di Rosario Capomasi
L'Osservatore Romano, 23 giugno 2019
A Roma il seminario di formazione per i cappellani delle carceri. "La pastorale carceraria è cambiata perché sono cambiate le carceri, soprattutto con l'arrivo di un gran numero di migranti che purtroppo sono sempre più numerosi negli istituti di pena, ed è quindi necessaria una formazione più specifica dei sacerdoti che operano in quei contesti". Così don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane, ha illustrato a "L'Osservatore Romano" il terzo seminario di formazione dei nuovi cappellani delle carceri, in programma a Roma dal 24 al 26 giugno, che ha per tema "Chiamati a fasciare le ferite e a rialzare chi è caduto".
di Giuseppe De Tomaso
Gazzetta del Mezzogiorno, 23 giugno 2019
Meno male che Sergio c'è. Meno male che il presidente della Repubblica, da attento custode della Costituzione, vigila, come può, sui conti pubblici e sui racconti giudiziari. Altrimenti la confusione derivante dall'inosservanza delle regole e dallo stravolgimento dell'etica più elementare raggiungerebbe vette siderali.
La Nuova Sardegna, 23 giugno 2019
Appello del provveditore Veneziano al ministero: la situazione è esplosiva. Quattro direttori appena chiamati a guidare le dieci carceri isolane; carenza totale di dirigenti nel distretto dalle Sardegna. Se non è emergenza vera e propria, poco ci manca.
Tanto che è lo stesso provveditore regionale Maurizio Veneziano a scrivere una lettera-appello ai vertici del ministero della Giustizia, in particolare al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. "Presso la sede del Provveditorato (a Cagliari), il sottoscritto - sottolinea Veneziano - è costretto a operare con un dirigente contabile, inviato in missione dalla Puglia per alcuni giorni al mese e con un direttore dell'Ufficio Detenuti e trattamento che può garantire una presenza limitata ad alcuni giorni del mese". Su un organigramma che richiede 16 dirigenti sono soltanto 5 quelli che lavorano in Sardegna.
"Più volte abbiamo denunciato questo stato di cose e l'amministrazione, il Dap, ha attuato interventi tampone senza mai risolvere definitivamente il problema - interviene subito Giovanni Villa, segretario della Fns Cisl Sardegna. La Sardegna è la Regione messa peggio e come si può capire è impossibile garantire continuità operativa a 360° al sistema penitenziario isolano. Le relazioni sindacali hanno subito un drastico rallentamento e ciò non fa che peggiorare la già grave e incomprensibile situazione. Il Dap intervenga immediatamente - alza la voce il sindacalista - non tollereremo ulteriori ritardi considerato che il Sistema penitenziario sardo è ormai in caduta libera".
"La caratura criminale di molti dei detenuti assegnati alle varie sedi penitenziarie della Sardegna - aggiunge il provveditore Veneziano - è ben nota agli Uffici dipartimentali, così come è conosciuta la difficoltà gestionale delle due case circondariali più importanti, quella di Uta e quella di Sassari, che assorbono l'utenza più problematica delle aree metropolitane in cui insistono".
Fatta una panoramica sulla realtà delle carceri isolane, arriva l'amara conclusione di Veneziani: "La situazione, che era già drammatica, sta progressivamente e inesorabilmente diventando surreale, rendendo impossibile stabilire un criterio di distribuzione degli incarichi che abbia anche solo un minimo di razionalità. Per non parlare della grave iniquità che si determina a danno dei dirigenti, per via dell'impossibilità di concedere perfino le ferie arretrate relative all'anno 2018". Da qui la richiesta di un intervento immediato e risolutivo al direttore del personale e delle risorse del Dipartimento.
anconatoday.it, 23 giugno 2019
All'attacco dei magistrati. Una lettera di denuncia da parte dei detenuti, con i quali si schierano la Camera Penale di Ancona e il Garante dei diritti, che puntano il dito contro la magistratura del Tribunale di sorveglianza.
