dal "Gruppo emergenza lavoro detenuti"
Ristretti Orizzonti, 12 gennaio 2015
- VEDI IL PROVVEDIMENTO DI RIPARTIZIONE FONDI DELLA LEGGE SMURAGLIA (PDF)
È stato pubblicato sul sito internet del Ministero della Giustizia il provvedimento del 17.12.2014 a firma del Capo del Dap che ha approvato la ripartizione del credito d'imposta fruibile dalle cooperative sociali che impiegano detenuti. La ripartizione discende dall'applicazione dell'art. 6, comma 1, del Decreto del Ministro della Giustizia 24 luglio 2014 n. 148 attuativo della Legge 193/2000 "Smuraglia" (Regolamento recante sgravi fiscali e contributivi a favore delle imprese che assumono detenuti).
di Ilaria Sesana
Avvenire, 12 gennaio 2015
Lo hanno fatto ogni giorno, per dieci anni, con passione e competenza. Ma giovedì 15 gennaio, i detenuti impiegati dalle cooperative sociali che gestiscono le mense di dieci carceri italiane scenderanno in cucina per l'ultima volta: una volta terminato il servizio, dovranno riconsegnare le chiavi all'amministrazione penitenziaria.
di Pietro Vernizzi
www.ilsussidiario.net, 12 gennaio 2015
"La riconciliazione tra chi ha commesso un crimine e la società è il terreno su cui occorre costruire, mettendo da parte obiezioni che nascono da una gestione meramente burocratica delle carceri".
di Fausto Cerulli
Il Garantista, 12 gennaio 2015
"La carcerazione preventiva deve considerarsi un atto illecito, illegale ed immorale". A pronunciare queste parole non è stato Napolitano, e neppure quel Renzi che all'inizio della carriera di premier si sbracciava a quel modo che gli è così convulsamente congenito, e non l'ha pronunciata la Corte Costituzionale, che pure dovrebbe conoscere il dettato, appunto costituzionale, della presunzione d'innocenza fino a condanna definitiva.
di Francesco Grignetti
La Stampa, 12 gennaio 2015
"Spesso il carcere diventa un luogo di reclutamento e proselitismo. Bisogna armonizzare le legislazioni Ue per un'azione più efficace".
Ministro Andrea Orlando, dopo fin troppi anni di discussione, è arrivato il momento di una superprocura antiterrorismo?
"È vero, se ne parla da molto tempo. Ma ora un coordinamento unico nazionale è divenuta un'esigenza riconosciuta da tutti. Non è più questione di discutere del se, del quanto, del come. Il punto di partenza è un ddl presentato alla Camera dall'onorevole Stefano Dambruoso, che allarga alla procura nazionale antimafia le competenze antiterrorismo. Procederemo, come annunciato da Angelino Alfano, a un tavolo di confronto tra governo e le grandi procure italiane, comunque è chiaro che occorre un salto di qualità, essendo il terrorismo islamista un fenomeno sovranazionale e la dimensione locale delle singole procure è sempre più in difficoltà".
Lei è più favorevole a raddoppiare le competenze dell'Antimafia oppure a creare un'analoga struttura antiterrorismo?
"Prima di prendere decisioni, è necessario un confronto, quindi ci incontreremo con i magistrati che si occupano di terrorismo per poi procedere in tempi rapidi".
Perché ha segnalato l'opportunità di coordinare tra i Paesi Ue le norme di contrasto al terrorismo, in particolare contro i "foreign fighters". Ci sono problemi?
