di Matteo Miavaldi
Il Manifesto, 10 gennaio 2015
La settimana entrante sarà l'ennesima possibile "svolta" nel caso dei due marò in India. Un appuntamento che, viste le precedenti aspettative di Roma puntualmente disattese dal sistema giuridico indiano, sarebbe il caso di attendere con quanta più precauzione possibile.
Lunedì la Corte suprema valuterà una nuova richiesta di proroga del rientro in India di Massimiliano Latorre, fissato per il 13 gennaio. Elemento di novità rispetto alla richiesta di qualche settimana fa, rigettata informalmente dai giudici e ritirata ufficialmente dai legali dei due fucilieri, è l'operazione cardiochirurgica alla quale Latorre si è sottoposto il 5 gennaio. Dal policlinico di San Donato Milanese fanno sapere che l'operazione è perfettamente riuscita. Il periodo di degenza post operatoria, però, non permetterebbe al fuciliere di sostenere un viaggio intercontinentale e perciò si torna a contare sulla buona volontà della giustizia indiana, chiamata a fare un nuovo strappo alla regola.
Accusati di duplice omicidio, i due marò da quasi tre anni hanno potuto godere di un regime di limitazione della libertà inedito in India, considerando la gravità del crimine che gli viene contestato. L'accondiscendenza pare incontri diverse resistenze all'interno dell'esecutivo indiano. Nell'ultima settimana fonti anonime del governo hanno affidato al quotidiano Economic Times una serie di retroscena che non depongono a favore dei due sottufficiali di Marina. Il 2 gennaio, un funzionario di Delhi ha rivelato che, secondo il ministero degli Interni, l'unica garanzia del ritorno di Latorre in India sarebbe stata trattenere Salvatore Girone nel paese, negandogli la licenza per passare il Natale con la famiglia in Puglia.
Passano pochi giorni e la stampa italiana rilancia la "preoccupazione" di Ban Ki Moon, segretario generale all'Onu, per il braccio di ferro italo-indiano. In realtà, il portavoce della segreteria dell'Onu si era limitato a ribadire che la posizione delle Nazioni Unite non era cambiata rispetto a un anno fa, quando si chiarì che il caso dei due fucilieri veniva considerato una "questione bilaterale" che India ed Italia avrebbero dovuto risolvere soddisfacendo entrambe le parti.
Ieri, l'ennesima picconata contro i due imputati. Sempre sull'Economic Times, è stata la National Investigation Agency (Nia) a rincarare la dose, sostenendo di avere le prove per accusare Latorre e Girone di omicidio preterintenzionale. Secondo quanto rivelato da un funzionario della Nia, i due fucilieri avrebbero "sparato al peschereccio in assenza di provocazione o altri elementi che potessero farlo scambiare per una barca di pirati", esplodendo "20 colpi di arma automatica in direzione dell'imbarcazione a una distanza di 125 metri". Secondo il documento dell'accusa, a quella distanza i militari non avrebbero potuto sbagliarsi e scambiare Ajesh Binki e Valentine Jelastine per pirati.
L'impianto accusatorio, hanno ribadito ancora dalla Nia, sarebbe pronto per essere depositato agli atti. Bisogna solo aspettare di sciogliere il nodo della giurisdizione e capire dove si farà il processo. Decisione che, salvo nuovi colpi di scena, non arriverà prima della prossima udienza in Corte suprema, fissata per il mese di marzo.
L'Arena di Verona, 10 gennaio 2015
Chi ascolta le vittime dei reati? Chi può dar loro indicazioni quando devono presentare una denuncia o aver informazioni su come si svolge un procedimento penale? Per dare risposte a questi e a molti altri quesiti, da un anno funziona lo Sportello di ascolto per le vittime di reato, grazie alla collaborazione tra il Comune, che ospita il Servizio nella sede dell'Associazione consiglieri comunali emeriti del Comune, e l'Associazione Scaligera Assistenza Vittime di Reato (Asav).
In un incontro sono stati presentati i dati del primo anno di attività dello Sportello istituito a Palazzo Barbieri nel dicembre 2013 dalla Presidenza del Consiglio comunale in collaborazione con il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Margherita Forestan, e l'Asav di cui è presidente Annalisa Rebonato.
"Un servizio sperimentale ed innovativo", ha spiegato il presidente del Consiglio comunale Luca Zanotto, "finalizzato ad ampliare l'attenzione sul tema dei diritti dei cittadini che subiscono reati, come richiesto dalla normativa europea, ma anche a far luce su un numero di reati che resta ancora oscuro perché le vittime non trovano chi le ascolta.
