di Marco Perduca
Il Manifesto, 1 aprile 2015
Le aspettative alla vigilia della 58esima sessione della Commissione sulle droghe dell'Onu non erano particolarmente alte, ma qualcosa s'è mosso. Per riassumere gli sviluppi positivi bisogna citare gli Usa: "Abbiamo adottato politiche intelligenti sul crimine" hanno esordito gli Stati Uniti sottolineando come all'incarcerazione di chi consuma sia da preferire la cura. Un messaggio preciso, anche se non totalmente corrispondente alla realtà delle politiche giudiziarie nazionali. Altrettanto chiara l'invocazione della "latitudine" cioè lo spazio di manovra all'interno delle tre Convenzioni Onu sulle droghe per modificare, a impegni internazionali vigenti, leggi e politiche sugli stupefacenti.
Il nuovo corso del Paese che ha inventato la "guerra alla droga" ha contribuito a impostare il dibattito relativo all'Ungass, la sessione speciale dell'Assemblea generale prevista per il 2016.
Le nuove posizioni americane erano state precedute dai toni inusualmente concilianti dell'Incb, l'organo che controlla l'aderenza delle politiche nazionali alle Convenzioni sugli stupefacenti, e dell'Unodc, l'ufficio delle Nazioni Unite che coordina le campagne di "controllo alla droga".
Attenzione socio-sanitaria, depenalizzazione, ferma condanna dell'uso della pena di morte per reati connessi alle droghe e "sviluppo alternativo" per contrastare le colture illecite sono diventate le nuove parole d'ordine. Segnali di buon senso che fino a qualche tempo fa non avevano diritto di cittadinanza all'Onu di Vienna.
Certo, nessuno mette in dubbio che sia arrivato il tempo di riformare le Convenzioni e molti paesi continuano a stigmatizzare anche la sola menzione della possibilità di "legalizzare", ma i tempi della parola d'ordine "Un mondo senza droga, possiamo farcela" con cui Pino Arlacchi convocò la Ungass del 1998 son morti e sepolti.
Tutto pronto quindi per un cambio di passo nel 2016? Non proprio, e a far notare che modulare i toni non basta ci hanno pensato i latino-americani. Il ministro della giustizia colombiano Yesid Reyes ha infatti denunciato in plenaria che "la guerra alla droga non è stata vinta" e che "diventa imperativo ideare, proporre e concordare, a livello globale, nuovi approcci che ci permettano di affrontare il problema della droga in modo più efficace La riduzione dell'offerta della cocaina non ha funzionato" ha detto Reyes, occorre quindi "esser flessibili quanto il mercato delle sostanze". Parole chiare, salutate da un applauso generale, anch'esse sicuramente più avanti delle politiche nazionali, ma che hanno messo in evidenza un sentire comune del continente sudamericano confermato da Messico, Uruguay, Guatemala.
Altro segnale incoraggiante il coinvolgimento delle organizzazioni non-governative nelle sessioni tematiche e negli eventi organizzati a latere del dibattito ufficiale. Proprio come in altri consessi dell'Onu, anche a Vienna, le Ong possono tranquillamente prendere la parola, far circolare documenti e, in alcuni passaggi, come a proposito della proposta di proibire la ketamina, giocare un ruolo attivo per influenzare positivamente i negoziati.
Il 7 maggio prossimo, al Palazzo di Vetro, si terrà un dibattito di alto livello per continuare la preparazione della sessione del 2016.
A New York si affrontano le questioni politiche, c'è da sperare che i paesi che si sono esposti a Vienna confermino la risolutezza manifestata e che, finalmente, l'Europa assuma la leadership di questo nuovo atteggiamento affinché l'Ungass lanci un processo riformatore che ci porti alla chiusura definitiva col proibizionismo.
di Federico Rapini
www.ilprimatonazionale.it, 1 aprile 2015
Nei giorni in cui il tema degli italiani detenuti all'estero torna sotto la luce dei riflettori, causa l'inizio del processo nelle Filippine ai danni di Daniele Bosio, è bene ricordare che secondo le stime della Farnesina sono più di 3000 gli italiani detenuti all'estero. Tra tutti sicuramente sono i 2 marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, a fare più notizia. Come nel caso dei due militari detenuti da più di 3 anni in India, il Governo italiano negli altri casi fa molto poco se non nulla per riportar i propri cittadini a casa. Anzi, talvolta contribuisce a farli condannare.