Sono detenuti, ma sono pur sempre persone. Sono uomini che stanno finendo di scontare il conto con la giustizia e, in vista del loro ritorno alla società, chiedono di poterne fare parte in maniera dignitosa, con un lavoro e una nuova vita. Ma per essere reinseriti, devono essere messi alla prova e preparati attraverso una serie di benefici: lavoro esterno con la possibilità di incontro con i familiari, permessi premio, detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi sociali. Tutte possibilità intorno alle quali i magistrati del Tribunale di Sorveglianza delle Marche hanno stretto più di un giro di vite, creando problemi burocratici per gli avvocati, aumentando tensione e insofferenza tra i detenuti prossimi ad uscire, ma soprattutto col rischio di diminuire le possibilità che quegli uomini, una volta fuori, possano trovare un loro nuovo equilibrio. La posta in gioco è la sicurezza sociale, infatti che guadagno ha la società negando una possibilità a chi torna libero?
I detenuti non riescono a trascorrere del tempo con la famiglia perché le poche ore di lavoro li escluderebbero dai colloqui familiari, quindi anche dalla possibilità di vedere i figli. Inoltre nella lettera vengono fatte presenti l'esiguità delle pene alternative concesse dalla magistratura, la limitatezza dei colloqui con i magistrati e un "no" categorico all'applicazione della legge 199, che prevede di scontare gli ultimi 18 mesi di pena in casa. È dunque alta tensione al carcere anconetano, dove i detenuti sono ormai in agitazione dopo il caso Zoppi.
Si legge così nella lettera che tutti i detenuti del carcere di Barcaglione hanno scritto e indirizzato al Ministro della Giustizia e al Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), denunciando una condizione indegna della vita in carcere e un trattamento eccessivamente severo da parte della magistratura di sorveglianza, nei confronti che, sono anche prossimi ad uscire.
La lettera, firmata da 70 detenuti, è arrivata alla segreteria della Camera Penale di Ancona che subito ha espresso la sua vicinanza ai detenuti, in sofferenza ormai da anni nelle celle dove, ogni tanto, riesplode in protesta
I detenuti lamentano una applicazione quanto mai rigida delle norme dell'ordinamento penitenziario da parte del Tribunale di sorveglianza di Ancona, norme create allo scopo di favorire il reinserimento dei detenuti giunti, ormai, alla fine del percorso custodiale - si legge in un comunicato a firma del presidente della Segreteria della Camera Penale, l'avvocato Fernando Piazzolla e gli avvocati Francesca Petruzzo e Gaetano Papa - Si tratta di persone che, condannate in via definitiva, hanno scontato la stragrande maggioranza della pena e si avviano verso l'uscita dal carcere, che hanno svolto un percorso controllato, guidato e costantemente osservato dalla struttura carceraria.
Si tratta di persone scrupolosamente monitorate dagli educatori del carcere e altrettanto scrupolosamente vigilate dalla Polizia Penitenziaria durante gli anni di detenzione. Si parla dunque di soggetti che, pur avendo commesso errori in passato, hanno raggiunto un traguardo di maturità e di coscienza degli errori commessi, tale da dover essere considerati non più socialmente pericolosi. I detenuti parlano di speranza, quella di poter ricominciare una vita fatta di normalità e di rapporti anche e, soprattutto, familiari. È chiaro che questa speranza va alimentata gradualmente, concedendo ai detenuti delle misure alternative alla detenzione che possano riavvicinarli progressivamente alla società.
L'ordinamento penitenziario e il codice penale contengono una normativa specifica che agevola questo percorso di reinserimento attraverso la concessioni di permessi (più o meno brevi) con delle prescrizioni che, se non ottemperate alla lettera, portano all'immediata revoca del beneficio. Pertanto il costante rigetto indiscriminato delle istanze provenienti dai detenuti crea un malanimo e una insoddisfazione negli stessi sempre maggiore e tale da alzare pericolosamente il livello di tensione e di pericolosità, alimentate dalla non condivisibile severità adottata dai Magistrati operanti nel Tribunale di Sorveglianza di Ancona.
