di Roberto Livi
Il Manifesto, 10 novembre 2019
Il simbolo di un continente in fiamme che ha un disperato bisogno di giustizia sociale. Lula libero riaccende le speranze in Brasile e in America latina. "Viene restituito un uomo diventato un simbolo", commenta l'ex presidente uruguayano Pepe Mujica. Un simbolo di dignità, giustizia e uguaglianza sociale. Di lotta alla povertà e di sovranità nazionale.
Uscito dal carcere dopo 580 giorni di prigionia, l'ex presidente brasiliano lo ha ribadito. "Non è me che hanno voluto incarcerare, ma un'idea". E quell'idea di giustizia sociale e di integrazione dell'America latina è disposto a portarla avanti "con più forza di prima".
Appena fuori dal carcere di Curitiba Lula è già l'anti Bolsonaro, il presidente dell'odio razziale e di genere, l'uomo degli agrari che deforestano e dell'integralismo pentacostale, delle armi a tutti. E del vassallaggio agli Stati uniti di Donald Trump, dimostrato tre giorni fa votando all'Onu a favore del criminale embargo a Cuba (in compagnia di Israele).
Lula è un simbolo anche per un continente che da più di un mese è in fiamme. Non si tratta però di un ottobre rosso. Non è l'immagine di Che Guevara che viene innalzata, né i manifestanti intonano L'Internazionale. La ribellione e il malessere che partono a ridosso del Rio Bravo e si estendono fino alla Patagonia e che accomunano popolazioni indigene e giovani, donne e classi medie, è contro una politica neoliberista che li spinge in basso - nella miseria una parte sempre più consistente, il 10,2% dei 600 milioni di abitanti - e comunque tutti più lontani da un élite socioeconomica che si appropria di gran parte della ricchezza. E del futuro dei giovani, con una politica ambientale pericolosamente asservita al dogma della società dei consumi.
Il subcontinente latinoamericano non è l'area più povera del pianeta, ma quella con maggiore diseguaglianza. Dei dieci paesi con indice Gini - misura la diseguaglianza socioeconomica - più alto solo due non sono latinoamericani (Sudafrica e Ruanda).
Se a questa situazione si aggiunge che l'America latina è la regione più colpita dalla crisi globale - secondo l'Fmi crescerà dello 0,2% - si capisce perché la scintilla che accomuna i focolai di ribellione sia il "ya basta" dei giovani cileni, che vogliono farla finita con l'eredità di Pinochet e dei Chicago Boys. I quali come scrive Joseph Stglitz (Il prezzo della diseguaglianza) per trent'anni hanno predicato che le politiche neoliberiste avrebbero prodotto una ricchezza più rapida i cui benefici si sarebbero poi trasmessi verso il basso, assicurando un miglioramento della vita per tutti. Stiglitz prevedeva che l'evidenza dei fatti - ovvero che tale politica produce soprattutto diseguaglianza - avrebbe portato alla sfiducia nelle élites dirigenti e avrebbe eroso lo stato di diritto.
Il disprezzo della politica dei governi e dei governanti non implica però una disaffezione dalla medesima. Al contrario le lotte in corso - specie in Cile - e i risultati delle ultime elezioni dimostrano che vi è una società civile che vuole essere protagonista politica. Solo che quanto avviene non può essere interpretato (solo) secondo l'asse sinistra/destra. Secondo Marta Lagos, direttrice di Latinobarometro - "oggi le popolazioni non votano per la destra e la sinistra, ma per chi propone soluzioni ai loro problemi".
Le politiche redistributive attuate dai governi progressisti durante il decennio della "marea rosa" latinoamericana - seguita alla prima elezione di Lula nel 2003 - continuate poi in Venezuela e Bolivia non hanno cambiato l'asse di sviluppo estrattivista basato sullo sfruttamento delle commodities. E parallelamente non hanno incrementato la partecipazione dal basso e una cultura politica diffusa.
Lula è libero, ma non assolto. Solo se verrà annullata la condanna emessa in secondo grado potrà tornare attivamente alla politica e scendere in campo per riconquistare la presidenza del Brasile. Ma già, come diceva Mujica, può rappresentare quel leader progressista e pragmatico in grado di raccogliere la voce che sale dalle rivolte popolari.
