di Andrea Carotenuto
Il Secolo XIX, 24 giugno 2019
Un incontro-seminario dell'Ordine dei Giornalisti della Liguria sulla vita in carcere e sulle problematiche legate alla detenzione e al reinserimento dei detenuti. Dai luoghi comuni che viaggiano sui social a "sproposito" del carcere e dei suoi ospiti alla denuncia del mancato rispetto delle "pene alternative" che potrebbero ridurre la popolazione carceraria e sino agli interventi che molte associazioni portano all'interno delle mura carcerarie per rendere più umana e davvero riabilitativa l'esperienza della detenzione.
"Parole che liberano" sono quelle pronunciate nella sala dei Chierici, alla Biblioteca Berio, dai molti ospiti del convegno, organizzato dall'Ordine dei Giornalisti insieme a molte realtà collegate alle attività di recupero e volontariato e che ha affrontato il tema sotto più punti di vista ma con la stessa attenzione per i soggetti di cui spesso si parla - e a sproposito - ma senza voler approfondire.
Il seminario ha ospitato al mattino i contributi dei protagonisti del lavoro in carcere, professionisti e volontari, nei diversi ruoli sociali, di sorveglianza e di recupero e reinserimento. Ad introdurre l'argomento la proiezione di un video informativo, realizzato dall'associazione Antigone per sfatare le "fake news" che circolano attorno alla Giustizia italiana e al mondo del carcere.
Sfatato il mito secondo cui il numero dei reati è in costante aumento e le carceri sarebbero luoghi "di riposo" nei quali i delinquenti vivono "come in albergo". L'associazione Antigone ha chiarito che il numero dei reati è in costante diminuzione e che il numero di indagati che finisce dietro le spalle in Italia è tra i più alti d'Europa, paragonabile a quello della Francia e più addirittura doppio rispetto alla Germania o al Belgio.
Pochi e ben inferiori al possibile i "permessi" e le autorizzazioni a scontare la pena in modo diverso dal carcere. Un problema che anzi viene denunciato ad ogni occasione in quanto l'Italia è inadempiente rispetto a queste possibilità che, oltretutto, consentirebbero di alleggerire il peso del numero dei detenuti in ogni carcere.
Luoghi dove non si vive come in un albergo visto che in buona parte di essi non c'è doccia nelle celle, il bagno è spesso vicino ai letti o addirittura ai luoghi dove si mangia e dove manca spesso persino l'acqua calda. Da sfatare anche la necessità di nuove carceri visto che si potrebbero invece attuare le leggi che consentono di scontare le cosiddette pene alternative che potrebbero anche ridurre il fenomeno della recidiva che si innesca con la detenzione in carcere.
"Un nuovo carcere costa almeno 25 milioni di euro - è stato spiegato - ed ogni carcerato costa alla collettività circa 136 euro al giorno, sarebbe quindi preferibile lasciar scontare ai detenuti la pena in modo diverso e più "produttivo", ad esempio con corsi di formazione e di reinserimento".
"Misure che già esistono - ha spiegato Ramon Fresta, educatore del Centro di Solidarietà di Genova (Ceis) da tempo impegnato in progetti di recupero - ma molto lavoro deve ancora essere fatto e deve cambiare la sensibilità comune sull'argomento. Noi crediamo in un percorso che porti a tener lontane le persone dal carcere anche e soprattutto fornendo una formazione e una preparazione al re-inserimento nella Società che passa anche attraverso il lavoro". Nel pomeriggio c'è stato il confronto con due ospiti di Pontedecimo e Marassi autori di due libri testimonianza che vedono ufficialmente la luce proprio in occasione del seminario. Insieme a loro anche il contributo di don Giacomo Martino, cappellano in carcere a contatto con storie personali tragiche e profonde.