Alla protesta dei detenuti, che la Camera Penale appoggia completamente, si deve aggiungere la protesta degli avvocati penalisti che sono costretti a registrare un atteggiamento dei magistrati che si pone al limite dello spirito di collaborazione. Infatti i colloqui tra magistrati e avvocati sono ridotti al minimo e spesso risultano indesiderati dai Magistrati stessi.
Ridurre all'osso e "burocratizzare" il contatto con gli avvocati significa far venir meno quello spirito di collaborazione tra gli operatori della giustizia, categoria della quale fanno parte anche gli avvocati che giurano fedeltà alla stessa Costituzione sulla quale giurano i magistrati. Continuare ad avallare l'idea che va oggi per la maggiore, perché ripetuto come un mantra dai governanti ovvero: "buttiamo via la chiave e lasciamoli in galera", significa lanciare un messaggio non aderente ai canoni costituzionali, capace di ingenerare insoddisfazione non solo negli avvocati ma anche nei detenuti che tanto, prima o poi, dovranno uscire dal carcere e far rientro nella società. Facciamo nostro il comunicato stampa del Garante dei diritti Andrea Nobili, unendoci alla sua volontà di incontrare il Presidente del Tribunale di Sorveglianza Filippo Scapellato. Chiaramente la Camera Penale di Ancona invierà la citata lettera alla Unione delle Camere Penali Italiane coinvolgendo fin da subito il rappresentante dell'osservatorio carceri dell'Unione stessa, l'avvocato Simone Mancini.
Le intenzioni del Garante Andrea Nobili - "È mia intenzione - sottolinea Nobili - informare di quanto sta accadendo il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, e di chiedere un incontro urgente al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Ancona, Filippo Scapellato, per un approfondimento delle problematiche poste in essere. È da precisare che quello di Barcaglione è un istituto a custodia attenuata che ospita detenuti a fine pena, che di fatto hanno perso la cosiddetta pericolosità sociale. I loro diritti, sempre tenendo conto di quanto contemplato dalla normativa vigente, vanno garantiti a tutti i livelli".
di Stefano Passigli
Corriere della Sera, 23 giugno 2019
A questo punto occorre procedere a un intervento radicale per modificare il ruolo delle correnti nella selezione dei membri del Consiglio Superiore. Quanto emerge dalle indagini della Procura di Perugia sul comportamento di numerosi membri togati del Csm, e sulla loro collusione con altri magistrati e con parlamentari, rischia di ledere irrimediabilmente un organo fondamentale per la tutela della indipendenza e autonomia della nostra magistratura, sino ad oggi considerato un unicum da prendere a modello in altri ordinamenti. Bene ha fatto il Presidente della Repubblica a intervenire fissando elezioni suppletive dei membri dimissionari, unica alternativa al ben più traumatico scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura. E bene si è comportato il vicepresidente Ermini. Sorprendente appare invece la reazione di Magistratura Indipendente, la principale corrente interessata dal fenomeno, e del tutto inadeguata la presa di posizione dei politici interessati dal fenomeno.
di Fabio Tonacci
La Repubblica, 23 giugno 2019
Vuoti, e a perdere. Oppure occupati, ma dagli inquilini sbagliati. Talvolta preda di senza tetto e cani randagi, altre volte di abusivi che, in assenza di controlli, fanno quel che vogliono. Roma Capitale, eternamente a corto di case e spazi per i suoi cittadini, non sa gestire i palazzi che ha strappato alla mafia.
Il Comune è proprietario di 70 immobili confiscati a boss e clan, eppure quelli "in regola" - cioè utilizzati, accessibili e amministrati realmente da chi li ha avuti in concessione - sono meno della metà. Appena 31. Una cifra che fotografa l'ennesimo, clamoroso, spreco di una città che non vede la fine della notte.
Le case abbandonate in centro - Il 14 marzo scorso la Polizia locale ha dato il via a una serie di verifiche sui beni confiscati, per i quali il Campidoglio ha l'obbligo del controllo e del monitoraggio. Diciotto gruppi di vigili urbani sono stati spediti a fare 86 sopralluoghi presso gli indirizzi indicati dal Comune, in diversi giorni e diversi orari, nell'arco di circa due mesi.