A lui fanno riferimento i leader della "marea rosa" - Mujica, Correa (Ecuador), Lugo (Paraguay), Roussef (Brasile) che si sono riuniti ieri a Buenos Aires assieme a un'altra ventina di leader progressisti del Gruppo di Puebla chiamati a raccolta dal neoeletto presidente Alberto Fernandez per tracciare un programma di integrazione dell'America latina e politiche economiche e sociali per affrontare la crisi che attanaglia il subcontinente. Non vi partecipano i leader di Cuba, come pure del Venezuela e del Nicaragua, che della pattuglia progressista formano l'ala radicale.
Ma L'Avana, assieme a Caracas, rimane il primo fronte ad assorbire gli attacchi che vengono dal potente vicino del Nord. Quanto avviene in Bolivia, dove è in corso un golpe programmato da mesi dall'ambasciata Usa e condotto dai comitati civici guidati da Camacho, che minacciano una secessione dei tre grandi centri - Santa Cruz, Cochabamba e Sucre - nel caso che il presidente Evo Morales non si dimetta, preoccupa particolarmente il vertice cubano. Sono 187 le misure che Donald Trump ha messo in atto contro l'isola da quando è stato eletto. L'embargo è diventato una spietata guerra economico-commerciale, senza però far capitolare Cuba. In clima di elezioni presidenziali, un'escalation dell'interventismo di Trump non è da escludere.
L'Osservatore Romano, 9 novembre 2019
Il Papa ai responsabili della pastorale carceraria. "Non c'è una pena umana senza orizzonte: nessuno può cambiare vita se non vede un orizzonte". Ha scelto di parlare in spagnolo, la sua lingua madre, Papa Francesco per rivolgersi venerdì mattina 8 novembre ai partecipanti all'incontro internazionale dei responsabili della pastorale carceraria, promosso dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.
di Gianni Cardinale
Avvenire, 9 novembre 2019
Il Papa: non c'è pena umana senza orizzonte. L'ergastolo? Discutibile e deve avere almeno uno sbocco. "I fratelli che hanno pagato non possono scontare un nuovo castigo sociale con il rifiuto e l'indifferenza".
Il Riformista, 9 novembre 2019
In tre anni sono quadruplicati i casi di detenuti trovati dentro le Carceri con un telefonino: erano 355 nei primi nove mesi del 2017 e sono diventati 1412 nell'anno corso, sino alla fine di settembre. Balzo in avanti anche per la presenza di stupefacenti negli istituti penitenziari: se nei primi nove mesi del 2017 è stata trovata droga 353 volte - o addosso agli stessi detenuti, o in aree comuni o in occasioni dei colloqui - quest'anno siamo già quota 587.
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 9 novembre 2019
Intervista a Mauro Palma, Garante nazionale dei detenuti. Dopo l'arresto di Antonello Nicosia, ex esponente dei radicali italiani e collaboratore parlamentare fermato per associazione mafiosa continuano le polemiche. Secondo i Pm, tra le varie accuse, Nicosia avrebbe utilizzato la possibilità di accedere agevolmente agli istituti di pena al seguito della deputata Giuseppina Occhionero per veicolare all'interno e dall'esterno messaggi e ordini dei boss. Ma è possibile che ciò sia avvenuto nonostante le rigide regole per quanto riguarda le visite ispettive, soprattutto in ambienti sensibili come il 41bis?
penitenziaria.it, 9 novembre 2019
La Commissione del Csm sulla magistratura di sorveglianza e l'esecuzione della pena, presieduta dal togato Sebastiano Ardita (A&I), raccoglie il "grido d'allarme" lanciato ieri, nel quadro di una serie di incontri programmati con gli addetti ai lavori, da una qualificata rappresentanza della Polizia Penitenziaria.
di Michela Allegri
Il Messaggero, 9 novembre 2019
La Cassazione boccia la sentenza che riduceva la pena all'uomo perché aveva strangolato la ex "in preda a una tempesta emotiva". In primo grado la condanna a 30 anni, poi dimezzata dopo una perizia. Pena da ricalcolare, la sorella della vittima: volevo giustizia.
