di Patrizia Maciocchi
Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2019
Per Marco Cappato, imputato per aiuto al suicidio del Dj Fabo "il fatto non sussiste". Nel caso ricorrono i quattro presupposti fissati dalla Consulta per la non punibilità. La decisione della Corte d'assise di Milano è arrivata ieri, in chiusura di un processo che per l'esponente dei radicali si era aperto l'8 novembre del 2017 per aver aiutato Fabiano Antoniani a raggiungere la Svizzera per ricorrere al suicidio assistito, un reato punibile con il carcere dai 5 ai 12 anni. A febbraio 2018 era caduta l'accusa di istigazione al suicidio.
Per l'aiuto, invece, la Corte d'assise aveva chiamato in causa la Consulta sollevando dubbi di costituzionalità sull'articolo 580 del Codice penale. Un giudizio che la Corte costituzionale aveva sospeso, invitando il legislatore a intervenire con una norma in linea con le tutele della Carta. Scaduto il tempo i giudici delle leggi, con una sentenza le cui motivazioni sono state depositate il 22 novembre scorso, hanno tracciato la via della non punibilità: l'incriminazione non è conforme alla Costituzione quando l'aiuto riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
La Consulta aveva chiarito che le condizioni valgono solo per i fatti successivi al verdetto, e non per quelli anteriori come la vicenda Dj-Fabo Cappato. Casi in cui è necessario verificare che l'aiuto al suicidio sia stato prestato con modalità anche diverse da quelle indicate, ma tali da dare garanzie sostanzialmente equivalenti, in particolare rispetto alla verifica delle condizioni del paziente e dei modi di manifestazione della volontà. E la Corte d'assise di Milano ha ritenuto rispettato il perimetro disegnato dalla Consulta. La Pm Tiziana Siciliano, nella sua requisitoria, nel chiedere l'assoluzione perché il fatto non sussiste, ha affermato che la sentenza della Corte costituzionale al "principio di sacralità della vita sostituisce la tutela della fragilità umana".
Parla di sentenza storica la senatrice del Pd Monica Cirinnà che chiede al Parlamento una legge di civiltà sull'aiuto medico a morire. Partendo dal lavoro fatto in Senato dal Pd con un Ddl del presidente Marcucci e uno a firma della stessa Cirinnà, da integrare con le indicazioni della Consulta per arrivare a una legge in tempi brevi.
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 24 dicembre 2019
Almeno cinque i casi denunciati. Indaga la Procura, il Dap avvia gli accertamenti. Le violenze sarebbero avvenute in un contesto già difficile: acqua che cola dai tetti e sezioni del 41bis costruite sotto il livello del terreno.
Modalità dure delle perquisizioni nelle celle, attività di controllo sui reclusi che sarebbero state filmate con uno smart-phone. Parliamo di presunti maltrattamenti che sarebbero stati perpetuati nei confronti di alcuni detenuti del carcere sardo di Sassari, il Bancali. Almeno cinque i casi denunciati e la Procura di Sassari ha affidato il caso al Nucleo di polizia giudiziaria della Polizia penitenziaria per investigare sull'accaduto.
I primi a muoversi sono stati i magistrati del tribunale di Sorveglianza di Sassari, che avrebbero sentito subito le presunte vittime dei maltrattamenti. Quindi le segnalazioni sono arrivate alla Procura e al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. È trapelato che tra le persone sentite nei giorni scorsi ci sarebbero operatori in forze all'Istituto sassarese, soggetti che avrebbero confermato le segnalazioni dei detenuti. Il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria (Dap) in Sardegna, Maurizio Veneziano, conferma di aver ricevuto la delega dal Capo Dipartimento per avviare accertamenti di natura ispettiva e amministrativa sulla vicenda che riguarderebbe episodi segnalati negli ultimi mesi. Verifiche che inizieranno subito dopo le festività, presumibilmente a metà gennaio.
Le presunte violenze arrivano in un contesto difficile e si aggiunge alla situazione logistica e ambientale già pesante. Acqua che cola dai tetti ogni volta che piove, con i temporali che spesso fanno saltare la corrente elettrica. Sciacquoni dei water nelle celle vuoti da mesi, muffa e infiltrazione nei muri. Problemi nell'area educativa, che non funziona, ma anche per fare una semplice telefonata a parenti o legali.
