di Patrizia Maciocchi
Il Sole 24 Ore , 28 gennaio 2020
Corte di cassazione - Sezione V - Sentenza 27 gennaio 2020 n.3240. Nello stalking condominiale non può essere applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento, se questa si traduce nel divieto di rientrare in casa. La Cassazione (sentenza 3240/2020) accoglie il ricorso di un indagato per stalking e lesioni aggravate.
Oggetto delle "attenzioni" del ricorrente era un vicino di casa insultato, anche a causa di una minorazione fisica, e, secondo l'accusa, in un'occasione aggredito fisicamente. Il Pm aveva disposto un divieto di avvicinamento alla persona offesa. Il Gip aveva inasprito la misura aggiungendo l'obbligo di mantenersi ad una distanza di 50 metri dall'edificio in cui abitava la presunta vittima.
La Suprema corte annulla, con rinvio, l'ordinanza, perché la misura comporta, di fatto, un divieto di dimora, tra l'altro, non richiesto dal Pm. I giudici del riesame, premesso che l'indagato abitava al piano sopra a quello occupato dalla parte offesa, avevano osservato che la contiguità degli appartamenti avrebbe agevolato il reato. La soluzione stava, appunto, nel divieto di avvicinamento a 50 metri, in base all'articolo 282-ter del Codice di rito penale. Una scelta fatta senza pensare, che questo comportava l'obbligo di abitare in un altro luogo: una misura diversa, che rientra nel raggio d'azione dell'articolo 283 del Codice di procedura penale. La Cassazione sottolinea la necessità di conciliare i diversi interessi in gioco: tutelare la persona offesa ma senza sacrificare ogni libertà del ricorrente. E nello specifico si trattava del diritto fondamentale di usare la propria abitazione.
di Giulio Benedetti
Il Sole 24 Ore , 28 gennaio 2020
Corte di cassazione - Sezione V - Sentenza 23 gennaio 2020 n. 2726. Il reato di stalking (articolo 612 bis del Codice penale) è molto diffuso nel condominio e consiste nelle condotte reiterate minacciose che cagionano nella persona offesa un grave stato di ansia e di paura per la propria incolumità e dei famigliari, di intensità tale da fargli cambiare il tenore e le abitudini di vita.
La Corte di Cassazione (sentenza 2726/2019) ha esaminato il caso di una faida condominiale incorsa tra due famiglie in cui un componente della prima famiglia era stato condannato per il reato di cui all' articolo 612 bis del Codice penale, per lesioni aggravate e per percosse, mentre gli altri due erano condannati per lesioni aggravate.
La Corte dichiarava inammissibile il ricorso e condannava i tre ricorrenti a pagare ciascuno tremila euro alla cassa delle ammende. In particolare un ricorrente si lamentava di essere stati condannato per il reato di stalking, nonostante fosse stato, a sua volta, aggredito dalle persone offese. E affermava l'insussistenza del reato perché vi era stato uno sbilanciamento tra le parti e perché la motivazione della sentenza di condanna si basava solo sulle dichiarazioni delle persone offese. Inoltre la reciproca aggressione avvenuta tra le parti escludeva la sussistenza delle aggravanti dei futili motivi, poiché la reciprocità della contesa rendeva la condotta dei ricorrenti non sintomo di una gratuita aggressione criminale.
Infine, i ricorrenti chiedevano che fossero loro concesse le attenuanti generiche per la natura condominiale del conflitto, che ne attenuava la gravità. La Corte di Cassazione rigettava tutti i motivi di ricorso in quanto osservava che la sussistenza del reato, di cui all'articolo 612 bis del codice penale, non è esclusa dalle condotte aggressive delle persone offese.
Il giudice non ha accertato una condotta aggressiva da parte delle persone offese, che non è stata dimostrata dalle denunce querele e dai certificati medici prodotti dai ricorrenti, in quanto detto materiale non era stato esaminato nel dibattimento, per dimostrare lo stalking a parti invertite. La Corte di Cassazione sosteneva che la condotta dei ricorrenti fosse stata del tutto sproporzionata rispetto a quella delle persone offese. Pertanto nel caso trattato i ricorrenti avevano commesso i reati per futili motivi, in quanto la loro determinazione criminosa è stata cagionata da uno stimolo esterno di tale lievità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune sentire, un pretesto per nascondere, in realtà, lo sfogo di un impulso violento.
Infine la Corte di Cassazione condivideva la motivazione del Tribunale che negava la concessione delle attenuanti generiche, perché non le riteneva sussistenti, nonostante l'incensuratezza dei ricorrenti, in quanto la natura condominiale della contesa non rendeva meno grave il reato che cagionava aggressioni gravi alle persone.