La tanto discussa "tempesta emotiva" che lo avrebbe travolto quando strangolò la ex fidanzata, non può essere una giustificazione per un delitto, soprattutto in un caso di omicidio. La Cassazione annulla - con rinvio - la sentenza di appello per Michele Castaldo, che nel 2016 aveva ucciso la compagna, Olga Matei, a Riccione.
La pena, che dai 30 anni disposti dal Tribunale era scesa in secondo grado a 16 anni, dovrà essere ricalcolata per quanto riguarda le attenuanti che erano state concesse all'imputato. Le stesse che avevano praticamente dimezzato la condanna: i giudici avevano dato peso a una perizia psichiatrica che aveva stabilito che Castaldo avesse agito, appunto, in preda a una "soverchiante tempesta emotiva e passionale" dovuta al suo vissuto.
Una sentenza choc che aveva dato il via a un'onda di manifestazioni e contro la quale ha fatto ricorso la procura generale di Bologna, sostenendo che la "gelosia" non possa essere un'attenuante in un omicidio. Secondo il ricorso presentato dal sostituto procuratore Paolo Giovagnoli, Castaldo uccise Olga perché era geloso e perse il controllo in preda all'alcol: la "tempesta emotiva" che investì l'imputato "altro non è se non la proiezione immediata della gelosia", un fattore che non può essere considerato nel calibrare la responsabilità penale, scrive il magistrato.
Ma ieri, in aula, le richieste del sostituto pg di Cassazione Ettore Pedicini sono state di senso opposto: ha sostenuto che il ricorso fosse "infondato", perché "gli stati emotivi e passionali possono essere valutati per la concessione delle attenuanti generiche, valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice del merito".
Ma la suprema Corte ha annullato la sentenza, disponendo un nuovo appello. I fatti risalgono al 5 ottobre 2016. Olga e Castaldo si frequentavano da un mese. Lei, 46 anni, moldava, da anni a Riccione, aveva deciso di lasciarlo perché era infastidita dai suoi controlli ossessivi. La sera dell'omicidio si erano visti, ma la donna era rimasta sulle sue posizioni. A quel punto, Castaldo la aveva strangolata e aveva tentato il suicidio.
In appello, la "tempesta emotiva" evidenziata dalla perizia aveva procurato all'imputato la concessione di attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti di aver agito per futili motivi e per gelosia. Oltre alla perizia, c'era anche il fatto che Castaldo avesse confessato, che fosse incensurato e che avesse intenzione di risarcire la famiglia della vittima.
Le motivazioni della sentenza di secondo grado erano uscite a ridosso dell'8 marzo e avevano fatto scalpore, suscitato proteste e manifestazioni. Ieri, dopo la decisione della Cassazione, sono arrivate le reazioni dei parenti: "Sono soddisfatta, volevo giustizia e speravo di ottenere una pena congrua", ha detto Nina, sorella di Olga. Con lei ha parlato l'avvocato di parte civile, Lara Cecchini: "Non prova odio nei confronti di Castaldo, ma il suo gesto ha distrutto tante vite. La sua, dei suoi familiari, dell'ex marito e della figlia di Olga".
di Errico Novi
Il Dubbio, 9 novembre 2019
Il disegno di legge presentato da Costa (Fi) recupera in parte la proposta avanzata dal Cnf. Si tratta di due proposte affini, anche se non perfettamente coincidenti. Da anni il Consiglio nazionale forense propone di rendere detraibili le spese legali, con una specifica rafforzata tutela nel campo penale, in nome della effettività del diritto di difesa.
Ora il responsabile Giustizia di Forza Italia Enrico Costa compie un passo importante, che accoglie almeno in parte la prospettiva indicata dall'avvocatura istituzionale. Con una proposta di legge presentata a Montecitorio, il deputato azzurro chiede infatti di delegare il governo a introdurre anche in campo penale il principio della soccombenza previsto nel processo civile. Secondo la logica per cui se è la pretesa punitiva dello Stato a soccombere davanti al giudice, lo Stato stesso deve ristorare l'innocente delle spese legali sostenute.
Principio a prima vista incontestabile eppure non ancora tradotto in legge. "Ci aveva provato Gabriele Albertini nella precedente legislatura", spiega Costa al Dubbio, "adesso ho recuperato lo spirito di quella proposta e siamo riusciti ad abbinarne il testo al ddl sul patrocinio a spese dello Stato in commissione Giustizia". Il provvedimento che tutela la difesa dei non abbienti è fortemente voluto dal guardasigilli Bonafede. Si tratta di un dossier accompagnato dal pieno sostegno della maggioranza, e ha tutta l'aria di essere perciò il treno giusto a cui agganciare una proposta come quella di Costa, di grande rilievo ma pur sempre proveniente da una forza di opposizione.
