di Riccardo Polidoro (Responsabile Osservatorio Carcere dell'Ucpi)
Il Garantista, 14 gennaio 2015
Uno schiaffo alle indagini. Le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello sulla morte di Stefano Cucchi, che il 31 ottobre scorso mandò assolti gli imputati, affermano chiaramente che l'attività svolta dalla Procura della Repubblica è stata carente e insufficiente. I giudici invitano l'ufficio inquirente a "svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse".
Dopo oltre 5 anni, dunque, è necessario ricominciare: le motivazioni della sentenza rappresentano anche uno schiaffo allo Stato. La Corte, infatti, sottolinea che "le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate ad un'azione di percosse e comunque ad un'azione volontaria". Con la sentenza di secondo grado viene confermato dunque un unico dato: la responsabilità istituzionale. Ma non vi è certezza su chi materialmente compì quegli atti vigliacchi e disumani su un giovane inerme che, in quel momento, era affidato ad apparati dello Stato. La vicenda giudiziaria si presta ad una serie di riflessioni.
La prima è l'importanza del grado di Appello. Irrinunciabile garanzia in un Paese democratico che vuole effettivamente assicurare ai cittadini un processo giusto che, nel contraddittorio delle parti, accerti la verità dei fatti. Solo il riesame della sentenza di primo grado può consentire di evitare la probabilità di errori e l'avvicinarsi, quanto più è possibile, alla realtà di quanto effettivamente accaduto. Va poi rivalutata e rafforzata l'udienza preliminare, da sempre ridotta ad un mero passaggio di carte tra la Procura e il Tribunale.
L'esame della "richiesta di rinvio a giudizio" da parte del Giudice è, quasi sempre, solo formale e mai sostanziale, laddove innanzi a una richiesta di rito abbreviato il processo viene rinviato per consentire lo studio degli atti. L'udienza preliminare dovrebbe, invece, essere il momento in cui, finalmente, il Giudice terzo valuta il lavoro svolto in solitudine dalla Procura e dice se le indagini sono state ineccepibili, ovvero meritano integrazioni, e se gli imputati devono affrontare il processo o essere prosciolti.
Le considerazioni di diritto devono, però, nel caso di Stefano Cucchi essere messe da parte, perché è prevalente evidenziare che l'iter processuale sino ad ora svolto ci ha lasciato un'unica certezza: si è trattato di un omicidio di Stato. Sia la condanna in primo grado, sia l'assoluzione in secondo, evidenziano tale drammatico dato, dinanzi al quale vi sono evidenti responsabilità politiche.
Da tempo le Camere penali denunciano quanto accade negli istituti di pena e nelle celle di sicurezza dei Tribunali. Innumerevoli sono state le archiviazioni dovute all'impossibilità d'indagare effettivamente, dinanzi al silenzio delle persone e all'impenetrabilità degli spazi. Gli inviti ad una riflessione più ampia sull'uso troppo disinvolto della custodia cautelare e sulla spesso inutile privazione della libertà personale, nonché sull'incapacità delle istituzioni di operare la necessaria sorveglianza sull'integrità fisica di chi è privato della libertà, hanno trovato insormontabili ostacoli dovuti ad una facile vena giustizialista priva di etica e lontana dalla cultura di civiltà, non solo giuridica, del nostro Paese.
Occorre una maggiore trasparenza istituzionale, che consenta di avvicinare i cittadini alle problematiche relative alla detenzione, affinché i diritti di colui che è ristretto siano sentiti come i diritti di tutti e la loro violazione sia fonte di una corale e civile protesta. Riaffermare con forza la centralità del diritto e della dignità della persona è un dovere politico, altrimenti anche l'auspicata introduzione nel nostro ordinamento del delitto di tortura servirà solo ad "accontentare" l'Europa, che la chiede, ma non ad evitare che altri crimini, come quello che ha visto soccombere Stefano Cucchi, restino impuniti.
di Federica Angeli
La Repubblica, 14 gennaio 2015
La procura di Roma potrà riaprire le indagini, si legge nelle motivazioni. Cosa ne pensa?