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio , 28 gennaio 2020
Era in attesa di giudizio, molto depresso, aveva richiesto i domiciliari. Prende sempre più largo l'ipotesi che Pino Gregoraci, detenuto in attesa di giudizio nel carcere di Voghera, avrebbe voluto simulare il suicidio per attirare l'attenzione su se stesso perché le sue richieste non venivano ascoltate. Ma alla fine è morto.
Una vicenda tragica che l'Associazione Yairaiha Onlus ha voluto portare a conoscenza dopo aver ascoltato le testimonianze di alcuni detenuti che lo conoscevano. Pino era molto depresso e non era mai riuscito a rassegnarsi a vivere senza un piede. Con l'aiuto dei suoi compagni aveva presentato decine di istanze per parlare con uno psicologo, ma non è mai stato chiamato.
"I suoi compagni sono arrabbiati - denuncia Sandra Berardi dell'associazione Yairaiha Onlus - e ci fanno sapere che la morte di Pino peserà sulla coscienza dei sanitari che non hanno ascoltato le sue richieste di aiuto. Ogni volta che tornava dalla telefonata o dai colloqui piangeva disperato".
Dai racconti emerge che gli stessi agenti penitenziari sono rimasti scioccati e hanno chiesto ai compagni di Pino: "Perché se sapevate che era così depresso non ci avete informato? Avremmo potuto fare qualcosa di più, era un bravo ragazzo!".
L'associazione spiega che Pino aveva saputo che stavano per trasferirlo a Busto Arsizio ma non voleva, perché a Voghera si era "abituato", aveva trovato qualche amico e in sezione i compagni lo curavano. Quindi Pino non voleva uccidersi realmente, ma voleva solo attirare l'attenzione sul suo disagio contro una eventuale indifferenza dei sanitari?
Resta il fatto che poco tempo fa un ragazzo con problemi di depressione aveva tentato il suicidio e in seguito venne trasferito in una casa di cura. Forse Pino ha pensato che avrebbe potuto farcela anche lui ad aggirare l'indifferenza.
L'uomo, sposato e padre di tre figli, era indagato dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria per le ipotesi di reato di associazione mafiosa e attività finanziaria abusiva in concorso. Dopo l'arresto, i legali di Gregoraci, avevano chiesto la sostituzione degli arresti in carcere con una misura alternativa quale gli arresti domiciliari, che ritenevano più consona ai problemi di salute del 51enne, peraltro rappresentate attraverso delle consulenze mediche.
Arrestato a luglio, da agosto era recluso in alta sorveglianza nel carcere di Voghera in attesa del processo. L'associazione Yairaiha Onlus fa sapere che pochi giorni prima del suicidio aveva avuto rassicurazioni anche in merito al suo processo: erano state trovate le telefonate che lo avrebbero scagionato dalle accuse. Ma forse, quel giorno, aveva nuovamente perso la speranza. "La depressione - spiega l'associazione- è campanello d'allarme di malesseri più profondi che stanno lì, ed esplodono quando meno te lo aspetti. I suoi compagni non sanno di preciso quale pensiero abbia attraversato la sua mente fragile".
I suoi compagni, alle 13.50 di mercoledì scorso, mentre andavano in saletta, lo hanno visto che stava seduto in carrozzina, da solo. lo invitarono a fare una partita a carte, rispose che aveva mal di testa e preferiva risposarsi. Al rientro dall'aria, poco dopo le 14, sono risaliti tutti in sezione trovando Pino appeso nel bagno, con il cuore che ancora gli batteva.
Ma non c'è stato niente da fare. L'associazione Yairaiha Onlus racconta che è seguita la telefonata alla moglie per comunicarle l'accaduto: "signora suo marito è deceduto". La signora riattacca il telefono pensando ad uno scherzo di pessimo gusto. La richiamano nel giro di pochi minuti: "signora ma lei ha capito che suo marito è morto?". "Una macabra telefonata a 1300 km di distanza, neanche la delicatezza di mandare un assistente sociale ad avvisare", conclude amaramente l'associazione.
Resta il fatto che non è la prima volta che al carcere di Voghera emergono problemi dal punto di vista dell'assistenza sanitaria. Abbiamo già parlato su Il Dubbio del caso di Salvatore Giordano segnalato sempre dall'associazione Yairaiha Onlus. Ai familiari era stato detto che il detenuto - recluso nel carcere di Voghera - aveva un lieve ingrassamento del fegato da curare con l'alimentazione, ma quando sono andati a trovarlo in ospedale la vigilia di Natale lo hanno trovato in condizioni devastanti. Poi è morto.