Di fatto la partita potrebbe riservare ulteriori sorprese. Perché in origine l'articolato messo a punto dal parlamentare azzurro proponeva una modifica di natura fiscale: rendere detraibili fino a 10.500 euro le spese legali sostenute nel processo penale da chi è dichiarato innocente, in modo che chi soffre la "pena" di un'ingiusta "pretesa punitiva" esercitata dallo Stato possa vedersi almeno in parte sollevato, se non dai patimenti, quanto meno dai costi.
A dare più di una chances all'idea dell'ex viceministro è proprio la sensibilità dimostrata dalla maggioranza in tema di equità sociale, anche nell'ambito della giustizia, con la legge sul patrocinio a spese dello Stato. E, come detto, è il Cnf ad avanzare già da alcuni anni un propria proposta in materia di detraibilità delle spese legali.
Nell'ipotesi di emendamento alla legge di Bilancio 2018 veicolata dall'avvocatura, infatti, si prevedeva la detraibilità al 19 per cento delle "spese legali sostenute in un procedimento giudiziale ovvero per l'assistenza stragiudiziale, certificate dalla fattura del difensore". Si tratterebbe, si legge nella motivazione che accompagna la proposta del Cnf, della risposta a una "esigenza di equità e di giustizia reale e concreta".
Il diritto di difesa, si ricorda, è infatti "garantito a livello costituzionale dall'articolo 24, al pari del diritto alla salute, e ricomprende necessariamente l'assistenza tecnica e professionale prestata dall'Avvocato". In campo penale la detraibilità sarebbe integrale giacché, ricorda il Cnf, in quell'ambito "l'attività difensiva ha un costo che ricade sempre sull'indagato e/ o imputato, sebbene l'assistenza tecnica sia obbligatoria e non gratuita, salvo l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato".
Costa si richiama al principio del diritto di difesa ma segue una specifica linea di ragionamento: "Nel processo penale", si legge nella relazione della sua proposta, "al contrario di quanto avviene nel processo civile e in quello amministrativo, il pagamento delle spese legali non segue la regola della soccombenza. Dunque, anche in caso di proscioglimento o assoluzione con le formule ampiamente liberatorie (perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) le spese legali restano a carico dell'imputato. A nulla vale", fa notare Costa, "che questi sia riuscito a dimostrare la propria assoluta estraneità".
In ogni caso Costa converge testualmente sulla proposta dell'avvocatura istituzionale quando prevede la fattura del difensore e la causale come giustificativo. Integra la documentazione richiesta con un "parere di congruità del competente Consiglio dell'Ordine degli avvocati". Si tratterebbe di un sollievo per chi è sottoposto a un'ingiusta accusa, che risponderebbe almeno in parte alla necessità di assicurare in modo sempre più pieno il diritto di difesa, e che forse potrebbe trovare uno scenario politico più attento, rispetto al passato, a un simile principio.
di Gaetano Ravanà
La Sicilia, 9 novembre 2019
Il Tar Sicilia ritenendo fondate le censure formulate dall'avvocato Mattina ha accolto l'istanza cautelare contenuta nel ricorso sospendendo per l'effetto i provvedimenti impugnati. L'Assessorato Regionale dell'Istruzione e della Formazione Professionale con due distinti provvedimenti di decadenza dalla riserva finanziaria non aveva ammesso l'Ecap di Agrigento al finanziamento per la realizzazione di due corsi di formazione professionale presso la struttura carceraria di Agrigento di Contrada Petrusa destinati ai detenuti. La P.A. poneva a motivo del provvedimento di decadenza il fatto che la richiesta di autorizzazione all'utilizzo della sede formativa Casa Circondariale era stata presentata oltre il termine decadenziale previsto dal bando.
