Corriere di Verona, 9 gennaio 2015
Derubati, aggrediti, truffati: "Così li aiutiamo". C'è la coppia che ha trovato la propria auto danneggiata, c'è la donna che subisce maltrattamenti e l'anziano vittima di truffa. Tutti accomunati da una sorta di "disorientamento" di fronte al magma del sistema giudiziario italiano. Persone che ritengono di aver subito un torto e che non sanno come comportarsi.
È a loro che si rivolge lo Sportello di ascolto delle vittime di reato, inaugurato nel dicembre 2013 dal Consiglio comunale di Verona grazie all'impegno dei volontari dell'Associazione scaligera assistenza vittime di reato (Asav) e alla collaborazione della polizia municipale e del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Margherita Forestan.
Uno sportello aperto ogni martedì in Comune dalle 16 alle 19 (per contatti
E la speranza è che, nell'anno appena iniziato, i numeri possano aumentare: "Le autorità, a causa delle mancanze del Legislatore, non si preoccupano delle vittime. Noi siamo qui per loro e alle varie forze dell'ordine che ricevono le singole denunce) chiediamo di indirizzare queste persone verso di noi in caso di necessità di assistenza". "Se la vittima non si sente sola, è più propensa a denunciare e a far emergere realtà che troppo spesso vengono ignorate anche dalle istituzioni" ha commentato il presidente del Consiglio comunale, Luca Zanotto.
"Non vi può essere un recupero alla società per chi commette un reato - ha concluso il Garante Forestan - senza una forte azione a favore della vittima. Con questo servizio, primo e unico in Italia, si garantiscono alle vittime rispetto, sensibilità e assistenza".
Italpress, 9 gennaio 2015
Un cittadino nigeriano è stato fermato dalla polizia di Stato nell'ambito delle indagini avviate in seguito agli incidenti verificatisi il 29 dicembre scorso presso il Cara di Mineo, nel catanese. In manette è finito Eric Richardson, di 23 anni. Il giovane è ritenuto responsabile, in concorso con un altro connazionale gia' tratto in arresto subito dopo gli incidenti, dei reati di devastazione e saccheggio, danneggiamento seguito da incendio, resistenza a pubblico ufficiale ed altri reati. Il fermo rientra nell'ambito delle indagini avviate per fare luce sui disordini scoppiati nel Cara di Mineo, nel corso dei quali un gruppo di cittadini nigeriani, a seguito della notifica del diniego dello status di rifugiato politico da parte della Commissione territoriale, ha incendiato e danneggiato quattro vetture presenti all'interno del centro, una delle quali della Croce rossa italiana, e saccheggiato un magazzino di distribuzione di vestiario, sigarette ed altri beni. L'arrestato è stato condotto presso il carcere di Caltagirone.
www.infoagrigento.it, 9 gennaio 2015
Ha celebrato messa presso la cappella del carcere di contrada Petrusa l'Arcivescovo, nominato da poco Cardinale, don Francesco Montenegro; un gesto di vicinanza e solidarietà ai detenuti della casa circondariale di Agrigento, in questi giorni alla ribalta della cronaca per il fatto di avere tra i detenuti Veronica Panarello, la mamma di Loris Stival, il bambino ucciso in provincia di Ragusa nei giorni scorsi.
Dopo la messa, l'Arcivescovo si è soffermato con la madre sul quale pende l'accusa molto grave di avere ucciso il proprio figlio; un incontro breve ma intenso, un dialogo personale tra don Francesco Montenegro a Veronica Panarello. Un dialogo sul quale lo stesso Montenegro vuole mantenere assoluto riserbo: "È stato un colloquio tra me e lei" afferma ai cronisti presenti presso il carcere di contrada Petrusa. L'Arcivescovo ha solo precisato che si tratta di una donna molto affranta, senza poi aggiungere altri particolari. Dopo la visita del marito, per Veronica Panarello adesso anche l'incontro con l'Arcivescovo Montenegro; la donna si trova da fine anno 2014 ad Agrigento, spostandosi a Catania soltanto giorno 31 dicembre per l'udienza per la convalida dell'arresto.