Spazio anche all'esperienza terapeutica e formativa del Teatro Sociale dell'Arca, il primo teatro costruito direttamente dentro le mura di un carcere, a Genova. Anna Solaro, regista e teatro terapeuta, ha raccontato dell'esperienza straordinaria dei corsi di teatro e dell'attività di incontro e confronto con detenuti anche per reati particolarmente "odiosi" come le violenze sulle donne ed ha raccontato di persone in realtà fragili, spesso abusate a loro volta da piccole e con storie terribili alle spalle e che oggi si definiscono con il numero che identifica il reato che hanno commesso. Persone che possono e devono essere recuperate anche attraverso un percorso di rieducazione al sentimento e alla gestione delle proprie emozioni e che non possono semplicemente essere reclusi tra le sbarre di un carcere.
sienafree.it, 24 giugno 2019
Musica ed emozioni oltre le sbarre. La Festa della Musica del Franci fa tappa nella Casa circondariale di Siena con uno speciale concerto dedicato ai detenuti dell'istituto di pena senese. Oggi in occasione della Festa europea della musica, evento nato in Francia per celebrare il solstizio d'estate, i giovani musicisti del Conservatorio Rinaldo Franci si sono esibiti sul palco dell'auditorium del carcere di Santo Spirito. Protagonisti della speciale performance sono stati Francesco De Luca e Leonardo Binazzi alla chitarra con un programma musicale dedicato a Johann Sebastian Bach, Joaquín Rodrigo e Mario Castelnuovo-Tedesco.
"Portare la musica tra le persone e in vari luoghi della città è una delle missioni del nostro Conservatorio - ha detto Miranda Brugi, presidente del Conservatorio Rinaldo Franci di Siena - Siamo convinti che fare musica insieme sia un ottimo esercizio di crescita umana e professionale anche per i nostri ragazzi.
La musica ha un linguaggio universale, capace di superare ogni barriera e soprattutto capace di emozionare tutti. Il mio ringraziamento va al direttore e a tutto il personale della Casa Circondariale di Siena con cui in questi anni abbiamo avviato un percorso di collaborazione che contiamo di portare avanti anche per il futuro".
"Sono molto lieto che per il terzo anno consecutivo gli allievi del Conservatorio Rinaldo Franci di Siena si siano esibiti a beneficio dei detenuti per celebrare in carcere la Festa Internazionale della Musica - ha commentato Sergio La Montagna, direttore della Casa circondariale di Siena -. Ringrazio, pertanto, vivamente la presidente e il direttore del Conservatorio per l'attenzione che anche in quest'occasione hanno voluto riservare ai detenuti della Casa circondariale: un'iniziativa che si ripete e che concorre a tener viva la sensibilità emotiva di quanti rischiano di essere inariditi dalla reclusione".
di Andrea Zanello
La Stampa, 24 giugno 2019
Pranzo preparato per le autorità: l'esame di qualifica dopo il corso seguito con l'Alberghiero di Gattinara. La croccantezza e la ricchezza del tomino fritto opposto alla leggerezza della zucca accompagnata alla burrata, per passare poi alla freschezza di un gazpacho con riso Carnaroli e chiudere con la golosità di una sfogliata con salmone.
Che languorino: roba da alta cucina, viene da pensare. Ed è solo l'aperitivo del pranzo preparato dai detenuti della casa circondariale di Vercelli che hanno sostenuto l'esame di qualifica dopo avere seguito il corso di studi dell'istituto alberghiero Mario Soldati di Gattinara. Dal 2004 la scuola ha attivato le lezioni con un progetto coordinato dal professor Paolo Baltaro. Facendo i conti, tra trasferimenti in altri penitenziari e rilasci per fine pena, in questi anni si sono diplomati decine di detenuti alla casa circondariale di Biliemme.
Giovedì scorso l'ultima classe ha preparato un pranzo, guidata dal professor Lucio Salvatore. Oltre al ricco aperitivo, dalla cucina del carcere sono usciti per gli oltre venti commensali un'insalata d'orzo con clorofilla di rucola e una sfoglia con gelato e frutta di stagione. "Ragazzi, ricordatevi che qui siete giudicati solo come persone", è stato il messaggio ai detenuti che hanno sostenuto l'esame di qualifica.
Ad accogliere i partecipanti la direttrice del carcere Antonella Giordano. Il preside dell'istituto alberghiero Alberto Lovatto ha presentato l'attività mentre l'arcivescovo Marco Arnolfo ha benedetto il pranzo ricordando l'importanza "di avere cura di ogni fratello". Presenti anche esponenti di Coop, Donne Riso e Assopace che hanno dato importanti contributi per il progetto. Quattro dei detenuti che hanno seguito e terminato il corso andranno a lavorare nelle cucine del carcere. Un quinto sarà trasferito a Verbania dove lavorerà all'interno del progetto di formazione per detenuti "Banda Biscotti".
di Ilaria Venturi
La Repubblica, 24 giugno 2019
Vittorio Lingiardi, psichiatra, professore di Psicologia dinamica alla Sapienza, commenta il susseguirsi di piccoli uccisi in famiglia: già quattro da inizio anno, cinque se la morte della bimba morta a Nocera Inferiore dovesse rivelarsi un omicidio, reato per il quale sono indagati da ieri i genitori.
