www.agrigentonotizie.it, 10 gennaio 2015
Il Sindacato di categoria andrà in visita nella Casa circondariale di contrada Petrusa, senza direttore da circa due mesi e con i lavori di ampliamento fermi da un anno. "Andare a visitare il carcere nella città natia dell'ex guardasigilli Angelino Alfano, ora ministro dell'Interno e leader del Ncd, e venire a scoprire che da oltre 2 mesi non c'è un direttore titolare, e i lavori per il nuovo padiglione da 250 posti sono fermi da più di un anno è qualcosa di davvero incredibile".
Con queste parole il coordinatore regionale della Uil-Pa penitenziari Sicilia, Gioacchino Veneziano, entra direttamente nel cuore dei problemi che attanagliano la casa circondariale di Agrigento, che visiterà il 23 gennaio prossimo, alle 10, accompagnato dal coordinatore provinciale Uil Penitenziari di Agrigento, Calogero Speziale, e dal segretario aziendale Gioacchino Zicari.
"Vogliamo vedere e fotografare situazioni che ormai hanno superato il limite della decenza - dichiara il leader siciliano della Uil di categoria - poiché è davvero raccapricciante che una sede di importanza penitenziaria di primo ordine come Agrigento non vi sia assegnato ancora un dirigente titolare.
Eppure - continua Veneziano - l'allora guardasigilli Alfano individuò la cittadina dei Templi come struttura penitenziaria da potenziare con il cosiddetto Piano Carceri che di piano ha avuto solo la lentezza dei lavori mai ultimati, considerato che da più di un anno i lavori sono fermi, determinando che dopo il danno di non vedere alla luce la nuova struttura, vi è anche la beffa di non avere somme necessarie per mantenere la vecchia struttura, visto che ormai è ridotta a un vero e proprio colabrodo".
"A questo punto - conclude la Uil-Pa Penitenziari Sicilia - è obbligatorio a tutela di tutti i poliziotti delle carceri di Agrigento garantire un sistema di adeguata sicurezza operativa e funzionale, quindi fotografare lo stato dei luoghi di lavoro e la loro funzionalità, e relazionare agli organi competenti del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, del Visag, e nelle parti di pertinenza Asp e Nas, consegnando il cd con le 40 fotografie tramite conferenza stampa presso la sede Uil di Agrigento".
Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2015
"È assurdo che un presunto ritardo di 10 minuti sull'orario d'ingresso per effettuare un colloquio con un detenuto possa impedire a un familiare di incontrare un parente ristretto. L'increscioso episodio, che si è verificato nella Casa Circondariale di Cagliari-Uta, è costato al parente un viaggio a vuoto di oltre 560 chilometri tra andata e ritorno". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell'associazione "Socialismo Diritti Riforme" sottolineando che "si tratta di un episodio che fa riflettere sulla necessità di una maggiore elasticità nelle disposizioni soprattutto quando le distanze sono ragguardevoli e esistono oggettive difficoltà a raggiungere la Casa Circondariale di Cagliari-Uta ubicata nell'area industriale senza adeguate indicazioni stradali".
"L'uomo, residente a Olbia, afferma di aver raggiunto la struttura detentiva intorno alle 13,10 convinto che l'orario d'ingresso, come aveva appreso in precedenza, fosse fino alle 13.15. Giunto davanti all'ingresso però - sottolinea Caligaris - ha saputo che il limite di accesso era stato anticipato alle 13. Nonostante abbia fatto presente la sua situazione e la distanza di provenienza, si è visto negare l'ingresso e sconcertato non ha potuto far altro che tornare a casa". "È evidente che, aldilà delle disposizioni relative agli orari, è preferibile evitare situazioni così assurde e tenere nella massima considerazione il disagio che i familiari devono affrontare per poter trascorrere un'ora con un parente privato della libertà. L'auspicio è che episodi come questo non si verifichino più anche perché il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e la legge sull'ordinamento valorizzano l'azione rieducativa e risocializzante della relazione costante con i familiari. Un po' di buon senso - conclude la presidente di Sdr - avrebbe evitato amarezza e sconcerto".
