di Mariano Messineo
La Sicilia, 16 aprile 2015
Il carcere calatino di contrada Noce attende ancora di essere ristrutturato. Maledetta burocrazia. I lavori per la costruzione di un nuovo padiglione nella casa circondariale di Caltagirone (una delle tre carceri siciliani - le altre sono Trapani e Siracusa - a essere interessate da questi interventi), che comportano un investimento di ben 11 milioni di euro, sono bloccati da novembre a causa del protrarsi dei tempi necessari per alcuni "passaggi".
Il 31 luglio 2014, infatti, sono cessate con decreto le funzioni del commissario straordinario del Governo per le infrastrutture carcerarie. Risale invece al 10 ottobre scorso il decreto ex piano carceri che suddivide le competenze prima commissariali fra il ministero delle Infrastrutture e il ministero della Giustizia, attribuendo al primo la titolarità degli interventi riguardanti il carcere di Caltagirone e altre strutture interessate da interventi con le stesse caratteristiche.
È pertanto il Ministero delle Infrastrutture a subentrare nelle convenzioni, nei protocolli, nei rapporti attivi e passivi, nei contratti di lavori, forniture, servizi e di collaborazione relativi alla struttura penitenziaria calatina. Fatta chiarezza su questo aspetto, si attende adesso la ripresa dei lavori che, stando a notizie giunte da fonti accreditate, dovrebbe avvenire in tempi brevi. Sinora le opere effettuate costituiscono il 25% circa dei lavori complessivi.
Effettuati gli interventi di carpenteria, restano infatti da fare pavimenti, facciate, impianti e altro ancora. "Ci rifiutiamo di pensare che siano solo difficoltà di ordine burocratico - afferma Salvatore Lo Balbo, della segreteria nazionale Fillea Cgil - questo è anche un problema di volontà politica, che va al più presto chiarito, ponendo fine a questa situazione di impasse che riguarda numerosi e attesi interventi nel settore.
Il paradosso - aggiunge Lo Balbo - è che ancora non c'è alcuna notizia ufficiale sui tempi per il riavvio delle opere. Auspichiamo che agli impegni di legalità negli appalti assunti dal commissario per i vari lavori nelle carceri venga adesso data continuità. Occorre che la macchina dei controlli preventivi messa in campo attraverso i protocolli di legalità, venga fatta ripartire al più presto per evitare fenomeni di presenza mafiosa e di abbassamento delle tutele dei lavoratori".
Con il nuovo padiglione, la capienza della casa circondariale calatina sarà aumentata di 200 unità. Attualmente i reclusi sono poco più di 260, ma il penitenziario ne ha ospitati anche 300. È invece già pronto, ma si attende il definitivo via libera per il suo utilizzo, il nuovo reparto (ex infermeria) per un centinaio di ospiti. Ciò significa che, nel giro di un paio di anni, il carcere di Caltagirone è destinato a contenere sino a 600 detenuti e a diventare, quindi, una delle strutture penitenziarie con il maggior numero di ospiti in Sicilia.
www.ligurianotizie.it, 16 aprile 2015
Da tempo la Uil-Pa Penitenziari segnala l'incauta e "irresponsabile" presenza di una bombola d'ossigeno nel corridoio del Piano Terra Sesta Sezione. A denunciarlo è Fabio Pagani, Segretario regionale della Uil-Pa Penitenziari - che aggiunge - "fino a qualche giorno fa le bombole di ossigeno erano addirittura due ed erano utilizzate per due detenuti italiani con seri problemi respiratori". Pagani punta il dito contro l'Amministrazione Penitenziaria e soprattutto contro l'Asl che pur avendo a disposizione un Centro Clinico, preferisce curare i detenuti in reparti comuni con tutto il pericolo del caso, come avvenuto in uno scoppio a Milano il 12 aprile scorso, causato da una bombola d'ossigeno che ha praticamente carbonizzando due persone e distrutto l'intero stabile. "Questa volta - precisa il sindacalista - a rischio ci sarebbero circa 80 detenuti nel reparto sesta sezione e soprattutto i Poliziotti Penitenziari in servizio"
di Gianni Vigoroso
www.ottopagine.it, 16 aprile 2015
Un boccone di cibo di traverso e rischia di morire soffocato, pomeriggio rocambolesco per un detenuto cinquantenne rinchiuso nel carcere di Ariano Irpino.