www.campanianotizie.com, 9 gennaio 2015
"Il sovraffollamento è il problema principale nelle carceri europee. È necessario fornire sostegno agli Stati membri per migliorare le condizioni delle carceri, anche attraverso opportuni interventi per l'adeguamento delle strutture e lo sviluppo di misure alternative alla detenzione". È quanto si propone la "Dichiarazione scritta" promossa da Nicola Caputo (S&D) (ex art. 136 del Regolamento) e cofirmata da altri parlamentari di diversi gruppi politici: Caterina Chinnici, Paolo De Castro, Miriam Dalli, Michela Giuffrida, Nicola Danti, Isabella De Monte e Cecile Kyenge per S&D, Aldo Patriciello per il Ppe, Eleonora Forenza e Barbara Spinelli per GUE/NGL. La dichiarazione sul sovraffollamento delle carceri è stata messa a disposizione dei parlamentari per la firma già il 15 dicembre scorso e resterà disponibile per la sottoscrizione fino al 15 marzo prossimo. "Abbiamo bisogno del sostegno di 376 Deputati europei perché la dichiarazione sia adottata dal Parlamento Europeo - spiega Nicola Caputo - in un recente rapporto del Comitato del Consiglio d'Europa si identifica nel sovraffollamento il problema principale nelle carceri europee".
"Condizioni carcerarie inaccettabili, spiega Caputo, si riscontrano in particolare in Italia, Grecia e Francia. La maggior parte degli Stati membri non rispetta gli standard minimi europei previsti dai regolamenti elaborati dal Consiglio d'Europa". "Sono necessarie azioni immediate per prevenire le conseguenze del grave sovraffollamento carcerario che impedisce anche di fornire un'adeguata assistenza psichiatrica e medica ai detenuti".
"La Commissione - si legge nella dichiarazione - è chiamata ad esaminare tutte le risorse disponibili per fornire sostegno agli Stati membri per migliorare le condizioni delle carceri, attraverso opportuni interventi per lo sviluppo di misure alternative alla detenzione, considerata la particolare importanza che l'Ue attribuisce al rispetto dei diritti fondamentali".
di Giuliana Sgrena
Il Manifesto, 9 gennaio 2015
L'angoscia e lo smarrimento suscitati dalle immagini che arrivavano da Parigi, lasciano ora spazio a interrogativi e considerazioni.
Innanzitutto la freddezza e la preparazione militare dei terroristi segna un salto di qualità nel terrorismo islamico globale. Persino l'urlo di "Allah u Akbar" così nitido è apparso privo di emozione e di fanatismo. L'obiettivo stesso appare simbolico più che frutto di una reazione a vignette anti-islamiche, che sarebbe stato più comprensibile in occasione della pubblicazione di quelle più dissacranti.
Le vignette contro Maometto pubblicate da un giornale danese nel 2005 avevano provocato mobilitazioni anti-occidentali in vari paesi musulmani, mentre l'attacco di Parigi è stato condannato con rare eccezioni di plauso. L'obiettivo scelto è infatti molto "sofisticato" per le masse arabe, si è voluto colpire la laicità nella sua espressione più radicale: Charlie Hebdo in nome della libertà dissacrava e sbeffeggiava la religione come la politica o il sesso.
L'obiettivo sembra quindi più una scelta dell'islamismo francese o europeizzato. Chi può odiare tanto un simbolo della laicità se non un islamista francese? Questo attentato è il frutto avvelenato dell'islam globalizzato, un'ideologia sostenuta anche da intellettuali occidentali che hanno convinto molti europei della loro intenzione di modernizzare l'islam mentre il vero obiettivo era ed è quello di islamizzare l'Europa. È la stessa ideologia che ha generato il califfato di al Baghdadi, che in nome dell'islam globale vuole abbattere le frontiere coloniali in Medioriente.
La coincidenza con l'uscita del provocatorio romanzo di Houellebecq Sottomissione (traduzione letterale di Islam) sulle conseguenze della diffusione dell'islam in Europa - i musulmani sono già e saranno sempre più una presenza importante e financo preponderante - ha scatenato ipotesi drammatiche sul nostro futuro. Questo ci deve spaventare? No, ma non possiamo ignorare le contraddizioni vissute da chi, di origine musulmana, è cresciuto in un paese più o meno laico (l'Italia non lo è) e apprezza questa laicità ma non è disposto a mettere in discussione i principi dell'islam (secondo una versione integralista) soprattutto rispetto alle donne. Sono contraddizioni più laceranti nei giovani che negli adulti.
