di Liana Milella
La Repubblica, 11 novembre 2019
In settimana il voto sul Pg della Cassazione. Ostacoli per Cantone. Il Pd duella con Bonafede: a giorni la nostra proposta sulla prescrizione e la riforma della giustizia. Diceva Tancredi nel Gattopardo: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi".
di Marzia Paolucci
Italia Oggi, 11 novembre 2019
In Italia, dalla riforma del 2011, un reato tributario si prescrive dai sette anni e sei mesi ai dieci anni, secondo le tipologie di reato, un'importante distanza rispetto ai cinque anni dell'Unione europea fissati dalla Direttiva Pif approvata da Parlamento e Consiglio Ue nel 2017.
"Il nostro apparato penale è andato oltre quanto imposto dalla Ue", osserva Alessio Lanzi che al convegno organizzato dalla rivista di Magistratura indipendente Il Diritto vivente, "Le nuove frontiere del diritto penale tributario: problemi e prospettive" del 16 ottobre scorso in Cassazione, ha preferito parlare come ordinario di diritto penale piuttosto che come membro del Csm.
di Giovanni Tonelli
ilponte.com, 11 novembre 2019
Trattare di carcere non è mai semplice, perché è un argomento impopolare che parla prima alla pancia che alla testa e perché spesso e volentieri si conosce così poco da diventare vittima di aggettivazioni, paure e luoghi comuni. Ecco perché occasioni come il secondo "Festival della comunicazione sul carcere e le pene", offerte dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia, andrebbero maggiormente colte.
di Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 11 novembre 2019
Il giudice ordinò: "Va accompagnato". Verifiche del ministero. Gli esperti del carcere: "Non è più socialmente pericoloso". Per lui anche un encomio. Dopo 44 anni in cella il 60enne Antonio Cianci - l'ergastolano quadruplice omicida (di un metronotte nel 1974 a 15 anni, e di tre carabinieri nel 1979) che in permesso premio sabato sera con un taglierino in un tentativo di rapina alle macchinette del caffè del "piano -1" dell'ospedale San Raffaele ha quasi tagliato la gola al 79enne compagno di una paziente - aveva avuto non solo una positiva relazione dell'équipe di educatori-psicologi-criminologi il 29 marzo scorso; o il parere favorevole della direttrice del carcere di Bollate il 15 aprile; ma persino "un encomio il 31 ottobre 2018 per l'attività nella segreteria Nuovi Giunti".
Su un piatto della bilancia il giudice di Sorveglianza, Simone Luerti, trovava esperti per i quali era "non più socialmente pericoloso" il detenuto che, dopo anni di "iniziale atteggiamento oppositivo, col tempo si era mostrato sempre più collaborativo", maturando "un senso di colpa soprattutto nei confronti delle famiglie dei carabinieri uccisi, consapevole di aver condannato figli a vivere senza i loro padri": come Daniela Lia, che aveva 6 anni, e che ieri lamenta "altro dolore" da "quell'essere ignobile".
Sull'altro piatto della bilancia, invece, il giudice aveva la chance di lavoro sprecata da Cianci quando nel 2015 era tornato in cella mezzo ubriaco: era perciò "stato segnalato al Sert del carcere, che però non aveva ritenuto il soggetto abusatore di alcol".
Contraria al permesso era poi una nota dei carabinieri di Milano del 25 giugno, ma per due motivi collaterali: il fatto che la sorella avesse una denuncia per minacce e vivesse in una casa popolare dagli affitti non pagati, ma il giudice valutava che, trattandosi di permesso e non di misure alternative, la questione fosse "non rilevante". Infine il 30 maggio vengono "chieste alla Questura di Milano le informazioni" previste dalla legge, "senza che sia pervenuta risposta". E del resto anche il pm di apposito turno in Procura, che in teoria avrebbe potuto impugnare la concessione del permesso (in quel caso congelabile in attesa di udienza collegiale al Tribunale di Sorveglianza), aveva messo il visto.