"Spero che qualcuno finalmente si decida a dirci chi è stato a ridurre così Stefano. Abbiamo questa sentenza che riconosce quel pestaggio e che nega che sia morto di fame e di sete però non c'è nessun colpevole. Da semplice cittadina mi chiedo: quale sarà il passo successivo?".
I medici sono stati "attenti nei riguardi del giovane" dicono i giudici.
"Quello che leggo mi lascia senza parole. Abbiamo avuto dei grandi luminari che nel corso del processo facevano dei convegni per dire "come abbiamo risolto il caso Cucchi". Bene: come lo hanno risolto il caso? Posso capirlo anche io?".
L'unica certezza giudiziaria è che Stefano fu picchiato. Quando secondo lei?
"Questo ce lo devono dire loro. Se avessi potuto farlo io non saremmo arrivati a questo punto".
"Si deve indagare sull'operato dei carabinieri". Avevate mai sollevato dubbi in questo senso?
"In realtà noi non abbiamo mai cercato dei capri espiatori. Noi con grande fiducia ci siamo messi nella mani della giustizia, la stessa che aveva ucciso mio fratello".
Quanto al fatto che non vi sia alcuna certezza sulla causa della morte?
"In Italia se si è uno dei cosiddetti ultimi si può morire senza una causa. La sola verità è che se non fosse arrestato non sarebbe morto".
Sulla sua pagina pubblica di Facebook ha attaccato, 12 ore prima delle motivazioni della sentenza, il procuratore Pignatone. Perché?
"Il mio non è un attacco a lui, sono preoccupata e mi auguro che se ora verranno svolte delle nuove indagini non siano mirate a difendere i pm".
In cosa avrebbero sbagliato i pubblici ministeri?
"Hanno sostenuto un processo in cui si voleva dimostrare che Stefano era morto di suo, non ho mai visto la capacità di ammettere che in fondo anche un magistrato può sbagliare e quindi si è andati al massacro, sostenendo che si trattava di lesioni".
Però in fondo hanno istruito un processo per la morte di suo fratello i pm, no?
"Ci dicevano "vedrete che sarete contenti". Ma contenti di cosa: di avere un processo che era già scritto? Il consulente della procura al tg5 prima ancora dell'inizio del processo, a incarico appena ricevuto, già dichiarava che era un caso di colpa medica".
Secondo lei come sono andate veramente le cose?
"Mio fratello è stato arrestato, è stato vittima di un pestaggio e poi del pregiudizio. Non l'hanno nemmeno guardato in faccia all'udienza di convalida. Sa chi è stato il vero assassino di Stefano? L'indifferenza e di indifferenza si può morire".
di Maria Nocerino
www.napolicittasociale.it, 14 gennaio 2015
Il ministro Orlando: "Il governo sta andando nella direzione giusta". "Poggioreale come esempio del superamento dell'emergenza sovraffollamento". Lo ha affermato oggi il ministro della Giustizia Andrea Orlando, presente a Napoli per il convegno promosso dalla Comunità di Sant'Egidio presso la casa circondariale intitolata a Giuseppe Salvia, dal titolo "2008-2014 - Riforma della salute in carcere: analisi, criticità e proposte".
Il carcere di Poggioreale, in effetti, attualmente ospita circa 1.900 persone, comunque di più della sua capienza massima (1.387), ma in numero nettamente inferiore rispetto all'anno precedente, quando si contavano circa 2.700 detenuti.
"Quasi mille detenuti in meno, una situazione impensabile fino a qualche tempo fa", così Orlando ha rivendicato gli ottimi risultati raggiunti in questo anno, a partire dal decreto cosiddetto "Svuota-carceri", per cui il numero complessivo dei detenuti presenti nelle carceri italiane è passato da 65mila a circa 54mila unità.
L'intervento del ministro Andrea Orlando
"Questo non vuol dire che non ci siano realtà in cui è ancora presenti il fenomeno - sottolinea il responsabile di Grazia e Giustizia del governo Renzi - ma per il primo anno nel 2014 la Corte Europea ha riconosciuto il superamento dell'emergenza". Dopo aver ribadito l'equità di diritti e la parità di trattamento e servizi tra persone libere e persone private della libertà personale, il ministro ha annunciato: "Siamo alla vigilia di un profondo cambiamento del sistema, da realizzare attraverso il coinvolgimento attivo di tutte le parti, non solo degli esperti, ma anche di chi si occupa di sociale, lavoro, economia, cultura", convocando per i prossimi mesi degli Sati Generali in materia. La salute, intesa come "stato di benessere psico-fisico", dunque, è in cima alle priorità del governo e non solo, secondo il delegato della Giustizia, deve essere garantita ma anche sostenuta attraverso un ruolo attivo e propositivo di tutti, anche in termini di prevenzione e monitoraggio.