Grazie ai volontari Asav e al contributo della polizia municipale lo sportello rappresenta un'occasione per ogni cittadino che si ritiene leso nel suo diritto alla sicurezza personale di trovare un ascolto costruttivo, informazioni utili e, se necessario, di essere indirizzato alle strutture specifiche del territorio"
In un anno, ha precisato Annalisa Rebonato, "si sono rivolte allo sportello 24 persone, 14 donne e 10 uomini, tra cui due coppie, di età compresa tra i 20 e i 70 anni, 21 di nazionalità italiana e tre straniera. Tra i principali reati subiti si registrano furto e truffa, lesioni, minacce, molestie e bullismo.
Alle persone offriamo principalmente ascolto, ma anche informazioni riguardanti la tutela legale, il sistema penale e il procedimento giudiziario, oltre ad orientarle ai servizi territoriali come Asl e consultori, e agli Ordini professionali di competenza, avvocati e psicologi, in grado di dare un aiuto specifico".
"Non vi può essere un recupero alla società per chi commette un reato", ha poi aggiunto Margherita Forestan, senza una forte azione a favore della vittima.
Con questo servizio, primo ed unico in Italia, si tratta di dare pieno riconoscimento alle vittime e, in quanto tali, di garantire loro rispetto, sensibilità e assistenza personalizzata e professionale.
Un'attività che in futuro può ulteriormente migliorare ampliando la collaborazione con le forze dell'ordine, che raccolgono le denunce delle vittime di reato".
E a chi chiedeva perché mettere allo stesso tavolo il garante per i detenuti e quello per le vittime di reato, la risposta è l'indicazione di un metodo comune, che si potrebbe riassumere nel termine mediazione. Perché se è assodato che le persone recluse hanno necessità di qualcuno che le ascolti, che ne recepisca i bisogni, la stessa cosa accade per chi ne è stato vittima.
"Alimentare le tensioni con pesanti contrapposizioni tra vittime e autori di reati è deleterio per tutti", spiega Margherita Forestan. Che fa un esempio: "Se viene messo agli arresti domiciliari una persona che ha messo a segno un'aggressione, sarebbe bene che la vittima di quel reato ne fosse informata, che le si spiegasse che il detenuto ha fatto un percorso per capire di aver sbagliato e che, comunque, la vittima sarà tutelata. Serve più comunicazione per stemperare le tensioni tra le persone che rischiano di innescare ulteriori problemi". Lo sportello è aperto il martedì dalle 16 alle 19 al piano terra di Palazzo Barbieri. Per contatti e appuntamenti:
Nova, 10 gennaio 2015
Almeno 2.100 detenuti sono morti nelle carceri siriane nel corso dell'ultimo anno. Lo ha reso noto l'Osservatorio siriano per i diritti umani, raccogliendo le testimonianze delle famiglie dei prigionieri. Secondo gli attivisti, di base a Londra, molti dei corpi dei detenuti presentavano segni di tortura dopo il decesso. Nel corso dei combattimenti sul campo hanno perso inoltre la vita in Siria oltre 76 mila persone, cifra che ha portato il totale delle vittime della guerra civile a superare quota 200mila.
Ansa, 10 gennaio 2015
Khalid Mehmood, ex responsabile tecnico dell'aviazione pachistana, è il decimo detenuto ad essere impiccato da quando il premier Nawaz Sharif ha sospeso la moratoria sulla esecuzione delle condanne a morte per terrorismo. Lo riferisce DawnNews Ttv.
L'impiccagione di Mehmod, coinvolto in un tentativo di assassinio nel 2003 dell'ex generale Pervez Musharraf, è avvenuta ieri sera nella prigione centrale Adiala di Rawalpindi, città gemella di Islamabad. Prima dell'esecuzione della sentenza, si è infine appreso, ingenti forze di sicurezza sono state dispiegate attorno al carcere per prevenire possibili attacchi.
Ansa, 10 gennaio 2015
L'Ohio porrà fine all'utilizzo della combinazione dei due farmaci per le iniezioni letali che ha causato la drammatica agonia lo scorso gennaio di Dennis McGuire, condannato a morte per lo stupro e l'omicidio di una donna incinta nel 1993. Lo ha annunciato il Department of Rehabilitation and Correction statale.
Per l'iniezione letale dell'uomo è stato usato un mix di midazolam e idromorfone, ma qualcosa è andato storto tanto che McGuire ha impiegato ben 25 minuti per morire. Un tempo lunghissimo, in cui il condannato si è dimenato in preda alle convulsioni ed è infine morto soffocato. JoEllen Smith, portavoce del Dipartimento, ha affermato con i media statunitensi che il sistema carcerario dell'Ohio sta pensando di utilizzare il pentobarbital insieme ad un farmaco usato per le iniezioni letali dal 1999 al 2011, il sodio tiopentale.