Tra le storie più raccapriccianti c'è quella di Roberto Berardi, imprenditore di Latina che dal gennaio 2013 si trova nel carcere di Bata, in Guinea Equatoriale. In Africa dal 2012, Berardi entra in contatto con Teodorin Obiang, figlio del Presidente della Guinea Equatoriale, con il quale comincia rapporti di lavoro tanto da creare una società, la Eloba Construction SA, il cui 60% nelle mani di Obiang e il 40% all'italiano. Nel dicembre 2013,l'imprenditore di Latina scopre che la sua società ha buchi milionari, impegnandosi di tasca propria a risanarli, pagando dipendenti e fornitori. Chiede allora spiegazioni ad Obiang che di tutta risposta lo fa arrestare.
Qui inizia l'odissea. Il carcere di Bata è uno dei posti peggiori del mondo, dove i detenuti sono tenuti in pessime condizioni igienico-sanitarie, vengono pestati e torturati quotidianamente. Ad oggi Berardi ha contratto più volte la malaria, un enfisema polmonare, il tifo e perso 30 kg.
"Il Principe", così viene chiamato Teodorin Obiang, è oggetto di un mandato di cattura internazionale emanato dagli Usa, ma tutt'oggi è libero. Il governo italiano, tramite la Farnesina prova timidamente a risolvere la questione, considerando le pressanti e giustificate richieste dei parenti di Berardi. Ma nulla. Al console Massimo Spano non viene neanche permesso l'accesso al carcere. Il processo è una farsa con testimoni che dopo le accuse spariscono nel nulla. Roberto viene condannato a due anni e mezzo di carcere più 1,5 milioni di dollari da restituire. La famiglia di Roberto Berardi è disperata e chiede anche aiuto al Vaticano, pensando che la cattolica Guinea Equatoriale accolga la richiesta nell'Angelus da parte del Papa.
Ma la situazione, è il caso di dirlo, non la smuove neanche "l'Onnipotente". Il nostro connazionale ha anche tentato la fuga dal carcere, ma giunto davanti l'ambasciata spagnola, nonostante le suppliche, questa non ha aperto neanche i cancelli. Questa vicenda mostra chiaramente la considerazione che il nostro governo gode all'estero. Un governo fantoccio che abbandona i propri figli.
Chi a suo tempo fu abbandonato dall'Italia fu Carlo Parlanti. Accusato falsamente dalla ex compagna di maltrattamenti e stupro, ha scontato nove anni nel carcere americano di Avenal in California. Anni dopo il suo ritorno in Italia, Carlo Parlanti ha descritto tutte le anomalie del suo processo, compreso "l'aiuto" che la Polizia italiana diede a quella americana per cercare di incastrarlo. Parlanti fu arrestato a Dusseldorf, in Germania, per le accuse citate sopra. Sarebbe dovuto essere stato messo in libertà previo cauzione, anche perché la signora White, la denunciate di Parlanti, fu fotografata, nei giorni seguenti ai presunti abusi, in buona forma e senza evidenti segni di percosse.
Parlanti in carcere fece due scioperi della fame lamentando le difficoltà incontrate nell'acquisire la documentazione medica avanzata dalla White, la quale in precedenza fu anche dichiarata instabile da un tribunale californiano in seguito alla separazione dall'ex marito. L'aiuto della polizia italiana a quella americana venne con l'invio di un documento preso abusivamente da un vecchio fascicolo del 1989, dove il Parlanti veniva accusato di maltrattamenti da una sua ex compagna. Quel caso però fu archiviato senza che mai si arrivasse alle indagini. Dopo essere tornato in Italia, Carlo Parlanti ha avuto modo di raccontare la sua versione dei fatti e ha denunciato l'ispettore di polizia italiana e l'attaché di ambasciata che hanno provato ad incastrarlo. Parlanti ha anche denunciato le pessime condizioni di vita a cui era soggetto nel carcere americano, dove ha contratto l'epatite C.