Prima la corsa in ospedale al pronto soccorso dell'ospedale Sant'Ottone Frangipane accompagnato dai sanitari del 118 (con il supporto mediante staffetta da parte di carabinieri e polizia penitenziaria), dove l'uomo è stato sottoposto a tutti gli esami del caso, poi il trasferimento verso il Moscati di Avellino, interrottosi per strada prima di imboccare l'A16 Napoli Bari, essendosi ripreso quasi per miracolo, dopo aver espulso il boccone rimasto incastrato nella parte iniziale della trachea.
Ai sanitari e agenti non è rimasto altro che fare dietrofront verso la struttura sanitaria arianese, dove il detenuto oramai ripresosi dal problema "ab ingestis", è stato sottoposto ad un una ulteriore visita medica e successivamente dimesso e trasferito nella sua cella.
Ancora una giornata in affanno per il personale della casa circondariale arianese, dopo gli ultimi gravi episodi avvenuti a cascata tra cui l'aggressione a due agenti e il l'ingestione di lamette da parte di un detenuto extracomunitario. Una vicenda quest'ultima, gestita così come le altre in precedenza con grande rapidità e professionalità.
di Cristina Ventura
La Stampa, 16 aprile 2015
Si è presentato così: "Ho 28 anni e sono un fine-pena-mai". Ha commesso un omicidio, quando era poco più che un ragazzino. Come lui Emanuele, che di anni ne ha 27, stesso reato, stessa pena e un figlio a casa ad aspettare. Loro sono i due giovani detenuti del carcere di San Gimignano che hanno partecipato al premio nazionale Giornalisti Nell'Erba.
Antonio ed Emanuele hanno una vita da passare dietro le sbarre, ma hanno trovato una nuova finestra per guardare l'orizzonte, un "oltre" per vedersi nel mondo. Gliel'ha portato in carcere una psicologa e tutor del progetto, Michela Salvetti, il giorno che gli ha proposto di iscriversi al premio di giornalismo ambientale.
Mercoledì 15 aprile alle 14, all'Hotel Sangallo di Perugia durante il panel di Giornalisti Nell'Erba, al Festival Internazionale del Giornalismo, si potranno ascoltare Emanuele e Antonio, le loro letture e scritture, il racconto di Michela Salvetti che li ha seguiti, e le riflessioni dello scrittore e giornalista Gaetano Savatteri e di Carmelo Sardo, autore di "Malerba", scritto a quattro mani con Giuseppe Grassonelli, all'ergastolo per crimini mafiosi. Modera Alfredo Macchi.
Attraverso la scrittura, un mezzo nuovo da sperimentare, Emanuele e Antonio hanno trovato un nuovo modo per guardare lontano, per entrare in contatto con il mondo esterno, per essere in un certo senso pari ai coetanei, facendosi leggere da loro. Hanno riscoperto l'importanza delle loro radici e del territorio in cui vivevano, del rispetto della natura da cui l'uomo dipende, ma anche come luogo psichico che li ha profondamente segnati. Antonio viene dalla Sicilia ed ha descritto il legame intimo che lo lega al mare, mentre Emanuele, calabrese, ha raccontato il rapporto con la sua terra e con tutte le persone che gli hanno insegnato ad amarla, in un viaggio nella memoria a partire dai colori e dagli odori.
"L'iscrizione a questo concorso vuole essere una possibilità di confrontarsi con dei coetanei, di andare oltre i confini della loro cella, di ritrovarsi ragazzi e non solo carcerati, di riappropriarsi di un rapporto positivo con l'ambiente in cui sono cresciuti", dice Salvetti. Nei loro articoli, attraverso l'indagine giornalistica nei gesti di un quotidiano passato e nei ricordi di famiglie fortemente legate alla terra, "ritrovano nella salvaguardia dell'ambiente valori diversi da quelli dell'illegalità".
