che il detenuto non sperimenti un dolore intenso e inutile quando gli vengono iniettati altri farmaci per ucciderlo. Lo scorso anno in Tennessee è stata approvata una legge che consente l'impiego della sedia elettrica nel caso in cui non si possano ottenere i farmaci necessari per l'iniezione letale, mentre nello Utah e in Wyoming si sta valutando di ripristinare l'utilizzo del "plotone di esecuzione".
di Marco Sarti
www.linkiesta.it, 10 febbraio 2015
Storia di Nadiya Savchenko, militare ucraina detenuta da giugno in Russia. In Patria è un simbolo. In Ucraina è considerata un'eroina, in Russia un'omicida. Trentatré anni, occhi azzurri e capelli cortissimi, Nadiya Savchenko è divenuta sua malgrado il simbolo del conflitto nel Donbass. Ex ufficiale delle forze armate di Kiev, dalla scorsa estate è detenuta a Mosca. In sciopero della fame dal 15 dicembre, questa settimana un tribunale russo deciderà il suo destino.
Intanto la storia di Nadiya arriva in Parlamento. Un'interrogazione della deputata Pd Eleonora Cimbro porta all'attenzione della politica italiana il dramma della militare ucraina. Tutto a pochi giorni dall'atteso vertice di Minsk, quando i presidenti Petro Poroshenko e Vladimir Putin discuteranno il piano di pace franco-tedesco, al momento senza troppa speranza di trovare una soluzione.
In questi mesi Nadiya è diventata il simbolo dell'orgoglio patriottico. Prima ragazza ammessa nella prestigiosa accademia aeronautica di Kharkov, unica donna a partecipare alla missione di pace in Iraq. Nel 2009 la giovane ufficiale ucraina diventa pilota di elicotteri d'attacco e cacciabombardieri. Un anno fa Nadiya lascia il suo reparto per andare a combattere nella regione di Luhansk, la regione contesa ai ribelli filorussi. Si unisce al battaglione Aidar, uno dei tanti battaglioni di volontari che affiancano le forze regolari contro i separatisti (spesso protagonista di abusi denunciati da Amnesty International).
Il 17 giugno Nadiya viene catturata durante un'azione. Trasferita in Russia pochi giorni dopo, "il 30 giugno - come si legge nel documento depositato alla Camera - la sua detenzione diventa ufficiale". Qui inizia il calvario. La commissione investigativa russa che si occupa della vicenda ipotizza la responsabilità dell'ufficiale nella morte di alcuni giornalisti. Sono due corrispondenti di Mosca. Secondo l'accusa è stata la pilota ucraina a fornire le coordinate che hanno permesso di colpire con alcuni mortai la troupe televisiva. Ma Nadiya sarebbe anche colpevole di aver volontariamente oltrepassato il confine, confondendosi tra i rifugiati.
La versione di Kiev è molto diversa. Il legale di Nadiya è l'avvocato che tre anni fa ha difeso a Mosca le attiviste del gruppo Pussy Riot. Davanti alla commissione investigativa viene presentata una documentazione "indicante chiaramente l'innocenza dell'imputata", spiega l'interrogazione parlamentare. Secondo la difesa, la pilota ucraina è stata fermata dai separatisti filorussi prima dell'attacco che ha causato la morte dei giornalisti. E ne è quindi totalmente estranea.
I legali denunciano le condizioni inaccettabili della detenzione. Per oltre un mese l'ufficiale ucraino viene trattenuto in un ospedale psichiatrico a Mosca. Per le autorità russe è una fase necessaria per i dovuti accertamenti medici. In realtà, spiega l'interrogazione alla Camera dei deputati, la permanenza ha l'obiettivo di isolare ancora di più Nadiya. Nella struttura non viene ammesso alcun osservatore internazionale. Anche i contatti con i legali sono rari. Un incontro a settimana. "I suoi colloqui sono controllati - si legge - avvengono da dietro un vetro, attraverso un telefono. È fatto obbligo di parlare solo in russo".
Russi e ucraini si smentiscono vicenda. Le autorità di Mosca assicurano di aver rispettato tutti i diritti della detenuta, a Kiev si denunciano le torture subite dalla giovane militare. "La luce della cella - spiega l'interrogazione della deputata italiana - è accesa 24 ore al giorno". Nonostante le richieste, a Nadiya vengono negate le cure mediche per un'acuta infiammazione all'orecchio. Fino a quando perde parzialmente l'udito. "Il suo trasporto coatto in Russia - si legge ancora nel documento di Montecitorio - è considerato sequestro dalle principali leggi internazionali". E ancora: "Le accuse verso di lei sono motivate politicamente e le prove non sono imparziali. Ciò in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali".