Oppure, ad ottobre del 2017, c'è stato il caso Franco Morabito, ergastolano, morto di tumore a 48 anni, con tutti gli organi in metastasi, nell'ospedale di Voghera a distanza di un mese dalla sospensione della pena. In carcere veniva curato per coliche renali.
di Paola Rossi
Il Sole 24 Ore , 28 gennaio 2020
Corte di cassazione - Sezione V penale - Sentenza 27 gennaio 2020 n. 3236. Non scatta il reato previsto dall'articolo 617-quinquies del Codice penale se si manomette lo sportello Bancomat con mezzi inadeguati all'intercettazione della banda informatica e dei codici pin della carte introdotte dagli utenti. Commette, al contrario, il reato chi occulta nello sportello Bancomat mezzi idonei al furto dei dati, anche se non ci si riesce. Così la quinta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 3236depositata ieri ha cancellato la condanna, con rinvio a nuovo giudizio, di un giovane che aveva nascosto - in uno sportello Postamat - un sistema di captazione skimmer per la lettura delle bande magnetiche delle carte e una videocamera per registrare i pin digitati dagli ignari utenti. Non basta, infatti,dice la Cassazione, accertare la condotta di posizionamento delle apparecchiature occultate, ma ne va dimostrata in concreto l'attitudine a registrare le comunicazioni telematiche e i dati informatici altrui. Quindi per chi tenta - senza riuscirvi - di rubare i dati e i codici delle carte bancomat scatta comunque la condanna in sede penale per il solo fatto di aver installato apparecchiature occulte "idonee" a commettere il furto telematico, anche se in concreto non ha raccolto e memorizzato alcuna informazione.
Condotta irrilevante in sé - La Cassazione chiarisce che è un reato di pericolo, ma "concreto" e non "generico", quello previsto dall'articolo 617-quinquies del Codice penaleper chi installa apparecchiature atte a intercettare comunicazioni informatiche o telematiche. Generalmente nei reati di pericolo, basta infatti aver realizzato la condotta incriminata dalla legge con la conseguenza che il pericolo è presunto. Nel caso dei reati di pericolo concreto, invece, la minaccia al bene va accertata dal giudice che verifica l'attitudine delle azioni poste in essere anche se non si è raggiunto un ulteriore scopo illecito.
ansa.it , 28 gennaio 2020
La sorella di Filippo Griner, il boss della malavita pugliese detenuto nel carcere di Bancali a Sassari in regime 41bis, accusa la Polizia penitenziaria di avere pestato il fratello in cella. Le accuse sono contenute in una denuncia presentata nei giorni scorsi ai carabinieri di Andria. Secondo quanto pubblicato dalla donna sul profilo Facebook del garante per i detenuti del carcere di Bancali, Antonello Unida, il pestaggio sarebbe una ritorsione.
Griner qualche giorno fa aveva colpito un poliziotto penitenziario con una penna, ferendolo al viso. La famiglia del detenuto denuncia che è stato poi pestato in cella da una ventina di agenti, durante la notte. Per verificare quanto successo e costatare la difficile situazione che si è creata a Bancali dopo numerose aggressioni ai danni degli agenti, domani il provveditore regionale delle carceri Maurizio Veneziano farà un sopralluogo nell'istituto di pena, dove, la settimana prossima, arriverà anche il nuovo direttore, Graziano Pujia, appena nominato.
"Non è un carcere, è un lager! - scrive la sorella di Griner su Facebook - Hanno scritto che il detenuto ha aggredito un poliziotto, ma non hanno scritto che 20 guardie hanno massacrato il ragazzo! Il detenuto è mio fratello, ieri abbiamo avuto un colloquio telefonico con lui e la sua voce era flebile rotta dal pianto per i dolori, ha fatto appena in tempo a dire di avere il petto insanguinato, prima che interrompessero la chiamata". Il provveditore regionale Veneziano precisa: "Domani sarò a Sassari per verificare le condizioni all'interno del carcere e acquisirò informazioni anche su quanto realmente accaduto. Per il momento posso dire che a Bancali arriverà entro massimo una decina di giorni il nuovo direttore, e che nei prossimi giorni nominerò un funzionario che opererà come comandante della Polizia penitenziaria".
primonumero.it , 28 gennaio 2020
È stata una giornata ad alta tensione nella casa circondariale del capoluogo dove due reclusi hanno compiuto atti di autolesionismo, uno ha avvertito un malore e infine una persona è stata trasportata in ospedale. Tutto sarebbe dovuto alla carente assistenza sanitaria: nel penitenziario non ci sono più infermieri e "i detenuti non hanno nemmeno accesso ai farmaci salvavita", spiega il sindacalista Aldo Di Giacomo. "Ho allertato il presidente Toma e le forze dell'ordine".
Il momento clou intorno alle 14, quando anche chi passava in via Cavour e perfino chi era al lavoro negli uffici dei palazzi vicini ha potuto udire distintamente quelle grida disperate provenire dall'interno della casa circondariale di Campobasso. "Aiuto, aiutateci". Qualcuno, dalle celle, probabilmente aveva anche afferrato degli oggetti che sbatteva contro le grate.