Lo scontro più duro tra un mondo sostanzialmente laico e la volontà di imporre una visione più ortodossa dell'islam si è verificato di recente proprio in un paese musulmano come la Tunisia. Non a caso i due fratelli franco-algerini ritenuti responsabili dell'attentato - Chérif e Said Kouachi - sono legati alla filiera jihadista Buttes-Chaumont di Boubaker al Hakim, franco-tunisino, che ha rivendicato nel dicembre scorso, l'assassinio dei due noti esponenti del Fronte popolare, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. La rivendicazione, a nome dello Stato islamico (Isil), è avvenuta alla vigilia del secondo turno delle presidenziali tunisine e faceva appello al boicottaggio.
Sebbene i due giovani siano stati indicati dai testimoni come appartenenti ad al Qaeda in Yemen, il loro passato è più legato ad al Qaeda in Iraq che sarebbe poi diventata Isil. E questo dimostra come il terrorismo globale non risponda più a una sigla ma molti gruppi possono agire in nome del Jihad. Kouachi era stato arruolato nel 2004 da Farid Benyettou, autoproclamatosi imam. I due erano stati arrestati nel 2005 mentre Kouachi era in partenza per Damasco. Boubaker al Hakim, arrestato in Siria dove ha passato un anno in carcere, è stato estradato in Francia nel 2005, dove nel 2008 è stato condannato a sette anni, ma nel 2011 è stato liberato.
Sono solo alcune storie di jihadisti che dimostrano come personaggi già noti alla giustizia possano continuare a organizzare attentati tra una missione e l'altra sui terreni di guerra. È questo il terrorismo globale, che non può essere combattuto solo con misure di sicurezza: ancora più importante è combattere l'ideologia portata alle estreme conseguenze dai terroristi. Il "successo" in Iraq e Siria di al Baghdadi ha fatto proliferare i suoi sostenitori nel nord Africa e anche in occidente.
Ora si chiede alla comunità musulmana di condannare il terrorismo, di farlo più esplicitamente. Questo indubbiamente serve a isolare i jihadisti, ma non basta farlo quando c'è l'emergenza, la paura, occorre prestare maggiore attenzione a quelle forze, a quei religiosi, che dentro il mondo islamico si battono, a loro rischio e pericolo, per una secolarizzazione dell'islam. Non serve condannare le atrocità commesse in nome dell'islam solo quando toccano l'occidente, perché le principali vittime del fanatismo non siamo noi ma i musulmani moderati e laici.
Askanews, 9 gennaio 2015
L'Ue potrebbe proporre nuove norme per rafforzare la sicurezza negli Stati membri, in risposta all'attentato di Parigi contro la redazione del Charlie Hebdo. Lo hanno affermato oggi a Bruxelles fonti comunitarie qualificate, precisando che innanzi tutto potrebbe esserci una revisione della decisione quadro 2002/475/ del Consiglio Ue per gli Affari interni e di Giustizia (Jha) sulla lotta al terrorismo.
A livello legislativo, il giro di vite riguarderebbe in particolare i cosiddetti "foreign fighter", i combattenti della Jihad islamista provenienti dai Paesi europei, che rappresentano una minaccia alla sicurezza al loro ritorno in patria. La revisione della decisione quadro Ue sarebbe anche un modo per applicare a livello europeo la risoluzione 2178 adottata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu nel settembre scorso, che chiede di definire e perseguire come reati gravi i viaggi per compiere attività terroristiche o per l'addestramento nelle basi terroristiche, e il finanziamento o l'organizzazione di queste attività. Oltre alla definizione comune dei reati, verrebbero anche fissate nuove pene minime molto severe per chi li commette.