Come si può arrivare a uccidere un figlio?
"Difficile pronunciare parole sensate di fronte al figlicidio. Clinicamente poco serio generalizzare a partire dai fatti di cronaca. Sono tragedie della genitorialità che hanno alle spalle storie terribili di maltrattamento e trascuratezza, traumi subiti e poi inflitti. A queste aggiungerei dei gravi elementi di contesto che possono concorrere a innescare la violenza: l'assunzione di droghe o di alcol, la miseria economica e spesso culturale, l'esasperazione di un conflitto di coppia".
Cosa scatta nella mente di un padre o di una madre che arriva a tanto orrore?
"Farei una differenza tra la violenza materna, che vedo più legata all'angoscia di non essere all'altezza di un ruolo, di un'aspettativa rispetto alla capacità di fornire la cura, e quella paterna, forse più legata a una posizione immatura riguardo all'acquisizione della responsabilità. Cioè padri che sono in realtà figli. Poi, in modi diversi, credo che ciò che scatena gli orrori della disregolazione emotiva sia l'incapacità di tollerare la dipendenza fragile e bisognosa del bambino".
Anche un pianto può innescare tanta violenza?
"Non è un caso che le percosse e i maltrattamenti siano spesso connessi al pianto incoercibile del piccolo. Un pianto, un bisogno di accudimento che mette a nudo l'impotenza del genitore. Una disperazione che si traduce in angoscia e violenza. Una violenza che si scaglia contro la fragilità e il bisogno. Del figlio e inevitabilmente di se stessi".
Ma cosa sta succedendo alla famiglia nel Paese del familismo per eccellenza?
"Un discorso lungo. Dico solo che quando si parla di famiglia, e ancor più di famiglia "naturale", bisognerebbe ricordarsi che il legame di sangue non è affatto una garanzia. Che essere genitori dovrebbe essere una scelta. E una scelta implica sempre la competenza e la responsabilità. La genitorialità è soprattutto una funzione mentale e affettiva legata alla capacità di fornire cure. Quello che oggi è in crisi".
di Maria Volpe
Corriere della Sera, 24 giugno 2019
Parte un nuovo programma su Sky "Caro Prigioniero", che racconta le relazioni tra celebri detenuti e i loro cari dove si svelano amori o sofferenze. In tempi di social e di amori che si consumano con un tweet, la lettera assume una valenza affettiva e amorosa ancora più profonda. Se poi questo scambio di missive avviene dentro le mura di un carcere, il gesto assume un significato vitale di amore e libertà.
Quelle lettere attese e desiderate - Ieri sera un documentario dal titolo "Caro prigioniero" su Sky Atlantic e Sky Tg24 alle 21.15, ha raccontato il mondo che ruota appunto attorno a un a lettera, scritta, inviata, attesa, sognata, desiderata, letta e poi riletta. Tra un detenuto e una donna fuori - che sia moglie, fidanzata, amante o addirittura una sconosciuta - oppure tra detenuti, un uomo e una donna in luoghi diversi all'interno dello stesso carcere. Un mondo tutto da scoprire. Con testimonianze importanti come quella di Raffaele Sollecito per anni detenuto con l'accusa di aver ucciso (con Amanda Knox) Meredith Kercher e poi assolto.
Raffaele Sollecito - "Ricevere una lettera in carcere ha un'importanza totale, perché riempie la giornata" dice Sollecito nel documentario. Raffaele, protagonista di un caso mediatico mondiale e oggi uomo libero, racconta lungamente la propria esperienza durante il periodo di detenzione. Spiega molto bene - con una buona dose di stupore e smarrimento - che la sua notorietà lo ha reso il destinatario di molteplici missive di tutti i tipi. Chi lo consolava ritenendolo innocente, chi condivideva con lui le sue sofferenze e infine chi lo amava o lo desiderava sessualmente proprio in virtù della sua (presunta) colpevolezza.