Lo stato dell'arte della riforma della salute nelle carceri
Ma a che punto è l'attuazione della riforma avviata dal decreto del 1 aprile 2008 (che segna il passaggio di competenza dell'assistenza sanitaria dal ministero della Giustizia alle Asl, ndr)? Quello che emerge dall'incontro di oggi è un quadro segnato da luci e ombre: alla riforma si sono sì allineate tutte le regioni italiane (fatta eccezioni per la Sicilia), ma ci sono ancora molti problemi, a partire dalla mancanza di risorse, sia economiche sia umane, da destinare al lento ma inevitabile processo.
"Nelle carceri napoletane ci sono solo due centri diagnostici, a Poggioreale e Secondigliano - ha spiegato Tommaso Contestabile, provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria Campania - ridotti a semplici infermerie. I detenuti se vogliono operarsi devono aspettare liste di attesa di oltre 6 mesi e comunque non hanno a disposizione che pochi posti negli ospedali partenopei". "La prima richiesta che ci fanno i detenuti - ha detto oggi Don Virgilio Balducchi, ispettore dei Cappellani delle carceri - è quella di farmaci, un po' perché ne hanno davvero bisogno, in alcuni casi in sostituzione delle sostanze stupefacenti, in altri come risposta alla depressione che, di per sé, il carcere produce nelle persone".
Le proposte
Una delle proposte venute fuori dal convegno di stamane è quella di prevedere all'interno del nascente Ospedale del Mare un reparto capace di accogliere, in maniera adeguata, la popolazione carceraria di Napoli. Oltre a Contestabile, a parlarne è stata la garante dei diritti dei detenuti della Regione Campania, Adriana Tocco, che ha anche lanciato un appello "per la sospensione della pena o il ricorso ai domiciliari nel caso di patologie particolarmente gravi, come quello di persone che devono affrontare chemioterapie o dialisi, o che hanno subito un ictus e sono rimaste paralizzate". Un invito a vigilare, invece, arriva dal mondo del volontariato, rappresentato stamattina da Stefania Tallei, della Comunità di Sant'Egidio: "I direttori degli istituti devono monitorare le condizioni di salute dei detenuti, anche se non ne hanno più la stretta responsabilità e competenza".
Il ruolo della Regione Campania
"Il punto non è tanto di chi sia la competenza, ma il modo in cui si garantisce la giusta accoglienza alle persone private della libertà", ha precisato Ernesto Esposito, direttore generale dell'Asl Napoli 1, che ha anche prodotto un opuscolo sul tema (L'offerta assistenziale di sanità penitenziaria in Asl Napoli 1 Centro).
La Regione Campania dal canto suo non può fare molto se non ci sono fondi a livello centrale. A sostenerlo nel corso dell'incontro, moderato da Antonio Mattone della Comunità di Sant'Egidio, è stato il governatore della Campania, Stefano Caldoro: "Come in un sistema di vasi comunicanti, la nostra regione dipende strettamente dalle altre e dal livello di spesa che si decide di destinare al livello territoriale. La popolazione ristretta, come quella carceraria, ha lo stesso diritto alla cura del resto della popolazione e così vive anche gli stessi problemi e le stesse criticità generali".
