www.tusciaweb.eu, 10 febbraio 2015
Assolto su tutta la linea dall'accusa di aver spacciato eroina in carcere e rubato metadone dall'infermeria. Si trascinava da anni il processo a un quarantenne sardo, detenuto a Mammagialla per omicidio e rapina. Oggi l'assoluzione: per il tribunale di Viterbo non è stato lui a sottrarre dalla cassaforte dell'infermeria le tre fiale di metadone, insieme a un bisturi, dodici lame, pasticche psicotrope e un cucchiaino. Il furto risalirebbe a parecchi anni fa, tra il 2008 e il 2009.
Il principale indiziato diventa il detenuto, trasferito a Mammagialla dalla Sardegna per il suo comportamento turbolento e con alle spalle vent'anni da recluso tra carcere e riformatorio. Praticamente metà della sua vita passata dietro le sbarre. A Mammagialla si dà da fare come addetto alle pulizie e assistente al personale medico. Proprio per questo viene sospettato del furto nell'infermeria del carcere e trovato con una sostanza che, all'apparenza e al narcotest, risultava essere eroina. Ipotesi sconfessata ieri al processo dalla tossicologa incaricata di stendere una perizia proprio sul tipo di sostanza che, a detta del perito, non era stupefacente. La difesa - rappresentata da Carlo Mezzetti - ha sottolineato anche la testimonianza di una guardia carceraria in favore del detenuto: l'esito della perquisizione personale eseguita dall'agente fu negativo. Il detenuto, peraltro, non era tossicodipendente e non faceva uso di metadone.
Dal reato di detenzione ai fini di spaccio di droga è stato assolto con formula piena perché il fatto non sussiste. Scagionato, invece, dall'accusa di furto aggravato per non aver commesso il fatto.
www.estense.com, 10 febbraio 2015
Lo "Sport... Libera" emozioni e propone modelli di riferimento, ha regole da rispettare nonché valori quali rigore e disciplina, alla base anche di un progetto rieducativo. Ne sono fortemente convinti i promotori del progetto di collaborazione tra Coni Point Ferrara e la casa circondariale di Ferrara che ha avuto un primo momento dimostrativo al carcere di via Arginone.
Da una parte l'amministrazione della casa circondariale rappresentata dal direttore Paolo Malato coadiuvato sia dal comandante del reparto di polizia penitenziaria, il commissario Paolo Teducci, sia dalla vice comandante Annalisa Gadaleta; dall'altra, il Coni Point Ferrara, con in testa il delegato provinciale Luciana Boschetti Pareschi, accompagnata da un nutrito staff tecnico sportivo, che aveva fra gli altri in Andrea Ansaloni, giocatore di pallamano, conduttore di giornata; Massimiliano Duran, ex pugile, testimonial per l'occasione; Marco Schiavina e Federico Meriggi, rispettivamente, atleta e istruttore di scherma; Mattia Musacchi e Alessandro Caccia, boxeur in via d'affermazione. Presente anche Simone Merli, assessore allo sport del Comune di Ferrara.
In platea un centinaio di detenuti, quasi un terzo della popolazione della casa circondariale estense. Ai quali il movimento sportivo locale vuole offrire segnali di futuro e di concreto supporto, ben oltre l'evento: "Sensazioni positive - è il parere del commissario Paolo Teducci. La presenza del Coni testimonia la vicinanza a noi del tessuto sociale ferrarese che è molto ricettivo su questo piano. Il rispetto delle regole, d'altronde, è alla base della vita penitenziaria ma anche un domani, al di fuori di esso. Non sarà la prima né l'ultima iniziativa ma verranno ripetute: un modo per dare esecuzione al principio costituzionale sulla rieducazione del condannato".
"Impatto positivissimo - ha commentato al termine il vice commissario Annalisa Gadaleta: un momento straordinario di liberazione dalle emozioni e di trasmissione di valori fondamentali per i detenuti quali rigore, difesa e disciplina. Lo sport libera veramente. Perciò ci sarà una lunga serie d'iniziative".