Repubblica ha avuto accesso ai documenti ufficiali che riportano, nel dettaglio, l'esito del censimento. Ben 18 immobili sono risultati vuoti e in fase di degrado. Alcuni sono in pieno centro storico, come l'alloggio di 63 metri quadrati in via della Mercede, che è sotto la responsabilità proprio del Gabinetto della sindaca Virginia Raggi. È vicino al Parlamento, venne confiscato al cassiere della Banda della Magliana Enrico Nicoletti, e l'idea era di farne uffici istituzionali: è chiuso da quattro anni.
O come un mega appartamento di 210 metri quadrati in via Federico Cesi, a due passi dalla Corte di Cassazione: sulla carta è stato assegnato all'associazione Andromeda, ma i vigili sono andati due volte senza trovare nessuno. "Non lo usano più da diversi anni", ha riferito il portiere. O, ancora, come l'alloggio di 139 metri quadrati di via Muratori vista Colosseo, che era della moglie di un boss della Camorra. Vuoto. Altri sono in zone più periferiche, ma il trattamento è lo stesso: incuria e abbandono.
Il terreno di 1.500 metri quadrati con un fabbricato in via Anagnina, ad esempio: da un paio di anni è in fase di assegnazione. "Immobile inutilizzato - scrivono i vigili - Si rilevano effrazioni ed è usato come ricovero notturno da parte di ignoti". Ci dormono tossicodipendenti e barboni, in altre parole. La coop di Mafia capitale In dieci casi, i beni confiscati e assegnati hanno delle irregolarità, per via della concessione scaduta, della presenza di manufatti abusivi, di subaffitti non autorizzati. Pure su Villa Osio, anch'essa del ricchissimo Nicoletti e che oggi ospita la Casa del Jazz, si allunga l'ombra della malagestione.
Al sopralluogo il parco era "in stato di abbandono", l'impianto di irrigazione fuori uso perché danneggiato anni fa durante una festa e mai riparato, uno dei tre edifici era deserto ma col riscaldamento acceso. Stavano costruendo un bar ristorante, e a fare i lavori aggiudicati con bando di gara c'era la Sapori Catering srl, i cui soci hanno precedenti di polizia per associazione a delinquere e frode in pubbliche forniture. Per questo, e per la gestione nel complesso, è stata fatta una segnalazione alla procura.
Per non dire, poi, dei sette immobili occupati o abitati dai precedenti inquilini in attesa di essere sgomberati. Al civico 97 di via delle Capannelle i vigili hanno trovato la cooperativa sociale Edera, colpita nel 2015 da interdittiva antimafia perché il titolare fu coinvolto nell'inchiesta Mafia capitale. Quella di Edera è una storia non semplice da chiudere, dato che impiegava 150 persone che rischiavano il posto di lavoro. Oggi però il settimo municipio di Roma reclama il luogo, e la coop è da sgomberare.
Raggi ne vuole altri settanta - Nel censimento compaiono anche situazioni che hanno una giustificazione. Il palazzo di via Quattro Novembre vicino a Piazza Venezia, confiscato al boss di Camorra Michele Zaza, pur assegnato all'associazione antimafia Libera, è chiuso da quasi un anno. "È la nostra sede legale - spiega Davide Patia, di Libera - ma i tecnici hanno scoperto che una parte è inagibile e bisogna intervenire sulle solette.
Cosa che faremo a nostre spese, coordinandoci col comune, poi torneremo lì. L'immobile per noi ha un valore speciale: fu uno dei primi ad essere confiscati a Roma e l'abbiamo dedicato alla memoria di Saveria Antiochia, la mamma del poliziotto Roberto Antiochia, assassinato da Cosa Nostra". La sindaca Virginia Raggi, dunque, ha un problema: un enorme patrimonio sottratto alle mafie, eppure dalla sua amministrazione mal gestito, quando non del tutto sprecato. Ma invece di investire risorse per salvare il salvabile, recuperando per l'emergenza abitativa la pletora di palazzi abbandonati in centro e in periferia, ne vuole di più.