La Comunità di Sant'Egidio
La Comunità di Sant'Egidio è presente in 17 carceri italiane (Lazio, Campania, Toscana, Liguria, Piemonte). Svolge, tra gli altri, interventi di prima assistenza: distribuzione di generi di prima necessità, divenuti indispensabili e addirittura richiesti dalle amministrazioni, a causa del sovraffollamento e dei tagli; colloqui di sostegno e orientamento, espletamento di pratiche burocratiche, ricerca di lavoro e di sistemazioni alloggiative al momento dell'uscita dal carcere; informazione, orientamento sui contenuti delle normative, degli ordinamenti penitenziari e sulla loro applicazione; animazione culturale e sociale; visite a detenuti e sostegno in regime di detenzione domiciliare; corrispondenza epistolare con circa 500 detenuti in carceri lontane; mediazione culturale e monitoraggio del rispetto dei diritti della persona.
di Claudia Procentese
Il Mattino, 14 gennaio 2015
"Il 2014 è stato l'anno del superamento dell'emergenza sovraffollamento, riconosciutoci dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. A Poggioreale ci sono mille detenuti in meno. Ma il 2015 deve essere l'anno perii ripensamento dell'esecuzione della pena, della concezione di carcere. È una battaglia culturale.
Per questo in primavera convocheremo gli stati generali sulla condizione carceraria per lanciare un messaggio al Paese: il carcere è parte, non un pezzo distinto della società". È l'annuncio fatto ieri dal ministro della Giustizia Andrea Orlando a conclusione dei lavori del convegno, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio nella casa circondariale di Poggioreale, sulla riforma penitenziaria che ha visto nel 2008 il difficile passaggio di gestione sanitaria al Ssn, ovvero alle Asl territorialmente competenti.
"Il paziente detenuto è un cittadino - ha sottolineato il Guardasigilli - e la tutela della sua salute è compito di chi ha disposto la privazione della libertà personale". "Il diritto costituzionale alla salute risulta difficile da garantire al Sud - ha spiegato il presidente della Regione Stefano Caldoro, intervenuto all'incontro moderato da Antonio Mattone: in Campania il deficit di personale è di 8mila unità, il solo peso pro-capite sul personale medico è di 524 euro, la media nazionale è di 664".
Di qui l'importanza della collaborazione tra Asl e Dap, poiché "non importa chi sia il suo datore di lavoro, il medico deve essere formato all'accoglienza" come ha ribadito Ernesto Esposito, direttore generale dell'Asl Napoli 1 Centro, illustrando i dati sull'offerta assistenziale distribuiti in opuscoli. Insomma, un lavoro inter-istituzionale perché "la cura ricade sulla qualità della pena, ma la pena può ricadere sulla qualità della cura" ha detto il direttore del carcere di Poggioreale, Antonio Fullone, tra i partecipanti al dibattito insieme a Antonio Bonaiuto, presidente della Corte d'Appello di Napoli, al procuratore capo Giovanni Colangelo, e ai relatori (Adriana Tocco, garante dei detenuti Regione Campania, Carmine Antonio Esposito, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Roberto Di Giovanpaolo, presidente nazionale Forum Salute dei detenuti, Liberato Guerriero, direttore dei carcere di Secondigliano, don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri, Ornella Favero di Ristretti Orizzonti, Stefania Tallei della Comunità di Sant'Egidio, Franco Milani del Gruppo tecnico interregionale Lombardia Sanità penitenziaria, Alessandro Barbano, direttore de "Il Mattino").
Tommaso Contestabile, provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria denuncia: "A Napoli abbiamo due centri clinici penitenziari ridotti ad infermerie, lunghe le liste d'attesa per i ricoveri". "Il medico non deve occuparsi solo della prestazione ma di tutto il contesto - ha detto il vice capo del Dap Francesco Cascini - così come il direttore deve vigilare sulla corretta cura ai detenuti. La questione sovraffollamento non si riduce ai metri quadrati, ma investe l'accesso totale ai servizi".
Cura e custodia. Binomio più sofferto nel caso degli Opg. "È l'ultima proroga - ha ribadito Orlando, che al cardinale Sepe ha offerto un finanziamento per un progetto lavorativo da presentare durante la visita di Papa Francesco - e le Regioni che non provvederanno entro marzo alla loro chiusura saranno commissariate. La Campania ha dato una risposta rapida e convincente".
Askanews, 14 gennaio 2015
"Perché Fabrizio Corona è ancora in prigione? Perché? È puro accanimento. Ma di che cosa stiamo parlando? Di un ragazzo che ha fatto qualche fotografia ed è fuggito a bordo di una Fiat 500 in Portogallo? Suvvia. Se non lo liberano, se non gli consentiranno di accedere a misure alternative al carcere, se non avrò la possibilità di ospitarlo nella mia comunità, racconteremo una triste storia della giustizia italiana".