Redattore Sociale, 10 gennaio 2015
Il consigliere Enzo Brogi (Pd) interroga la giunta regionale chiedendo chiarezza. "Tempi certi e una soluzione definitiva. La Toscana può diventare un modello".
"Tempi certi e una soluzione definitiva per la chiusura dell'Ospedale Psichiatrico di Montelupo Fiorentino. La nostra Regione sia capofila, come peraltro ha già saputo ben fare su diverse materie, metta fine alla pagina orribile degli Opg e inauguri un nuovo corso, una nuova organizzazione per la detenzione di persone affette da patologie psichiatriche. Si partorisca un nuovo sistema sociale, sanitario e culturale per la gestione di queste situazioni, che possa servire anche da modello per le altre Regioni".
È quanto dichiara Enzo Brogi consigliere regionale Pd, primo firmatario di un'interrogazione, sottoscritta anche da altri consiglieri Pd e rivolta al presidente e alla giunta regionale, "In merito alla chiusura dell'Ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino".
"La Toscana ha approvato un progetto di superamento dell'Opg di Montelupo Fiorentino, peraltro imprescindibile dal momento che la chiusura di queste strutture è prevista per legge entro marzo 2015 - continua Brogi - Adesso quel termine sta per scadere e per scongiurare la richiesta di ulteriori proroghe, come purtroppo già avvenuto nell'aprile 2014, chiedo che la Toscana metta a punto un crono-programma, con degli step risolutivi: in primis, è necessario sapere quanti sono attualmente gli internati toscani suddivisi per Asl di appartenenza e qual è la loro situazione clinica e giudiziaria. Nello specifico, quanti coloro che, in base ai Programmi terapeutico-riabilitativi individuali, potrebbero essere già dimessi e, soprattutto, dove potrebbero andare; quanti, invece, non hanno tali caratteristiche e per quali ragioni, ad esempio se per motivi clinici o per permanenza di pericolosità sociale.
Infine, chiedo se la nostra Regione, allo scopo di arrivare con tempi brevi e certi al superamento dell'Opg di Montelupo F.no, non possa, attraverso un piano di revisione delle Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza detentive) individuare e utilizzare strutture che sono già nella sua disponibilità, evitando di dover cercare edifici che richiedono intese con altre Amministrazioni (Dap), e in molti casi consistenti lavori di ristrutturazione".
Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2015
"Un'evasione dal carcere durata un'ora. È accaduto intorno all'una di oggi pomeriggio a Sollicciano e ha visto protagonista un detenuto di nazionalità marocchina, 30 anni, ristretto per spaccio di droga, lesioni ed oltraggio a pubblico ufficiale. Sono stati momenti di grande tensione", spiega il Segretario Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. "Il detenuto è fuggito dal campo sportivo del carcere e, scavalcando il muro di cinta, si è allontanato. L'Agente di Polizia Penitenziaria di servizio di vigilanza sul muro di cinta se n'è però subito accorto ed ha dato l'allarme. Altri poliziotti sono usciti immediatamente dal penitenziario e si sono messi sulle stracce del fuggitivo, arresto dopo circa un'ora nei pressi del cimitero di Ugnano, a pochi chilometri dal carcere".
Capece punta il dito contro il sistema della "vigilanza dinamica" che è in atto nel carcere di Firenze Sollicciano: "In pratica, si vuole cercare di tenere tutta la giornata aperti i detenuti per farli rientrare nelle loro stanze solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione. Il Sappe si batte da tempo contro questa improvvida soluzione che si ritiene assolutamente destabilizzante per le carceri italiane.
È infatti nostra opinione che, lasciando le sezioni detentive all'autogestione dei detenuti, si potrebbero ricostituire quei rapporti di gerarchia tra detenuti per cui i più potenti e forti potrebbero spadroneggiare sui più deboli e determinare soluzioni di tensione ed eventi critici, come l'evasione di oggi conferma. In secondo luogo, sempre a nostro avviso, si sta ignorando l'articolo 387 del codice penale per il quale potrebbe essere comunque l'agente, anche se esiliato davanti a un monitor, a rispondere penalmente di qualsiasi cosa accada nelle sezioni detentive. Ancora più grave potrebbe essere l'accentuarsi in maniera drammatica di episodi di violenza all'interno delle stanze ove i detenuti non sono controllabili".