Ed è proprio grazie a questo viaggio nella memoria che sono stati obbligati, attraverso l'esercizio della scrittura, ad ordinare gli eventi della vita, a fare chiarezza, aprendosi a sentimenti e paure e, infine, affrontare anche i crimini. "Non bisogna mai dimenticare che c'è stata una vittima e loro ne sono responsabili" continua la psicologa, "ma la pena dovrebbe divenire un progetto per favorire la riabilitazione". La scrittura giornalistica, la possibilità di scrivere e anche di farsi leggere, sembra che abbia gettato qualche base per il viaggio lungo e difficile del reinserimento nella società.
Il Quotidiano, 16 aprile 2015
Una riflessione sugli strumenti per prevenire la violenza sui minori che riunisca intorno allo stesso tavolo medici, giudici dei tribunali e politici. È il convegno, "I minori e la violenza. Maltrattamenti, abusi", in programma domani, a partire dalle ore 9, nell'aula magna dell'Azienda "Moscati" (Città Ospedaliera, settore B, primo piano).
Dopo i saluti del Direttore Generale dell'Azienda "Moscati", Giuseppe Rosato, e del Presidente Lions Club Avellino Host, Concita De Vitto, apriranno i lavori del convegno Mirella Galeota e Maricetta Speranza Sanfilippo, responsabile nuovo service distrettuale Lions Violenza sui minori. Donatella Palma, medico-chirurgo presidente dell'Associazione Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza in Rete Campania, fornirà quindi indicazioni per riconoscere le violenze e gli abusi sui minori, mentre la psicoanalista Maria Luisa Califano, componente della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica, parlerà del significato psicodinamico della violenza.
La mattinata si chiuderà con gli interventi del neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale Aldo Diavoletto, che parlerà della violenza negli adolescenti, e della psicologa e psicoterapeuta dell'età evolutiva Rosanna Gentile, che relazionerà sulle forme della violenza. I lavori della sessione pomeridiana si apriranno, alle ore 14.30, con gli interventi, moderati dalla giornalista Marina D'Apice, del neuropsichiatra infantile Carlo Barbati, giudice onorario presso il Tribunale per i minori di Napoli che parlerà delle memorie della violenza e di Pasquale Andria, Presidente del Tribunale per ì Minorenni dì Salerno, che relazionerà sul tema "La giurisprudenza come interviene?".
Il convegno si chiuderà con un dialogo tra istituzioni sui metodi per il riconoscimento e la prevenzione della violenza, che vedrà confrontarsi il consigliere della Regione Campania Rosa D'Amelio, presidente della in Commissione consiliare speciale in materia di politiche giovanili, lo psichiatra psicoterapeuta Antonio Acerra, Direttore della sede di Avellino della Scuola Romana di Psicoterapia Familiare, il neurofisiopatologo e neuropsichiatra infantile Salvatore Baga-là, direttore del Dipartimento Materno-Infantile dell'Asp di Crotone e il deputato parlamentare Guido Milanese, direttore dell'Unità operativa di Psichiatria dell'Asl Salerno 3.
Le conclusioni della tavola rotonda saranno affidate a Renato Rivieccio, Vicegovernatore del Distretto 108. "Il nostro obiettivo - spiega ancora la dottoressa Galeota - è quello di dare voce ai più piccoli, ma anche soffermarsi su quanta importanza assumano la comunicazione e la diffusione di alcuni concetti per incidere e sollecitare un'educazione alla civilizzazione. Di qui l'idea di promuovere un dialogo interdisciplinare tra i soggetti, che, a vario titolo, intervengono nella cura e nell'aiuto ai minori".
di Antonio Maimone
www.sicilians.it, 16 aprile 2015
Si è concluso con la vittoria di una rappresentativa di detenuti di diverse nazionalità il triangolare di calcio a 7 "Un calcio ai pregiudizi" giocato con due compagini
universitarie composte da studenti universitari e collaboratori del Cus Unime nel campo del carcere di Gazzi. Il rettore dell'Università di Messina Pietro Navarra e il direttore della casa circondariale Calogero Tessitore, hanno voluto organizzare l'evento "per rilanciare una visione dello sport come strumento di promozione di valori meritevoli e di tutela sociale, quali il rispetto reciproco dei contendenti, la solidarietà e il sacrificio individuale a vantaggio del risultato collettivo". L'evento, nato da un'idea del delegato alle attività sportive dell'Università Daniele Bruschetta, è stato una vera e propria festa dell'amicizia che ha superato qualsiasi barriera, in cui lo sport non ha rappresentato solo una parentesi agonistica, ma soprattutto un momento di impegno civile e sociale. Tutti i rappresentanti delle istituzioni si sono dichiarati entusiasti per la perfetta riuscita del torneo e hanno annunciato nuove iniziative per il futuro.