"Abbiamo toccato con mano, nel corso del Semestre a guida italiana, le resistenze ai processi di integrazione europea. Siamo riusciti a portare il tema del terrorismo internazionale al tavolo dei ministro della Giustizia, essendo stato finora un tema trattato esclusivamente dai ministri dell'Interno nella consapevolezza che non può essere sufficiente la dimensione di polizia, ma è necessario uniformare le legislazioni. È troppo pericoloso ricadere negli errori che si sono fatti in passato; a lasciare discrasie tra le legislazioni europee, si rischia di creare delle maglie nelle quali il terrorismo può agire. Queste organizzazioni sono fin troppo abili ad inserirsi tra le pieghe. Abbiamo operato quindi per una parziale cessione di sovranità per investire del tema antiterrorismo le istituzioni comunitarie. Di pari passo nel confronto è emersa anche la questione dell'esecuzione della pena. Il carcere, come s'è visto, rischia di essere un veicolo di proselitismo, motivo per il quale si è posto il problema di come una misura repressiva rischi di trasformarsi in un aiuto per queste organizzazioni".
Risultato?
"Diversi Stati europei sono gelosi dei propri ordinamenti, temono fortemente ogni cessione anche minima di sovranità alle istituzioni europee. Riconoscono che il problema di una risposta comune al terrorismo internazionale esiste, ma diventano molto timidi, per non dire di più, quando si tratta di accedere a una dimensione comunitaria. Al termine della discussione, siamo giunti a un approdo realistico che costituirà il punto di partenza per la nuova presidenza lettone: l'impegno a un confronto costante tra ministri della Giustizia affinché ci sia una progressiva armonizzazione dei singoli ordinamenti".
Torniamo all'Italia. Delle tante riforme annunciate sulla giustizia, quali vedremo convertite in legge per prime?
"A febbraio, subito dopo l'elezione del nuovo Capo dello Stato, potrebbe diventare legge la responsabilità civile dei magistrati. Poi verranno tante altre riforme. Segnalo infine che è ripresa la discussione al Senato sui reati ambientali, che prevede la riconfigurazione del disastro ambientale: approvarlo rapidamente sarebbe la nostra migliore risposta alla vicenda dolorosa del processo Eternit".
di Roberto Galullo
Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2015
Se, come ha detto ieri il ministro dell'Interno Alfano, l'Italia non è esposta a forme di rischio terroristico di matrice islamica è anche perché mai come nel 2014 sono state dispiegate attività di vigilanza e intelligence. La mappa del rischio jihadista in Italia vede solo il Molise escluso dall'apertura di dossier su personaggi o cellule e sui loro collegamenti terroristici .
La mappa aggiornata del rischio jihadista in Italia vede la sola regione Molise esclusa, al momento, dall'apertura di dossier delle forze di polizia e dei servizi segreti su singoli personaggi o cellule e sui loro collegamenti terroristici nazionali e internazionali. Le regioni maggiormente seguite nel 2014 sono state Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio mentre al Sud a destare allarme sono state la Sicilia e la Calabria, ricche di approdi nei quali gli sbarchi possono portare a riva anche manovali del terrore, messaggeri e intermediari. La Calabria da tempo è considerata un fronte sensibilissimo, al punto che già nel 2002 l'allora procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi ebbe modo di dolersi di alcune scelte politiche nel corso dell'audizione in Commissione parlamentare antimafia del 6 maggio 2002. Rispondendo a una domanda del senatore Donato Veraldi affermò che "pur non avendo sentore preciso in zona di attività riconducibili al terrorismo, ho allertato tutte le Forze di polizia avvertendole che da quel momento il procuratore competente sarebbe stato il procuratore distrettuale. Sono in contatto con molti operatori di polizia, ma non per il censimento dei palestinesi o dei credenti nell'Islam, bensì per individuare i gruppi maggiormente presenti sul territorio e per sviluppare nei loro confronti un'azione conoscitiva che miri al controllo e al collegamento con altre zone. Ho appreso con sgomento che l'ufficio del Sisde veniva smantellato proprio quando da altre mie fonti sapevo che anche in Calabria vi erano grosse comunità islamiche".