L'ex moglie di Vallanzasca - Un'altra testimonianza importante é quella di Antonella D'Agostino, ex moglie di Vallanzasca, che svela i segreti delle centinaia di migliaia di lettere ricevute da uno dei banditi più desiderati di sempre e come questa enorme mole di missive delle fan abbia influito sul suo rapporto a distanza con il marito detenuto.
In tutto ciò ovviamente sorge naturale la domanda: cosa spinge persone libere, con una vita al di là delle sbarre, a instaurare e coltivare relazioni - ancorché di penna - con personaggi pericolosi o presunti tali? Come possono nascere storie d'affetto e d'amore tra persone che spesso non si sono mai viste in faccia? Perché le donne provano attrazione sessuale nei confronti talvolta di efferati killer?
La criminologa - La criminologa Valeria Imbrogno, campionessa di pugilato e insegnante di boxe nel carcere di Bollate, ci aiuta a capire la genesi di quest'attrazione, raccontando anche tutti quegli amori via lettera che nascono tra detenuti delle sezioni maschile e femminile e che, alimentandosi di fantasia e solitudine, alla fine sono diventati realtà.
di Carlotta Rocci
La Repubblica, 24 giugno 2019
Una nigeriana di 24 anni arrestata alla stazione di Porta Susa si è sdraiata davanti all'ingresso della Casa circondariale. Da tre giorni vive davanti al carcere delle Vallette accampata su una panchina. "Voglio tornare dentro, non so dove andare", ha detto agli agenti che venerdì l'hanno scarcerata dopo la convalida del suo arresto. La giovane è una nigeriana di 24 anni trovata la scorsa settimana senza documenti e arrestata per resistenza. È stata portata in cella e scarcerata dopo 36 ore ma lei ha cercato di opporsi anche alla scarcerazione. "Non so dove andare" ha detto.
"Conosciamo la sua situazione e ci siamo attivati per risolverla - racconta la garante dei detenuti Monica Gallo che ha cercato enti e associazioni in grado di aiutare la donna - Questo pomeriggio ha provato a parlare anche una mediatrice culturale e i volontari della Boa tutte le notti passano a vedere se ha bisogno di qualcosa".
Anche gli agenti penitenziari questa mattina le hanno offerto la colazione. La donna, scalza e con un piumino bianco addosso nonostante il caldo, se ne sta seduta sulla panchina vicino alle cassette di sicurezza che ci sono davanti all'ingresso per i colloqui in carcere. Non parla e non risponde alle domande di nessuno. Ha una valigia blu e un sacchetto della spesa con i viveri che i volontari le hanno portato per sopravvivere. È rimasta all'addiaccio anche l'altro giorno durante il nubifragio. "Abbiamo provato in tutti i modi a darle assistenza - spiega il direttore del carcere, Domenico Minervini - Ci siamo attivati con chi è abituato a trattare in queste situazioni. Hanno provato a parlarle i cappellani, il dirigente sanitario, il garante dei detenuti, gli psicologi e i rappresentanti delle associazioni che si occupano di persone in difficoltà. È una situazione molto triste".
di Alex Zanotelli
articolo21.org, 24 giugno 2019
L'11 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto In-Sicurezza bis, proposto dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Un decreto ancora peggiore del primo con delle clausole che violano i principi fondamentali del diritto e dell'etica. Sì, è soprattutto l'etica che è colpita a morte in questo decreto che bolla come reato soccorrere una persona in mare, salvare un naufrago!! Per di più il Viminale potrà vietare ingresso, transito o sosta di navi con migranti a bordo nei nostri porti. Il comandante che disobbedirà sarà passibile di una multa dai10 ai 50 mila euro e il sequestro dell'imbarcazione.
Adesso stiamo con il fiato sospeso per vedere cosa succederà alla Sea-Watch che, dopo aver salvato 43 naufraghi, sta aspettando al largo di Lampedusa di attraccare in un porto italiano.
Siamo all'assurdo! È un dovere salvare un essere umano, un dovere che affonda le radici nella natura stessa dell'uomo che è in primo luogo un ospite, "uno straniero residente", come amava dire il filosofo Jacques Derrida.
Un dovere codificato nel diritto internazionale, ma anche nella tradizione ebraica: "Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi: tu lo amerai come te stesso" - Levitico (19,34) e cristiana: "Ero straniero e mi avete accolto" (Matteo 25, 35). Trovo incredibile che il Presidente della Repubblica abbia subito firmato un tale obbrobrio!