www.termolionline.it, 16 aprile 2015
C'è una forza straordinaria nella cultura, è quella capace di toccare dritto al cuore, ai sentimenti e capace di cambiare ogni cosa: è questa la poesia, una passione che da oltre un decennio accompagna la detenzione di Francesco Luigi Frasca, una passione che grazie a don Marco Colonna si è trasformata in un libro presentato nella casa circondariale di Larino.
È una storia di riscatto quella di Francesco, oggi 30 ma da oltre un decennio recluso. Il suo passato non lo spaventa più perché conserva la certezza che nonostante le sbarre è libero, libero nel cuore grazie alla sua passione, ai suoi studi e alla capacità che ha avuto negli anni di comprendere il passato e puntare dritto a costruire un futuro migliore.
Si emoziona mentre parla, la sua è una ordinarietà dal sapore di "straordinario" perché forgiata nella difficoltà con l'imprinting di chi ha un obiettivo e vuole realizzarlo. Parla della mamma, dei compagni di sbarre, dei professori e della direttrice ma anche dei preti e di quella che è diventata la sua passione: la poesia.
Per Francesco Luigi Frasca: "riassumere tutto in una parola sarebbe molto difficile per me perché la poesia per me è stato un lungo percorso che mi ha visto crescere, aprirmi alla società esterna e soprattutto per me la poesia oggi rappresenta un punto di riscatto mi rifaccio delle parole del Pascoli che diceva che la poesia sono quelle parole che tutti abbiamo sulla labbra ma nessuno osa dire, invece il poeta le scrive. Io scrivo poesie per pronunciare le parole che gli altri o che io stesso non voglio dire nelle situazioni in cui andrebbero dette. La poesia per me rappresenta libertà, andare oltre le sbarre e quel muro che per me è invisibile ed è un punto non di arrivo ma di inizio per la mia vita futura". L'appuntamento culturale nella casa circondariale di Larino è segno della capacità di un istituto di accompagnare i propri "ospiti", come ama chiamarli Rosa La Ginestra e farlo fondendo il riscatto nella cultura che è sì poesia, ma è anche musica.
Quella di Simone Sala, tra i pianisti più apprezzati nel panorama nazionale che ha accompagnato i versi interpretati dai detenuti e contenuti nella raccolta "I segreti dell'anima". Parte invece dal presupposto che "la musica e la letteratura, l'arte e la poesia siano la vera grande libertà e la speranza che può essere raccontata attraverso i suoni di un pianoforte o di un brano", il pianista Simone Sala che aggiunge: "il mio sogno era quello di portare un messaggio di speranza alle persone che non sempre possono godere di quello che è un concerto musicale vero e proprio.
L'idea di questo progetto è nata un po' per scherzo e un po' per caso perché ho conosciuto una persona che era stata in questo carcere e mi ha raccontato della sofferenza e siccome io penso che la musica sia il più grande antidepressivo che esista al mondo, un antidepressivo che dà una buona dipendenza quel giorno ho pensato e sognato di portare la musica all'interno di questo istituto e poi la fortuna quest'anno che mio cugino è diventato professore all'interno dell'istituto e siamo riusciti ad arrivare alla direttrice, alla preside e a fare una proposta e loro l'hanno caldamente accettata e ci hanno aiutato".
Gli fa eco la direttrice del carcere Rosa La Ginestra che evidenzia: "musica e poesia sono, con tutta probabilità, quello che non ti aspetti di incontrare in carcere ma che oggi riusciamo a mettere insieme in maniera inaspettata. Il messaggio è quello di trovare i canali diversi per arrivare al cuore delle persone e convincerle che ci sono percorsi diversi di reinserimento. La musica è il mezzo più efficace per arrivare al cuore in profondità e la poesia è la stessa cosa del resto nasce all'interno e il nostro ospite che ha fatto tesoro di quella che è la sofferenza di stare in carcere riuscendo ad arrivare a versi di grande efficacia e sensibilità. Sono tentativi e percorsi diversi, input che vengono dati a tutta la collettività per dire che il carcere ha tanto di positivo, tanto da poter dare all'esterno e da poter far crescere all'interno. Un grande entusiasmo perché c'è l'incontro con la collettività esterna che è sempre molto auspicato dai detenuti e perché una buona parte della manifestazione è incentrata su uno di qui, uno di noi, uno che è cresciuto all'interno, ha vissuto e continua a vivere e vivrà ancora per un certo periodo quelle che sono le difficoltà di stare all'interno del carcere ed è la dimostrazione che anche dall'interno si può uscire e si può uscire alla grande".
