www.romatoday.it, 3 gennaio 2015
Santi Consolo in qualità di nuovo dirigente del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria in vista all'istituto penitenziario di via della Lungara.
"Un segnale di cambiamento". Così il segretario territoriale della Fns Cisl Lazio ha definito la prima visita del Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria effettuata al carcere di Regina Coeli in occasione del capodanno da Santi Consoli. "Un segnale importante - scrive il sindacato dei baschi azzurri - che dimostra un senso di sensibilità da parte del Capo Dap alle varie problematiche esistenti non solo nel carcere romano di Regina Colei ma anche negli altri istituti penitenziari laziali e non solo ma anche a quelle riferite al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria".
Pochi giorni fa il neo Capo Dap aveva voluto rivolgere al personale il seguente saluto "Ho ritrovato una Amministrazione che vuole essere protagonista del cambiamento, di impegnarsi per conseguire importanti obiettivi. Voi tutti volete garantire una detenzione dignitosa, socialmente utile e sicura. Confido nell'alta professionalità della Polizia Penitenziaria della quale ho piena considerazione per i sacrifici, i rischi ed il senso di umanità che profonde nell'alleviare i disagi delle persone ristrette. Voi assicurate, nell'interesse dell'intero paese, il rispetto dei diritti umani non disgiunto da imprescindibili esigenze di sicurezza".
Per la Fns Cisl Lazio detta visita appunto "rappresenta un cambiamento - scrive in una nota stampa il segretario territoriale Luigi Alfieri - che con la sua la professionalità, la preparazione e la grande serietà del magistrato siciliano che siamo sicuri può dare molto all'Amministrazione Penitenziaria".
La Repubblica, 3 gennaio 2015
Vita in gabbia, vita da detenuti. Alessandra Ballerini, avvocato da sempre in prima fila per i diritti dei migranti, e Matteo Rossi, consigliere regionale di Sel, visitano il reparto malati, il così detto "repartino", dell'ospedale San Martino ed escono con una fotografia desolante. "I detenuti, sette, rimangono a letto 24 ore al giorno. Al buio, perché la luce può accendersi solo da fuori e loro fuori dalla stanza non possono mai uscire, neanche per sgranchirsi le gambe", denuncia Alessandra Ballerini. L'aria nelle stanze è irrespirabile perché le finestre ci sono, ma possono essere aperte solo dalla polizia penitenziaria.
"L'aria è così insana che lascia un gusto acre nella bocca". Un ragazzo giovane è disteso in mezzo a due detenuti più anziani e malati psichici. "Altri due hanno l'Hiv, sono più vicini alla morte che alla vita. Assolutamente incapaci di nuocere a nessuno, abbandonati lì da mesi, senza familiari, avvocati ne magistrati, che si prendano cura di loro - continua Alessandra Ballerini: sono persone che dovrebbero essere curate e invece giacciono qui attendendo la morte o la fine della pena". Le loro condizioni di salute non sono compatibili con la detenzione. "Se fossero benestanti, se avessero una famiglia che ci cura di loro, se avessero una casa, non starebbero qui, ma in una dimora, in una comunità o in altri reparti.
La sensazione - conclude - è che questo sia l'ultimo girone: la discarica nella discarica. Per contenere gli ultimi degli ultimi". Alessandra Ballerini e Matteo Rossi non sono gli unici a denunciare le condizioni in cui vivono i detenuti. Al carcere di Marassi c'è stata l'ispezione di una delegazione composta da radicali e socialisti.
"Patologie come Hiv o epatite C di cui sono affetti buona parte dei detenuti tossicodipendenti, sono totalmente incompatibili con il regime carcerario". La visita ha permesso di verificare che il sovraffollamento ha raggiunto picchi inaccettabili. "La media per ogni cella è di 89 detenuti, che dormono in letti a castello di due-tre piani. In ogni cella c'è un solo bagno per tutti, mentre le docce sono ancora in comune, cinque per ogni piano".
La delegazione, accompagnata dall'onorevole Mario Tullo e dal senatore Claudio Gustavino, era composta da Michele De Lucia, tesoriere dei Radicali Italiani, da Deborah Cianfanelli, membro di direzione di radicali Italia, Marta Palazzi, segretaria dell'associazione Radicali Genova, da Angela Burlando del Partito Socialista Italiano di Genova, ha potuto anche vedere dei dati positivi.