Non sono, quindi, solo i paesi del Terzo Mondo, come la Guinea Equatoriale, a trattare come bestie i detenuti, ma anche stati che si ergono a paladini della democrazia come gli Usa. E tramite l'associazione "Prigionieri del silenzio" i cui portavoce sono lo stesso Carlo Parlanti e Katia Anedda, si vengono a scoprire queste storie che hanno dell'incredibile.
Come quella di Claudio Castagnetta, ricercatore arrestato in Canada per disturbo della quiete pubblica. Il suo corpo viene ritrovato senza vita dopo due giorni in cella. Secondo le istituzioni canadesi si è suicidato, ma il ministero canadese in seguito inviò delle scuse che lasciano perplessi.
Senza parole lascia anche la storia di Simone Renda, bancario morto in un carcere messicano. Portato in cella perché trovato nudo e non in grado di muoversi nella sua stanza d'albergo. Solo dopo si venne a sapere che soffriva di una malattia che non gli permetteva di rimanere a lungo senza bere.
Questi sono solo pochi esempi dei migliaia di italiani detenuti più o meno giustamente all'estero. Italiani abbandonati dalle istituzioni italiane che latitano. D'altronde la giustizia e la vita di un italiano valgono molto meno che mantenere "buoni rapporti" anche con stati dove la pena di morte è ancora in vigore.
www.contropiano.org, 1 aprile 2015
"Regni" governati da mafie che abusano, praticano estorsioni, obbligano a prostituirsi donne già costrette a vivere in condizioni degradanti, ammassate in piccoli spazi, carenti di tutto, dai servizi igienici al cibo: questo il ritratto delle carceri femminili del Messico, disegnato dalla Commissione nazionale dei diritti umani, ente statale autonomo che ha studiato le condizioni di vita di 77 dei 102 istituti di pena del paese, capaci di contenere fino a 12.692 donne.
La discriminazione di cui la donna in Messico soffre quotidianamente si riflette anche nelle carceri, secondo l'organismo che annota carenze e problemi che non si riscontrano fra i detenuti maschi in almeno 65 prigioni; piaghe già segnalate in un rapporto del 2013 ma rimaste senza risposta. Maltrattamenti e abusi sessuali sono all'ordine del giorno, così come "mazzette" estorte dalle guardie coinvolte in reti di attività criminali guidate dai detenuti ospitati nella sezione maschile dello stesso istituto di pena. Così, mentre in 51 centri le recluse dormono ammassate sul suolo fra insetti e topi, in altri 20 sono costrette a prostituirsi, altre, finanche all'interno degli stessi impianti, beneficiano di celle private con tv al plasma, forno a microonde, frigo e telefono cellulare, sottolinea la Commissione.
I penitenziari dove gli abusi sono più massicci sono quelli dello stato meridionale di Guerrero - che la tragedia dei 43 studenti di Aytzinapa ha fatto conoscere al mondo per la violenza - seguiti da quelli degli stati di México, Puebla, Sinaloa, Michoacán e Oaxaca. I problemi, tuttavia, non si limitano ad aree circoscritte, ma si riscontrano dal nord al sud del territorio nazionale.
Agi, 1 aprile 2015
Son state ridotte le pene comminate a 22 condannati negli Stati Uniti per reati di droga. La decisione è stata presa da Barackk Obama, che ha motivato in altrettante lettere ai detenuti la scelta: "Avete dimostrato -scrive il presidente americano- di essere in grado di imporre una svolta alla vostra vita". I detenuti, alcuni dei quali avrebbero dovuto scontare l'ergastolo, saranno rilasciati il prossimo 28 luglio.