Il resto della giornata è tanta emozione, quella messa in versi nelle poesie e quella che ha solcato i volti commossi dei tanti che hanno preso parte all'appuntamento. Applausi per don Marco Colonna, cappellano del Carcere, ma anche per don Benito Giorgetta e la preside e vicesindaco Maria Concetta Chimisso che tanto si sono speri nella realizzazione di questo progetto; presenti in sala tanti detenuti, ma anche i genitori di Francesco Frasca.
Uomini "duri" per molti, ma sempre uomini, persone capaci di emozionarsi, perché nessuno è il suo errore, come professava don Oreste Benzi ma anche cambiare ed andare avanti... e a volte riuscirci anche grazie solo a qualche poesia e qualche nota.
www.ncr-iran.org, 16 aprile 2015
Nella prigione centrale della città di Karaj lunedì scorso sono stati impiccati otto detenuti, condannati a morte per reati legati alla droga. I media di stato in Iran, parlando delle esecuzioni, non hanno fornito altre informazioni sulle vittime. I detenuti della prigione di Gohardasht e della prigione centrale di Karaj hanno inscenato una protesta domenica per salvare decine di loro compagni di cella in procinto di essere giustiziati.
I detenuti hanno attaccato le guardie della prigione con sassi e vetri rotti e sono penetrati nel cortile. Domenica pomeriggio nella prigione di Karaj, sono continuati gli scontri con le guardie della prigione. I detenuti hanno gridato "Non ci lasceremo uccidere!". Intanto le famiglie riunite di fronte al tribunale di Karaj gridavano "Non ve li lasceremo giustiziare". (ascolta le grida strazianti delle famiglie dei detenuti che rischiano l'esecuzione)
Domenica la Resistenza Iraniana ha chiesto un'azione immediata del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, del Governo degli Stati Uniti e dell'Unione Europea per fermare questo trend in crescita delle esecuzioni in Iran ed ha chiesto agli organismi in difesa dei diritti umani di lanciare una campagna mondiale contro le violazioni dei diritti umani in Iran.
Agenparl, 16 aprile 2015
Un rapporto diffuso ieri da Amnesty International ha accusato Usa, Germania e altri paesi dell'Unione europea (Ue) che continuano a ignorare la tortura dilagante in Uzbekistan, di permettere che orrendi abusi si perpetuino indisturbati. Il rapporto di Amnesty International, intitolato "Segreti e Bugie: confessioni forzate sotto tortura in Uzbekistan", rivela come la tortura e i maltrattamenti sistematici abbiano un ruolo centrale nel sistema giudiziario dell'Uzbekistan e nelle misure repressive del governo nei confronti di ogni gruppo percepito come minaccia alla sicurezza nazionale. Secondo Amnesty International, la polizia e le forze di sicurezza ricorrono con frequenza alla tortura per estorcere confessioni, intimidire intere famiglie od ottenere tangenti.
"In Uzbekistan, non è un mistero che chiunque non ricada nei favori delle autorità possa essere arrestato e torturato. Nessuno si sottrae alla morsa dello stato" - ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International, lanciando il rapporto a Berlino. "È vergognoso che molti governi, incluso quello degli Usa, chiudano gli occhi di fronte al dilagare della tortura, probabilmente per paura di turbare un alleato nella 'guerra al terrorè. Altri governi, come la Germania, sembrano essere più preoccupati di portare avanti gli interessi economici che di sollevare l'argomento".
A ridosso del maggio 2015, decimo anniversario dell'uccisione di massa di centinaia di oppositori ad Andijan, il rapporto di Amnesty International evidenzia come Usa e stati membri dell'Ue, inclusa la Germania, abbiano segretamente posto la sicurezza e gli interessi politici, militari ed economici davanti a ogni significativa azione per persuadere le autorità uzbeke a rispettare a pieno i diritti umani e fermare la tortura.