Anche perché questo Decreto contiene una norma ad personam cioè toglie il potere al procuratore di Agrigento L. Patronaggio di intervenire sulle navi salva vita e lo concede invece al procuratore di Catania C. Zuccaro, quello che non aveva visto alcun reato nel comportamento di Salvini per la "Diciotti".
È un abuso incredibile del potere politico! Ma questo decreto non è solo di Salvini e della Lega, ora è anche di Di Maio e dei Cinque Stelle, altrettanto responsabili per questa deriva razzista. Ma i Cinque stelle sono tutti concordi con Di Maio? Se qualcuno non lo è, perché non alza la voce? Il Decreto passerà ora al Parlamento. Per questo mi appello a tutti i parlamentari, in particolare ai Cinque Stelle, perché lo boccino.
Come mai la Lega e i Cinque stelle rispettano solo alcuni punti del "contratto", approvando addirittura un secondo decreto Sicurezza? Ma nel "contratto di governo", firmato da ambedue i partiti, la ripubblicizzazione dell'acqua è ancora al primo punto del contratto. E per i Cinque stelle è la loro prima stella!
Se il governo giallo-verde si definisce "sovranista", allora obbedisca a quello che il popolo sovrano ha deciso con 26 milioni di voti al Referendum del 2011: l'acqua deve uscire fuori dal mercato e non si può fare profitto sull'acqua! E intanto con l'art. 24 del decreto crescita si consegna l'acqua del Mezzogiorno ai privati. Che tradimento!
Eppure la Legge sulla gestione pubblica dell'acqua è ancora bloccata in Commissione e non si riesce a portarla in Parlamento. Mi appello al popolo sano di questo paese (e ce n'è tanto!) perché reagisca a questo sfascio umano e morale a cui questa politica ci sta portando.
Dobbiamo mettere da parte le nostre differenze e unirci, credenti e laici, per salvare la nostra democrazia, ma soprattutto la nostra comune umanità. Infine mi appello ai vescovi perché proclamino con chiarezza che il Vangelo di Gesù cozza con quello di Salvini. Davanti a questa discesa nel baratro del rifiuto dell'altro, chiedo ai vescovi di lanciare una campagna ecclesiale di preghiera e di digiuno.
È da un anno che un gruppo di preti, suore, missionari/e, incoraggiati dal vescovo emerito di Caserta, mons. R. Nogaro, ogni primo mercoledì del mese, digiunano davanti al Parlamento. Mai come in questo momento la preghiera e il digiuno diventano strumenti potenti per scacciare il demone del razzismo. In questo momento storico come cristiani abbiamo l'obbligo morale di esporci pubblicamente per permettere la nascita di un'umanità al plurale.
di Michele Farina
Corriere della Sera, 24 giugno 2019
Nel mirino le riforme del premier Abiy Ahmed. Il premier in tv con la tuta mimetica, la guida dell'esercito ammazzata dalle guardie del corpo ad Addis Abeba. Gli scontri nella regione di Amara. Giusto oscurare Internet? Alta tensione in Etiopia. Il capo delle Forze Armate è stato ucciso dalle guardie del corpo nella sua residenza di Addis Abeba, mentre secondo il governo è stato sventato un tentativo di colpo di Stato partito da Bahir Dar, capoluogo della regione settentrionale di Amara.
È stato il primo ministro Abiy Ahmed a parlarne alla tv domenica mattina. Abiy è apparso davanti alle telecamere in divisa, il volto teso. Il fallito golpe è iniziativa di un generale dell'esercito e di alcuni ufficiali. Secondo un portavoce governativo, è da iscriversi nello stesso complotto l'uccisione del generale Seare Mekonnen, ammazzato nella capitale nella serata di sabato. Anche un alto ufficiale in pensione, Gezai Abera, che si trovava con il generale Mekonnen nella sua casa, ha perso la vita per mano di una guardia del corpo che è poi stata arrestata. Fonti diplomatiche occidentali hanno confermato gli scontri a fuoco in una zona di Addis Abeba.