Tuttavia il giudice Luerti, come raramente accade, il 26 luglio sia nella motivazione sia nel dispositivo del provvedimento che autorizzava il primo permesso aveva anche prescritto: "Almeno per le prime volte, e comunque fino a nuova disposizione del magistrato, si impone l'accompagnamento dal carcere a Cernusco e rientro con familiare o altra persona nota (che potrà essere anche un volontario), al fine di evitare il possibile disagio per una nuova dimensione di libertà, che implicherebbe anche un complesso viaggio con mezzi pubblici".
In attesa degli accertamenti disposti dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, è ancora da chiarire se sabato l'accompagnamento ci sia stato, o se possa essere stato equivocata al punto n. 6 delle "prescrizioni" la residua formula standard "fare uso esclusivo di mezzi pubblici, con facoltà di usare i mezzi privati purché accompagnato da un familiare/volontario, negli spostamenti e all'uscita e al rientro".
La rilevanza della questione rispetto al ferimento (per fortuna meno grave perché per pochi centimetri le ferite alla gola sono superficiali, il 79enne verrà dimesso tra qualche giorno, e già ai soccorritori aveva subito detto "mi è andata bene..."), è tuttavia relativa: stando infatti alle prime indagini coordinate dal pm Nicola Rossato, l'ergastolano (solo o accompagnato che fosse) è in effetti andato sia dalla sorella sia dai carabinieri di Cernusco, dove ha firmato alle 15.08. Il ferimento al San Raffaele, distante alcuni chilometri, è delle 17.45: che cosa lo abbia spinto lì ancora non si sa, e forse solo Cianci potrà spiegarlo oggi.
Il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2019
La relazione del carcere diceva: "È cambiato, non è più pericoloso". Antonio Cianci, 60 anni, è stato arrestato dopo una breve fuga alla stazione della metro. A 20 anni aveva trucidato tre carabinieri. Il giudice gli aveva concesso di vistare la sorella sulla base di un rapporto del penitenziario che parlava tra l'altro di "consapevolezza, maturità, affidabilità". Il ministro Bonafede invia gli ispettori.
Un permesso premio di un giorno per fare visita alla sorella. Ma in quelle ore di libertà, Antonio Cianci, ergastolano che più di quarant'anni fa aveva ucciso a bruciapelo tre carabinieri e un metronotte, ha accoltellato alla gola un 79enne in un parcheggio dell'ospedale San Raffaele di Milano.
Il motivo: una rapina che gli avrebbe fruttato poche monete e un cellulare. Ora Cianci - 60 anni, da 40 in carcere - è di nuovo in cella, accusato di tentato omicidio. La vittima della sua aggressione, l'anziano, non è in pericolo di vita e tra qualche giorno potrebbe essere dimesso. Ma resta da capire perché un ergastolano che finì detenuto accompagnato dalla descrizione di killer spietato e lucido è stato premiato di un giorno di libertà.
A pesare, infatti, è stata una relazione del carcere di Bollate sulla base della quale il giudice di sorveglianza ha preso la sua decisione: un cambiamento reale nei comportamenti, era scritto in quel rapporto, un percorso positivo negli ultimi anni in cui ha dimostrato consapevolezza, maturità, affidabilità e di non essere più "socialmente pericoloso". Anche per questo il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha mandato gli ispettori. Inevitabile, peraltro, il collegamento con le recenti pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte costituzionale che ha rimesso in mano a ciascun giudice di sorveglianza e caso per caso l'autorizzazione ai permessi premio per gli ergastolani condannati per mafia.