Le sanzioni imposte dall'Europa all'Uzbekistan dopo il massacro del 2005 ad Andijan sono state annullate nel 2008 e nel 2009, con la revoca del divieto di viaggio e la ripresa della vendita di armi, nonostante nessuno sia stato punito per quelle uccisioni. L'ultima volta che i ministri degli Affari esteri dell'Ue si sono occupati della situazione dei diritti umani in Uzbekistan risale all'ottobre 2010.
La Germania in particolare ha stretti legami militari con l'Uzbekistan. Nel novembre 2014, ha ottenuto il rinnovo della concessione della base aerea di Termez per aiutare le truppe tedesche in Afghanistan. Il 2 marzo 2015, Germania e Uzbekistan hanno concordato investimenti per 2,8 miliardi di euro e un pacchetto di scambi commerciali. Il governo degli Usa, a sua volta, ha annullato nel gennaio 2012 le limitazioni in tema di aiuti militari all'Uzbekistan originariamente imposte nel 2004 in parte a causa della situazione dei diritti umani nel paese. Quest'anno, le relazioni militari tra i due stati si sono rafforzate in modo significativo con la messa in atto di un nuovo programma quinquennale di cooperazione.
Nel dicembre 2014 il vicesegretario di stato statunitense per l'Asia centrale, Nisha Biswal, ha dichiarato che Washington usa la "pazienza strategica" nei rapporti con l'Uzbekistan.
"L'atteggiamento dei partner internazionali dell'Uzbekistan verso il suo ricorso abituale alla tortura sembra essere, nel miglior dei casi, ambiguo e, nel peggiore, tollerante fino al punto da risultarne complice. Gli Stati Uniti descrivono le relazioni con l'Uzbekistan come una politica di pazienza strategica, ma sarebbe meglio chiamarla 'indulgenza strategicà. Gli Usa, la Germania e l'Ue dovrebbero immediatamente chiedere all'Uzbekistan di far luce sulle sue azioni e fermare la tortura" - ha sottolineato John Dalhuisen.
"Il divieto internazionale di tortura è assoluto e immediato. Tuttavia, mentre Germania e Stati Uniti rafforzano i legami con l'Uzbekistan, in questo paese le persone sono arrestate dalla polizia, torturate fino a rendere confessioni false e sottoposte a processi iniqui. Continuando a fare affidamento sulle confessioni forzate, l'Uzbekistan rimarrà un partner screditato" - ha commentato Dalhuisen.
Il rapporto di Amnesty International, basato su più di 60 interviste condotte tra il 2013 e il 2015 e da prove raccolte in 23 anni, rivela l'esistenza di camere di tortura con pareti rivestite di gomma e isolate acusticamente a disposizione dal Servizio di sicurezza nazionale (Snb, la polizia segreta dell'Uzbekistan) e documenta il continuo uso di celle di tortura sotterranee nelle stazioni di polizia.
Polizia e agenti dell'Snb impiegano tecniche brutali, tra cui soffocamento, stupro, scosse elettriche, esposizione a temperature estreme, privazione di sonno, cibo e acqua. Il rapporto descrive anche pestaggi prolungati da parte di gruppi di persone, inclusi altri detenuti. Un uomo, che non ha mai rivelato il motivo del suo arresto, ha raccontato cosa è successo dopo essere stato condotto nel sotterraneo di una stazione di polizia, nelle prime ore del mattino:
"Ero in manette con le mani dietro la schiena... C'erano due agenti di polizia che mi picchiavano, mi davano calci, usando bastoni, ho perso conoscenza. Mi picchiavano ogni giorno, sulla testa, sui reni... Quando ho perso i sensi, mi hanno versato addosso dell'acqua per svegliarmi e continuare a picchiarmi". Il rapporto di Amnesty International documenta il ricorso diffuso alla tortura e altri maltrattamenti nei confronti di oppositori politici, gruppi religiosi, lavoratori migranti e imprenditori. A volte le autorità prendono di mira le famiglie delle vittime.