Il premier ha detto in tv che i due ufficiali sono stati uccisi mentre cercavano di fermare sul nascere un tentativo di colpo di Stato. Abiy ha accusato direttamente il capo della sicurezza nella regione a nord della capitale, Asaminew Tsige, di essere l'istigatore del fallito coup. Tsige era stato liberato all'inizio dell'anno scorso con altri militari a lui vicini, parte di una più generale amnistia che ha portato al rilascio di migliaia di oppositori e prigionieri politici. Prima di ricevere il nuovo incarico, Tsige era stato in galera per nove anni, proprio con l'accusa di tentato colpo di Stato.
Le violenze nella regione di Amara sono scoppiate sabato quando un gruppo di militari ha fatto irruzione in un edificio governativo di Bahir Dar, dove era in corso una riunione con il governatore della regione, alleato chiave del premier Abiy. Gli assalitori si sono poi dati alla fuga, braccati dalle forze armate fedeli al governo.
Amara è una regione cruciale per le dinamiche politiche del Paese-guida del Corno d'Africa, abitata in maggioranza dall'etnia omonima (la seconda del Paese) che costituisce circa il 30% dei 100 milioni di abitanti dell'Etiopia. I conflitti di carattere etnico sono aumentati negli ultimi anni. Il mese scorso si sono registrati decine di morti nell'ultimo round di scontri tra gruppi Amara e Gumuz, solitamente innescati da dispute per il controllo della terra. L'emergenza appare al momento rientrata, anche se l'allerta e le misure di sicurezza sono al livello massimo. Un segno evidente viene dalla decisione delle autorità di bloccare temporaneamente Internet, una scelta sempre più diffusa (e sempre discutibile) quando governi in difficoltà cercano di ristabilire l'ordine.
Il capo delle Forze Armate ucciso, Seare Mekonnen, era stato nominato dallo stesso Abiy nel 2018, quando il neo-premier aveva deciso un cambio della guardia senza precedenti alla testa dell'esercito e di altri gangli dell'amministrazione. Nelle file dei militari le tensioni legate ai movimenti separatisti si aggiungono a un malcontento diffuso.
Nell'ottobre 2018 lo stesso Abiy disse che centinaia di soldati avevano marciato sul palazzo del governo chiedendo un aumento di stipendio (con l'intenzione di ucciderlo). A giugno un attentato aveva fatto alcune vittime durante un comizio: l'obiettivo degli assalitori era proprio il giovane leader. Otto poliziotti sono stati arrestati in relazione all'attacco in una piazza centrale di Addis Abeba.
Abiy sotto minaccia: 42 anni, ex militare, ex capo del controspionaggio digitale, laura in informatica e master in economia, il premier è il primo rappresentante dell'etnia Oromo (maggioritario e marginalizzato nel Paese) a guidare l'Etiopia (da sempre governata dalla minoranza tigrina), alleato fondamentale dell'Occidente per la stabilità dell'Africa orientale. Il premier cresciuto in una famiglia religiosamente composita (mamma cristiana ortodossa e papà musulmano) ha portato una ventata di novità nella politica non solo nazionale.
Dalla pace con l'eterno nemico eritreo alla difficile mediazione in corso in Sudan, dove Abiy sta cercando di sostenere l'opposizione della società civile e frenare le mire dell'uomo forte del neo-regime di Khartoum, il generale Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemeti, ex allevatore di cammelli che deve la sua ascesa alle milizie Janjaweed responsabili di tanti massacri in Darfur.
Il potere di Hemeti poggia sulle sue squadracce e sul sostegno di leader potenti, a cominciare dal principe ereditario saudita Mohammad bin Salman (a cui ha mandato miliziani per la guerra in Yemen) passando per il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ex generale che ha guidato il colpo di Stato del 2013 al Cairo. In un contesto regionale sempre controllato da regimi autoritari, Abiy Ahmed rappresenta una figura atipica, una ventata di speranza. In molte capitali, le minacce alla sua leadership non devono certo dispiacere.
di Michele Ainis
L'Espresso, 23 giugno 2019
Lo scandalo Csm ha le sue radici nello scontro del 1993. Ed è la nemesi di Mani Pulite. Negli anni ruggenti della seconda Repubblica, il potere giudiziario scese in guerra - compatto come una falange - contro un nemico esterno: la politica. Adesso è in guerra con se stesso. Una guerra per bande, pardon, correnti.
camerepenali.it, 23 giugno 2019
L'attuale Governo dimostra uno stato confusionale e distruttivo sui temi della detenzione che desta allarme e preoccupazione, perché in totale contrasto con i principi costituzionali e con le più elementari regole di un Paese civile.