"Per esempio - scrivono - è stato organizzato un corso odontotecnico con laboratorio frequentato da 23 persone e un corso di grafica pubblicitaria frequentato da 20 persone". Il carcere dispone anche di una falegnameria, purtroppo inutilizzata per gran parte del tempo per mancanza di appalti, e di una panetteria, in cui lavorano solo 4 addetti. All'interno di Marassi viene svolto un laboratorio teatrale ed è in corso la costruzione di un teatro vero e proprio.
www.romareport.it, 3 gennaio 2015
La provocazione del segretario di Radicali Roma: la politica si assuma la responsabilità di formalizzare ciò che viene tollerato tutti i giorni
"Dopo le visite effettuate da me e da altri compagni di Radicali Roma a Rebibbia il primo dell'anno e a Regina Coeli, insieme a Marco Pannella e a Rita Bernardini, la vigilia di Natale, mi sento di poter affermare che la detenzione, ormai, è la più lieve delle pene cui vengono sottoposti i detenuti italiani: la vera sanzione che viene loro comminata per i reati che hanno commesso, infatti, è la tortura". Lo ha detto Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma, in merito alla situazione carceraria della Capitale.
"La tortura delle vergognose condizioni igieniche cui sono costretti - ha continuato Capriccioli - dell'assistenza sanitaria insufficiente e lentissima, del sovraffollamento, della permanenza in carcere di persone gravemente malate che dovrebbero essere ricoverate in luoghi ben diversi, della mancanza di riscaldamento e di acqua calda, delle desolate e disperanti condizioni di vita nelle quali i detenuti di Rebibbia, così come altre migliaia di detenuti in tutto il paese, sono costretti a vivere. Una tortura che non è prevista dal codice penale e che tuttavia i reclusi italiani debbono subire quotidianamente e sistematicamente, nonostante l'impegno del personale penitenziario, nell'indifferenza generale, senza che alcuna voce si levi a denunciarla: tranne quella dei Radicali, che durante le festività si sono recati in carcere non soltanto a Roma, ma in tutta Italia, nell'ambito del Satyagraha di Natale".
"Se così dev'essere, se la politica non intende porre fine a questo scempio con l'urgenza che merita, il Parlamento - ha concluso Capriccioli - si assuma la responsabilità di formalizzare ciò che viene impunemente tollerato tutti i giorni, e stabilisca per legge che in Italia chi commette un reato, per quanto lieve, è passibile di tortura. Sarebbe, perlomeno, un atto di verità.
di Sandra Figliuolo
Giornale di Sicilia, 3 gennaio 2015
Da ieri l'Ucciardone non è più una casa circondariale, ma un istituto di reclusione e potrà dunque ospitare soltanto condannati con pene definitive superiori ai cinque anni.
Ma nella vecchia struttura borbonica, accanto a piccoli e difficili tentativi di miglioramento (come la possibilità per i parenti dei detenuti di prenotare con una mail le loro visite o quella per i carcerati di stare fuori dalle loro celle dalle 8 alle 17) permarrebbero i problemi di sempre (come l'assenza di acqua calda e di riscaldamento) e se ne sarebbero aggiunti anche di nuovi, come quello legato alla quantità di cibo destinata ad ogni detenuto. Il quadro emerge dalla visita compiuta il 31 dicembre, nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", compiuta dai Radicali Donatella Corleo, Gaetana Gallina e Giannandrea Dagnino, assieme alla deputata nazionale del Pd Gea Schirò.
"L'Ucciardone andrebbe chiuso come carcere - dice Corleo - e preservato invece come monumento: anche con tutto l'impegno della direttrice e del personale della polizia penitenziaria che vi lavora, la struttura non potrà mai essere davvero migliorata. Il problema - spiega ancora - non è tanto il sovraffollamento, quanto le condizioni strutturali del carcere. Nella quarta sezione, quella dei "definitivi", e nella nona, quella dei "protetti", che abbiamo visitato mancavano del tutto il riscaldamento e l'acqua calda. Ciò che più ci ha colpiti, però, è la scarsa quantità di cibo somministrata ai detenuti: per 21 persone appena un vassoio di medie dimensioni di sofficini. Alcuni reclusi, infatti, ci hanno detto apertamente: "Qui facciamo la fame". Infine, resta irrisolto anche il problema della pensilina esterna per consentire a chi viene a far visita ai detenuti di ripararsi dalla pioggia durante l'attesa".