Ma il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria richiama anche "la disattenzione dei vertici regionali toscani dell'Amministrazione Penitenziaria verso le criticità del carcere fiorentino di Sollicciano, considerato che non ancora non si adottano interventi urgenti per garantire adeguati livelli di sicurezza del carcere e migliori condizioni di lavoro per i poliziotti penitenziari nonostante le nostre reiterate sollecitazioni".
www.viterbonews24.it, 10 gennaio 2015
Un tentativo di evasione dal carcere di Mammagialla è stato sventato dagli agenti di Polizia penitenziaria che, durante i controlli, hanno trovato delle lenzuola intrecciate per formare una corda lunga circa sei metri. La corda era stata nascosta nei condotti di areazione del locale doccia di una sezione penale.
Insieme alle lenzuola intrecciate, sono stati trovati dei ganci rudimentali, ricavati dagli spazzoloni per le pulizie delle celle che, probabilmente, sarebbero stati utilizzati come arpioni dai reclusi che stavano preparando l'evasione.
"Durante un'indagine interna - spiega Daniele Nicastrini, coordinatore regionale della Uil penitenziari - il personale di polizia penitenziaria, nel tardo pomeriggio di ieri, ha trovare delle lenzuola intrecciate lunghe circa 6 metri. Con le lenzuola sono stati trovati rudimentali ganci da utilizzare come arpioni". Secondo il sindacalista, il ritrovamento ha permesso di sventare un probabile tentativo di evasione. Gli accertamenti proseguono per individuare il detenuto (o i detenuti) che stavano preparando l'evasione. La scorsa settimana, inoltre, è stato trovato un cellulare nascosto da un detenuto nelle parti intime. Per il segretario regionale della Fns Cisl Lazio Massimo Costantini, fatti del genere dimostrano la grande professionalità del personale, anche in situazioni di carenza di organico.
www.radicali.it, 10 gennaio 2015
Una folta delegazione dell'Associazione Radicale Pier Paolo Pasolini della Provincia di Frosinone, composta dal Segretario Michele Latorraca, dal Presidente Sandro Di Nardo, dal Tesoriere Giorgio Cataldi, da Monia Ciotoli e da Stefano Barletta si recherà, oggi 10 gennaio 2015, presso la casa Circondariale di Frosinone per una ennesima visita volta a comprendere sempre meglio la realtà della struttura penitenziaria del capoluogo ciociaro.
L'iniziativa dell'Associazione è legata alla campagna denominata Satyagraha di Natale promossa da Radicali Italiani e dal Partito Radicale Transnazionale Transpartitico e Nonviolento volta a porre l'attenzione sul sempre più imbarazzante stato in cui versano le carceri italiane.
Nonostante le baldanzose dichiarazioni del Premier Renzi sul fatto che l'Italia grazie al provvedimento cosiddetto "svuota carceri" sia rientrata in un alveo di legalità mai conosciuto in precedenza e che ormai non si parla più di amnistia ed indulto in quanto non esiste più sovraffollamento, la realtà dei numeri e del quotidiano che le carceri italiane vivono, comprese anche quelle ciociare, in particolar modo la realtà di Frosinone, descrivono una realtà lontana dalle auto proclamazioni governative.
È fondamentale sempre più assumersi la responsabilità di arrivare a stretto giro ad una amnistia e ad un nuovo indulto, in modo da consentire una ritrovata operatività ai magistrati, ormai sommersi da carte e procedimenti che spesso arriveranno a prescrizione, che rappresenta una vera e propria amnistia di classe, visto che chi si può permettere i migliori professionisti troverà sempre il modo per allungare processi e superare il termine prescrittivo.
La stessa recente sentenza di proroga del 41 bis all'ultraottantenne ed incapace di intendere e di volere Bernardo Provenzano dimostra altresì che lo Stato usa metodi peggiori di quelli delle cosche per contrastare la criminalità organizzata di stampo mafioso, mentre la criminalità mafiosa prospera e si diffonde in ogni angolo nel Paese a scapito dello Stato democratico sempre più agonizzante.