Mensa, anche della Polizia penitenziaria, sporca con cibi di qualità e quantità inadeguata. Pochissimi mediatori culturali, che nulla possono fare per risolvere i problemi di interazione con le 27 etnie presenti. Come se non bastasse c'è il problema strutturale del 41bis. Relativamente nuovo è l'Istituto di Sassari, che ha sostituito il vecchio "San Sebastiano" di ben triste memoria, caratterizzato però dalla presenza di un reparto detentivo speciale (41bis) sotto il livello del terreno ove sorgono le altre sezioni: una scelta però non dovuta alla tipologia del terreno.
Le cinque sezioni scendono gradatamente, con una diminuzione progressiva dell'accesso dell'aria e della luce naturale, che filtrano solo attraverso piccole finestre poste in alto sulla parete, corrispondenti all'esterno al livello di base del muro di cinta del complesso. Per tale motivo, sia le persone detenute nelle proprie stanze che il personale nei propri locali devono tenere continuamente la luce elettrica accesa per sopperire alla carenza di quella naturale. Ma non finisce qui.
Nonostante la forte presenza di un elevato numero di persone detenute in regime di alta sicurezza o 41bis in Sardegna, non è disponibile un Servizio di assistenza intensiva (Sai) che possa essere utilizzato a tutela della loro salute. Infatti, il Sai dell'Istituto di Sassari - strutturato originariamente per coloro per i quali era disposta una detenzione secondo tali regimi - è stato da due anni trasformato in un Centro di osservazione psichiatrica e l'unico altro Sai della Regione, che si trova nell'Istituto di Cagliari- Uta, è esclusivamente per coloro che sono detenuti in regime di normale sicurezza. E adesso al carcere di Sassari si aggiunge anche un'inchiesta da parte della Procura.
di Fiorenza Elisabetta Aini
gnewsonline.it, 24 dicembre 2019
L'idea è nata dai professionisti della locale Azienda sanitaria: dare voce ai tanti detenuti del carcere di Pistoia che voce non hanno. Permettere loro di tradurre in lettera, in forma anonima, le idee, le richieste, le emozioni, i desideri inespressi, per poi depositarli in una "cassetta dei pensieri" in occasione delle festività natalizie. Una "cassetta di Babele" dove far confluire i tanti mondi interiori, tutti diversi: per provenienza, per esperienze vissute, per cultura e anche per le tante lingue che nella realtà carceraria si possono ascoltare.
La cassetta - così immaginata dai medici e dagli infermieri che operano all'interno della casa circondariale - è stata collocata vicino all'ambulatorio e si è andata pian piano riempiendo. L'iniziativa però non ha soltanto intercettato i sentimenti dei detenuti: spontaneamente anche gli agenti di Polizia penitenziaria, gli educatori, il personale amministrativo che nel carcere lavora, hanno iniziato a imbucare nella stessa cassetta i loro pensieri di Natale.
Grazie alla sensibilità della direttrice dell'istituto penitenziario e del comandante della Polizia penitenziaria, l'idea ha coinvolto tutti, aprendo una finestra su un mondo che sembra invece fatto di uomini-ombra. Si è inoltre deciso che alcuni di questi pensieri verranno letti durante la Messa di Natale che il Vescovo di Pistoia, monsignor Fausto Tardelli, celebrerà in carcere e che tutte le lettere verranno raccolte in una pubblicazione.
di Lorenzo Balbo
Redattore Sociale, 24 dicembre 2019
L'etichetta "Tanta Roba Label" lancia una raccolta fondi online per acquistare strumenti destinati al laboratorio di musica rap che l'associazione Suonisonori organizza all'interno del Beccaria di Milano. C'è tempo fino al 27 dicembre per donare.
"Una musica può fare, salvarti sull'orlo del precipizio", scriveva Max Gazzè nel 1998. E in effetti sono molte le situazioni in cui una canzone può davvero fare la differenza: ecco perché l'etichetta discografica Tanta Roba Label ha deciso di lanciare una raccolta fondi online per acquistare nuovi strumenti destinati al laboratorio di musica rap per i ragazzi del carcere minorile Beccaria di Milano, organizzati dall'associazione Suonisonori. Per donare c'è tempo fino al 27 dicembre: l'obiettivo è di raccogliere 5 mila euro.
"Con questi strumenti musicali i ragazzi potranno studiare ed esibirsi anche fuori dal carcere, diminuendo la loro esperienza detentiva, nonché l'impatto del penitenziario sulle loro vite - affermano gli organizzatori.