"Hanno già trascorso diversi anni in carcere, e in alcuni casi anche più di un decennio -ha spiegato il consigliere della Casa Bianca Neil Eggleston - più a lungo di diversi detenuti condannati con il sistema giudiziario odierno per lo stesso crimine". Rispetto alla presidenza di George W. Bush, che aveva ordinato 11 provvedimenti di condono, Obama ne ha emessi 43, ovvero il triplo.
Askanews, 1 aprile 2015
La Guida Suprema della Repubblica Islamica iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, ha concesso l'amnistia a 807 detenuti in occasione delle celebrazioni per la "giornata della Repubblica Islamica", l'anniversario della presa del potere da parte dell'ayatollah Khomeini. Lo ha riferito l'agenzia di stampa ufficiale Irna, precisando che l'amnistia per i detenuti liberati è stata richiesta dal capo della Magistratura, l'ayatollah Sadeq Amoli Larijani. La richiesta accolta da Khamenei prevede anche la riduzione di pena per un numero non precisato di altri detenuti.
Agi, 1 aprile 2015
Il governo della Malaysia ha bocciato una richiesta di perdono per Anwar Ibrahim, capo dell'opposizione caduto in disgrazia dopo essere stato condannato a cinque anni di carcere per sodomia. La richiesta era stata inoltrata dalla famiglia di Anwar a Febbraio scorso, dopo che la Corte suprema aveva confermato la sentenza di condanna. Il processo nei confronti di Anwar aveva sollevato diverse perplessità in una parte della comunità internazionale, che ne aveva denunciato il carattere politico, teso a eliminare dalla scena l'avversario più pericoloso per il regime.
Adnkronos, 1 aprile 2015
Un thailandese di 58 anni è stato condannato a 50 anni di carcere per lesa maestà a causa di alcuni post pubblicati su Facebook. La sentenza, riferisce il Bangkok Post, è stata dimezzata perché l'uomo ha confessato. Dopo avere pubblicato i post tra luglio e novembre dell'anno scorso, l'uomo è stato arrestato a dicembre prima di venire riconosciuto colpevole da un tribunale militare.
di Errico Novi
Il Garantista, 31 marzo 2015
Oggi l'incontro con i partiti per chiedere di rivedere il ddl che allunga la prescrizione. Che il vento tiri verso il polo del giustizialismo è così chiaro che persino l'assoluzione di Amanda e Raffaele suggerisce soluzioni restrittive.
Il Velino, 31 marzo 2015
Apertura a modifiche in Senato sia reale. "Sia il Ministro Orlando che il Vice Ministro Costa hanno formulato una espressa apertura a possibili modifiche in Senato del ddl sulla prescrizione. Lo stato di agitazione proclamato dalla Giunta dell'Unione Camere Penali prosegue fino al completamento dell'iter legislativo in attesa di tale voto".
di Maria Brucale
Il Garantista, 31 marzo 2015
Con un emendamento, Ernesto Carbone, Pd, vorrebbe proporre una sconcertante novità normativa: togliere la potestà genitoriale a chi sia stato condannato per reati di mafia, di terrorismo, di riduzione in schiavitù, di traffico di sostanze stupefacenti. Chi abbia riportato una condanna definitiva per i reati menzionati, non sarebbe in grado di fare il genitore. La suggestione è forte e benpensanti, manettari, giudici senza appello potrebbero coglierla. Cattivi uomini ergo cattivi genitori. Ma le semplificazioni sono sempre subdole.
- Giustizia: la denuncia di Pratillo Hellmann "così perseguitano i magistrati che assolvono"
- Giustizia: processo civile; la riforma rischia di fare danni... il governo fermi la delega
- Giustizia: l'anticorruzione al Senato, previsto per domani il voto al ddl Grasso
- Giustizia: Cassazione; indagini difensive possibili anche con il rito abbreviato
- Giustizia: corruzione, un romanzo letto al contrario