I fatti si sono svolti sabato nel tardo pomeriggio, nel parcheggio sotterraneo del San Raffaele, al piano "meno 1", vicino a delle macchinette del caffè. Secondo la ricostruzione della polizia, Cianci ha avvicinato l'anziano (che era lì per visitare un familiare) per chiedergli dei soldi e al rifiuto dell'anziano, lui l'avrebbe colpito alla gola con un taglierino, portandogli via pochi soldi e il telefonino. Gli agenti hanno bloccato la sua fuga alla stazione della metropolitana di Cascina Gobba. Aveva ancora il taglierino sporco di sangue con sé e i pantaloni insanguinati.
Cianci, originario di Cerignola (Foggia) e che le cronache dell'epoca descrivevano come un giovane dal passato difficile e un "patito di armi", aveva 20 anni quando, nella notte tra l'8 e il 9 ottobre del 1979, uccise i tre carabinieri che lo avevano fermato ad un posto di blocco tra Liscate e Melzo, in provincia di Milano, a bordo di un'auto che risultava rubata. Mentre i militari controllavano i suoi documenti quella notte, scoprendo, tra l'altro, che a 15 anni (cinque anni prima) aveva già ucciso un metronotte di 29 anni Gabriele Mattetti a Segrate (venne assolto per incapacità mentale e fece 3 anni di riformatorio), il giovane fece fuoco con una pistola automatica. Uccise il maresciallo Michele Campagnuolo, l'appuntato Pietro Lia e il carabiniere Federico Tempini.
Quando venne arrestato, Cianci non confessò e disse, anzi, che a sparare ai militari dell'Arma erano stati alcuni sconosciuti a bordo di un'auto. Al processo di primo grado venne condannato all'ergastolo, confermato in appello nel 1983. Processo quest'ultimo in cui finalmente, però, con una lettera ai giudici confessò la strage e la condanna venne confermata, poi, anche in Cassazione. Dagli atti giudiziari dell'epoca emerge la figura di un killer spietato e lucido, che non esitava a sparare "alle spalle", al volto e "al cuore" di una persona a terra, e poi a "frugare tra i cadaveri" per portare via le armi alla sue vittime. Fino a sabato era rimasto recluso a Bollate, ora si trova a San Vittore in attesa della convalida. Anche in questo caso, davanti al pm Nicola Rossato, è rimasto in silenzio. Il gip proverà di nuovo a interrogarlo lunedì e martedì.
Ma perché allora Cianci era fuori dal carcere? Il via libera l'aveva dato il tribunale di sorveglianza che si era basato su una relazione del carcere di Bollate. In quel documento il penitenziario aveva parlato di "un cambiamento reale nei comportamenti" e aveva escluso che il detenuto fosse ancora "socialmente pericoloso". La firma per il primo ok al permesso l'aveva messa il 26 luglio il giudice Simone Luerti e Cianci era già uscito 3-4 volte dall'estate in poi. A Bollate, un carcere-modello, il 60enne era arrivato nel 2017 (prima era ad Opera) dopo un'altra valutazione positiva. Valutazioni che davano conto che Cianci, detenuto da 40 anni ininterrottamente, dopo i primi anni faticosi in cui aveva subito provvedimenti disciplinari, nell'ultimo periodo si era sempre comportato bene, tanto che in passato era stato anche ammesso al lavoro esterno.
L'ultimo permesso aveva la durata di 12 ore (dalle 9 alle 21) con obbligo di accompagnamento del detenuto dal carcere a Cernusco sul Naviglio, dove abita la sorella, e con lo stesso obbligo per il rientro. Cianci, che negli altri casi non aveva commesso violazioni (ai primi di novembre lo ottenne di 3 giorni), ieri si è invece allontanato da Cernusco per andare al San Raffaele, dove - oltre ad aver ferito in modo grave l'anziano - ha rubato anche una felpa da inserviente dell'ospedale e una mascherina per camuffarsi.
Il beneficio gli era stato concesso sulla base dell'articolo 30 ter della legge sull'ordinamento penitenziario che lo riserva anche ai condannati all'ergastolo, dopo 10 anni di detenzione, che hanno "tenuto regolare condotta" e che "non risultano socialmente pericolosi". Questa storia, però, inevitabilmente ha sollevato polemiche proprio per il via libera a quel beneficio, poco dopo le pronunce controverse sui permessi agli ergastolani di mafia.