Secondo le stime dell'Ue, i "foreign fighter" sarebbero oggi circa 12.000, di cui 2.500 di origine europea. Per poter individuare e bloccare più facilmente i "foreign fighter", comunque, sarà necessario ripresentare la normativa sulla raccolta dei dati dei passeggeri aerei (Pnr), che il Parlamento europeo aveva bocciato per ragioni di protezione della privacy.
Un intervento in un campo d'azione nuovo, secondo le fonti, potrebbe interessare la sicurezza privata, con l'imposizione di standard comuni almeno per quanto riguarda il reclutamento e il "training" degli agenti, per i quali oggi esistono "enormi differenze" a seconda delle diverse agenzie, che competono sul piano dei costi. Basta guardare i numeri per capire quanto potrebbe essere utile un miglioramento qualitativo in questo settore: "Gli agenti privati sono oggi nell'Ue 2,5 milioni, il quintuplo degli agenti della sicurezza pubblica", hanno spiegato le fonti.
Un altro livello è quello della cooperazione fra gli Stati membri, e in particolare giudiziaria e di polizia, di sicurezza e intelligence, delle forze speciali etc., che deve essere intensificata.
A livello di "policy", infine, vanno intensificati i controlli sulle armi e gli esplosivi e sui possibili materiali chimici, biologici e nucleari che potrebbero essere usati per degli attentati. L'idea è quella di utilizzare l'"expertise" e le competenze tecniche avanzate che sono state accumulate negli ultimei anni su questo tipo di controlli negli aeroporti, e trasferirla negli edifici pubblici e nei luoghi in cui si svolgono riunioni pubbliche.
Ma la "policy" più importante è quella da condurre contro la radicalizzazione nelle società europee, "che non è solo una questione di intelligence, ma anche e soprattutto di lavoro nel sociale". Per un ex detenuto, per esempio, "la fase più delicata, è quella del suo ultimo mese in carcere, o dei suoi primi giorni di libertà", quando più è esposto al reclutamento terrorista. A questa politica anti radicalizzazione, secondo le fonti, "è importante che partecipino anche le Ong, i sindacati, le organizzazioni giovanili. E soprattutto la polizia locale, che deve essere in grado di interpretare i primi segni della radicalizzazione negli individui: per esempio simboli ostentati come tatuaggi e bandiere, oppure il fatto che uno scompare per sei mesi e poi torna con un certo taglio di capelli".
Dopo l'attentato al Charlie Hebdo, la minaccia terroristica, i "foreign fighter" e la nuova strategia europea di sicurezza saranno al centro di una serie di riunioni dei ministri degli Esteri e di quelli degli Affari interni e di Giustizia dell'Ue, nelle prossime settimane, come nuove priorità, o priorità rafforzate nelle agende dell'Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, e della nuova presidenza lettone del Consiglio Ue. Il Parlamento europeo ne discuterà con la presidenza lettone e con l'Alto rappresentante durante la sua sessione plenaria la settimana prossima a Strasburgo.
Aki, 9 gennaio 2015
Il messaggio del leader del Pkk rilanciato dal presidente del Partito democratico popolare Demirtas. Il leader del Pkk Abdullah Ocalan ha promesso che resterà in carcere fino a quando non sarà risolta la questione curda in Turchia. Lo ha detto Selahattin Demirtas, il leader del curdo Partito democratico popolare (Hdp) che ad agosto ha sfidato Recep Tayyip Erdogan alle elezioni presidenziali.
"Non lascerò il carcere fino a quando cambieranno le cose che mi hanno portato qui. Ora per me non ha senso rimettermi in libertà", ha detto Ocalan in un messaggio rilanciato da Demirtas. Il leader del Pkk, che si trova in un carcere di massima sicurezza sull'isola di Imrali in Turchia dal 1999, nel marzo dello scorso anno ha avviato un processo di pace con Ankara. "Anche se mi aprissero le porte del carcere di Imrali, non uscirei", ha detto.
Demirtas ha poi dichiarato che Ocalan, 66 anni, non ha mai chiesto alle autorità turche di liberarlo. "Sono trascorsi 15 anni da quando Abdullah Ocalan è stato incarcerato per motivi politici e non legali - ha detto Demirtas - Vuole agire perché si scriva una Costituzione civile e non ha mai chiesto alle autorità turche di rilasciarlo".