E così il 15 dicembre la Savchenko inizia uno sciopero della fame. In prigione rifiuta il cibo, accettando solo acqua e tè. In Ucraina è già un'eroina. Per il presidente Poroshenko la giovane soldatessa rappresenta "il simbolo del sacrificio del Paese. Imprigionata, ha dimostrato il fiero spirito di un militare che non tradisce la Madrepatria". Pochi mesi prima Nadiya è stata anche eletta in Parlamento. Un'elezione in absentia - durante il voto di ottobre - che le ha consentito di acquisire lo status di deputata. Non è una differenza di poco conto. Il nuovo incarico permette alle Camere di approvare una risoluzione che chiede ufficialmente a Vladimir Putin la liberazione della parlamentare. Richiesta a cui non segue alcuna risposta. Ma non è solo il Parlamento ucraino a rivolgersi alle autorità russe. Lo scorso 18 settembre il Parlamento europeo, adottando una risoluzione sul conflitto ucraino, chiede al Cremlino il rilascio di alcuni cittadini di Kiev, compresa la Savchenko. Richiesta reiterata pochi giorni fa dal presidente ucraino Poroshenko. A richiedere la liberazione di Nadiya, solo poche ore fa, anche quattordici ministri degli Esteri Ue riuniti a Bruxelles. Il destino della deputata ucraina potrebbe decidersi nelle prossime ore. Detenuta nel carcere di massima sicurezza di Lefortovo, a Mosca, i termini della custodia cautelare di Nadiya scadono il prossimo venerdì. La commissione investigativa ha chiesto di estendere le indagini fino a maggio e prolungare l'arresto. A breve un tribunale russo deciderà se accettare la richiesta.
Nova, 10 febbraio 2015
L'avvocato dei detenuti sauditi in Iraq, Hamed Ahmed, ha rivelato la sua intenzione di chiedere una nuova amnistia al presidente della Repubblica dell'Iraq per oltre venti detenuti sauditi, nei vari carcere dell'Iraq. Ahmed ha detto al quotidiano saudita "Okaz" che intende presentare una richiesta di revisione del processo per i prigionieri sauditi condannati a morte, "poiché le loro confessioni sono state estorte sotto la minaccia della tortura". I detenuti sauditi condannati alla pena capitale sono: Abdullah Azzam, Badr Aofan Jarallah, Ali Hassan al-Fadel.
Nova, 10 febbraio 2015
Gli ex capi dell'intelligence saudita Turki al Faisal e Bandar bin Sultan al Saud e il principe miliardario al Waleed bin Talal sarebbero tra le figure di spicco dell'entourage politico e religioso dell'Arabia Saudita che hanno sostenuto finanziariamente al Qaeda negli ultimi anni. È quanto emerge dalle testimonianze rese a un tribunale statunitense da Zacarias Moussaoui, cittadino francese condannato all'ergastolo per il proprio ruolo negli attentati dell'11 settembre 2001. Il jihadista ha affermato di aver ricoperto il ruolo di corriere per l'ex leader dell'organizzazione Osama bin Laden e, sulla base delle informazioni ricevute, di aver compilato una lista dei principali donatori di al Qaeda. "Lo sceicco Osama voleva tenere memoria dei nomi di chi contribuiva al Jihad", ha spiegato Moussaoui.
L'ergastolano ha riferito inoltre di aver incontrato il re saudita Abdullah, scomparso alla fine di gennaio, insieme ad altri membri della famiglia reale di Riad con messaggi da parte di Osama bin Laden. Ancora, Moussaoui ha detto di aver discusso in Afghanistan di un possibile attacco all'Air Force One con un ufficiale dell'ambasciata saudita a Washington. "Sarei dovuto andare negli Stati Uniti con lui per organizzare l'attacco e riuscire poi a fuggire - ha raccontato - ma sono stato arrestato prima di entrare in azione".
di Clirim Bitri
Ristretti Orizzonti, 9 febbraio 2015
Per aderire alla campagna "Gli Stati Generali sulle pene e sul carcere: una occasione per riflettere CON le persone detenute" mandaci un messaggio, una lettera di suggerimenti, una firma di sostegno, o una mail all'indirizzo
di Bruno Turci
Ristretti Orizzonti, 9 febbraio 2015
Le carceri italiane hanno bisogno di grandi cambiamenti, se ne è reso conto anche il Ministro della Giustizia, che ha deciso di indire gli "Stati Generali", dai quali dovrebbero essere ripensate le pene, dentro a un sistema realmente risocializzante per le persone private della libertà, volto a prepararle a reinserirsi nella società, producendo sicurezza per tutti i cittadini.