Con la delibera di giunta del novembre scorso, Roma Capitale "ha manifestato interesse per altri 71 immobili confiscati presenti sul territorio urbano", ed è tornata a interpellare la Conferenza di servizi indetta dall'Agenzia nazionale e dalla prefettura di Roma. Come se quelli che il Comune ha già a disposizione fossero ben utilizzati. La realtà è l'esatto contrario, e racconta di una sconfitta per tutti, non solo per Roma: quando lo Stato si riprende la casa di un boss, e poi quella casa rimane vuota, decadente, o, peggio, occupata da abusivi, vincono loro. Vince la mafia.
inabruzzo.com, 23 giugno 2019
Giulio Petrilli diffonde un messaggio: "Appello ai parlamentari abruzzesi e ai consiglieri/e abruzzesi per recarsi nel carcere de L'Aquila e trovare una mediazione tra istituzione carceraria e le due detenute in sciopero della fame da 24 giorni Silvia Ruggeri e Anna Beniamino che protestano contro una situazione detentiva fatta di isolamento totale.
Non esiste ancora il garante dei detenuti ma loro hanno la possibilità' di entrare in carcere, lo facciano. La situazione è realmente estrema, lo sciopero della fame totale già per 24 giorni lascia dei segni irreversibili, immaginiamo se seguita. Molti non si rendono conto di questo. Lo sciopero della fame nelle carceri ha lasciato dietro diversi morti. Chi lo ha fatto fuori non è mai morto. Il mio è un invito urgente alle figure istituzionali alle quali è consentito di entrare nelle carceri.
di Agostino Siviglia*
Avvenire, 23 giugno 2019
Il carcere è considerato una "discarica sociale". Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Reggio Calabria è stato istituito con deliberazione del Consiglio Comunale n. 46 del primo agosto 2006 ed è stato contestualmente approvato il Regolamento, modificato con Delibera Consiliare n. 56 del 22 ottobre 2015, che ne disciplina l'esercizio delle funzioni, i requisiti, le modalità di nomina, nonché i requisiti e le modalità di nomina dei componenti del suo Ufficio.
Il Garante, in particolare, opera per migliorare le condizioni di vita e di inserimento sociale delle persone private della libertà personale mediante la promozione di iniziative di sensibilizzazione pubblica sui temi dei diritti umani e dell'umanizzazione delle pene delle persone comunque private della libertà personale.
Il Garante, svolge le sue funzioni anche attraverso intese ed accordi con le Amministrazioni interessate volte a consentire una migliore conoscenza delle condizioni delle persone private della libertà personale, mediante visite ai luoghi ove esse stesse si trovino, nonché con associazioni ed urbanismi operanti per la tutela dei diritti della persona, stipulando a tal fine anche convenzioni specifiche. Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Reggio Calabria e l'avvocato Agostino Siviglia, nominato dal sindaco il 19 giugno 2015.
Don Giacomo D'Anna si destreggia tra gli uffici del carcere con disinvoltura. Il carattere è quello di sempre, gioviale e spiritoso, riuscendo a strappare un sorriso anche in un contesto tutt'altro che semplice, "Il mio mandato è durato 14 anni, dal 2004 al 2018. Questo tempo ha rappresentato per me un'esperienza molto forte; posso affermare che tutto ciò ha segnato !a mia vita prima come uomo e poi come sacerdote", dice il prete reggino che da pochi giorni ha concluso la sua esperienza da Cappellano del carcere di San Pietro.
Così monsignor D'Anna, parroco del Santuario di San Paolo alla Rotonda in Reggio Calabria, ha deciso di scrivere un libro che vena presentato martedì 25 giugno, alle 17.30, presso il Palazzo della Città Metropolitana "Corrado Alvaro". 11 titolo è inequivocabile: "Una voce da dentro. L'esperienza di una presenza in carcere". All'importante evento parteciperà monsignor Vincenzo Berto-Ione, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Cec.