Per questo e per altri motivi fra i quali l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento, una migliore sanità carceraria, l'abolizione dell'inutile 41 bis e la presenza dei detenuti nel preannunciato Stato Generale delle carceri noi siamo vicini ai detenuti, vicini alle forze di polizia Penitenziaria, agli educatori, agli assistenti sociali, ai mediatori culturali, ai volontari e a tutto il personale che a vario titolo quotidianamente si trovano a vivere un quotidiano di illegalità e di abbandono. Nei giorni successivi alla visita, la delegazione radicale preparerà e metterà a disposizione dei media un piccolo dossier sul Carcere di Frosinone.
www.prealpina.it, 10 gennaio 2015
Quattro ricorsi al Tribunale del riesame di Milano. E quattro no. Nessuna scarcerazione: tutti gli agenti della polizia penitenziaria arrestati lo scorso 9 dicembre con l'accusa di aver favorito l'evasione di tre detenuti romeni dai Miogni - una fuga clamorosa avvenuta nel febbraio 2013 - restano in cella. I giudici milanesi hanno ritenuto che la custodia in carcere decisa dal gip di Varese Anna Giorgetti, su richiesta del sostituto procuratore Annalisa Palomba, sia l'unica misura cautelare adeguata a garantire un seguito dell'inchiesta senza turbative.
Dei cinque agenti arrestati uno solo non aveva fatto ricorso al Tribunale del riesame: tramite il suo difensore, l'avvocato Alberto Zanzi, Carmine Domenico Petricone ha chiesto infatti al pm titolare dell'indagine di essere interrogato, e il sostituto Palomba ha detto sì, fissando il colloquio con l'indagato per il prossimo 20 gennaio. Inutile dire che da questo passaggio della vicenda l'impianto accusatorio messo a punto dalla Procura di Varese esce rafforzato.
www.udinetoday.it, 10 gennaio 2015
Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) per voce del suo segretario nazionale, Donato Capece, ha fatto sapere che recentemente nel carcere di via Spalato a Udine sono stati rinvenuti all'interno di una cella penitenziaria un carica batterie per telefono e una spatola; naturalmente accuratamente nascosti dal detenuto che li aveva in custodia.
"È un episodio grave, condizionato probabilmente dai livelli minimi di sicurezza che la vigilanza dinamica impone", ha dichiarato il segretario della Sappe.
Lo stesso Capece, poco tempo fa in un'intervista a "Il Tempo", aveva allertato come questa sorta di carcere a "regime aperto" non sia risolutiva in termini di sicurezza, né per gli agenti, né per gli stessi detenuti. Nello specifico denunciava già lo scorso ottobre: "la vigilanza dinamica da oltre un anno prevede che i detenuti, non quelli al 41bis, siano liberi di uscire dalle celle e stare nei corridoi. Così oltre a rendere più facili i suicidi, aumenta il rischio delle aggressioni nei confronti della polizia penitenziaria, che sono infatti aumentate del 70%".
Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2015
Ci sono giornate che attraversano la clessidra senza muovere nessun altro granello di vita. Poi ci sono i giorni. Quelli che restano, nonostante tutto.
Mercoledì 7 gennaio. Primo pomeriggio. Freddo, col sole. L'appuntamento è alle tre e mezzo, davanti ai cancelli del carcere. Alessio Boni alle otto e mezzo sarà sul palco del Teatro Ventidio Basso col suo Dio che visita Freud. Nei mesi precedenti uno scambio veloce di mail e poi la promessa: appena torno ad Ascoli vengo a trovarvi in carcere, nella redazione del vostro giornale.
Alle tre e mezzo in punto siamo davanti al blockhouse. Lui infila la carta d'identità nella feritoia, controlli di rito ed entriamo. "Posso restare solo un'oretta" erano gli accordi. Invece usciremo tardissimo, col buio, freddo, c'è la luna. A meno di due ore dallo spettacolo. Il mondo alle prese con un nuovo 11 settembre. Ma noi ancora non lo sappiamo.