È stata una giornata ad alta tensione all'interno del carcere, dove poco dopo l'ora di pranzo è stato richiesto l'intervento del personale sanitario arrivato con un'ambulanza inviata dal 118 successivamente scortata all'ospedale Cardarelli da un mezzo della Polizia penitenziaria.
In quelle stesse ore in carcere è stato richiamato tutto il personale proprio per tenere sotto controllo una situazione che ha rischiato di degenerare. Quattro reclusi si sarebbero feriti: due in particolare avrebbero commesso atti di autolesionismo, uno avrebbe avuto un malore. Infine un altro è stato trasferito al Cardarelli.
Nemmeno in serata la protesta che ha tenuto in apprensione i dipendenti del penitenziario è rientrata: si sono ancora sentiti grida di aiuto e il rumore degli oggetti sbattuti contro le grate delle celle. Per questo, è stato ritenuto opportuno allertare la Digos di Campobasso.
Tutto sarebbe riconducibile al problema dell'assistenza sanitaria: ci sono difficoltà a reperire assistenti sociali e di infermieri. E senza questi ultimi "i detenuti non possono nemmeno avere a disposizione i farmaci salvavita", ha riferito a Primonumero Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria, che proprio tre giorni fa in una conferenza stampa ha denunciato la carenza di personale medico e infermieristico esistente all'interno del penitenziario alla Procura della Repubblica ed al Magistrato di Sorveglianza. Una situazione iniziata dal 31 dicembre scorso, quando sono scaduti i contratti di due infermieri che erano in servizio.
Per garantire dunque la tutela della salute dei reclusi e per lanciare l'allarme sulla protesta che non si concluderà nelle prossime ore, Di Giacomo ha contatto il governatore Donato Toma e allertato le forze dell'ordine. "La situazione è da tenere sotto controllo", ha aggiunto.
Mentre della questione è stata interessata anche la dottoressa Virginia Scafarto, commissario dell'Asrem, la Garante regionale dei Diritti della Persona, Leontina Lanciano, ha chiesto di "monitorare la situazione e verificare le condizioni dei detenuti, allo scopo di risolvere il problema per il bene di tutti".
"Visito con frequenza la struttura di via Cavour, dove ci sono, come in tante altre case circondariali, dei problemi da risolvere. Quello che sta succedendo in queste ore va affrontato con grande attenzione -le parole di Leontina Lanciano - I detenuti lamentano forti disagi sul piano sanitario, in particolare la carenza di personale infermieristico. Non è una questione di poco conto. La Comandante del carcere ha informato della vicenda il Presidente della Regione Donato Toma. Le istituzioni sono pronte a risolvere la vertenza di natura sanitaria e infermieristica. Bisognerà evitare che il clima si inasprisca ulteriormente e che il personale di Polizia Penitenziaria possa operare senza il timore che da un momento all'altro possano esserci problemi".
Non è la prima volta che nella struttura, dove spesso vengono intercettati droga e microtelefonini, si registrano episodi simili, molti dei quali denunciati dal sindacalista Aldo Di Giacomo. Tra celle sovraffollate e una serie di carenze, la vita dei reclusi è durissima: c'è malcontento, qualcuno avrebbe persino provato a togliersi la vita.
Le proteste, poi, hanno dato vita anche a fatti più gravi: lo ricorderete, qualche mese fa da uno dei blocchi della casa circondariale venne acceso un incendio e bruciati materassi e rotte le finestre di alcune sezioni. I detenuti protestavano per le restrizioni introdotte per le telefonate con i familiari e vennero colpiti da pesanti provvedimenti.
nordest24.it , 28 gennaio 2020
Manifestazione di fronte all'ingresso dell'ASS n. 4 Medio Friuli, dalle ore 7.00 alle 13.00 in via San Valentino. Presidio in solidarietà con i prigionieri del carcere di via Spalato, che negli scorsi mesi hanno denunciato le gravissime carenze dell'area sanitaria, educativa e psicologica.
Martedì 28 gennaio 2020, per consentire lo svolgimento in sicurezza della manifestazione di fronte all'ingresso dell'ASS n. 4 Medio Friuli, dalle ore 7.00 alle 13.00 in via San Valentino, nell'area di parcheggio a pagamento (civico 18) sarà istituito il "Divieto di sosta temporaneo 0-24 - Zona rimozione coatta" per ogni categoria di veicoli (compresi quelli al servizio di persone invalide). Qualora venissero rilevate condizioni di criticità in merito al transito veicolare, è prevista anche l'istituzione del "Divieto di transito" (eccetto autorizzati), con conseguente deviazione dei veicoli lungo via Pracchiuso.