Così, sul numero di "Chi" in edicola domani, Don Antonio Mazzi, fondatore della comunità Exodus, svela un retroscena del percorso giudiziario di Fabrizio Corona, che sta scontando una pena di 9 anni e 8 mesi nel carcere di Opera.
Il prossimo 22 gennaio, infatti, il tribunale di sorveglianza di Milano discuterà l'istanza di detenzione domiciliare presentata dai difensori dell'ex agente fotografico. "Non voglio nemmeno pensare che la richiesta non venga accettata", prosegue don Mazzi.
"Ho visto Fabrizio di recente. Ha attraversato un mare in tempesta. Non sta bene. La magistratura lo ha trasformato in un caso chissà per quali motivi. Non è un terrorista, non è un mafioso. Si sta facendo la galera per un reato morale.
La magistratura è scivolata su una banalità. Io sono incazzato. Nella mia comunità ho ospitato Erika De Nardo, che ha ucciso madre e fratellino (il delitto di Novi Ligure, ndr). Per il duplice omicidio è stata condannata a sedici anni. Due in più di quelli comminati a Corona, che era stato condannato a quattordici anni, ora commutati a nove anni e otto mesi. A Natale, dopo aver celebrato la messa in carcere, non l'ho visto bene.
Sono pronto da anni ad accogliere Fabrizio qui. I magistrati hanno la documentazione in mano che dimostra come la comunità Exodus sia idonea per recuperare il detenuto Corona. Qui da me lo aspetta la palestra. Il suo ruolo sarà quello di far sudare i miei "ragazzi disperati", che non hanno voglia di faticare. Il suo compito è già pronto. Lo aspetto, anzi lo aspettiamo qui".
di Roberto Maggio
La Stampa, 14 gennaio 2015
Una struttura "estranea ad ogni ipotesi di sovraffollamento". Così il consigliere regionale Gabriele Molinari definisce il carcere di Vercelli al termine della visita ispettiva svolta ieri. Ad accompagnarlo, anche se per un cavillo burocratico non sono potuti entrare tra le celle, l'esponente vercellese dei Radicali Rosita Flaibani e il presidente dell'associazione radicale "Adelaide Aglietta" Igor Boni, che hanno illustrato alcuni dati riguardo il Biliemme.
Attualmente la casa circondariale ospita 213 detenuti: 109 sono stranieri (in prevalenza marocchini, albanesi e rumeni), mentre gli italiani sono 104. Un totale ben al di sotto della soglia di tolleranza (417), della capienza regolamentare (230) e dei picchi registrati negli anni scorsi, quando il carcere ha avuto punte di 350-400 reclusi. Questo merito della sentenza Torreggiani del 2013, con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha giudicato le condizioni dei detenuti italiani una violazione degli standard minimi di vivibilità. E grazie anche ad una razionalizzazione della popolazione carceraria a opera della Regione.
Rimangono però problemi di organico: secondo i dati forniti dai Radicali, dei 23 sovraintendenti previsti per Vercelli ce ne sono 8. Del 26 ispettori disposti dalla legge, ce ne sono 6. "Sono presenti anche danni strutturali al Billiemme - continua Boni: ci sono infiltrazioni di pioggia e alcune perdite. Ci sono da rifare completamente le docce".
I 180 uomini e 33 donne vivono in celle da 9,5 metri quadri, aperte (e quindi possono circolare liberamente) dalle 9 alle 19,45. I colloqui con i parenti si svolgono 6 giorni alla settimana (prima erano 3), i detenuti dispongono di una palestra e di una piccola biblioteca, anche se c'è sempre bisogno di donazioni, sia di libri che attrezzi. Prossimamente nel carcere di Vercelli, cha ha un direttivo di sole donne, potrebbe arrivare addirittura un corso di zumba.
Salerno Notizie, 14 gennaio 2015
Il segretario di Radicali Salerno, Associazione "Maurizio Provenza", Donato Salzano sospende all'11° giorno, ma non interrompe la lotta per gli obbiettivi del grande Satyagraha di Natale condotto dalla sete di Marco Pannella per "lo Stato di Diritto contro la ragion di stato, amnistia e indulto" e per chiedere il processo per il caso di Carmine Tedesco, detenuto deceduto nel novembre 2012 alla sezione detentiva dell'ospedale S. Leonardo, in circostanze ancora tutte da chiarire.