Nella sala grande ci sono più di venti ragazzi. Lui si presenta. Poi inizia a calamitare l'attenzione di tutti. Lentamente, abbattendo, muro dopo muro, la cortina di diffidenza che in carcere è una seconda pelle. I detenuti pendono dalle sue labbra. Lui li cattura, li coinvolge, li chiama, li addita, risponde a tono. Senza farsi mai sorprendere. L'atmosfera è energia pura. Ci sono tre ragazzi musulmani. Si parla di cinema, di teatro, del suo Ulisse, dei suoi progetti, ma anche dei problemi del nord Africa, delle frontiere sempre più distanti. Ci si confronta, sul dolore. Ma si ride, anche, alle battute che avvicinano e stemperano la tensione. Due ore, quasi tre, volano. Ci salutiamo con un arrivederci. Alla prossima tournée, al prossimo spettacolo. Andremo a teatro tutti insieme, detenuti compresi. Sarà bello.
Usciamo, fuori ci aspetta un mondo diverso. Una volta di più consapevole, a carissimo prezzo, di quanto sia importante incontrarsi. Ed aprire.
Teresa Valiani, Direttore Io e Caino, Giornale del carcere di Ascoli Piceno
di Massimiliano Castellani
Avvenire, 10 gennaio 2015
Nei campi "sbarrati" delle nostre carceri, da anni si disputano partite di calcio - solo casalinghe, le trasferte sono vietate - valide per i campionati dilettantistici. Nelle sezioni minorili, la legalità viene insegnata anche mediante dei corsi per arbitri. Ma a questo scopo, non si era ancora visto un regolare corso allenatori per dei detenuti "aspiranti Mourinho".
"Dato che il tecnico portoghese rivolgendosi agli arbitri spesso mostra le manette, per un ritorno alla normalità meglio ispirarsi al nostro presidente nazionale dell'Assoallenatori, Renzo Ulivieri". È il commento di Gerardo Passarella, l'ideatore di "Trattamenti", il primo corso allenatori (promosso dalla sezione lucana dell'Associazione italiana allenatori di calcio, in collaborazione con il Comitato Regionale Figc della Basilicata) che ha preso il via all'interno della Casa circondariale di Potenza.
"L'idea - spiega Passarella - è nata due anni fa quando ero allenatore del Potenza calcio in Serie D. Con il direttore generale del Potenza, la nostra "grande anima", il prof. Rocco Galasso, per la Santa Pasqua decidemmo di organizzare una partita di calcio con i detenuti. Al termine dell'incontro, parlando con il direttore del carcere, dottor Michele Ferrandina, pensammo a un corso propedeutico per dei futuri "mister", in questo caso davvero speciali...".
Il tempo di avvertire il presidente di tutti gli allenatori italici, Ulivieri, ricevere il placet dell'allora prefetto del capoluogo lucano, Antonio Nunziante, e tutto era pronto per il fischio d'inizio dell'inedito corso. Tre incontri settimanali, 146 ore di lezioni per una classe di tredici detenuti. I primi tredici aspiranti allenatori dietro le sbarre: un bulgaro, un africano, il resto italiani, si sono appena diplomati.
"Le materie sono le stesse dei corsi di Uefa B (il patentino che consente di allenare fino alla Serie D e di fare l'allenatore in seconda in Lega Pro) che teniamo a Coverciano: lezioni di tecnica, regolamento di gioco, carte federali, psicologia, medicina e primo soccorso con defibrillatore", spiega Ulivieri che, indossata la sua tuta d'ordinanza Aiac, è subito sceso a Potenza.
"Renzaccio" è voluto entrare nell'aula della Casa circondariale per verificare di persona l'andamento del corso. "È sempre una grande emozione varcare la soglia di un luogo come il carcere dove sai di incontrare delle persone che soffrono, che stanno scontando la loro pena. Il cattivo messaggio, "chiudo e butto via la chiave", non appartiene al sottoscritto e neppure all'Assoallenatori. Anzi, mi indigna il fatto che persino nel nostro ordinamento sportivo esista ancora una condanna definitiva, senza appello, come la radiazione.