La direttrice dell'Ucciardone, Rita Barbera, non nasconde affatto i problemi atavici della struttura, ma - a differenza di Corleo - crede invece che il carcere possa essere, anche se con grandi difficoltà, migliorato. "In realtà - spiega la direttrice - i riscaldamenti sono presenti in una sezione e in un'altra sono in fase di completamento: al momento non vengono accesi anche dove potrebbero funzionare per non creare disparità tra i detenuti. Per quanto riguarda l'alimentazione, invece, vengono rispettate le tabelle del fabbisogno calorico definite dal ministero. La verità è un'altra: con questa crisi, la povertà che davvero dilaga, oggi i parenti dei detenuti spesso non hanno la possibilità di fornire loro cibo in più.
Nel caso degli stranieri, poi, spesso non c'è nessuno all'esterno che possa aiutarli. Installare la pensilina all'esterno del carcere dipende invece dal Comune che, mi pare, ha già dato il via libera qualche mese fa". Non solo ombre, però: "Per ridurre al massimo le attese - aggiunge Barbera - abbiamo di recente avviato un sistema di prenotazione delle visite tramite mail e siamo stati uno dei primi istituti penitenziari a farlo".
Inoltre, in seguito alla sentenza di condanna emessa nei confronti dell'Italia dalla Corte di Strasburgo per il sovraffollamento carcerario, i detenuti hanno la possibilità di passare la loro giornata, dalle 8 alle 17, fuori dalle loro celle. "Un modo per garantire spazi vitali più vasti", rimarca la direttrice. Al momento, comunque, all'Ucciardone non sono previsti ulteriori lavori di ristrutturazione. Nella serata di ieri, Corleo e Schirò hanno anche fatto una visita al Pagliarelli, dove avrebbero trovato una situazione "apparentemente più tranquilla - sottolinea ancora Corleo - ma dove sarebbe necessario potenziare il centro medico, visto che sono oltre mille i detenuti nella struttura".
www.ilsitodifirenze.it, 3 gennaio 2015
Oggi, sabato 3 gennaio 2015, una delegazione radicale visiterà l'Istituto penitenziario "La Dogaia" di Prato: l'iniziativa rientra nella mobilitazione nazionale promossa dal Partito Radicale del "Satyagraha di Natale" che ha impegnato centinaia di cittadini in uno sciopero della fame per chiedere i provvedimenti di amnistia e indulto così come auspicati dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Alla manifestazione davanti al carcere in Via la montagnola 76 a Prato, parteciperanno anche Rosanna Tasselli, presidente dell'Associazione radicale "Liberamente Prato", Maurizio Buzzegoli, membro della Direzione nazionale di Radicali Italiani, e Vittorio Giugni, storico militante radicale pratese.
www.salernonotizie.it, 3 gennaio 2015
Il segretario di Radicali Salerno Ass. "Maurizio Provenza" Donato Salzano in sciopero della fame a sostegno del grande Satyagraha di Natale, condotto da Marco Pannella per "lo Stato di Diritto contro la ragion di stato, amnistia e indulto".
Ma anche per chiedere il processo per il caso di Carmine Tedesco, detenuto deceduto nel novembre 2012 alla sezione detentiva dell'ospedale S. Leonardo, in circostanze ancora tutte da chiarire.
La nuova velocissima richiesta di archiviazione del sostituto procuratore Roberto Penna, dopo la recente ordinanza della Giudice per le indagini preliminari Renata Sessa, che ne ordina appunto l'integrazione d'indagini. Queste ultime brevissimamente concluse, senza sentire ne testimoni, ne la parte lesa, con soltanto la solita perizia commissionata al perito della Procura il Dr Zotti. Le ragioni della lotta nonviolenta e gandhiana per lo Stato di Diritto e l'obbligatorietà dell'azione penale, contenute in una nuova opposizione all'archiviazione per la mancata ottemperanza alla richiesta d'indagini nell'ordinanza del Gip.
Da qui la richiesta d'incontro al Procuratore della Repubblica di Salerno Corrado Lembo, affinché possa avocare a se il fascicolo, vista la chiara volontà del pm d'insabbiare e liquidare frettolosamente il caso scottante, così da assolvere finalmente alla richiesta espressa per iscritto dal Giudice. Ed ancora un incontro con Sua Eccellenza l'Arcivescovo di Salerno Mons. Luigi Moretti e con il Sindaco di Salerno On. Vincenzo De Luca, con il primo per dialogare di quali interventi urgentissimi possa programmare la Caritas Diocesana per alimenti, farmaci e indumenti in carcere, lì dove si trova la Chiesa di Papa Francesco, quella povera e per i poveri.