La commovente testimonianza sul mondo pugilistico dell'ex campione mondiale dei massimi leggeri Massimiliano Duran, insieme a quella di Gualtiero Becchetti, autore di un libro dedicato alla famiglia Duran, e l'istrionico accompagnamento del maestro Federico Meriggi nei segreti più reconditi della scherma, hanno coinvolto i presenti ai quali vanno aggiunti anche gli operatori educativi e non, che a vario titolo completano il quadro del personale oltre a quella della polizia penitenziaria.
Dare continuità alla singola proposta attraverso la presentazione di un progetto ad hoc è in questa fase obiettivo di tutti: "Abbiamo già la disponibilità di tre persone tra tecnici, insegnanti e istruttori qualificati - anticipa Luciana Pareschi - finalizzata a svolgere all'interno delle carceri sedute di ginnastica a cadenza e orari concordati con l'amministrazione della casa circondariale, per ora quasi certamente fino a maggio 2015.
Una di queste, poi, in quanto anche insegnante di arti marziali, potrebbe fornire corsi di formazione a titolo gratuito al personale di polizia penitenziaria. Oltre ad attivarci per calendarizzare evento il reperimento di vestiario e abbigliamento tecnico e attrezzature varie per il riadattamento delle palestre. Al momento disponibile già un virtual trainer".
Garante delle proposte è naturalmente anche Paolo Malato, direttore della casa circondariale estense, che in questo modo vedrebbe ulteriormente attuato il regime "a celle aperte" che consente ai "detenuti di poter star fuori dalla camera di pernottamento per almeno otto ore giornaliere potendo utilizzare gli spazi comuni fra cui la palestra attrezzata". Un modo concreto per affermare davvero che anche lo sport libera.
di Patrizio Carboni
www.sardegnalive.net, 10 febbraio 2015
Sito su un colle che gode di una vista mozzafiato sul golfo di Cagliari, l'ex penitenziario da cui nessuno riusciva ad evadere, è oggi al centro di un'accesa disputa per deciderne la destinazione. Per molti dovrebbe essere destinato a luogo di incontro culturale, oppure un museo della sofferenza o comunque una tappa turistica. Per altri, a seconda dell'ideologia, si potrebbe trasformarlo in Hotel di lusso, oppure in pensione a basso costo.
A ognuno la sua, senza che nessuno abbia pensato che in tempi di crisi, nei quali la Caritas non riesce a soddisfare le richieste, avere un tetto sulla testa diventa un vero lusso per tante persone. Cosi il carcere di Buoncammino, di recente abbandonato dai suoi ospiti, potrebbe essere la soluzione per chi questo tetto non lo ha. Oppure per chi, avendo perso il lavoro, non ha neppure la possibilità di un brodo caldo per la cena.
Le stanze e i relativi bagni così come la "sala delle colazioni" non sono meritevoli delle 5 stelle. Ancora meno somigliano all'Hotel Aman (7 stelle), situato sul Canal Grande a Venezia e ricavato da un palazzo del XVI° secolo. Ma la struttura c'è, è li che aspetta, con tanto di infermeria, sala mensa, bar, oltre che stanze e bagni pronti per l'uso.
Sarebbe sufficiente affidare l'immobile ad un'associazione di volontariato per la gestione dei servizi principali, con la prospettiva di ricevere, in cambio dell'ospitalità, altrettanta buona volontà per la manutenzione ordinaria dello stabile.
Chi è ospite infatti dovrebbe anche lavorare per poterlo tenere in uno stato decoroso: qualcuno che pitturi, altri che si occupino dell'impianto elettrico o idraulico, del giardino o, più semplicemente: delle pulizie. Diversamente da quanto accade di frequente in tante case popolari, dove regna l'abbandono solo perché si tende ad aspettare l'intervento del comune anche per sostituire una lampadina o tagliare l'erba del prato.
di Monia Orazi
Cronache Maceratesi, 10 febbraio 2015
Lo scopo del progetto organizzato in collaborazione con l'Ato 18 sarà potenziare la condizione fisica della persona e le capacità di avere di acquisire professionalità spendibile all'esterno. Ancora critiche le condizioni della casa circondariale che ospita 45 persone, di cui sei donne e 39 uomini, a fronte di una capienza regolamentare di 33 unità complessive.