Il carcere diventa ogni giorno di più il contenitore sociale di gruppi svantaggiati: dove lo stato non riesce ad abbattere le cause di disuguaglianza, la vulnerabilità avvicina alla criminalità. La musica, e nello specifico il rap, possono quindi svolgere una funzione di primaria importanza, facilitando la rieducazione e dando a questi giovani nuovi strumenti per uscire dalla delinquenza".
Il laboratorio di musica hip hop si tiene tre volte a settimana: il progetto è nato quasi vent'anni fa dall'associazione Suonisonori e in totale ha coinvolto circa 2 mila ragazzi. La raccolta fondi è stata lanciata il 19 dicembre al Puntozero, teatro che si trova all'interno della struttura carceraria, durante un concerto di Gemitaiz e MadMan, due famosi rapper dell'etichetta Tanta Roba Label, fondata nel 2011 dal rapper Gué Pequeno e dal dj Harsh e specializzata in musica hip hop.
Lo spettacolo è stato aperto dai tre brani inediti di El Diamantik, cantante ecuadoregno di 20 anni approcciatosi all'hip hop proprio durante la detenzione al Beccaria. "La musica è la mia arma per guadagnarmi un futuro - ha dichiarato -. Attraverso le mie canzoni ho l'occasione di raccontare a chi è fuori quali sono i sentimenti di un ragazzo che vive qui dentro".
bergamopost.it, 24 dicembre 2019
La cooperativa sociale Aretè è felice di annunciare la nascita di #Dolosa, la prima creazione gastronomica dello staff di Torre Boldone. A un primo sguardo, #Dolosa è una "semplice" crema al peperoncino, creata con materie prime di qualità, biologiche e a chilometro zero. In realtà questo vasetto pieno di bontà e di sapore nasce dalla mission di Aretè.
Cosa significa. Fin dalla sua fondazione, nel 1987, la cooperativa si è posta infatti come principale obiettivo quello di aiutare i detenuti per dare loro, nell'ambito delle misure alternative alla detenzione, la possibilità di vivere un contesto quotidiano differente dal carcere, in un ambiente che fosse "protetto" e che potesse essere d'aiuto nella riabilitazione verso una vita nuova. Nel corso del tempo questa vocazione è stata mantenuta e in parte ampliata con l'inclusione anche di altre tipologie di persone svantaggiate: disabili psichici, ex-tossicodipendenti, disoccupati di lungo periodo, persone in disagio sociale.
Vocazione. #Dolosa vuole essere quindi il racconto semplice, sincero e sorridente della vocazione della cooperativa e delle attività che tutti i giorni vengono svolte. Nasce dal desiderio di parlare di temi come il carcere e il reinserimento lavorativo di ex detenuti con la naturale semplicità che caratterizza il nostro quotidiano, con il sogno di avvicinare il maggior numero possibile di persone al nostro mondo, al nostro lavoro e alla nostra cooperativa che vuole essere sempre più inclusiva. "Per raggiungere questi obiettivi siamo partiti dal nome, #Dolosa, una parola che fa immediatamente ed esplicitamente riferimento a ciò che ha portato qualcuno ad andare coscientemente contro le norme - dicono dalla cooperativa.
Si tratta di un elemento, quella che comunemente chiamiamo "colpa", che fa quotidianamente parte della nostra vita e che spesso spaventa le persone, ma che il lavoro in Aretè vorrebbe aiutare ad accettare e ad accogliere, in tutti. #Dolosa è un modo di portare Aretè nelle case di tutti. Si tratta di un progetto che inizia con questa crema, ma che desideriamo portare avanti anche nei prossimi mesi con altre creazioni grazie alla nostra coltivazione di peperoncini".
Dove comprarla. #Dolosa è acquistabile presso il negozio Aretè in via Imotorre, 26 a Torre Boldone secondo gli orari di negozio (da lunedì a venerdì dalle 8.45 alle 19 e il sabato dalle 8.45 alle 13) ed è presente nei cesti natalizi Aretè.
tusciaweb.eu, 24 dicembre 2019
Gestione dell'attività di mediazione culturale a favore dei detenuti stranieri, firmata a palazzo dei Priori una convenzione tra comune di Viterbo (comune capofila del distretto socio sanitario Vt3) e casa circondariale Mammagialla. A sottoscrivere l'importante documento, lo scorso mercoledì, sono stati il sindaco Giovanni Maria Arena e il direttore dell'istituto penitenziario Pierpaolo D'Andria. Presente alla firma della convenzione, avvenuta nella sala Rossa, anche l'assessore ai servizi sociali Antonella Sberna.