Quello appena passato è stato un anno in crescendo, tanto che a fine 2014 il Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa) ha messo in fila 53 riunioni (in media una a settimana) e da alcuni mesi è convocato in seduta permanente a causa della recrudescenza internazionale di atti terroristici di matrice jihadista di cui i criminali fatti francesi rappresentano solo l'ultimo anello. La prima riunione del Comitato si è tenuta all'indomani della strage di Nassiriya del 12 novembre 2003, mentre la sua costituzione e composizione è stata formalizzata il 6 maggio 2004, con il decreto del ministro dell'Interno che ha disciplinato il Piano nazionale per la gestione di eventi di natura terroristica.
Da allora l'impegno è stato crescente. Negli ultimi 12 mesi il Comitato - che nel semestre europeo a conduzione italiana è stato preso a modello dalla Ue - ha affrontato 465 casi (in media nove a riunione) e, tra questi, in particolare, ha vagliato 255 segnalazioni relative a criticità da approfondire, delle quali 212 hanno riguardato il contesto internazionale, Italia inclusa.
Per dare l'idea del crescendo di questo tavolo permanente - presieduto dal Direttore centrale della Polizia di prevenzione Mario Papa con Carabinieri, le due Agenzie di intelligence, Gdf e Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e nel cui ambito vengono condivise e valutate le informazioni sulla minaccia terroristica interna ed internazionale - al 9 settembre 2014 aveva passato al vaglio 162 casi, di cui 129 relativi a gruppi terroristici internazionali. Nel dettaglio 81 segnalazioni hanno riguardato specificamente l'Italia e l'altra metà gli Stati occidentali, Italia compresa. Un altro dato esemplificativo: in appena tre mesi (da giugno a fine agosto) il Comitato ha diramato 25 allerte relative a possibili minacce riconducibili in Italia all'"Islamic State".
La maggior parte dei dossier viene aperta grazie al monitoraggio sistematico e costante dei siti web. Accedere senza conoscere l'arabo sarebbe praticamente inutile perché sono soprattutto i forum che diventano scambio, spesso cifrato, di informazioni e notizie e, dunque, le forze di polizia e di intelligence hanno affidato questo delicatissimo compito a persone che conoscono l'arabo.
Attenzione viene inoltre dedicata alle carceri, nelle quali sono recluse decine di migliaia di stranieri, molti dei quali provenienti dal mondo arabo. Per dare un'idea del potenziale di reclutamento, basti riferirsi a quanto ebbe modo di dire nel 2010 l'allora capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che parlò di circa 40mila detenuti sensibili al richiamo integralista islamico.
di Rossella Cadeo
Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2015
Il divario economico tra Nord e Sud e tra settori di popolazione non è una caratteristica solo italiana, ma investe l'intera Europa. In Italia, tuttavia, l'allarme disuguaglianze e indigenza è particolarmente elevato.
I fattori critici
Nel nostro Paese infatti - come ha osservato Luca Ricolfi nell'editoriale sul Sole 24 Ore del 2 gennaio scorso - oggi esiste "una terza società, la società degli esclusi", che negli anni della crisi è cresciuta di dimensioni, fino a superare quota dieci milioni di persone tra disoccupati, occupati in nero e inattivi ma disponibili a un impiego. Una schiera che più o meno coincide con l'ultima statistica Istat su quanti vivono in condizioni di povertà relativa (il 16,6% della popolazione sotto la soglia mensile di 972 euro di spese per nuclei con due componenti).
E che non accenna a diminuire, visto che nel novembre scorso il tasso di disoccupazione ha raggiunto il record del 13,4% (+0,9% rispetto a 12 mesi prima), sfiorando il 44% tra i giovani, quando invece a fine 2014 la Germania è riuscita a mettere a segno il minimo storico del 6,5 per cento. Ulteriore elemento che rende ancor più preoccupante lo scenario italiano: il nostro Paese - clandestini ed emergenza sbarchi a parte - è il quarto in Europa (dopo Germania, Spagna e Regno Unito) per presenza di immigrati regolari (sono circa 4,4 milioni, il 7,4% della popolazione residente totale), ma si tratta di soggetti prevalentemente con titoli di studio bassi e con scarsa qualificazione professionale.