Yoga, un cane per amico con la pet therapy, musica, informatica, laboratorio di scrittura creativa, corso di ginnastica dolce e pittura. Sono le attività messe in campo dal Comune per far sentire meno soli i detenuti della Casa circondariale di Camerino. Così si cercherà di "Potenziare la condizione fisica della persona - riporta la relazione dell'amministrazione comunale sui progetti annuali destinati alla popolazione detenuta - e le capacità di avere di acquisire una professionalità spendibile all'esterno, con funzione di socializzazione".
Circa 14mila euro per interventi durante tutto il 2015. In collaborazione con l'ambito territoriale sociale 18 sono stati organizzati una serie di progetti per il carcere, che attualmente ospita 45 persone, di cui sei donne e 39 uomini a fronte di una capienza regolamentare di 8 donne e 25 uomini.
Le attività scolastiche e culturali si svolgono nella cappella del carcere, dove spesso di domenica l'arcivescovo Francesco Giovanni Brugnaro celebra la messa domenicale. Un gruppo di volontarie della San Vincenzo De Paoli aiuta i detenuti, con vestiario e piccole attività di solidarietà. Il ricambio dei detenuti è abbastanza rapido, per la maggior parte si tratta di persone extracomunitarie.
Nel tavolo di incontro tra rappresentanti del Comune, operatori della casa circondariale, del Sert di Camerino, dell'ambito territoriale sociale è emersa la volontà di portare avanti quanto già avviato negli anni scorsi con lo sportello unico, il mediatore linguistico-culturale ed il consulente legale, mentre all'interno della struttura sono già presenti educatore e psicologo. Sarà avviato un corso base di informatica e attività di formazione ed interventi per migliorare l'inclusione sociale ed i rapporti con il mondo esterno.
Saranno attuati due progetti: "Apriamo i muri" di promozione della persona con la redazione di un giornalino per far conoscere le storie individuali dei detenuti e far loro conoscere la realtà territoriale in cui si trovano e "Dietro le sbarre", che grazie al gruppo di volontarie della San Vincenzo De Paoli permette ai detenuti stranieri e coloro che sono senza rete familiare di far fronte alle necessità quotidiane ed igieniche.
www.giornalesiracusa.com, 10 febbraio 2015
Resta alta la tensione nelle carceri, è di pochi minuti fa la notizia di una nuova aggressione nei confronti di alcuni agenti penitenziari. Qui di seguito il comunicato del segretario generale dell'Osapp, Domenico Nicotra, che punta il dito sul necessario rafforzamento di personale del Copo di Polizia Penitenziaria: "Ennesima aggressione nel carcere di Siracusa e poliziotti penitenziari inviati al pronto soccorso".
"Alle 11 di ieri - prosegue Nicotra - un detenuto extracomunitario per motivi ancora sconosciuti si è scagliato violentemente contro i Poliziotti Penitenziari presenti causando il trauma cranico e la rottura di un braccio di un ispettore, oltre che varie contusioni riportate da altro personale del Corpo intervenuto per riportare l'ordine e la sicurezza".
L'episodio di questa mattina segue una furente rissa avvenuta nei giorni scorsi tra detenuti, tutti di alta sicurezza, di origine campana e catanese. "È evidente - conclude Nicotra - che le carenze di personale del Corpo fanno regredire gli standard di sicurezza penitenziaria e che, pertanto, non sono più rinviabili urgentissimi provvedimenti che incrementino il poco personale perché diversamente, purtroppo, la questione non può che degenerare".
Adnkronos, 10 febbraio 2015
La Polizia penitenziaria, nell'ambito di un'operazione antidroga, ha trovato e sequestrato circa 100 grammi di hashish nascosti in carcere presso la Sala d'attesa dei familiari dei detenuti. La droga, secondo gli accertamenti effettuati, sarebbe stata pronta per essere ritirata dal detenuto lavorante addetto alle pulizie, per poi introdurla all'interno delle sezioni.