L'Ohio Department of Rehabilitation and Correction, nel frattempo, ha anche deciso di rinviare l'esecuzione di Ronal Phillips, condannato per lo stupro e omicidio di una bimba di tre anni, figlia della sua fidanzata, in programma per l'11 febbraio. Diversi Stati americani nei quali è in vigore la pena di morte sono alla ricerca di nuove combinazioni di farmaci per le iniezioni letali dopo che alcune aziende farmaceutiche hanno fermato la fornitura dei loro prodotti per non essere più associate alla pena capitale.
www.osservatorioitaliano.org, 10 gennaio 2015
Il membro del Parlamento mauritano Sheikha Zeinab Bent Aldd ha reso noto che il sovraffollamento delle carceri in Mauritania è arrivato al 300%. Sheikha ha informato in una dichiarazione verbale diretta al Ministro della Giustizia che "il Presidente mauritano, Mohamed Ould Abdel Aziz aveva promesso dopo il suo colpo di Stato il miglioramento della giustizia".
di Michele Giorgio
Il Manifesto, 10 gennaio 2015
Condannato a 10 anni di carcere e a una multa di un milione di Riyal (circa 225.500 euro), Badawi dovrà subire in totale 1000 frustate nelle prossime 20 settimane. Ma l'alleata Riyadh, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani, resta intoccabile per i paesi Occidentali.
Ai media occidentali piace riferire dell'Arabia saudita solo a proposito dell'aumento o del calo, come in questo periodo, del prezzo del greggio. Poco e male si parla del ruolo che tanti cittadini di questo Paese ultraconservatore - alleato di ferro degli Stati Uniti e delle politiche dell'Occidente in Medio Oriente - svolgono nella crescita dell'estremismo religioso, con generosi finanziamenti ad istituzioni e organizzazioni legate al wahabismo e al salafismo radicale. Washington lo sa ma tace si tengono strette le "storiche" relazioni con la famiglia Saud. E poco si dice anche delle sistematiche violazioni dei diritti umani e politici in Arabia saudita dove, peraltro, il 2015 è cominciato con sei esecuzioni capitali: il 2014 si era chiuso con 87 condanne a morte eseguite.
Ieri un blogger, Raif Badawi, in carcere dal 2012, è stato frustato sulla pubblica piazza a Gedda, davanti alla moschea al Jafali, perché riconosciuto colpevole di "insulti all'Islam". A denunciarlo è Amnesty International, sottolineando che la sentenza è stata eseguita nonostante gli appelli internazionali per annullarla. Badawi, condannato a 10 anni di carcere e a una multa di un milione di Riyal (circa 225.500 euro), dovrà subire in totale 1.000 frustate nelle prossime 20 settimane, dopo la preghiera del venerdì.
Il blogger in realtà viene punito non per aver offeso l'Islam piuttosto per aver preso di mira nei suoi articoli alcune figure religiose di primo piano. Frustate e altre forme di punizione corporale sono vietate dal diritto internazionale. Ma a quanto pare la libertà di espressione è un diritto che l'Occidente difende solo a casa sua mentre tace se viene violata da regimi autoritari e brutali che fanno i suoi interessi economici e strategici, come l'Arabia saudita.
Nova, 10 gennaio 2015
Sheikh Ali Salman, il leader dell'opposizione nel Bahrein, ha esortato dal carcere i manifestanti a continuare nelle proteste contro il governo, dichiarando che "le richieste della gente sono giuste e legittime". Lo riporta l'emittente "Press Tv" secondo quanto sarebbe stato riferito da Salman durante una conversazione telefonica con la sua famiglia.
L'arresto del leader, avvenuto due giorni dopo essere stato rieletto alla guida di al-Wefaq, principale partito di opposizione, ha scatenato la rabbia di molti manifestanti a Manama che sono stati dispersi dalle forze del regime attraverso l'uso di proiettili di gomma e gas lacrimogeni. Al-Wefaq ha detto che "gli agenti della sicurezza hanno esercitato un uso eccessivo della forza contro i manifestanti che protestavano pacificamente per chiedere la liberazione di Salman, nel sobborgo di Bilad al-Qadeem, provocando diversi feriti". Da metà febbraio 2011, nel Bahrein, migliaia di manifestanti continuano a chiedere alla famiglia reale di Al Khalifa di cedere il potere e consentire l'istituzione di un sistema democratico.
di Roberto Saviano
L'Espresso, 9 gennaio 2015
Carceri, tortura, aborto, disabilità, matrimoni gay, fecondazione eterologa, eutanasia. Tutti temi scomparsi dal dibattito pubblico dove trovano spazio solo le questioni che riguardano i politici. L'Italia è un Paese in cui il dibattito pubblico è dettato unicamente dall'agenda politica. Se un'inchiesta coinvolge politici, allora assume centralità, se uno scandalo coinvolge politici, i media se ne occupano. Le priorità della politica diventano le priorità del Paese.
di Francesco Grignetti
La Stampa, 9 gennaio 2015
Secondo i dati del ministero della Giustizia a fine anno in Italia c'erano 53.623 detenuti in 49.635 posti. Nel 2010 erano 67.961 costretti a vivere in spazi per 45.022. Il sovraffollamento delle carceri sembra davvero un'emergenza del passato.
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