Una recente ricerca realizzata dalla Fondazione Moressa su dati Eurostat, che mette a confronto le differenze di reddito e i tassi di povertà in Italia e in Europa, conferma ulteriormente la posizione critica in cui si trova il nostro Paese e spiega in parte la perdita di appeal dell'Italia (basti pensare che nel 2013 sono aumentati i trasferimenti all'estero,+ 21% tra gli italiani e +14% tra gli stranieri, mentre sono calati del 13% gli ingressi).
I flussi
Se le destinazioni più gettonate sono Regno Unito e Germania, la principale spinta a questi flussi in uscita è la possibilità di ottenere un reddito superiore. In questi due Paesi, infatti, l'importo medio per uno straniero può oltrepassare i 20mila euro, superando addirittura quanto possono guadagnare un italiano o uno spagnolo nei loro Paesi (rispettivamente 18.800 e 16.700 euro, si veda la tabella).
Ma non è tutto. Se si osserva il divario tra i redditi medi percepiti dai nativi e quelli cui possono aspirare gli stranieri, l'Italia si trova al 22° posto nella classifica Ue 28 elaborata dalla Fondazione Moressa: circa 6mila euro di differenza sia nel nostro Paese sia in Spagna (al 24° posto) rispetto ai 2mila euro della Germania (13°) e agli appena 332 nel Regno Unito (settimo).
Certo, anche in altre aree del Nord come Svezia, Francia o Austria si rileva una forte differenza di reddito tra autoctoni e immigrati, ma va osservato che nel "gruppo Nord" gli importi medi degli stranieri sono molto più alti di quelli percepiti da un immigrato nel "gruppo Sud" (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia). Inoltre, in questi anni di crisi (dal 2008 al 2013), in Italia e in Spagna i redditi degli immigrati - impegnati in gran parte in settori come l'edilizia o i servizi domestici, poco remunerativi e più colpiti dalla congiuntura negativa - hanno subìto una contrazione del 10% circa; in Svezia, Francia e Austria sono invece aumentati con percentuali a doppia cifra. E poi nell'appeal di un Paese contano anche le chance lavorative: il tasso di occupazione degli autoctoni in Italia e in Spagna si aggira sul 55% (quasi dieci punti in meno della media Ue 28), mentre per tedeschi e inglesi supera il 70 per cento.
L'indigenza
Tutti fattori che concorrono a posizionare il nostro Paese in una situazione allarmante sul fronte dell'esclusione sociale. Secondo la ricerca della Fondazione Moressa, in Italia oltre il 26% degli italiani e il 43% degli stranieri si trova a "rischio di povertà" (secondo l'indicatore adottato nell'ambito della strategia Europa 2020, che deriva dalla combinazione del rischio di povertà, della grave deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro: in totale, oltre 16 milioni di persone). Valori che pongono l'Italia agli ultimi posti nella Ue assieme alla Grecia (unico Paese Ue privo di una misura nazionale contro la povertà, come evidenziato da Cristiano Gori sul Sole 24 Ore del 4 gennaio), Spagna e Portogallo. "A distinguersi positivamente sono, anche in questo caso, Regno Unito e Germania, con valori inferiori alla media Ue - osserva Stefano Solari, direttore scientifico della Fondazione Leone Moressa -. In conclusione: l'Europa è profondamente divisa tra Nord e Sud sul versante dei redditi, delle chance occupazionali, del trattamento economico riservato a nativi e stranieri, della quota di popolazione da considerare a rischio povertà". Una porzione di residenti che - in Italia, oltre a non aver trovato rappresentanza né risposte neppure nelle ultime manovre economiche, va a scalfire ulteriormente il grado di attrattività del Paese.
di Martina Tortosa
www.traniviva.it, 12 gennaio 2015
Nel 2003 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha avviato un progetto sperimentale in dieci istituti penitenziari italiani. Tre le carceri di Siracusa, Ragusa, Rebibbia circondariale, Rebibbia reclusione, Torino, Milano-Bollate, Padova e Ivrea, spicca anche il recentemente "ambito" carcere di Trani.