Il personale di Polizia Penitenziaria ha atteso che il detenuto se ne appropriasse per coglierlo in flagranza. A dare notizia del sequestro è Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria, il Sappe.
In una nota, Capece sottolinea che "questa importante operazione di servizio, oltre a confermare il grado di maturità raggiunto e le elevate doti professionali del personale di polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Mantova, ci ricorda che il primo compito della polizia penitenziaria è e rimane quello di garantire la sicurezza dei luoghi di, ferma restando la necessità di adottare tutti gli accorgimenti utili a stroncare l'ingresso nei penitenziari di stupefacente e di ogni altro oggetto vietato.
È possibile immaginare quali pericolose conseguenze avrebbe determinato il possesso e il consumo di droga nelle celle". Capece ricorda poi la situazione del carcere di Mantova dove "nel corso del 2014 un detenuto ha tentato il suicidio, salvato in tempo dai poliziotti penitenziari, ci sono stati 17 episodi di autolesionismo, 2 ferimenti e 16 colluttazioni.
A dimostrazione che l'emergenza penitenziaria intesa come vivibilità delle carceri non è affatto superata e che il personale di polizia penitenziaria paga quotidianamente, in termini di stress e di sicurezza personale, un grande tributo per la gestione degli eventi critici che si verificano ogni giorno nelle carceri".
Redattore Sociale, 10 febbraio 2015
La mostra fotografica si chiama "Pure 'n carcere 'o sanno fa" e a volerla è stato il Garante regionale del Piemonte. Vi sono raccolti una ventina di scatti del fotografo cuneese Davide Dutto, che ha immortalato i detenuti nell'atto di cucinare o preparare la moka.
In "Don Raffaé", una delle sue canzoni più famose, il compianto Fabrizio De André raccontava la quotidianità del carcere attraverso una serie di dialoghi tra i detenuti che aspettavano insieme il gorgoglio della moka, per gustare uno dei pochi piaceri ancora concessi a chi è rinchiuso in cella, quello del caffè.
Venticinque anni dopo, il fotografo cuneese Davide Dutto ha preso a prestito uno dei versi di quella canzone per dare titolo a un esperimento sulla stessa falsariga. Realizzata su impulso del Garante regionale dei detenuti per il Piemonte, "Pure 'n carcere 'o sanno fa" raccoglie una serie di scatti realizzati nelle case circondariali di Fossano (Cuneo), Saluzzo, Alessandria e al "Lorusso e Cutugno" di Torino. Ritratti soprattutto durante la preparazione della moka, i detenuti sono immortalati anche in cucina, a tavola o durante il lavoro nei laboratori allestiti dalle cooperative presenti negli istituti di pena.
"La mostra - spiega Dutto - rappresenta l'evoluzione di un progetto iniziato nel 2003 con la mia associazione cuneese, Sapori reclusi, che si occupa principalmente di osservare la cucina e il cibo nelle carceri italiane attraverso la fotografia. Mentre aspettavamo il caffè, a ogni detenuto chiedemmo di raccontarci una storia, che abbiamo poi trascritto con l'intenzione di farne delle didascalie per le foto".
Quegli aneddoti ora accompagnano i venti scatti che dallo scorso lunedì possono essere visitati nell'Ufficio relazioni con il pubblico del Consiglio regionale del Piemonte. C'è il Nord Africano che racconta di un momento di profonda solitudine, quando "nella tazzina piena di caffè, scura, amara, vedevo solo brutti presagi"; quello che alle 7 di ogni mattina si sveglia per andare in cucina a preparare la moca per tutto il suo braccio, "facendo attenzione a non fare troppo rumore, che a quell'ora in carcere dormono ancora tutti"; o ancora il Senegalese, che racconta di non aver mai conosciuto il sapore del caffè prima di venire in Italia, come nemmeno quello della reclusione.