Si sospende il digiuno grazie alla volontà di dialogo del Sindaco De Luca e dell'Arcivescovo Moretti, che riceveranno nei prossimi giorni una delegazione Radicale con la vedova Tedesco, ma non s'interrompe la lotta, anche perché non ha ancora avuto una risposta la richiesta urgentissima d'incontro con il Procuratore della Repubblica di Salerno Corrado Lembo per chiedere di avocare a se il fascicolo del "Tedesco" e con la Presidente Maria Antonia Vertaldi del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, sulla premialità e il risarcimento della pena.
Dichiarazione di Salzano: "Come non mai vicino in queste ore di Satyagraha alla Comunità Penitenziaria di Fuorni, all'agente e l'infermiere recentemente feriti sul proprio lavoro, alle ragioni condivise di Emilio Fattorello del Sappe e Lorenzo Longobardi della Uil-Pa Penitenziari. Oramai da tempo difficile comprendere chi sia il torturato e chi il torturatore, tutti vittime della stessa pena, anche chi detenuto non è. Appunto di questa detenzione illegale contro lo Stato di Diritto e le convenzioni internazionali su i diritti umani.
Sospendo il digiuno, ma non interrompo la lotta, a partire dal caso Tedesco come per i casi Cucchi, Perna e Mastrogiovanni, emblematici per la violazione dei trattamenti inumani e degradanti, ma se per i primi si è riusciti ad ottenere un processo, per il ladro di biciclette di Montecorvino, la volontà del magistrato è quella di chiudere frettolosamente in istruttoria. Pensare che l'ipotesi di reato è l'omicidio colposo, grazie e soltanto perché questo Parlamento d'irresponsabili non ha ancora deciso di approvare una legge che colpisca "la tortura", in violazione di ogni trattato internazionale in materia.
Il dialogo nonviolento accolto dal Sindaco De Luca e dall'Arcivescovo Moretti, ma non ancora dal Procuratore Lembo e dalla Presidente Vertaldi, per chiedere Stato di Diritto ed effettiva pratica dell'obbligatorietà dell'azione penale, vestire gli ignudi e dare da mangiare gli affamanti, perché beati sono coloro che perseguitati a causa della giustizia, infatti proprio per questo di essi è il regno dei cieli. Lì appunto la Chiesa di Papa Francesco, quella povera e per i poveri, dove vivono quei poveri Cristi, ultimi tra gli ultimi. Indispensabile quindi come minimo garantire loro i livelli essenziali d'assistenza sanitaria così da poterli garantire a tutti. La banalità del male è quando non si garantiscono neanche più i giorni di premialità di fine pena ne i risarcimenti per la tortura resa da questo Stato torturatore, come invece senso di umanità vuole, costituzione e trattati internazionali sanciscono.
La fame e la sete di Diritto, di Verità e Giustizia di Marco Pannella, di oltre seicento tra compagni Radicali, agenti di polizia penitenziaria, personale amministrativo e sanitario, volontari e cappellani, detenuti e i loro familiari, tutti nel dare forza a costoro che violano le leggi che loro stessi si sono dati. La stessa di Anna Sammartino vedova del sig. Tedesco, quando dice: "Mio marito era in custodia dello Stato e me l'hanno restituito morto".
La speranza per lo Stato di Diritto è riposta nell'abnegazione dei tanti agenti di polizia, ma soprattutto nei tanti magistrati onesti, rispettosi della divisione dei poteri, una di questi è sicuramente la nostra Renata Sessa, un Giudice a Berlino. Spes contra Spem!"
www.laprimapagina.it, 14 gennaio 2015
Sabato 31 gennaio 2015 alle ore 11 presso il Nuovo Complesso Penitenziario di Capanne, il Lions Club Perugia Concordia consegnerà due cuccioli di cane Labrador, Mirto e Margot, a quattro detenuti che si occuperanno, nel rispetto del Protocollo della Scuola per Cani Guida Lions di Limbiate, della loro socializzazione.