A essere allentante, dice Demirtas, dovrebbero essere le condizioni di detenzione di Ocalan. "Sono tre anni che a nessuno degli avvocati di Abdullah Ocalan è stato concesso di incontrarlo. Penso che non ci dovrebbero essere divieti simili, anche per i politici che vogliono vedere Abdullah Ocalan", ha affermato Demirtas.
Ansa, 9 gennaio 2015
Via le guardie donne dalla prigione di Guantánamo: lo stabiliscono nuove disposizioni, che riguardano tuttavia solo i cinque detenuti imputati per l'11 settembre e rinchiusi nell'ala off limits del supercarcere militare americano nella base a Cuba conosciuta come Camp 7.
La decisione è stata presa dopo che i detenuti, tra cui Khalid Sheikh Mohamed, considerato la mente degli attentati alle Torri Gemelle, si erano rifiutati di parlare con i loro avvocati perché considerano umiliante e contro la fede islamica essere 'toccati' da donne che non hanno alcun legame con loro. Inizialmente le autorità militari avevano ribattuto dicendo che l'impossibilità di usare le donne per spostare i detenuti da Camp 7 avrebbe creato sovraccarichi di lavoro, ma poi hanno ceduto "nel tentativo - come loro stessi hanno detto - di fare gli interessi di tutte le parti" e ora il provvedimento è in attesa di una decisione finale e riguarda solo i top prisoners di Camp 7. "Il carcere di Guantánamo - ha detto il tenente colonnello Myles Caggins, Defense Department spokesman for Military Commissions, si adeguerà all'ordine temporaneo di non assegnare personale femminile per gli spostamenti dei detenuti per i loro incontri con i legali, le udienze preliminari e altre circostanze".
di Roberto Russo
www.queerblog.it, 9 gennaio 2015
Da quando è stato reintrodotto il reato di omosessualità in India, sono aumentate le aggressioni a persone Lgbt. Il Ministero degli Interni dell'India ha pubblicato una relazione in cui si illustrano le detenzioni che si sono avute fino al mese di ottobre 2014 nel Paese per violazione della sezione 377 del Codice Penale Indiano che dichiara illegale qualunque atto considerato "contro natura".
Secondo la relazione, si sono avuti 778 casi che avevano a che fare con la pratica dell'omosessualità e 587 detenzioni. Stando alla stampa, però, le cifre reali sarebbero superiori, perché alcuni stati non hanno comunicato i dati (come il Bengala Occidentale e Karnataka) e altri ancora lo hanno fatto parzialmente (Dehli - che ha il più alto numero di detenzioni in merito - ha fornito i dati fino a settembre, e Uttar Pradeh fino a giugno). Si stima che le detenzioni per omosessualità siano oltre seicento.
Come ricorderete, alla fine del 2013 la Corte Suprema dell'India ha reintrodotto la sezione 377 del Codice Penale, sezione che punisce le relazioni sessuali "contro natura". Nel 2009 l'Alto Tribunale di Delhi aveva abrogato tale sezione, perché punire atti sessuali consenzienti tra adulti viola i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione. Ma nel dicembre 2013 la Corte Suprema rimise in vigore la norma, perché di competenza del potere legislativo e non di quello giudiziario. Da allora, le relazioni omosessuali sono punite in India con la detenzione fino a dieci anni. Le associazioni per la difesa dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali hanno denunciato che, da quando è stata reintrodotta la sezione 377 del Codice Penale, sono aumentate moltissimo le aggressioni omofobiche nel paese.
di Igiaba Scego
Internazionale, 8 gennaio 2015
Oggi mi hanno dichiarato guerra. Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di dio e del profeta per giustificare l'ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto.
- Giustizia: il Viceministro Costa è "pronto a rivedere la norma sui risarcimenti ai detenuti"
- Giustizia: la magistratura che serve... fuori dalla guerra fredda
- Giustizia: il caso Van den Bleeken e i dubbi sull'eutanasia, quando morire è l'ultima speranza
- Giustizia: mense nelle carceri, il ministero conferma il "no" alle cooperative dei detenuti
- Giustizia: interrogazione parlamentare su gestione delle mense carcerarie alle cooperative