"In carcere - racconta Dutto - la preparazione della moka è un vero e proprio rito, un momento di condivisione e di evasione dalla quotidianità della reclusione. Ogni cella ha una sua variante, che spesso nasce dalla contaminazione delle varie ricette regionali: qualcuno, assieme alla miscela, mette un chicco di sale grosso o una fogliolina di menta; quasi tutti poi, preparano la cremina con lo zucchero e la prima parte del liquido, e anche qui le varianti sono infinite. Gli arabi offrono il caffè alla turca ai detenuti italiani, e viceversa".
Inaugurata alla presenza del presidente del Consiglio regionale Bruno Mellano, e del Garante dei detenuti Mario Laus, la mostra è realizzata con la collaborazione della rete del Caffè Sospeso, circuito di bar ed esercizi commerciali che stanno cercando di riportare in auge la vecchia usanza di lasciare un caffè pagato per chi non può più permetterselo.
Al progetto ha inoltre preso parte la rete delle cooperative che lavorano con i detenuti all'interno delle carceri piemontesi: come "Fumne", l'atelier nato nella sezione femminile del Lorusso e Cutugno di Torino, dove un gruppo di detenute realizza oggetti per la casa, abiti e accessori da donna. All'inaugurazione, inoltre, era presente il regista e sindaco di Fossano Davide Sordella, che ha presentar tre lavori realizzati con i detenuti della casa circondariali del suo comune: il cortometraggio "La squadra" e i videoclip "Pausa caffè" e "Pausa sigaretta".
"Pure 'n carcere 'o sanno fa" rimarrò aperta fino al prossimo 3 marzo nell'Ufficio relazioni con il pubblico del Consiglio regionale del Piemonte, in via dell'Arsenale 14. La mostra è visitabile negli orari di apertura dell'Urp, ovvero dal lunedì al venerdì dalle le 9 alle 13 e dalle 14 alle 16. Per informazioni 800101011.
di Annamaria Rivera
Il Manifesto, 10 febbraio 2015
Il giovane è stato sottoposto a due interventi chirurgici. Proteste degli altri migrati rinchiusi. Decine di volte ho scritto, in saggi e articoli, contro i lager di Stato o, se l'espressione vi sembrasse eccessiva, dei Guantánamo italiani. Ma altra cosa è essere messa brutalmente di fronte alla loro realtà materiale e umana, alla loro concreta essenza concentrazionaria. All'orrore di lunghi, allucinanti corridoi di sbarre, dove i più camminano come fantasmi, qualcuno urla senza sosta la propria angoscia. All'agitazione contagiosa di persone, anche giovani, cui è stata inflitta la "doppia pena": il lager dopo il carcere. Allo squallore di camerate prive d'ogni arredo e colore. Allo stanzino angusto e senza finestre, con un logoro materassino di gommapiuma, messo sul pavimento come giaciglio.
Qui, secondo la spiegazione dei nuovi gestori del Cie di Ponte Galeria, sono isolati certi "utenti" (è il loro lessico, da banalità del male), quelli che hanno bisogno di assistenza o sorveglianza "perché non si facciano del male". Qui ha trascorso la serata e la notte tra il 6 e il 7 febbraio un giovane internato, forse di nazionalità siriana, reduce da un intervento chirurgico per essersi tagliato, con una lametta, vene e tendini di un polso. Ha passato quella notte in compagnia delle forze dell'ordine, che non devono avergli riservato cure troppo amorevoli, né devono essersi commosse oltre misura ai suoi pianti e alla disperazione. Fatto sta che l'indomani mattina, polso e avambraccio erano talmente gonfi da richiedere una nuova visita in ospedale, alla quale seguirà, sembra, una seconda operazione.
Non prendo per oro colato ciò che dicono alcuni testimoni dall'interno del Cie, a proposito d'una presunta istigazione all'atto autolesionistico da parte d'un rappresentante delle forze dell'ordine. Ma non sarebbe troppo sorprendente: lo schema più consueto degli atti di autolesionismo compiuti nei lager per migranti (quello di Ponte Galeria ne ha una storia ragguardevole) contempla la provocazione di qualcuno "che sta sopra". Si consideri, inoltre, che lì agli internati è proibito tenere perfino penne e matite, meno che mai, evidentemente, lamette e altri oggetti affilati.