Il progetto è nato per promuovere l'attività lavorativa in carcere, attraverso la ristrutturazione delle cucine e l'affidamento della gestione ad alcune cooperative sociali, con il compito di formare professionalmente i detenuti.
Gli "ospiti" sono assunti con paga regolare dalle cooperative, usufruiscono di periodi di formazione ed hanno a loro disposizione professionisti del settore. Anno dopo anno, i risultati del progetto sono stati giudicati molto positivi. In alcuni casi è stato possibile assistere alla nascita di una vera e propria realtà imprenditoriale. A Trani, infatti, i detenuti si sono dedicati alla produzione di taralli, raccogliendo, senza difficoltà, l'apprezzamento di consumatori esterni.
Un grande progetto con grandi obiettivi. Alla base della sperimentazione vi è l'idea che, anche nella nostra città, l'impiego dei detenuti in attività lavorative possa aumentare le loro possibilità di reinserimento nella società ed eventualmente abbattere l'eventualità di recidiva. Nonostante i riscontri molto positivi e una proroga che ha rimandato il termine dell'attività di qualche mese, la chiusura della sperimentazione è prevista per il 15 gennaio, con il ritorno della gestione delle cucine all'amministrazione penitenziaria.
In vista dell'imminente scadenza, i deputati Rossomando, Amoddio, Sorial e Iacono hanno chiesto al ministro della giustizia "quali iniziative intende avviare per dare continuità all'esperienza del progetto, anche con forme di finanziamento diverse da quelle adottate finora, al fine di non vanificare gli importanti risultati fin qui ottenuti negli istituti penitenziari interessati". Ma lasciamo parlare i numeri. Il lavoro dei detenuti è passato dal 20,87 per cento del 2011, al 26,25 per cento del 2014. Un piccolo, grande traguardo raggiunto anche grazie al contributo del carcere di Trani.
di Tito Giuseppe Tola
La Nuova Sardegna, 12 gennaio 2015
Detenuti e agenti di custodia hanno lasciato il carcere di Macomer meno di un mese fa e nei locali semivuoti è già iniziato il degrado. Sulle proposte alternative di utilizzo della struttura avanzate dall'amministrazione comunale di Macomer, intanto, non è arrivata nessuna risposta né dai parlamentari coinvolti né dalla Regione. Sta accadendo ciò che si temeva.
Il carcere non è un edificio riciclabile se non demolendo tutto per costruire qualcosa di diverso, per cui non è ipotizzabile un impiego con destinazione molto diversa da quella per il quale era stato costruito. Ancora non si segnalano atti di vandalismo, ma con la partenza dei detenuti è rimasto il degrado, al quale pare contribuisca anche l'abbandono di rifiuti di ogni tipo, compreso del cibo ormai guasto che richiamerebbe topi e insetti.
Questo, almeno, è quando riferito da voci che sarebbero giunte in comune. La preoccupazione è che si creino problemi igienici. È per questo motivo che l'amministrazione comunale ha chiesto e ottenuto l'autorizzazione a effettuare un sopralluogo nella struttura. Lunedì mattina il sindaco e il vice sindaco, accompagnati da un tecnico dell'ente, visiteranno il carcere per vedere come stanno effettivamente le cose. La paura, intanto, è che la struttura rimanga in abbandono. Ancora non vengono segnalati atti di vandalismo, anche perché è rimasta al lavoro una parte del personale civile, che comunque andrà via entro il 15. Temporaneamente è rimasto a Macomer anche il nucleo cinofili della polizia penitenziaria. Ci rimarrà finché non sarà completata un'apposita struttura nel carcere di Nuoro, attualmente in corso di realizzazione, nella quale il reparto sarà poi trasferito.