Il programma Prison Puppy Raiser (Far crescere un cucciolo in prigione) si pone a supporto del Programma Lions "Cani Guida per non-vedenti". Il progetto è completamente finanziato dal Lions Club Perugia Concordia sino alla donazione dei cuccioli alla Scuola per Cani Guida Lions. Il carcere fornirà lo spazio ed affiderà ai detenuti la cura e l'accompagnamento interno dei cuccioli, che potranno muoversi in ogni spazio dell'Istituto Penitenziario, con esclusione delle zone di sicurezza.
Gli istruttori cinofili della Scuola per Cani Guida Lions di Limbiate formeranno i detenuti affinché siano in grado di insegnare ai cuccioli i comandi utili all'interazione con gli umani, nonché nozioni sulla gestione e cura dei loro piccoli nuovi amici.
Accudendo i cuccioli nella prima fase della loro vita, i detenuti si sentiranno utili per i non-vedenti di cui gli animali diventeranno successivamente guida. Negli Stati Uniti, ove il programma Leader Dogs for the Blind, lanciato nel lontano 2002, interessa oggi 6 case circondariali, ha importantissimi risvolti umani e sociali in quanto i reclusi selezionati per il programma, una volta liberi, sono meno inclini ad essere coinvolti in situazioni illegali e sono molto motivati nel loro nuovo compito di educatori/formatori, sapendo che il ruolo da loro svolto in qualità di Puppy Raiser sarà determinante per la crescita equilibrata del cane. Partecipano al programma la società svedese "Husse", tramite il rappresentante di zona Gianguido Colato, che fornirà gratuitamente l'alimentazione, ed il veterinario Prof. Stefano Arcelli. I cuccioli, attentamente selezionati nell'allevamento Enci "Rosacroce Wanals di Perugini Massimilano", vivranno il carcere come una famiglia molto numerosa.
di Stefano Origone
La Repubblica, 14 gennaio 2015
Un detenuto nigeriano ha aggredito il suo compagno di cella. La Uil Penitenziari denuncia: sovraffollamento e carenza di agenti penitenziari. È avvenuto nei pochi metri quadrati di un "cubicolo", una cella 'microscopica' dove i due sono rinchiusi nel carcere di Marassi. Un detenuto nigeriano ha aggredito il suo compagno di cella, un romeno, staccandogli a morsi un orecchio.
Vecchi rancori, ma soprattutto la rissa senza esclusioni di colpi è avvenuta a causa del sovraffollamento che da anni colpisce il carcere e che ha raggiunto numeri da record. "Sono presenti circa 700 detenuti - denuncia Fabio Pagani, segretario regionale del sindacato Uil Penitenziari - su una capienza di 450".
Uno scenario che si ripete con inquietante continuità. "Le nostre prigioni sono gironi infernali, in cui il personale di polizia penitenziaria deve lavorare rischiando la propria incolumità. Voglio ricordare che lavorano 290 poliziotti su un organico previsto di 410". Detenuti costretti a vivere in celle in cui i letti a castello toccano i soffitti. "Occorre restituire dignità non solo a chi nelle carceri lavora, ma anche ai detenuti, ammassati in spazi disumani".
www.castellinews.it, 14 gennaio 2015
"Nel penitenziario di Velletri l'altro ieri nel pomeriggio, verso le ore 16:30 in una delle sezioni detentive che ospitano 52 detenuti scoppia una rissa fra detenuti italiani e albanesi, ad avere la peggio è stato un detenuto albanese, solo grazie al intervento tempestivo dell'unico agente di Polizia Penitenziaria addetto al controllo della sezione che gli ha evitato il peggio riuscendo a limitargli i danni, se le cavata con un taglio profondo lungo 10 centimetri sul volto ed ematomi in varie parti del corpo.
Nei giorni scorsi - si legge in una nota dei delegati del sindacato Sippe nella casa circondariale di Velletri, Carmine Olanda e Ciro Borrelli - nel penitenziario di Velletri, grazie sempre alla elevata capacità professionale dell'Agente e del medico di turno che ha praticato un lungo massaggio cardiaco è stata salvata la vita a un detenuto Italiano in arresto cardiorespiratorio, subito dopo trasportato in eliambulanza presso l'ospedale di Latina per le cure del caso".
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