Lo ho potuto constatare di persona il 27 gennaio scorso, nel corso della visita in quel Cie, compiuta insieme con Gabriella Guido, di LasciateCIEentrare, Daniela Padoan, portavoce dell'eurodeputata Barbara Spinelli e altri. Sarebbe opportuno, dunque, che s'indagasse sulla dinamica che ha indotto un così giovane internato a tagliarsi le vene. Del pari, converrebbe verificare le voci numerose - d'internati ed ex internati - che dicono di una "squadretta" delle forze dell'ordine, talvolta accompagnata da cani (anch'essi vittime di quel sistema), pronta a intervenire con modi non troppo gentili nei confronti dei più agitati tra gli "utenti".
Quel venerdì mattina del 6 febbraio, la vista del giovane siriano che perdeva sangue copiosamente aveva scatenato una rivolta, con l'usuale corollario del rogo di materassi (saranno stati sostituiti con letti più decenti?). Rivolta effimera e vana: tutto sembra tornato come prima, se non fosse per l'attenzione da parte di alcuni rappresentanti della "società civile" e delle istituzioni (tra i quali, la già citata Spinelli). Le cui regolari visite e denunce, però, non sembrano incidere granché sulla struttura e sulla routine di quell'isola concentrazionaria, così come di altre simili.
Può accadere perfino che a visite di tal genere seguano atti illegittimi ai danni degli internati: ritorsioni o solo casuali coincidenze nefaste? Il giorno dopo la nostra, del 27 gennaio, il console nigeriano sarebbe entrato nel Cie per identificare diciannove suoi concittadini da rimpatriare. Il 29 gennaio i diciannove, compreso un giovane richiedente asilo in sciopero della fame e condizioni di salute assai precarie, sarebbero stati deportati in Nigeria con un charter dell'Agenzia Frontex: un caso di scandalosa violazione di direttive europee, della Carta dei diritti dell'Ue, dello stesso articolo 10 della nostra Costituzione.
Quanto alle condizioni del Cie, le cose sembrano perfino peggiorate dacché all'Auxilium, ente gestore fin dal 2010, dal 15 dicembre scorso è subentrata l'Associazione Acuarinto di Agrigento: facente parte di un raggruppamento d'imprese guidato dalla Gepsa, una SpA francese che si occupa di penitenziari, a sua volta filiale di Cofely, holding dell'energia, controllata dalla multinazionale Gdf-Suez.
L'appalto è stato ottenuto grazie alla drastica riduzione dei costi, del personale e dei servizi garantiti. Si immagini cosa voglia dire, in una situazione così esplosiva, la riduzione non solo di cibo, sigarette, tessere telefoniche, ma anche degli oggetti più elementari per il decoro personale e dei servizi di assistenza psicologica. Sempre più si ribelleranno, le nonpersone dette ipocritamente utenti, affermando così la pienezza della loro umanità.
di Alberto Zanconato
Ansa, 10 febbraio 2015
Dall'Italia all'Iraq, con il sogno di entrare a combattere nelle file dello Stato islamico. È questa la storia di un connazionale che dall'estate scorsa è in carcere in Kurdistan. "Una storia strana", l'ha definita il presidente della regione autonoma irachena, Massud Barzani, in un'intervista al quotidiano panarabo al Hayat, sottolineando che l'uomo è arrivato con un visto regolare dalla Turchia dichiarando apertamente alle guardie di frontiera di voler diventare un jihadista.
Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni si è limitato a confermare oggi che un connazionale è stato "arrestato a luglio scorso nella zona di Erbil" ed è "detenuto dal dipartimento antiterrorismo della regione autonoma curda".
Da parte sua, l'ambasciatore a Baghdad, Massimo Marotti, ha detto all'Ansa che le autorità diplomatiche sono state informate in settembre dell'arresto di un italiano e che da allora "gli viene fornita assistenza consolare". Marotti ha aggiunto di non avere ancora ricevuto dalle autorità locali alcun atto in cui vengano precisate le accuse rivolte all'arrestato.