Il Mattino di Padova, 9 febbraio 2015
La domanda che ci fanno spesso gli studenti quando si parla di pene è: ma se le persone in carcere sono trattate bene, non è che poi non hanno più paura della galera e quindi non si fermano di fronte ai reati? L'idea che il male si può fermare solo restituendo altrettanto male è ben radicata: ma bastano le testimonianze di due ragazzi giovani, che hanno vissuto prima la detenzione in galere dure, isolamento, noia, senso di inutilità, e poi sono arrivati a Padova, non in un "bel carcere", che non esiste, ma in un carcere dove hanno sperimentato una pena dignitosa e sensata, per far capire che il carcere "maligno", che punisce e non fa capire, serve solo a rendere la società meno sicura, restituendole gente arrabbiata, e non uomini responsabili.
di Lionello Mancini
Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2015
Sabato 25 gennaio si è tenuta la cerimonia di apertura dell'Anno giudiziario nei 26 distretti italiani. Sorvoliamo sulle polemiche tra il presidente del Consiglio e le toghe, seguite alle frasi non felicissime pronunciate da alcuni alti magistrati che parlavano nella loro veste ufficiale.
Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2015
Dal 1991 sono stati 23mila i casi di ingiusta detenzione e 600 milioni di euro il totale delle somme liquidate dallo Stato come risarcimento. Ad affermarlo il vice ministro della Giustizia Enrico Costa durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario dell'Unione delle camere penali, al palazzo di Giustizia di Palermo.
di Andrea Oleandri (Associazione Antigone)
Il Garantista, 9 febbraio 2015
Al 31 dicembre del 2014 i detenuti immigrati presenti nelle carceri italiane sono 17.462, pari al 32,56% del totale. I reati per i quali gli stranieri sono maggiormente imputati sono quelli a bassa offensività, per lo più legati alla droga, alla prostituzione o all'immigrazione. Su un totale di 34.957 reati, 9.277 sono le imputazioni per uno di questi tre motivi, una percentuale di 26,5%.
I delitti contro la persona commessi da stranieri sono 6.963 (30,3% del totale), mentre solo 111 stranieri sono imputati per reati di associazione a delinquere, ossia l'1,6% del totale. All'allungarsi delle pene inflitte diminuisce la percentuale di stranieri e, in base al residuo pena da scontare in carcere, gli stranieri rappresentano una percentuale più corposa rispetto agli italiani. Questi sono alcuni dei dati che emergono dal rapporto di Patrizio Gonnella "Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti" che, edito da Edizioni Scientifiche, è stato pubblicato grazie al contributo del lavoro di ricerca dell'Associazione Antigone, di cui Gonnella è presidente, e al sostegno di Open Society Foundations.
Le ricerche di questo genere, servono a fotografare una realtà carceraria spesso sottovalutata, con tutte le conseguenze del caso, in termine di politiche specifiche e, quindi, di diritti. Ma, andando con ordine, è bene partire come fa Gonnella dal perché e come la popolazione straniera sia cresciuta in maniera costante negli ultimi vent'anni, arrivando al numero attuale. Sicuramente grande impatto hanno avuto le politiche sulla cosiddetta "sicurezza" che, dal 1996 in poi, hanno portato a una sorta di "criminalizzazione" dello straniero.
Basta guardare i numeri per capire quanto questa affermazione sia vera. Fino al 1996 la quota di stranieri detenuti in Italia si mantiene piuttosto bassa, sia in termini assoluti che percentuali. Dopo quell'anno e, ancora più segnatamente dopo l'entrata in vigore del Testo Unico sull'immigrazione, la componente straniera nelle carceri italiani comincia a crescere. Tra il 1998 e il 2000 toccherà la soglia del 30%, dalla quale non scenderà più.
Nel 2002, poi, la legge Bossi-Fini porta a compimento il progetto di etnicizzazione del diritto penale, con l'introduzione di fattispecie delittuose intrinsecamente connesse all'immigrazione. In quegli anni la percentuale di detenuti stranieri arriva al 31,78% per giungere infine
all'attuale 32,56%. Un dato questo che sarebbe potuto essere certamente più alto se non fosse stato per i provvedimenti legislativi degli ultimi anni, alcuni dettati dalle sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Europea di Giustizia che hanno condannato l'Italia a causa del trattamento degradante subito dai detenuti nelle carceri del nostro Paese.
Tali provvedimenti hanno per lo più permesso la scarcerazione di quanti erano stati condannati a pene non elevate. Gli immigrati, che come è noto provengono da contesti sociali disagiati e marginali e sono puniti per reati meno gravi rispetto agli italiani, hanno potuto avvalersi di tale sconto.