"La convenzione - ha spiegato il direttore della casa circondariale D'Andria - ha come oggetto la definizione e la strutturazione di un servizio di mediazione interculturale, rivolto ai detenuti stranieri, con l'intento di migliorare le condizioni di vita degli stessi, mediante azioni volte a facilitare la loro permanenza all'interno dell'istituto penitenziario.
Questo prevede anche l'istituzione di uno sportello informativo all'interno della nostra casa circondariale. Ringrazio il sindaco Arena per aver condiviso le finalità di questa convenzione che stiamo per sottoscrivere e che vede in primo piano comune e casa circondariale, e un ringraziamento all'assessore Sberna per il percorso avviato insieme pochi mesi fa, e che oggi concretizziamo attraverso la firma di questa convenzione".
"Alla base di alcuni diverbi ed episodi di intolleranza tra detenuti ci sta spesso l'incomprensione - ha sottolineato il sindaco Arena. Parlo di incomprensione linguistica. Così come ci stanno le differenze culturali. I servizi che verranno portati avanti attraverso l'attività di mediazione interculturale sono certo porteranno benefici sia dentro l'istituto penitenziario, nel periodo in cui il detenuto sconta la pena, sia fuori dal carcere, una volta libero, nella fase del reinserimento nel contesto sociale".
Tra gli obiettivi della convenzione rientrano anche un adeguato supporto linguistico e informativo, finalizzato alla conoscenza dei propri diritti in ambito giuridico, sanitario e sociale, culturale e religioso, il miglioramento delle relazioni del detenuto con gli operatori penitenziari, socio sanitari e con gli altri detenuti, la semplificazione amministrativa, in particolar modo nella cura dei rapporti del detenuto con le ambasciate e i consolati di provenienza. E ancora a sostenere iniziative, individuali e non, quali azioni di supporto a percorsi lavorativi, formativi o in generale volti al reinserimento sociale e allo sviluppo di progetti di integrazione e di informazione.
"Questa convenzione è indubbiamente una risposta forte alle esigenze di una buona parte della popolazione detenuta - ha affermato l'assessore Sberna.
È un documento che fa seguito a quanto ci eravamo detti con il sindaco Arena e il direttore dell'istituto penitenziario D'Andria in occasione del consiglio straordinario dedicato alla situazione della casa circondariale Mammagialla. Attraverso un lavoro costante, portato avanti in questi mesi, abbiamo raggiunto questo risultato. Un risultato che ci vede tra i primi distretti socio sanitari del Lazio a essere prossimi all'avvio del servizio. Ringrazio gli uffici per il solerte e prezioso lavoro che ci ha portato oggi a ufficializzare una preziosa e proficua collaborazione in ambito sociale".
di Patrizia Maciocchi
Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2019
Corte di cassazione - Sezione II - Sentenza 23 dicembre 2019 n. 51935. Via libera al sequestro preventivo degli immobili in relazione al reato di intestazione fittizia di beni ai familiari, anche se non provento di reato. Una mossa fatta per eludere le misure di prevenzione da parte di un soggetto condannato per reati di bancarotta fraudolenta e riciclaggio, quest'ultimo riferito al profitto della bancarotta fraudolenta, in merito al crack di una società a responsabilità limitata. La Corte di cassazione, con la sentenza 51935, respinge il ricorso contro la misura. Ad avviso del ricorrente l'ordinanza impugnata non avrebbe evidenziato il collegamento tra gli immobili sequestrati e il presunto profitto che il ricorrente avrebbe ricavato grazie al riciclaggio del denaro proveniente dal tracollo della società. Né era stato indicato il profitto ottenuto con il riciclaggio a monte dell'intestazione fittizia. La Cassazione, nel respingere il ricorso, chiarisce che il delitto di trasferimento fraudolento di valori, previsto dall'articolo 512-bis del Codice penale, scatta anche in caso di condotte che riguardano beni di provenienza non delittuosa.