Nessuna notizia è stata data sull'identità dell'uomo. Tuttavia, già il 18 gennaio scorso, il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, aveva fatto sapere che un italiano, identificato come Giampiero F., era in carcere in Iraq per terrorismo internazionale. E, secondo fonti locali contattate oggi dall'Ansa, non vi sono altri connazionali che risultino detenuti in Iraq. Giampiero F., nato a Reggio Calabria 35 anni fa, è cresciuto a Bologna. Lì si converte all'Islam, si avvicina a circoli integralisti contigui al terrorismo e crea una rete di contatti.
Dopo un periodo in Spagna (viene segnalato a Granada), transita dal buco nero della Turchia per provare ad arrivare nei territori del Califfato. Alcune comunicazioni via whatsapp con altri convertiti italiani sembrano inequivocabili: "È iniziata la mia lotta contro l'Occidente predone". "Islam libertà per i popoli oppressi".
"Lottiamo fino alla fine per liberare le terre schiacciate dalla violenza occidentale". I suoi familiari, citati recentemente da organi di stampa, erano rimasti sorpresi dalle scelte fatte dal loro congiunto, dicendosi convinti che fosse stato sottoposto ad un lavaggio del cervello.
Intanto però il Califfo dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, ha sospeso proprio il reclutamento di miliziani stranieri, cioè al di fuori dell'Iraq e della Siria, per il timore di infiltrazioni nella rete jihadista, mentre dagli Usa arrivano segnali che si sta preparando una controffensiva contro le forze dell'Isis a partire dall'Iraq.
Il quotidiano panarabo Al Arabi al Jadid, edito dal Qatar, cita a questo proposito una "fonte ben informata del ministero della difesa iracheno" secondo la quale il bando riguarda in particolare gli aspiranti jihadisti provenienti da alcuni Paesi della Coalizione internazionale a guida americana che combatte lo Stato islamico. Coalizione che sta preparando una "massiccia offensiva" a partire dall'Iraq, secondo quanto ha affermato in un'intervista all'agenzia giordana Petra il generale americano John Allen, coordinatore dell'alleanza, che oggi era in visita ufficiale ad Amman.
In Afghanistan, nel frattempo, il jihadista che era considerato il responsabile dell'Isis nel Sud del Paese, il Mullah Abdul Rauf, è stato ucciso da un razzo probabilmente sparato da un drone Usa che ha centrato in pieno l'auto su cui viaggiava nella provincia di Helmand. Lo hanno reso noto oggi i servizi di intelligence (Nds) a Kabul, aggiungendo che Rauf, noto con il soprannome di Khadim, è morto con cinque suoi collaboratori.
L'utilizzazione di un drone è stata resa nota dal vice governatore della provincia di Kandahar. Secondo i servizi d'intelligence, l'attività del Mullah Rauf, che in passato era stato ai vertici dei Taleban addirittura come braccio destro del Mullah Omar, conferma che l'Afghanistan rimane una delle basi del terrorismo internazionale.
Adnkronos, 10 febbraio 2015
Un motore di ricerca online per rintracciare i detenuti. È questa l'iniziativa lanciata dalla Rete siriana per i diritti umani, una ong nata nel 2011 sulla scia della rivoluzione contro il regime del presidente Bashar al-Assad, che si prefigge di documentare tutte le violazioni dei diritti umani che si verificano in Siria.
Il nuovo motore di ricerca contiene i dati di decine di migliaia di detenuti rinchiusi nelle carceri del regime siriano e di cui si ha documentazione, ma il servizio permette anche al visitatore di aggiungere informazioni a sua disposizione su un detenuto, come il nome, la foto, la data di nascita, il luogo o la data dell'arresto. Non esistono dati ufficiali sul numero dei siriani detenuti nelle carceri del regime di Assad dall'inizio della rivoluzione, ma secondo gli attivisti si tratta di decine di migliaia di persone.
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