Il ministro guardasigilli Bonafede che ha già dato mandato all'ispettorato di via Arenula di compiere accertamenti preliminari. "Nessun premio ai killer spietati, soprattutto se hanno ucciso donne o uomini in divisa!", ha commentato il leader della Lega Matteo Salvini. Mentre Emanuela Piantadosi, presidente dell'Associazione Vittime del Dovere, si chiede: "Quanto altro spargimento di sangue si dovrà avere prima che il ministro della Giustizia e il governo prendano coscienza di quanto sia fondamentale monitorare seriamente la recidiva in questo Paese?".
di Giuseppe Amato
Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2019
Cassazione - Sezione III penale - Sentenza 22 ottobre 2019 n. 43262. In materia di stupefacenti, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall'articolo 73, comma 1-bis, lettera a), del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 se da solo non costituisce prova decisiva dell'effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione. Lo dice la Suprema corte con la sentenza 22 ottobre 2019 n. 43262.
Italia Oggi, 11 novembre 2019
Il giudice competente a decidere una controversia avente ad oggetto una domanda di accesso agli atti, avanzata da un detenuto, è il magistrato di sorveglianza, e non il Tar. Lo ha chiarito il Tar Piemonte, sez. II con la sentenza del 7 ottobre 2019, n. 1045.
Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2019
Giudice - Astensione e ricusazione - Atti adottati dal giudice astenuto o ricusato - Efficacia - Dichiarazione di inefficacia - Sindacabilità da parte del giudice della cognizione. Il codice di rito riserva al giudice demandato a valutare una dichiarazione di astensione o di ricusazione il compito di selezionare gli atti che debbono conservare efficacia, giacché proprio quel giudice conosce i profili di incompatibilità del giudice astenutosi o ricusato e può quindi valutare con precisione gli effetti di tale rilevata incompatibilità sugli atti di natura probatoria assunti in precedenza. La dichiarazione di inefficacia degli atti può essere tuttavia sindacata, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione, con conseguente eventuale utilizzazione degli atti medesimi.
• Corte di cassazione, sezione V, sentenza 29 ottobre 2019 n. 44120.
Giudice - Astensione - In genere - Accoglimento della dichiarazione di astensione - Provvedimento sugli atti che conservano efficacia - Impugnabilità - Esclusione - Giudice designato in sostituzione - Successiva dichiarazione di inutilizzabilità di singoli atti - Possibilità - Condizioni. Il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione e dichiara l'efficacia degli atti precedentemente compiuti dal giudice astenuto, ai sensi dell'art. 42, comma 2, cod. proc. pen., non è impugnabile, ma il giudice designato in sostituzione può, nel contraddittorio delle parti, dichiarare l'inutilizzabilità di singoli atti compiuti dal giudice precedente.
• Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 31 gennaio 2018 n. 4694.
Giudice - Astensione - Effetti - Accoglimento della dichiarazione di astensione - Atti a contenuto non probatorio compiuti dal giudice astenutosi - Omessa indicazione circa la loro conservazione di efficacia - Automatica loro inefficacia - Esclusione - Fattispecie. Sono efficaci gli atti a contenuto non probatorio compiuti dal giudice astenutosi, anche se della loro sorte (conservazione o di efficacia) non è fatta menzione nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione. (Fattispecie relativa a provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare adottato da collegio del quale faceva parte un giudice poi astenutosi).
• Corte di cassazione, sezione V, sentenza 10 agosto 2016 n. 34811.