Ancona una volta, quest'anno, ci tocca ripetere: "Dal sociale al penale, il penitenziario continua ad essere sempre più luogo di discarica sociale". Tre leggi in particolare, meritano di essere menzionate in tal senso: la legge Bossi-Fini, la legge Fini-Giovanardi e la legge ex Cirielli, che rispettivamente si occupano di immigrati clandestini, tossicodipendenti e recidivi. Queste tre leggi, nonostante gli interventi della Corte Costituzionale, ancora oggi, a distanza di lustri, continuano a dispiegare ì loro nefasti effetti criminogeni e carcerogeni.
Da qui si spiega, in gran parte, la pletora di quelle "vite dì scarto", per usare la tragica ma eloquente definizione di Bauman, che ancora oggi sovraffollano i penitenziari italiani e reggini (con proporzioni per la verità più contenute alle nostre latitudini), per lo più tossicodipendenti (35,3%) e stranieri (34% circa). La condizione delle carceri reggine, in specie, si configura differente fra i due istituti di "San Pietro" e "Arghillà": il primo, storico carcere cittadino, è ospitato da una popolazione carceraria che continua ad essere costituita in gran parte da detenuti in attesa di giudizio e per lo più incriminati di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Ciò rileva sia ordine al trattamento rieducativo, evidentemente, neutralizzato nei confronti di chi ancora deve essere giudicato definitivamente, sia in ordine alla inesplorata funzione rieducativa della pena in contesto di criminalità organizzata, almeno nel contesto penale adulti. Quando, al contrario, questa tema, a queste latitudini, è di cruciale rilevanza; il secondo, di recente costruzione, proprio, nel problematico e complesso quartiere di Arghillà, continua a contenere un'umanità reclusa sempre uguale a se stessa: detenuti provenienti da altre regioni, con fine pena lunghissimi e finanche condannati all'ergastolo e, poi, la solita frammistione di popolazione detenuta: extracomunitari, rom, sinti, tossicodipendenti, sex-offender; autori di reati comuni e detenuti di alta sicurezza; qualche colletto bianco.
E ancora a "San Pietro" c'è una sezione di "Osservazione Psichiatrica" ed una apposita sezione femminile, con ad oggi 34 donne detenute e, fino a qualche tempo addietro, anche qualche bambino. Tema questo, dei bambini innocenti detenuti fino a tre anni di età con le madri che non hanno a chi affidarli, che a mio avviso costituisce una vera e propria aberrazione.
E per il quale mi batto da anni. Eppure i segni di speranza non mancano: penso ai detenuti del carcere di "Arghillà" che da tre anni svolgono lavori volontari e gratuiti in favore della collettività; o all'iniziativa di Area Democratica, in collaborazione con il Cec e questo Garante, relativa alla sartoria in carcere per le donne detenute; o alla passione, alla "credenza", di educatori, assistenti sociali, volontari, agenti di polizia penitenziaria, medici, dirigenti, sacerdoti, suore. Insomma, in carcere sconforto e speranza convivono, fra quanti attendono una libertà prossima, lontana, sperata e, magari, una vita diversa e quanti con la loro 'credenza" riempiono di senso la funzione rieducativa della pena.
*Garante comunale dei diritti dei detenuti di Reggio Calabria
di Nicola Astolfi
Il Gazzettino, 23 giugno 2019
La sede sarà riferita al locale Centro provinciale per l'istruzione degli adulti (Cpia) e avrà un proprio organico distinto: ha già, invece, il proprio codice meccanografico, vale a dire il codice che identifica univocamente le scuole e gli istituti dislocati sul territorio nazionale.
L'attivazione segue alla sperimentazione che il Cpia di Rovigo ha avviato nella Casa circondariale per il completamento del primo ciclo di istruzione (le ex scuole medie). Il 2018-19 è stato il secondo anno di sperimentazione del percorso di istruzione in carcere.La scuola in carcere è un elemento fondamentale per le persone detenute nel percorso di riabilitazione verso il reinserimento in società.