Diversamente con il secondo nel suo ruolo di più alta autorità sanitaria in città, che possa convocare da subito il comitato che lui presiede, chiedere conto al direttore generale dell'Asl e quello dell'Ospedale San Leonardo, di quali Livelli Essenziali d'Assistenza (Lea) garantiti ai detenuti In fine richiesta analoga alla Presidente Maria Antonia Vertaldi del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, inutile continuare ad aggiungere pena alla pena negando perfino i giorni di premialità del fine detenzione e senza rispondere alle richieste di risarcimento per i trattamenti inumani e degradanti
Dichiarazione di Salzano: "il caso Tedesco come i casi Cucchi e del nostro compagno Mastrogiovanni, emblematici per la violazione dei trattamenti inumani e degradanti, ma se per i primi si è riusciti ad ottenere un processo, per il caso del ladro di biciclette di Montecorvino, la volontà del magistrato è quella di chiuderlo in istruttoria, forse perché la vita di un detenuto vale molto meno del tempo e della convenienza da dedicargli per un'indagine o addirittura di scomodare le cosiddette persone perbene. Pensare che l'ipotesi di reato è l'omicidio colposo, grazie e soltanto perché questo Parlamento d'irresponsabili non ha ancora deciso di approvare colpevolmente una legge che colpisca "la tortura", in violazione di ogni trattato internazionale.
Il dialogo nonviolento per chiedere Stato di Diritto ed effettiva pratica dell'obbligatorietà dell'azione penale, per vestire gli ignudi e dare da mangiare gli affamanti, perché beati sono coloro che perseguitati a causa della giustizia, proprio di essi è il regno dei cieli. Ancora garantire i livelli essenziali d'assistenza sanitaria agli ultimi così da garantirli a tutti. Il male è banale quando non si garantiscono neanche più i giorni di premialità di fine pena e i risarcimenti per la tortura resa da questo Stato, come invece senso di umanità vuole, costituzione e trattati internazionali sanciscono.
La fame di Diritto, di Verità e Giustizia di Marco Pannella, di oltre seicento tra compagni Radicali, detenuti e i loro familiari, nel dare forza a costoro che violano le leggi che loro stessi si sono dati, e la stessa di Anna Sammartino la vedova del sig. Tedesco, quando dice: "Mio marito era in custodia dello Stato e me l'hanno restituito morto".
La speranza per lo Stato di Diritto è nei tanti magistrati onesti, rispettosi della divisione dei poteri, per fortuna ve ne sono ancora tanti, una di questi è sicuramente la nostra Renata Sessa, un Giudice a Berlino, Spes contra Spem!".
di Gianni Rubagotti
www.clandestinoweb.com, 3 gennaio 2015
Queste vacanze di Natale molti radicali le hanno trascorse a modo loro, cioè andando a visitare le carceri italiane per lottare per lo stato di diritto nel nostro paese. Tra di loro anche lo scrittore (è autore di "Storia della Lega Italiana per il Divorzio") Domenico Letizia, segretario dell'Associazione Radicale Legalità e Trasparenza di Caserta ma con una interpretazione originale del pensiero di Pannella.
Ti definisci "anarchico liberale libertario e liberoscambista", cosa significa?
La mia formazione filosofico-politica è di matrice anarchica. Sono per l'abolizione di tutte le forme di coercizioni esistenti a partire dalle istituzioni statuali. Il grande paradosso dell'anarchismo, più di quello europeo che americano, ritengo sia quello di definirsi "comunista", poiché il pensiero anarchico dovrebbe a priori definirsi "liberale", ovvero, aperto a tutte le visioni della società che non arrecano violenza e "liberoscambista" poiché lo spontaneismo sia del vivere sociale sia dello scambio appartiene all'individuo senza alcun bisogno di "legge" che impone il come muoversi nel contesto sociale. Le istituzioni pretendono di essere obbedite. Ma perché si deve obbedire al potente? Questa è la domanda che si pone il libertario.
Come mai avendo queste convinzioni militi nei radicali e sei impegnato nell' Associazione "Legalità e Trasparenza", Radicali Caserta di cui sei segretario?