L'Ente di Formazione professionale proponeva ricorso al Tar Sicilia con il patrocinio dell'Avv. Gaetano Mattina, lamentando una serie di vizi di legittimità rinvenibili nell'operato della P.A. tra cui il fatto che trattandosi di progetti riguardanti detenuti, la sede carceraria non poteva considerarsi occasionale, bensì necessitata con conseguente inapplicabilità di quelle norme previste dal bando solo per l'accreditamento delle sedi corsuali occasionali.
Il Tar Sicilia, Palermo, Sezione Prima, ritenendo fondate le censure formulate dall'Avvocato Mattina nell'interesse dell'Ecap di Agrigento ha accolto l'istanza cautelare contenuta nel ricorso sospendendo per l'effetto i provvedimenti impugnati. L'Ecap potrà quindi avviare presso la casa Circondariale di Agrigento i corsi " Addetto di Falegnameria" e "Addetto impianti elettrici civili" destinati ai detenuti.
di Michela Allegri
Il Messaggero, 9 novembre 2019
La Cassazione boccia la sentenza che riduceva la pena all'uomo perché aveva strangolato la ex "in preda a una tempesta emotiva". In primo grado la condanna a 30 anni, poi dimezzata dopo una perizia. Pena da ricalcolare, la sorella della vittima: volevo giustizia.
La tanto discussa "tempesta emotiva" che lo avrebbe travolto quando strangolò la ex fidanzata, non può essere una giustificazione per un delitto, soprattutto in un caso di omicidio. La Cassazione annulla - con rinvio - la sentenza di appello per Michele Castaldo, che nel 2016 aveva ucciso la compagna, Olga Matei, a Riccione.
La pena, che dai 30 anni disposti dal Tribunale era scesa in secondo grado a 16 anni, dovrà essere ricalcolata per quanto riguarda le attenuanti che erano state concesse all'imputato. Le stesse che avevano praticamente dimezzato la condanna: i giudici avevano dato peso a una perizia psichiatrica che aveva stabilito che Castaldo avesse agito, appunto, in preda a una "soverchiante tempesta emotiva e passionale" dovuta al suo vissuto.
Una sentenza choc che aveva dato il via a un'onda di manifestazioni e contro la quale ha fatto ricorso la procura generale di Bologna, sostenendo che la "gelosia" non possa essere un'attenuante in un omicidio. Secondo il ricorso presentato dal sostituto procuratore Paolo Giovagnoli, Castaldo uccise Olga perché era geloso e perse il controllo in preda all'alcol: la "tempesta emotiva" che investì l'imputato "altro non è se non la proiezione immediata della gelosia", un fattore che non può essere considerato nel calibrare la responsabilità penale, scrive il magistrato.
Ma ieri, in aula, le richieste del sostituto pg di Cassazione Ettore Pedicini sono state di senso opposto: ha sostenuto che il ricorso fosse "infondato", perché "gli stati emotivi e passionali possono essere valutati per la concessione delle attenuanti generiche, valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice del merito".
Ma la suprema Corte ha annullato la sentenza, disponendo un nuovo appello. I fatti risalgono al 5 ottobre 2016. Olga e Castaldo si frequentavano da un mese. Lei, 46 anni, moldava, da anni a Riccione, aveva deciso di lasciarlo perché era infastidita dai suoi controlli ossessivi. La sera dell'omicidio si erano visti, ma la donna era rimasta sulle sue posizioni. A quel punto, Castaldo la aveva strangolata e aveva tentato il suicidio.
In appello, la "tempesta emotiva" evidenziata dalla perizia aveva procurato all'imputato la concessione di attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti di aver agito per futili motivi e per gelosia. Oltre alla perizia, c'era anche il fatto che Castaldo avesse confessato, che fosse incensurato e che avesse intenzione di risarcire la famiglia della vittima.
Le motivazioni della sentenza di secondo grado erano uscite a ridosso dell'8 marzo e avevano fatto scalpore, suscitato proteste e manifestazioni. Ieri, dopo la decisione della Cassazione, sono arrivate le reazioni dei parenti: "Sono soddisfatta, volevo giustizia e speravo di ottenere una pena congrua", ha detto Nina, sorella di Olga. Con lei ha parlato l'avvocato di parte civile, Lara Cecchini: "Non prova odio nei confronti di Castaldo, ma il suo gesto ha distrutto tante vite. La sua, dei suoi familiari, dell'ex marito e della figlia di Olga".
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