Giudice - Astensione - Effetti - Provvedimento di accoglimento - Dichiarazione di conservazione d'efficacia degli atti anteriormente compiuti - Assenza - Conseguenze - Efficacia degli atti anteriormente compiuti - Esclusione - Fattispecie. In assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che legittimamente il Gip, subentrato a quello astenutosi, avesse disposto con decreto l'archiviazione del procedimento dichiarando inammissibile l'opposizione della persona offesa, senza aver prima revocato il provvedimento - adottato dal precedente giudice prima di astenersi - di fissazione dell'udienza camerale a seguito dell'opposizione).
• Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 10 marzo 2015 n. 10160.
Giudice - Astensione - Effetti - Accoglimento - Dichiarazione di conservazione d'efficacia degli atti anteriormente compiuti - Assenza - Efficacia degli atti anteriormente compiuti - Conseguenze.
In assenza di una espressa dichiarazione di conservazione di efficacia degli atti nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato devono considerarsi inefficaci. (La Suprema Corte ha precisato che la nozione di "efficacia" indica, nella specie, la possibilità di inserimento degli atti, compiuti dal giudice astenutosi o ricusato, nel fascicolo per il dibattimento, e che la valutazione di efficacia od inefficacia, operata dal giudice che decide sull'astensione o sulla ricusazione, pur autonomamente non impugnabile, è successivamente sindacabile, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione).
• Corte di cassazione, sezioni Unite, sentenza 5 aprile 2011 n. 13626.
Giudice - Giudice penale - Ricusazione - Effetti - Ricusazione del presidente del collegio giudicante - Competenza a stabilire se e in quale parte conservino efficacia gli atti precedentemente compiuti - Appartiene al giudice che ha accolto la dichiarazione di ricusazione - Competenza del nuovo collegio giudicante a statuire sulla utilizzabilità degli stessi atti al fine della decisione. In assenza di un'espressa dichiarazione, a norma dell'articolo 42, comma 2, del codice di procedura penale, di conservazione d'efficacia nel provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, gli atti compiuti in precedenza dal giudice astenutosi o ricusato si devono considerare inefficaci. L'inefficacia può essere sindacata, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione, con conseguente eventuale utilizzazione degli atti medesimi.
• Corte di cassazione, sezioni Unite , sentenza 5 aprile 2011 n. 13626.
di Giovanni Bua
La Nuova Sardegna, 11 novembre 2019
Mario Dossoni, Garante dei detenuti, racconta i suoi tre anni in prima linea: "Abbiamo fatto tanto, ma serve l'aiuto della comunità". Acqua che cola dai tetti ogni volta che piove, con i temporali che spesso fanno saltare la corrente elettrica. E sgorga non potabile dai rubinetti e fredda dalle docce.
Sciacquoni dei water nelle celle vuoti da mesi, muffa e infiltrazioni nei muri. Problemi nell'area educativa, che non funziona, ma anche per fare una semplice telefonata a parenti o legali. Mensa, anche della polizia penitenziaria, sporca, con cibi di qualità e quantità inadeguata. Pochi agenti, spesso male impiegati, nonostante la presenza di 85 super-boss in 41bis e 20 sospetti terroristi in regime di alta sicurezza.
Pochissimi mediatori culturali, che nulla possono fare per risolvere i problemi di interazione con le 27 etnie presenti. Una città che ogni tanto bussa al portone blindato tra incontri con le scuole, film festival, visioni solidali e candeliere dei reclusi. Ma che per di più si dimentica di una parte di sé (la maggior parte dei presenti sono sassaresi), chiusa tra quattro mura lontane, che non riesce a parlare con famiglie e avvocati, ad avere accesso alle cure sanitarie, a imparare un lavoro, a ripartire.
Saluta con sollievo e dolore Mario Dossoni, garante dei detenuti del Comune di Sassari dal gennaio 2016, che martedì ha aperto la seduta del consiglio comunale che ne ha sancito la sostituzione con una rapida quanto efficace fotografia di quello che oggi è il carcere di Bancali. Operativo dal luglio 2013 per sostituire l'ottocentesco carcere cittadino di San Sebastiano, a ragione considerato uno dei peggiori d'Italia, dopo una laboriosa progettazione e costruzione, calibrata su misura per farlo diventare uno dei super carceri dedicati alla detenzione dei boss della criminalità organizzata, e nonostante questo già in piena decadenza, strutturale e "sociale".