La ratio dell'incriminazione, ha il solo obiettivo di evitare le manovre di chi è assoggettabile alle misure di prevenzione, tese a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla loro origine. La conseguenza è che possono essere sequestrati i beni oggetto di intestazione fittizia anche se i cespiti non sono il risultato di un reato, purché siano destinati a integrare la condotta di trasferimento fraudolento di valori. Sbaglia dunque il ricorrente nel fare riferimento all'inesistenza di un collegamento tra il profitto del reato di riciclaggio - per il quale è stato condannato - e i beni sequestrati. Così facendo la difesa confonde, infatti, i presupposti per il sequestro dei beni relativi al riciclaggio, articolo 648-quater del Codice penale, con il sequestro dei beni relativi al reato di intestazione fittizia.
di Pietro Pellegrini*
Il Manifesto, 24 dicembre 2019
La salute mentale richiede un sistema di welfare pubblico universalistico e un insieme unitario di diritti individuali e sociali come previsto dalla Costituzione. Il muro dell'imputabilità. Dopo la chiusura dell'Opg, una scelta radicale è un volume realizzato dall'Ufficio del Garante delle persone private della libertà della Regione Toscana in sintonia con il movimento per il superamento dei manicomi giudiziari.
A curarlo è Franco Corleone il quale, riprendendo precedenti disegni di legge, avanza la proposta di abolire la non imputabilità del malato di mente. Questo porterebbe a superare il cosiddetto "doppio binario" e di fatto a scardinare la distinzione tra pene e misure di sicurezza. Il codice penale del 1930 fa riferimento alla legge 36 del 1904 sui manicomi che a partire da una visione del malato come "pericoloso a sé e agli altri", attua un modello di tipo custodiale.
Le leggi 180 del 1978 e 81 del 2014, che hanno chiuso i manicomi civili e quelli giudiziari, riconoscono i diritti da attuarsi nella comunità sociale. Il processo di soggettivazione in un quadro di libertà e responsabilità è essenziale per il programma di cura e il progetto di vita. La sentenza 99 del 2019 della Corte Costituzionale ha esplicitato come la persona con infermità psichiche sopravvenute in carcere possa usufruire di misure alternative mediante un ragionevole bilanciamento tra i diritti della persona e la sicurezza della collettività. Il Comitato Nazionale di Bioetica e il Consiglio Superiore della Magistratura hanno sollecitato la collaborazione interistituzionale, che si è tradotta in alcuni protocolli regionali.
Le esperienze di chiusura degli Opg, pur condotte senza una regia nazionale, dimostrano che il nuovo sistema può funzionare. Infatti si stimano in circa seimila i pazienti seguiti nel territorio. Le trentuno Rems (Residenze per Esecuzione Misure di Sicurezza), molto diverse fra di loro, hanno un buon turnover e il 67% dei pazienti accolti nei primi tre anni sono stati dimessi. Tuttavia hanno seri connotati custodiali, certe persone sono di difficile gestione e altre rischiano di essere abbandonate. La salute mentale richiede un sistema di welfare pubblico universalistico e un insieme unitario di diritti individuali e sociali come previsto dalla Costituzione.
Il rischio di una regressione delle Rems e di una progressiva occupazione "giudiziaria" delle strutture dei dipartimenti di salute mentale necessita di una riflessione su devianza e conflitto e sulle funzioni delle pene, affinché siano più efficaci sia per le persone che per la sicurezza della comunità. Per la cura si può operare solo nel consenso, favorendo la responsabilità e il protagonismo mediante percorsi di "capacitazione". Serve un doppio patto uno per la cura, l'altro per la sicurezza. La proposta di riforma dell'imputabilità non mira affatto a negare il disturbo mentale, ma a responsabilizzare la persona rispetto all'agito.
Anche nelle ipotesi di proscioglimento, il fatto-reato resta ben presente nella vita psichica della persona che chiede di essere accettata in modo non giudicante, di trovare un senso, una conciliazione interiore premessa di un percorso riparativo e per quanto possibile di conciliazione. È quindi fondamentale anche per i percorsi di cura un pronunciamento sociale, una sentenza che dia certezze, rispetto a kafkiane misure di sicurezza. Poi l'esecuzione della pena terrà conto del trattamento dei disturbi mentali considerando al contempo le necessità di sicurezza.
Rivedere le funzioni delle pene implica un ripensamento degli istituti di pena, una diversa strutturazione delle Articolazioni tutela salute mentale nel carcere, la proposizione di altre soluzioni interne o esterne agli stessi istituti. Occorre un'analisi sui determinanti biologici, psicologici, sociali agendo su quelle più facilmente rilevabili e modificabili. La proposta rilancia un'azione riformatrice per superare le contraddizioni del codice penale che rischiano di soffocare le buone pratiche e di far fallire una rivoluzione straordinaria, di civiltà e umanità.