E il Cpia, in collaborazione con la Casa circondariale, svolgeva già corsi di alfabetizzazione di lingua italiana e di inglese. Il corso per il completamento del primo ciclo di istruzione è stato attivato secondo le caratteristiche della nuova popolazione carceraria, e in base alle necessità che il personale educativo della Casa circondariale ha raccolto tra le persone detenute, che nel nuovo carcere restano per periodi più lunghi rispetto a quanto avveniva nella struttura di via Verdi. I tempi di detenzione della popolazione nel nuovo carcere, così, sono uno dei fattori che hanno portato il Cpia ad attivare nuove misure per rispondere alle specificità dell'utenza, ulteriori a quelle già realizzate in passato.
Oltre al personale con sede a Rovigo, il Cpia potrà contare per l'organico della scuola in carcere su un docente della classe di concorso A022 Lettere (Italiano, storia, geografia). Rovigo così, anche dal punto di vista dell'istituzionalizzazione della scuola carceraria, si allinea ai percorsi di istruzione offerti negli altri istituti di pena in Veneto.
Lo scorso 11 aprile Regione, Ufficio scolastico regionale del Miur, Provveditorato regionale dell'Amministrazione penitenziaria per il Triveneto e Ufficio inter-distrettuale di esecuzione penale esterna del Dipartimento Giustizia minorile e di comunità, avevano firmato un protocollo di intesa per dare una cornice istituzionale alle numerose esperienze avviate negli istituti penitenziari del Veneto dai Centri provinciali per l'educazione degli adulti. L'intesa ha condiviso l'obiettivo di assicurare a tutti i detenuti, adulti e minori, la possibilità di accedere a un percorso scolastico o formativo, e di conseguire un diploma.
Grazie alla collaborazione tra Cpia di Rovigo, Casa circondariale e organismi di formazione professionale, si punta inoltre a compiere ulteriori passi verso l'obiettivo di fornire conoscenze e competenze che possano dare, una volta terminata l'esperienza della detenzione, gli strumenti per riprendere la vita fuori dal carcere.
"Insieme al primo ciclo di istruzione e ai percorsi di alfabetizzazione e apprendimento di lingua italiana, con la Casa circondariale è stato programmato di approntare un'aula con pc per svolgere corsi di informatica - spiega la dirigente scolastica del Centro provinciale per l'istruzione degli adulti Paola Malengo. Continueranno i corsi di inglese già attivati e in funzione delle esigenze e dei bisogni didattici che emergono dai sondaggi svolti dal personale educativo della casa circondariale tra le persone detenute, potranno esserci anche interventi dal punto di vista della professionalizzazione". Ad esempio, sta per partire in co-progettazione con l'Enaip un corso di panificazione.
istituzioni24.it, 23 giugno 2019
"Nella mattinata di ieri sono stato nel carcere di Carinola (Ce). Dopo aver effettuato dei colloqui individuali con una decina di detenuti, ho inaugurato, insieme al direttore dell'istituto penitenziario Carlo Brunetti ed alcuni amministratori locali, una mostra di manufatti di maiolica smaltata realizzati da alcuni detenuti che sono studenti delle scuole medie e superiori del Liceo Artistico, intitolata "Viaggio del Piccolo Principe nel cuore del sogno oscurato", curata dalla professoressa Lucia Galdieri.
Subito dopo, ho incontrato i 7 studenti che stavano tenendo l'esame di maturità del Liceo Artistico e i 12 che hanno preso la licenza media. Successivamente, ho visitato il reparto dei Sex Offender in cui sono ristretti 42 detenuti in celle singole o multiple con bagno a vista: un trattamento inumano e degradante.
Infatti, anche la Corte di Cassazione lo ha dichiarato con una sentenza. A tali detenuti ho comunicato che a breve partirà il progetto "Sostegno e condivisione" della durata di 7 mesi. Questo progetto prevede attività di sostegno e condivisione ai detenuti sex offender sia di Carinola che di Secondigliano e di Vallo della Lucania (Sa)", è quanto dichiarato in una nota dal Prof. Samuele Ciambriello, garante campano dei detenuti, a margine della visita effettuata presso l'Istituto Penitenziario casertano di Carinola.
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