Zuhra, un'ex detenuta, ha raccontato ad Amnesty International che gli agenti di sicurezza se la sono presa con tutti i suoi parenti, molti dei quali oggi restano ancora in prigione. Lei doveva presentarsi regolarmente al commissariato locale, dove veniva trattenuta e picchiata in quanto componente di una "famiglia estremista" e costretta a denunciare e incriminare i suoi parenti di sesso maschile: "Nella nostra casa non c'è pace. Quando ci svegliamo al mattino, se vediamo un'auto ferma davanti alla porta di casa, i nostri cuori battono più velocemente. In casa non ci sono più uomini. Nemmeno i miei nipotini".
Una nuova testimonianza ricevuta da Amnesty International segnala l'impiego istituzionalizzato della tortura e dei maltrattamenti per estorcere confessioni e prove incriminanti su altri sospettati. Gli imputati sono spesso processati sulla base di prove estorte con la tortura. I giudici chiedono tangenti in cambio di sentenze clementi e la polizia e gli agenti dell'Snb minacciano o usano la tortura per ottenere elevate tangenti dalle persone arrestate o condannate.
L'imprenditore turco Vahit Gunes è stato accusato di reati economici, tra cui l'evasione fiscale, e di essere in rapporti con un movimento islamico fuorilegge, accuse che egli ha respinto. È rimasto 10 mesi in un centro di detenzione dell'Snb, dove ha detto di essere stato torturato fino a firmare una confessione falsa. È stato di nuovo torturato quando la polizia segreta ha cercato di estorcere diversi milioni di dollari statunitensi alla sua famiglia in cambio del suo rilascio.
La risposta ricevuta dopo aver chiesto di avere un avvocato illustra l'ingiusta e arbitraria natura del sistema penale uzbeko: "Uno dei procuratori mi ha detto: "Vahit Gunes, nell'intera storia dell'Snb nessuno è mai stato portato qui, dichiarato innocente e rilasciato. Tutti quelli che vengono portati qui sono colpevoli. Devono dichiararsi colpevoli".
Vahit Gunes ha descritto le condizioni inumane, le intimidazioni psicologiche, i pestaggi e l'umiliazione sessuale subiti durante il periodo di detenzione: "Lì non sei più un essere umano. Ti danno un numero. Il tuo nome non è più valido. Ad esempio, il mio numero era 79. Non ero più Vahit Gunes, ero il 79. Non sei un essere umano. Sei diventato un numero".
Messa fuorilegge nel 1992, la tortura in Uzbekistan è raramente punita. Persino i dati del governo mostrano gli alti livelli di impunità, con soli 11 agenti di polizia incriminati dal 2010 al 2013. Durante questo periodo, sono state registrate ufficialmente 336 denunce di tortura, delle quali solo 23 sono state indagate e sei portate a processo. Come se non bastasse, i casi sono spesso affidati alle stesse autorità accusate di tortura e le probabilità che le vittime ricevano giustizia e risarcimenti sono estremamente basse.
Amnesty International chiede al presidente Islam Karimov di condannare pubblicamente il ricorso alla tortura. Le autorità dovrebbero inoltre istituire un sistema indipendente di ispezioni nei centri di detenzione e assicurare che confessioni e ulteriori prove ottenute con la tortura non siano mai usate in giudizio. Dopo quelli su Messico, Nigeria e Filippine, questo è il quarto di una serie di rapporti realizzati nell'ambito della campagna globale di Amnesty International "Stop alla tortura", lanciata nel maggio 2014. Solo negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha documentato tortura e altri maltrattamenti in 141 paesi.
Muhammad Bekzhanov è il redattore capo del quotidiano Erk, rivista di un partito di opposizione politica messo fuorilegge. Bekzhanov è anche uno tra i giornalisti ad aver trascorso più tempo in carcere al mondo, ben 16 anni.