"A Bancali ci sono 470 detenuti - ha raccontato martedì in aula - divisi in quattro regimi. Ci sono 290 comuni, per la gran parte sassaresi, i reclusi in alta sicurezza, i "protetti" perché autori di crimini sessuali o facenti parte delle forze dell'ordine, gli 85 in 41bis, 13 in semilibertà e 12 donne. Gli stranieri sono il 36 per cento, un terzo sono tossicodipendenti o spacciatori, molti di solo hanno problemi di salute mentale". Un quadro difficile da gestire che si scontra con una situazione logistica e ambientale sempre più pesante.
"Il lavoro del Garante è in gran parte questo, raccogliere i problemi, piccoli e grandi, e attivarsi per trovare soluzioni. E il problema più grande è il rapporto con l'esterno, la cui mancanza pesa più delle pur importanti carenze dentro il carcere".
E proprio per questo la presenza del garante, insieme al piccolo nucleo di volontari Caritas, ai dentisti della casa della Fraterna solidarietà, alle associazioni che mettono in piedi laboratori di teatro, sartoria, pittura, musica e falegnameria, alle scuole che organizzano (come il Pellegrini) percorsi di qualificazione professionale, o (come il De Villa) veri e propri corsi di istruzione superiore, sono boccate di ossigeno per n mondo in costante apnea.
"Abbiamo fatto tanto - ha chiuso Dossoni - o perlomeno abbiamo fatto il possibile. Grazie all'aiuto delle istituzioni, della direzione, della polizia penitenziaria, dei detenuti. Che finiscono per essere tutti vittime dello stesso sistema. Io lascio il mio incarico con dolore, perché mi ha enormemente arricchito, ma anche con serena convinzione, perché richiede un'energia e una dedizione che qualcun altro avrà più di me. Resto convinto che il garante debba essere affiancato da figure operative che si occupino delle tante problematiche che ha una struttura complessa come Bancali. E che carcere e città debbano riprendere a comunicare, a interscambiare, a costruire insieme un presente e un futuro migliore".
di Maurizio Belpietro
La Verità, 11 novembre 2019
La storia di Antonio Cianci andrebbe letta e riletta. Anzi, imparata a memoria. Non nelle aule scolastiche, ma in quelle di tribunale. In particolare, andrebbe declamata nell'aula della Corte costituzionale come la storia esemplare del perché un ergastolo debba essere un ergastolo e non una vacanza premio.
Nonostante alle anime belle della Consulta e anche a quelle della Corte europea dei diritti dell'uomo, il "fine pena mai" non piaccia e lo ritengano una specie di tortura da vietare nella civilissima Europa, esso non ha una finalità punitiva, ma una funzione precisa, ossia impedire che gli assassini tornino a uccidere altre persone.
Antonio Cianci era un ragazzo quando ammazzò la prima volta, sparando alla testa di un metronotte che aveva avuto il solo torto di incontrarlo sulla sua strada. Cianci lo uccise come un cane, ma essendo minorenne, nonostante il delitto di lì a poco tornò in circolazione, pronto per un altro omicidio. Infatti, dopo, di assassinii ne commise altri tre. Fermato a un posto di blocco da una pattuglia di carabinieri mentre era alla guida di un'auto rubata, Cianci uccise i tre militari, sparando prima che i poveretti si rendessero conto di avere davanti un killer.
Condannato all'ergastolo e tenuto dietro le sbarre per decenni, l'altro giorno gli è stata concessa una licenza premio e per riconoscenza Cianci ha pensato bene di tagliare la gola a un pensionato colpevole di non essere generoso con lui. Mentre vagava nel piano interrato dell'ospedale San Raffaele, a Milano, il killer seriale ha incontrato l'uomo e gli ha chiesto di consegnargli il portafogli.