"Per realizzare la struttura di Macomer destinata al nucleo cinofili - dice il sindaco, Antonio Succu, - sono stati spesi negli anni scorsi 200 mila euro. Soldi bruciati. Realizzarne un altra per trasferire il reparto mi sembra uno spreco ingiustificato. Se si è chiuso il carcere di Macomer con l'obiettivo di ridurre la spesa, mi chiedo dove sia il risparmio".
L'amministrazione comunale di Macomer, intanto, avanza anche un altra proposta di utilizzo del carcere. "L'idea sarebbe quella di utilizzarlo per detenuti tossicodipendenti - prosegue il sindaco -, presso il distretto sanitario di Macomer opera un servizio per il trattamento delle dipendenze che potrebbe fornire un supporto sanitario importante. Restano in piedi anche tutte le altre proposte che abbiamo presentato al senatore Giuseppe Luigi Cucca, della commissione Giustizia del Senato, e al presidente Pigliaru, che finora non hanno risposto". Tra le proposte di utilizzo avanzate la creazione di una struttura alternativa all'ospedale psichiatrico.
www.info.fvg.it, 12 gennaio 2015
Si chiama Circolo Filatelico "26" perché ha residenza al medesimo numero civico di via Coroneo dove è sito il carcere. Ne fanno parte alcuni ospiti della struttura di detenzione e rieducazione che hanno aderito già dall'anno scorso al progetto "Filatelia nelle carceri" promosso da Poste Italiane.
Si tratta della seconda iniziativa di questo tipo nel Paese, a seguire il progetto pilota realizzato nel carcere milanese di Bollate. La prima in assoluto per il Friuli Venezia Giulia. L'idea è semplice: dare agli ospiti del Coroneo la possibilità di approfondire i temi legati alla Filatelia con l'intento di aiutarli a realizzare una propria collezione.
Un percorso didattico utile a fornire nuovi elementi di rieducazione e reinserimento per chi inizia già dalla detenzione a reimpostare la propria esistenza. Allo Spazio Filatelia di via Galatti 7/d, nel Palazzo centrale delle Poste, una mostra delle collezioni realizzate dagli ospiti della struttura carceraria verrà inaugurata sabato 17 gennaio alle ore 11.00. Saranno presenti, oltre alla responsabile dello spazio filatelico Daniela Catone, Igor Tuta e Claudio Bacco del Circolo Filatelico triestino Laurenc Kosir, che hanno contribuito in qualità di insegnanti alla riuscita del progetto.
I tre mentori hanno condotto una serie di lezioni filateliche all'interno del Coroneo. Gli ospiti che hanno aderito all'invito hanno potuto conoscere gli elementi fondamentali della storia della Filatelia e apprendere tecniche e rudimenti per creare una collezione di francobolli, utilizzando strumenti appropriati: lenti di ingrandimento, pinzette, manuali e cataloghi filatelici. Allo Spazio Filatelia, dopo l'esposizione dello scorso anno, avrà corso la seconda parte del progetto con l'allestimento delle collezioni di Luca sul tema dello Sport, quella di Francesco con "Le donne nell'arte", Massimo con le "Auto d'epoca", Rossano con i francobolli dedicati al Vaticano, Saimon con una collezione dedicata a Walt Disney. E ancora quelle di Franco sui "Fiori e farfalle", Giuseppe e i suoi "Paesaggi", Mauro con la "Vita degli scout".
Gli orari per la visita alla mostra sono i seguenti: dal lunedì al venerdì dalle 8.20 alle 13.35, il sabato dalle 8.20 alle 12.35. "Filatelia nelle carceri" è frutto di un protocollo d'intesa sottoscritto da Poste Italiane, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Ministero per lo Sviluppo Economico, Federazione tra le società filateliche italiane e l'Unione Stampa Filatelica Italiana. L'inedita rassegna triestina sarà visitabile sino alla giornata di sabato 31 gennaio. Per informazioni, il telefono è lo 040.6764305.
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