Nell'agosto 1999 un tribunale di Tashkent lo ha condannato a 15 anni dopo un processo iniquo, sulla base di una confessione estortagli sotto tortura. Poco prima della scadenza della pena, ha ricevuto una nuova condanna a quattro anni e otto mesi di carcere per una presunta violazione delle regole carcerarie. Bekzhanov è stato picchiato, soffocato e sottoposto a scariche elettriche ma non è mai stata aperta alcuna indagine sulle sue denunce di tortura.
di Roberto Prinzi
Il Manifesto, 16 aprile 2015
Uno degli aspetti meno dibattuti dell'occupazione israeliana della Cisgiordania è lo sfruttamento della manodopera palestinese, soprattutto minorile. Un rapporto intitolato "Maturi per l'abuso: il lavoro minorile palestinese negli insediamenti agricoli israeliani in Cisgiordania", pubblicato dalla ong Human Rights Watch (Hrw), rivela che le colonie, principalmente quelle della Valle del Giordano, impiegano bambini palestinesi anche di 11 anni (violendo la legge internazionale che stabilisce come età minima 15 anni) pagandoli poco e in condizioni di lavoro definite "pericolose".
Negli insediamenti israeliani i bambini palestinesi lavorerebbero a temperature altissime trasportando carichi pesanti e sarebbero esposti agli effetti dannosi dei pesticidi. Secondo il rapporto, i bambini lasciano la scuola per raccogliere, pulire e confezionare gli asparagi, i pomodori, le melanzane, i peperoncini dolci, le cipolle e i datteri. In alcuni casi, sono i bambini stessi a provvedere alle spese mediche causate dalle condizioni di lavoro dure e pericolose a cui sono soggetti. L'area della Valle del Giordano è la zona in cui si trovano i maggiori insediamenti agricoli israeliani e corrisponde a circa il 30% della Cisgiordania.
I 38 bambini intervistati sostengono di percepire 10 shekel all'ora (2.70 dollari) o 70 shekel (19 dollari) al giorno. In Israele e nelle colonie la paga media nel 2012 (l'ultimo dato al momento disponibile) era di 407 shekel (110 dollari) al giorno. Usa parole dure Sarah Leah Whitson, direttrice per il Medio Oriente e il Nord Africa di Hrw. "Le colonie israeliane fanno profitto abusando dei diritti dei bambini palestinesi i quali, provenendo da comunità impoverite dalla discriminazione di Israele e dalle politiche in vigore nelle colonie, abbandonano la scuola e iniziano lavori pericolosi perché pensano di non avere alternative. Di fronte a tutto questo, Israele chiude gli occhi".
Ad essere colpevoli dello sfruttamento dei giovanissimi, sottolinea l'ong, sono però anche gli intermediari palestinesi (wasiit in arabo) il cui compito è quello di trovare manodopera a basso prezzo per i padroni israeliani. David Elhayani, a capo del Consiglio regionale della Valle del Giordano, ha definito "disonesti" i dati forniti da Hrw. Secondo Elhayani, il Consiglio impiega 6.000 palestinesi ogni giorno, ma non minori.
"È una bugia orribile - ha dichiarato - non c'è alcuna giustificazione né morale, né legale e né finanziaria per impiegare dei bambini". Ma se sono difficili le condizioni di vita in Cisgiordania, restano drammatiche quelle nella Striscia di Gaza. Sei mesi dopo che i paesi donatori avevano promesso di destinare 5,4 miliardi di dollari per il piccolo lembo di terra palestinese devastato la scorsa estate dai 50 giorni dell' operazione militare israeliana "Margine protettivo", la ricostruzione continua a procedere molto lentamente e il denaro resta bloccato. Lo hanno denunciato ieri 45 associazioni e ong dell'Aida (Association of International Development Agencies).
"Se non cambiamo corso ora e affrontiamo le questioni chiave, la situazione a Gaza continuerà a peggiorare. Senza una stabilità economica, sociale e politica, un ritorno ad un conflitto sarà inevitabile" ha detto la coalizione tra cui spiccano i nomi di Care International, Oxfam, Save the Children. "Solo il 26,8% del denaro è stato rilasciato, la ricostruzione è a mala pena cominciata e le persone a Gaza continuano a vivere in pessime condizioni" ha aggiunto Aida.
Secondo il suo rapporto, la guerra ha distrutto 12.400 case e ne ha danneggiato 160.000 lasciando senza un tetto 100.000 palestinesi. Il documento critica entrambe le parti del conflitto ritenendole legalmente responsabili per la situazione che si è venuta a creare. "La comunità internazionale - si legge nel testo - deve chiedere una fine delle violazioni della legge internazionale e considerare responsabili tutte le parti. Deve, inoltre, fare in modo che ciò non si ripeta più".
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