Un uomo che ha commesso un errore, per quanto grave, ha diritto a un'altra chance per riabilitarsi e reinserirsi nella società. A questo corso allenatori partecipa un giovane detenuto che già conoscevo, appena mi ha visto mi è venuto incontro e mi ha detto: "Mister Ulivieri non ce l'ho fatta. Ho sbagliato ancora, ma questa volta sono sicuro che ce la farò". E ne sono convinto, perché ha capito che allenare vuol dire educare prima di tutto se stessi e poi prendersi cura di un gruppo, di uno spogliatoio intero".
Parole esemplari di chi ai suoi "allievi dentro" non si pone affatto come un esempio. "Alla prima lezione mi sono presentato ai detenuti dicendo che sono stato l'allenatore "più espulso d'Italia". Però badate bene, ho precisato, io stavo alle regole: pagavo la multa e scontavo in silenzio i miei turni di squalifica. E tutto questo mi è servito per comprendere che la convivenza civile si basa sul rispetto delle leggi, alle quali nessuno di noi si può sottrarre. Questo è il senso di responsabilità".
E il senso di responsabilità nella gestione di una squadra è una delle tante conoscenze apprese dagli allievi-allenatori al termine di un corso che ha ricevuto anche il plauso dell'Unione Europea. "Abbiamo ottenuto dei risultati insperati.
È incredibile il livello d'attenzione mostrato da tutti i partecipanti - continua Passarella. Si sono create due "squadre" che però hanno lavorato in piena sintonia: la nostra composta dai docenti - tutti volontari - e dai detenuti, e quella degli agenti. Dalle relazioni stilate dalle dottoresse Crovatto e Di Lorenzo, è emerso che ognuno dei detenuti partecipanti si è sentito "migliorato"".
Unico limite del corso, imposto da ovvie ragioni sicurezza, prevede che il tirocinio per gli aspiranti mister non si possa effettuare esternamente, andando in visita nei centri di allenamento dei club. "Ma anche per questo, così come per il materiale tecnico che ci è stato messo a disposizione, abbiamo rimediato: sono le società che hanno accettato l'invito ad entrare in carcere. Così, alle lezioni cui segue la partitella dimostrativa, hanno partecipato club dilettantistici e i professionisti del Melfi (Lega Pro). Tra i vari allenatori è venuto a trovarci Delio Rossi che è rimasto particolarmente colpito dall'atmosfera che ha riscontrato in aula e in campo".
Un'atmosfera estremamente positiva che i detenuti del secondo corso stanno per sperimentare. A giorni infatti, è fissato il fischio d'inizio per il nuovo ciclo di lezioni, con il benestare di quella che è diventata la "prima tifosa". della formazione dei mister della casa circondariale lucana, il giudice di sorveglianza Paola Stella. È stata lei - insieme al prefetto Nunziante e al direttore Ferrandina - a consegnare le "panchine d'argento" agli allievi che si sono diplomati allenatori. E uno dei neo-mister, dopo quel "pezzo di carta della legalità", come lo chiama Ulivieri, ha pensato di andare oltre.
"È un giovane detenuto che è stato trasferito a Cuneo - dice orgoglioso Passarella. Tornare tra i banchi per apprendere quei rudimenti che gli serviranno un giorno per allenare una squadra tutta sua, lo ha stimolato a riprendere gli studi universitari. Una grande vittoria, per lui e per noi. Così come è una grande conquista, quel ragazzo di Scampia in regime di semilibertà che ci verrà dato in affidamento. Si occuperà dello stadio del Potenza e magari darà una mano come aiutante-tecnico nella nostra scuola calcio".
Il sogno comune dei tredici futuri "mister anche fuori" è quello di poter allenare una formazione di bambini. La speranza che un giorno ciò accada, è in queste righe di una lettera che porta le loro firme: "Oggi noi 13 siamo una goccia nel mare, ma auspichiamo che il nostro impegno, il nostro entusiasmo in questo corso pilota, servano a dare la stessa opportunità ad altri come noi che si trovano in situazioni difficili. Non sappiamo quanti di noi diventeranno allenatori o se qualcuno ce la farà, ma di sicuro, grazie a voi, avremo tutti noi indistintamente arricchito il nostro bagaglio personale e saremo uomini migliori".
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