"Si è scelto di manifestare in quel luogo perché è al direttore sanitario che spetta la responsabilità delle funzioni di tutela dei/delle pazienti e di vigilanza sull'opera del personale sanitario operante nel carcere " - fanno sapere gli organizzatori.
"In particolare i detenuti ci informano - proseguono - che, da parte del personale sanitario interno alla prigione, ci sono gravi e immotivati ritardi nell'intervenire tempestivamente, quando cioè ci si sente male, e che l'infermeria non è presidiata sulle 24 ore né sui 7 giorni, e questo significa che chi si sente male fuori dall'orario di apertura deve essere ogni volta accompagnato dalle guardie in ospedale (e di conseguenza, attendere che le guardie siano disponibili)". "Ci sono detenuti con stomia - concludono - che devono aspettare il ritiro della sacca dalla mattina alla sera. Infine vengono somministrati psicofarmaci senza consenso".
di Giusi Fasano
Corriere della Sera , 28 gennaio 2020
Angelo Aparo dal 1977 segue migliaia di carcerati con il suo Gruppo della Trasgressione. "Il mio debito con Sergio Cusani. E dopo 40 anni dico: date fiducia e lavoro a queste persone, ne guadagnerà tutta la società".
Questa è la storia di un uomo che ha passato quarant'anni della sua vita in carcere senza essere né detenuto, né agente penitenziario. Uno che in carcere, 22 anni fa, ha cominciato una strana rivoluzione ancora oggi in corso: arruola soldati che fanno la guerra a sé stessi e al loro passato. Il campo di battaglia, diciamo così, si chiama "Gruppo della Trasgressione".
Che quei soldati siano assassini, rapinatori, corrotti, ladri, poco importa. Quel che conta è la regola di ingaggio nel Gruppo, per tutti uguale: per avere diritto di parlare, devi recitare il teorema di Pitagora o una poesia; devi insomma dimostrare che ti sei impegnato a imparare qualcosa. L'uomo dei 40 anni dentro si chiama Angelo Aparo, 68 anni, per tutti Juri, nome preso in prestito da vecchi pensieri su Juri del Dottor Zivago.
Era un ragazzo dalle belle speranze quando a settembre del 1977 si presentò al portone del carcere di San Vittore. "Sono lo psicologo". E varcò per la prima volta la soglia della prigione più nota del Paese. "A quel tempo ero uno dei primissimi psicologi del carcere" ricorda lui. "C'ero io soltanto per San Vittore e per Varese, 2.000 detenuti in tutto. Oggi ce ne sono 8-10 in ogni sede. Nel tempo è molto cambiato quel che faccio rispetto a 40 anni fa. Per una ventina d'anni ho incontrato e parlato con detenuti che non avevano nessun interesse a farsi conoscere e a raccontarsi, come invece fanno i miei pazienti fuori dal carcere. Succedeva che quando il tempo trascorso in cella era diventato compatibile con una possibile misura alternativa intervenivo io: chiamavo il detenuto, chiedevo, valutavo, scrivevo la relazione. Era raro che qualcuno si rivolgesse a me spontaneamente per chiedere aiuto, a meno che non fosse un aiuto per uscire in fretta dal carcere".
Una ventina d'anni così. Poi la svolta, cioè il "Gruppo della Trasgressione". Per chiarire: il Gruppo - la rivoluzione di Juri - è lo strumento di cui in 22 anni si sono serviti un migliaio di detenuti per viaggiare (come direbbe De André) "in direzione ostinata e contraria" al loro passato criminale.
Il "Gruppo è discussione", autoanalisi, analisi di gruppo, incontri con le vittime di reato, teatro, insegnamento per giovani bulli nelle scuole o confronto con altri detenuti che vogliono capire, partecipare. È l'incontro con le istituzioni, con magistrati e direttori illuminati, con il mondo del lavoro, con la vita reale oltre le sbarre. È la via maestra che porta alla consapevolezza e alla creazione di una coscienza civile. In un solo concetto: il Gruppo trasforma i detenuti nei cittadini che non sono mai stati o che hanno dimenticato di essere. Dottor Aparo, torniamo indietro.
Ci spiega come è nato tutto questo?
"C'entra un viaggio e una passeggiata con la mia compagna a Bologna. Parlavamo di trasgressione e facemmo un discorso su quel concetto che mi rimase in mente. E poi c'entra Sergio Cusani. In quegli anni stava scontando la sua condanna ed era un mio paziente. Un detenuto che mi parlava per relazione, non per dovere. Una rarità. Stava male, si interrogava. Parlammo del fatto che io fossi molto interessato a persone come lui, a ottenere che i detenuti avessero voglia di capire la loro storia, di cercarla. E ci chiedemmo: come facciamo a trovare la via giusta perché questo accada? La risposta arrivò spontanea. Ci siamo detti che serviva un gruppo di riflessione svincolato dalle relazioni che lo Sato chiedeva per valutare i detenuti".