Proprio i contesti dal quale arrivano i detenuti stranieri è uno dei fattori sui quali si sofferma il re-port, partendo dalla premessa che non sia facile definire il profilo sociale di queste persone. Perché non esistono a livello istituzionale dati disaggregati per età, nazionalità o religione; perché le storie e progetti migratori di ogni persona sono molto diversi e perciò non paragonabili, Se una fotografia va fatta si può dire, comunque, che in Italia la popolazione detenuta straniera è per lo più costituita da persone più giovani rispetto agli italiani.
Nella fascia di età tra i 18 e i 20 anni il 58% sono stranieri; questi sono inoltre il 51% tra i 21 e i 24 anni e il 54% tra i 25 e i 29 anni. Man mano che si va salendo la proporzione si inverte in maniera sempre più netta. Anche i dati sul livello di educazione, quando rilevati, risultano molto generici: non vi è distinzione per nazionalità, tipo di laurea, ecc. L'unico fatto certo è che i livelli di alfabetizzazione sono molto bassi, e questo vale sia per i detenuti italiani che per quelli stranieri. La grande maggioranza (4083) hanno un diploma inferiore. Solo 144 sono i laureati, mentre gli analfabeti sono 300.
Un dato su cui occorre riflettere è quello degli stranieri in custodia cautelare che, rispetto al totale delle persone non condannate presenti in carcere, è in media del 28% contro il 21% del totale comprendente anche i condannati. Il 34% dell'intera popolazione straniera detenuta è in attesa di primo giudizio o comunque non giudicati in via definitiva. Lo stesso dato, ma relativo agli italiani, è del 29%. Lo scarto di 5 punti percentuali si spiega con la minore possibilità di accesso dei primi a una tutela legale qualificata. Gli stranieri sono soltanto il 17,3% delle persone che fruiscono di una misura alternativa alla detenzione.
Si tratta di una percentuale molto più bassa (ben 14 punti in meno) rispetto agli stranieri che scontano la loro pena in carcere. Le ragioni di questo scarto così ampio sono da attribuire alla minore fiducia verso loro sia da parte dei magistrati di sorveglianza che da parte dei servizi sociali, e alle minori risorse economiche e legali a disposizione. Una situazione ancora più complessa per gli immigrati irregolari che, non avendo un permesso di soggiorno che ne attesti un domicilio stabile, non possono essere tenuti agli arresti domiciliari.
Pertanto l'immigrato non regolare finirà più facilmente in carcere in custodia cautelare rispetto allo straniero regolare, anche perché le legislazioni di quasi tutti i Paesi europei non riconoscono i diritti di cittadinanza a coloro che entrano irregolarmente sul loro territorio. Ciò è segno di un sistema giudiziario fortemente discriminatorio da questo punto di vista. Un ulteriore dato raccolto nel rapporto è quello delle religioni degli stranieri in carcere.
Anche in questo caso i numeri sono più un'indicazione che una reale fotografia della situazione, essendo questo un dato che non viene rilevato e, a volte, neanche dichiarato dal detenuto stesso. 5513 sono infatti gli stranieri di cui non e stato possibile rilevare l'appartenenza religiosa. Tra quelli rilevati spicca la presenza di detenuti di fede islamica (5.693), cattolica (2.663) e ortodossa (2.246). Gli italiani invece sono a stragrande maggioranza cattolica (28.131), seguiti dagli evangelici (94) e dagli islamici (93).
Affrontati i numeri, nel rapporto vengono poi approntate 33 proposte di cambiamento legislativo e regolamentare che costituiscono un vero e proprio statuto dei diritti dei detenuti migranti in Italia. L'elenco evidenzia l'incompletezza della legislazione interna ancora troppo centrata sull'idea di un detenuto tipo che è italiano. Incompletezze che riguardano ad esempio il numero bassissimo di mediatori culturali presenti nelle carceri, quando la raccomandazione del 2012 del Consiglio d'Europa ci dice che bisogna investire su queste figure, sugli interpreti e sui traduttori, allo scopo di diminuire la conflittualità che. spesso nasce dall'incomprensione - da parte del detenuto straniero - di alcune disposizioni impartite in una lingua, l'italiano, che non padroneggia.
Altre raccomandazioni riguardano l'inserimento della lingua inglese fra le materie d'esame per l'accesso ai vari ruoli della carriera penitenziaria e del servizio medico. E l'organizzazione nelle case di reclusione di corsi di educazione interculturale e l'inserimento di norme nel regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario che tengano conto delle identità culturali e religiose. Tra le proposte anche quella di cumulare le ore di colloquio oltre i limiti mensili per consentire a parenti che arrivano da paesi lontani, la concessione di un visto utile per entrare in Italia e far visita ad un proprio parente detenuto e l'accesso a internet, Skype o alle mail per tutti i detenuti che non hanno censura nella corrispondenza epistolare in modo da facilitare la comunicazione soprattutto agli stranieri che hanno parenti lontani.
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