*Psichiatra. Direttore del Dipartimento salute mentale, Ausl di Parma
di Cristina Crupi
reggiotv.it, 24 dicembre 2019
In occasione dello Human Rights Day, l'Associazione Elsa (The European Law Students' Association), sezione di Reggio Calabria, ha organizzato un'iniziativa dai risvolti pratici, volta a sensibilizzare le coscienze dei partecipanti in relazione alla condizione di una particolare categoria di soggetti: i detenuti.
È nata sotto forma di un'attività di volontariato culturale e, per questo, insieme alle detenute donne si è proceduto ad etichettare e riordinare libri e Dvd donati dai partecipanti in occasione della giornata. I soci di Elsa Reggio Calabria hanno vissuto un bellissimo momento di confronto con le detenute, che hanno parlato della loro esperienza all'interno della Casa Circondariale, esprimendo il desiderio di avere maggiori contatti con persone provenienti dall'esterno, soprattutto con i giovani, stimolando Elsa a strutturare un programma di attività a lungo termine per dare supporto soprattutto morale a chi sta vivendo un percorso di reinserimento nella società.
Il tutto si è svolto in un clima disteso e conviviale, nel quale si sono incontrati gli sguardi dei partecipanti, desiderosi di mettersi in gioco al servizio della comunità, e quelli delle detenute, pieni di speranza e voglia di cambiare il loro futuro. L'epilogo dell'evento si è avuto con la donazione che l'associazione ha fatto alla struttura, con una targa recante una frase emblematica inerente ai Diritti Umani, che è stata affissa nella biblioteca da una detenuta che si occupa quotidianamente della sistemazione.
Il tutto si è svolto con il pieno sostegno dell'Avv. Agostino Siviglia, Garante Regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, e del Dott. Emilio Campolo, Responsabile dell'area pedagogica dell'Istituto, entrambi presenti all'iniziativa.
radiocl1.it, 24 dicembre 2019
Il Centro di Riabilitazione "Villa San Giuseppe" dell'Associazione "Casa Rosetta" ha strutturato, nel corso di quest'ultimo anno, una serie di incontri con gli ospiti della Casa di Reclusione di San Cataldo che proprio nell'imminente avvicinarsi delle festività natalizie vestono una particolare valenza.
Gli incontri, frutto dell'operosa collaborazione tra la Casa di reclusione e il Centro di Riabilitazione, sono stati resi possibili dall'impegno che ha visto in prima linea, oltre che le diverse figure interne a "Villa San Giuseppe", la Direttrice della Casa di reclusione, dott.ssa Francesca Fioria, il Commissario Coordinatore Carlo Di Blasi, il Responsabile dell'area educativa, dott. Michele Lapis, le insegnanti dei corsi Cipia, Antonella e Tina e le insegnanti Grazia e Graziella, dell'Istituto "Rapisardi", che quotidianamente ed incessantemente aiutano gli ospiti della struttura di San Cataldo nel loro percorso di riabilitazione e che nella finalità progettuale di questi incontri hanno pienamente sposato l'idea di far interagire le due realtà.
L'idea di questi incontri nasce nel mese di marzo, in occasione della Festa di San Giuseppe; gli ospiti della Casa di reclusione, Carmelo, Antonio, Federico, Mario, Ahboufa, Antonello, Ahmed, Nino, Natale, Enzo, Francesco, Turi, Angelo, Dyibi, Jim, sono diventati, da quel giorno, compagni di viaggio dei giovani del Centro diurno di "Casa Rosetta", "Villa San Giuseppe".
Diversi momenti di condivisione, compartecipazione e scambio di esperienze si sono susseguiti all'interno di un calendario di incontri arrivato, ad oggi, alla soglia delle festività natalizie. Compartecipazione e felicità sono stati temi fondanti degli incontri, che vestono la piena valenza del senso della condivisione e del creare sinergia con le diverse realtà agenti sul territorio nell'ottica del "prendersi cura di sé e dell'altro", concetto questo, che con l'avvento del Natale si trasmuta in un augurio da parte di "Casa Rosetta" diretto a tutte quelle realtà bisognose di attenzione e di maggiore integrazione.
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