Al rifiuto dell'anziano, Cianci ha messo mano al coltello e lo ha colpito al collo. Solo il caso ha voluto che al pensionato non fosse tagliata la carotide e solo il caso ha voluto che il tentato omicidio sia stato messo in atto nel sotterraneo di un ospedale, dove il pronto soccorso è stato possibile. Cianci l'hanno arrestato poco dopo i carabinieri in servizio presso il nosocomio e identificarlo non è stato difficile, perché aveva ancora le mani sporche di sangue e il coltello con sé. Così, il detenuto in permesso premio è tornato dove era giusto che stesse fin dall'inizio di questa storia, cioè dietro alle sbarre. Fin qui la vicenda potrebbe sembrare un ordinario caso di criminalità, da liquidare in cronaca, fra gli incidenti e i delitti del giorno.
E invece no, il caso di Antonio Cianci non è roba ordinaria, da nascondere nelle pagine interne, ma è da prima pagina, perché spiega come il "fine pena mai" debba essere una pena che non si esaurisce e non un permesso premio. La storia del pensionato che ha rischiato la vita perché qualcuno ha deciso di scarcerare Cianci vale più di qualsiasi dotta argomentazione giuridica sulla funzione rieducativa del carcere.
E, come detto, andrebbe letta e riletta nelle aule di giustizia oltre che in quella della Corte costituzionale. Perché di recente, i togati della Consulta hanno stabilito che l'ergastolo senza permessi premio non è costituzionale. In linea con quello che pensa la Corte europea dei diritti dell'uomo, i nostri giudici vorrebbero che terroristi e mafiosi, cioè detenuti pericolosi, ogni tanto fossero rimessi in circolazione, mandandoli a casa in visita ai parenti.
Tenerli dentro sempre, cioè senza che la pena finisca mai come recita il nostro codice, sarebbe una tortura e dunque l'Italia rischierebbe di finire in fondo alla lista delle nazioni democratiche, in compagnia dei peggiori regimi. Ma se i detenuti non possono essere detenuti e anzi debbono essere premiati e scarcerati, a che serve minacciare l'ergastolo nel codice penale?
Già adesso il "fine pena mai" non esiste, perché nessuno sconta più di 30 anni, a meno che non si tratti di un mafioso o di un terrorista, ma anche per quelli la scorciatoia è sempre pronta e ora - dopo la pronuncia della Consulta - lo sarà sempre di più. Già abbiamo concesso ai criminali che si pentono ogni genere di beneficio, anche di tornare in fretta in libertà per poter ricominciare delinquere (è dei giorni scorsi la notizia di un mafioso premiato per aver cantato, ma che una volta fuori ha ricominciato a fare ciò che faceva prima).
Già un anno di carcere non è un anno di carcere, perché per chi sta dietro le sbarre gli anni non sono composti da 12 mesi, bensì da meno di ii. Se poi ci mettiamo pure il permesso premio per chi uccide i pensionati dopo aver ucciso quattro cristiani e la vacanza la concediamo anche a chi ha sciolto un bambino nell'acido, beh, il carcere facciano prima ad abolirlo. Scriviamo nella Costituzione che la prigione è virtuale e solo il delitto è qualche cosa di concreto e poi chiudiamola lì, così almeno non prenderemo in giro gli italiani.
- Milano. Polemiche sul permesso all’ergastolano accoltellatore di Monica Serra La Stampa, 11 novemb
- Milano. Il pluriomicida accoltellatore era in permesso perché "cambiato"
- Milano. Delinque lo 0,67% dei beneficiari di misure alternative
- Monza. Infarto in carcere, muore un detenuto
- Con "Liberi dentro" il tour degli Istentales diventa un libro e un cd