Da qui la creazione del Gruppo.
"Cusani diventò mio alleato. Passarono alcune settimane dopodiché mi presentai dai detenuti della sezione penale, cioè quelli che erano stabili a San Vittore, e dissi: vorrei creare questo Gruppo. Ci state? Le adesioni arrivarono rapide e a pioggia, partimmo in quarta, con riunioni due volte alla settimana. A quel punto ne parlai con il direttore di allora, Luigi Pagano. E il progetto partì davvero".
Da dove avete cominciato?
"Dalla ricerca delle trasgressioni di ciascuno, dagli ingredienti stessi di ogni trasgressione. Un tema che ricordo bene, all'inizio, fu la sfida. Cercavamo risposte al perché delinquere significa sfidare. Negli anni abbiamo battezzato l'adrenalina, la sfida, il bisogno di eccitazione, con l'espressione "virus delle gioie corte". Accanto alle riunioni settimanali e agli scritti dei detenuti, avevamo molto spesso ospiti prestigiosi dai quali imparare e con cui confrontarci: Enzo Biagi, Enzo Jannacci, Roberto Vecchioni, Fabio Fazio. Il 24 dicembre del '97, a casa di Dori Ghezzi e Fabrizio De André avevamo concordato che il nostro primo ospite sarebbe stato lui, ma poco dopo si ammalò e quell'incontro in carcere non ci fu mai: un dolore dal quale nacquero qualche anno dopo i concerti della Trsg.band con le canzoni di De André e le riflessioni dei detenuti sulle loro storie sbagliate".
Quanti detenuti si sono legati al Gruppo finora?
"Un migliaio in 22 anni. In questo periodo abbiamo 55-60 detenuti divisi in più gruppi, nei quali io sono sempre presente, nelle carceri di Opera, Bollate, San Vittore. E poi c'è il gruppo esterno, cioè detenuti che possono essere liberi di giorno o che sono in libertà condizionale con i quali ci ritroviamo una volta a settimana in una sede messa a disposizione dall'"Associazione Libera, lotta contro le mafie"".
Per quanto tempo un detenuto resta nel gruppo?
"Molto. Alcuni sono con me da nove-dieci anni e hanno assorbito una tale quantità di concetti e di principi che ormai non è più riconoscibile il confine fra il loro vissuto e il vissuto del gruppo, fra quello che hanno imparato da me e quello che pensano. Ci sono situazioni nelle quali questo è lampante, ad esempio a San Vittore, dove tre detenuti con 9 anni a testa di esperienza nel gruppo escono dal carcere di Opera ed entrano con me in quello di San Vittore per aiutare i detenuti del reparto "giovani adulti" a emanciparsi dalle maschere dei duri con cui sono finiti in carcere. Magari sbagliano qualche congiuntivo però sanno dire e sentire cose profonde, sanno riconoscere le loro fragilità e sanno che questo li rende liberi, con la mente ancor prima che con il corpo. A un certo punto uno dei valori aggiunti del Gruppo è stata la partecipazione ai nostri incontri di alcuni parenti di vittime di reato. Ci sono detenuti per i quali il gruppo è diventato famiglia. Alcuni tornano da me in studio, come pazienti, quando sono magari liberi da anni".
Il Gruppo è legato a una cooperativa, giusto?
"Giusto. Abbiamo aperto una cooperativa sociale nel 2012 che si chiama Trasgressione.net e che mi ha permesso di fare un grandissimo passo avanti sulla conoscenza del detenuto. Attraverso il lavoro della coop vedo com'è la sua interazione con gli altri, lo vedo vivere la vita vera. Perché ovviamente una cosa è parlare, un'altra è masticare le difficoltà della vita".
Di cosa si occupa questa cooperativa?
"Vende frutta e verdura. Al mercato, a ristoranti, bar, gelaterie, mense, gruppi di acquisto solidale, a chiunque ne abbia bisogno. Occasionalmente facciamo piccoli lavori di manutenzione, traslochi, tinteggiatura, lavori di pulizia. Ma in questo momento quello che la cooperativa riesce a mettere assieme non è sufficiente a dare lavoro alla "Squadra anti-degrado" che servirebbe per l'attività sociale e di prevenzione che facciamo. La cooperativa ha lo scopo di dare un lavoro e quindi uno stipendio ai detenuti che poi sono gli stessi che fanno azione sociale attraverso il Gruppo. Faccio appello alla sensibilità sociale e civile di chi pensa che un detenuto recuperato, cittadino e lavoratore è un bene per tutti".
Che cosa chiede esattamente?
"Il principale obiettivo della nostra cooperativa è fare in modo che chi si comportava da predatore sentendosi del tutto estraneo alle sue vittime, possa sentirsi, nella sua seconda vita, parte significativa della collettività. Questo diventa più facile se i detenuti in misura alternativa e gli ex detenuti hanno un lavoro e partecipano a progetti a sfondo sociale. Col Gruppo della Trasgressione i detenuti imparano a a far diventare le loro storie sbagliate e i loro percorsi evolutivi strumenti per comunicare in modo efficace e con i giovani. È quello che facciamo da oltre quindici anni nelle scuole e sul territorio per contrastare bullismo e dipendenze da droga, alcol e gioco d'azzardo; inoltre, con i nostri convegni cerchiamo tutti gli anni di documentare pubblicamente i risultati raggiunti e di condividerli con autorità istituzionali, studenti universitari e comuni cittadini.
Quindi?
"Quindi affinché la nostra cooperativa possa avere dei testimonial capaci di svolgere questo ruolo è indispensabile che i detenuti, dopo anni di training col gruppo e una volta ottenuta la misura alternativa, abbiano un lavoro e uno stipendio. Abbiamo bisogno di lavorare di più, di un maggior numero di clienti - cioè di bar, ristoranti, mense, gelaterie - ai quali portare frutta e verdura. Tra l'altro, abbiamo qualità del prodotto, velocità nelle consegne e prezzi concorrenziali. In alternativa, possiamo stipulare contratti di lavoro fra la cooperativa e aziende che abbiano bisogno di mano d'opera. Se mi permette vorrei aggiungere un'altra cosa".
Prego...
"Vorrei dire che per ogni ex delinquente che diventa cittadino, la società guadagna anche il futuro dei suoi figli. Quindi il mio appello è: scriveteci, provate a partecipare a questo progetto:
di Fabio Tonacci
La Repubblica , 28 gennaio 2020
L'autopsia esclude che la morte sia stata provocata da percosse. I pm scavano sulle ultime ore della vittima nel centro rimpatri. Il caso non può dirsi chiuso. Seppure i primi riscontri dell'autopsia sul cadavere di Vakhtang Enukidze paiono allontanare l'ipotesi che la morte sia dovuta ai postumi di un pestaggio, i buchi neri di questa storia rimangono. Tutti.
A partire da cosa abbia causato l'edema polmonare (individuato dai medici legali come la causa del decesso), da quali farmaci abbia assunto il 38 enne georgiano detenuto nel Centro di permanenza rimpatri di Gradisca d'Isonzo, da quante ore si siano perse inutilmente prima di chiamare il 118.
Ed è prematuro anche accantonare le presunte percosse da parte degli agenti di polizia intervenuti a sedare una rissa tra Enukidze e un detenuto egiziano, visto che il procuratore capo di Gorizia Massimo Lia, dopo le indiscrezioni sull'autopsia, ha dichiarato: "Non me la sento di escludere al cento per cento cause di tipo violento, occorre prudenza e bisogna attendere la relazione finale del medico legale per avere un'indicazione precisa e univoca".
Non foss'altro perché il corpo senza vita di Enukidze porta i segni di una permanenza turbolenta all'interno del Cpr, che registra un suo tentativo di evasione (il 12 gennaio), il danneggiamento di strutture interne (il 13 gennaio), il litigio con l'egiziano sfociato nell'arresto per resistenza a pubblico ufficiale (il 14 gennaio). Il georgiano non ha fratture, ma ematomi sparsi sulle braccia e sulle gambe, tagli autoinflitti, un occhio nero, escoriazioni, la pelle delle nocche di entrambe le mani annerita dai lividi.
"Lesioni molto superficiali", le descrive Luciano Cociani, il perito nominato dal Garante dei detenuti che ha affiancato nell'autopsia il professor Carlo Moreschi, scelto dalla procura. "Non si possono considerare causa o concausa della morte avvenuta il 18 gennaio". Sulla schiena di Enukidze non ci sono ematomi evidenti, nonostante alcuni testimoni oculari abbiano dichiarato al deputato di + Europa Riccardo Magi che il 38enne è stato immobilizzato dagli agenti "con una ginocchiata alla schiena e con un colpo di avambraccio alla nuca". Solo dal risultato delle analisi tossicologiche e istologiche si potrà stabilire, nelle prossime settimane, quale sia il motivo che ha provocato l'edema. Qualche ipotesi, però, si avanza già, e conduce a quella "documentazione sanitaria frammentaria e incompleta" trovata all'interno del Cpr.
La procura, che ha aperto un fascicolo contro ignoti per il reato di omicidio volontario, sta raccogliendo materiale utile a ricostruire l'ultima settimana di vita di Vakhtang Enukidze: le proteste violente cui ha partecipato, la rissa con l'altro detenuto, le 48 ore passate nel carcere di Gorizia (anche qui, in teoria, può essere stato aggredito o malcurato) e, soprattutto, la notte tra il 17 e il 18 gennaio in cui si è sentito male.
Perché un fatto è assodato: quando è stato riportato nel Centro, nel tardo pomeriggio del 16 gennaio, non si sentiva bene. Secondo i compagni di cella, a malapena si reggeva in piedi, a malapena riusciva a parlare; si è lamentato con gli operatori della coop Edeco cui è stata affidata la gestione del Cpr; al telefono con la sorella in Georgia ha raccontato di avere avuto una dose superiore al solito di psicofarmaci e antidolorifici. E un mix incontrollato di medicine, prescritte dal personale interno del Centro oppure rimediate di straforo, l'aggiunta di eventuali droghe (pare che ne avesse fatto uso in passato), lo stress di quei giorni, potrebbero aver scatenato la crisi polmonare.
Ma perché i soccorsi sono stati chiamati solo la mattina? Nella stanza dove Enukidze è stato trovato privo di conoscenza c'è un campanello di emergenza, che serve per avvertire il presidio sanitario del Cpr, attivo 24 ore su 24 ma non sempre con un medico di guardia a disposizione. Dalle prime risultanze di indagine, il campanello risulta essere stato suonato.
Alcuni migranti ospiti, che hanno visto il georgiano cadere dal letto, posizionano la sua crisi intorno alle 5 di mattina. L'ambulanza arriva qualche ora dopo, tempistica che ha spinto gli investigatori della Squadra mobile di Gorizia ad acquisire i filmati delle telecamere di sorveglianza, puntante sull'ingresso della cella del georgiano, per vedere chi è entrato e a che ora. Dunque, e ancora: il caso non è chiuso.
di Serena Guzzone
strettoweb.com , 28 gennaio 2020
L'accordo prevede una ancora più stretta collaborazione delle associazioni con l'ufficio giudiziario retto dal Presidente Roberto di Bella. La Camera Minorile di Reggio Calabria garantirà con propri avvocati volontari un servizio di sportello informativo.
Dopo l'esperienza positiva del primo anno di attività è stata rinnovata l'intesa tra Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, Save The Children, Unicef, Camere Minorili e Centro Comunitario Agape. L'accordo prevede una ancora più stretta collaborazione delle associazioni con l'ufficio giudiziario retto dal Presidente Roberto Di Bella allo scopo di garantire ad ogni minore in difficoltà ed ai suoi genitori la conoscenza dei propri diritti e fornire loro gli strumenti necessari per poterli tutelare e per facilitare il rapporto con le istituzioni che si occupano di minori, e favorire la risoluzione dei problemi del minore attraverso l'intervento della rete associativa operante sul territorio della Città metropolitana.
Nello specifico la Camera Minorile di Reggio Calabria garantirà con propri avvocati volontari un servizio di sportello informativo una volta la settimana, nel giorno del mercoledì dalle ore 9,30 alle ore 12,30, presso i locali del Tribunale medesimo, inoltre, sarà attivato un servizio telefonico e di ascolto attraverso il quale potranno essere raccolte le richieste di assistenza e di aiuto a cura e presso la sede del Centro Comunitario Agape il quale s' impegna inoltre a reperire famiglie di supporto o singole persone che possano accompagnare i minori, e aiutare i rispettivi genitori, nei compiti educativi e di crescita.
Tutte le associazioni firmatarie dell'accordo collaboreranno all'esecuzione dei provvedimenti adottati dal TM a sostegno dei minori appartenenti a nuclei familiari in difficoltà, secondo le prescrizioni dell'autorità giudiziaria minorile attraverso un volontariato qualificato ed un sistema di rete di sensibilizzazione educativa sui temi dell'infanzia e l'adolescenza. Si prevedono, infine, incontri a cadenza trimestrale con un rappresentante del TM per la verifica delle attività in corso.
Al protocollo potranno aderire anche altre associazioni senza fini di lucro che svolgano la loro attività nel campo della tutela dei minori e condividano metodi ed obiettivi in esso delineati. Soddisfazione per la firma del protocollo è stata espressa da Raffaela Milano, Direttore nazionale di Save The Children che ha dichiarato "siamo particolarmente lieti di contribuire a questo impegno comune, in un territorio che da tempo ci vede concretamente impegnati, attraverso esperienze quali il Punto Luce e lo Spazio Mamme di San Luca. Siamo convinti che per combattere la povertà educativa e promuovere I diritti di tutti i bambini sia indispensabile unire gli sforzi e fare lavoro di squadra; questo protocollo ne è una testimonianza".
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