Ritengo validissima la formulazione teorica dell'avvocato (nonché mio "maestro") Fabio Massimo Nicosia che guarda al radicalismo come linea di percorso che dal liberalismo conduce all'anarchismo. Il vero obiettivo, oggi, per i libertari è riuscire ad applicare concretamente le analisi che Nico Berti ha riportato in un suo magnifico libro, intitolato: "Libertà senza Rivoluzione", ovvero, riuscire con il metodo nonviolento ad andare oltre la democrazia, non contro, e oltre il capitalismo, non contro. Il radicalismo con la sua enorme portata intensamente libertaria, di sovranità individuale e di tutela dei diritti umani e quindi diritti individuali è il percorso da intraprendere per l'affermazione della sovranità dell'individuo contro tutti i dogmi e le imposizioni sociali. La vita stessa di Marco Pannella è un percorso di libertà concreta lontana dai poteri costituiti.
Cos'è il Satyagraha dei radicali sulla giustizia? Come mai usare questa parola straniera?
"Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più "radicale" di altri. Noi non "facciamo i politici", i deputati, i leader ... lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere". Il Satyagraha è il percorso di conoscenza e azione che conduce alla verità, alla luce della verità, il metodo gandhiano e quindi nonviolento e per questo estremamente incisivo in un contesto sociale animato da violenza diretta e indiretta. Il Satyagraha sulla giustizia è il metodo d'azione per l'affermazione dei diritti umani e civili di tutta la comunità penitenziaria, la proposta del diritto come priorità di una sana democrazia contro la forza della ragion di stato e del potere imposto. La problematica della giustizia, anche in un territorio particolarmente problematico come il casertano è una necessità da affrontare e risolvere.
Perché come Radicali Caserta avete passato queste vacanze occupandovi delle condizioni dei detenuti nella vostra zona?
Perché siamo davvero di "estrema sinistra", quella sinistra libertaria che ha a cuore gli ultimi del sistema sociale, quelli in fondo alla gerarchia sociale, abbandonati da tutti e rinnegati poiché colpevoli di "abuso" nella società. La funzione di un sistema sociale dovrebbe essere quella di riuscire a reinserire nel contesto sociale, preservando la libertà, ogni individuo, anche se ha sbagliato. Una volta capiti e compresi i propri errori, ritornare a vivere per la libertà propria e altrui. L'attuale sistema è la perpetuazione della violenza e la violenza genera violenza.
Ci sono altre forze politiche che vi hanno aiutato?
Qualcuno ci segue sia nel campo del centrodestra che tra le fila del Partito Socialista Italiano. In genere, mancano alle nostre iniziative i militanti e i dirigenti del Partito Democratico.
Che situazione avete trovato negli istituti che avete visitato?
La situazione degradante per la dignità umana che da tempo denunciamo. Ogni istituto ha delle specifiche problematiche legate al sovraffollamento, alla burocrazia, alla mancanza di sanità in carcere e alla non presenza del magistrato di sorveglianza che dovrebbe seguire il detenuto nelle sue richieste. Ritengo necessaria l'istituzione del Garante provinciale dei detenuti di Caserta. Una battaglia che speriamo possa condurre a qualche risultato.
Cosa rispondi a chi è contrario alla proposta radicale di Amnistia dicendo che così si liberano i delinquenti e non si ha la certezza della pena?
Semplicemente di contattarci e venir con noi a visitare un istituto penitenziario, partecipare ad un sit-in con i parenti dei detenuti e dopo possiamo discutere dell'Amnistia, penso però che dopo il percorso si sia cambiata idea.
Come anarchico consideri l'istituzione carceraria necessaria oppure sei aperto a una discussione sul suo superamento?
Il sistema penitenziario attuale ha fallito. Le carceri vanno abolite. Il suo superamento è una priorità non rinviabile. Non condivido la proposta "libertarian" di voler istituire carceri private poiché non è nient'altro che affidare ai privati il sistema istituzionale della giustizia dello stato. Oggetto di serio dibattito dovrebbe essere il superamento delle carceri con strutture simili di più alle "case famiglia", rieducare, comprendere e far comprendere, non distruggere e reprimere. Tutto qui.
Conosci il film di Ambrogio Crespi su Tortora?
Sì, un documentario degno di essere compreso, visto e rivisto su uno dei casi più scandalosi della storia contemporanea italiana. Inserirei la discussione e l'analisi di tale docufilm come esame in ogni facoltà di giurisprudenza in Italia.
di Zita Dazzi
La Repubblica, 3 gennaio 2015
Nel negozio di piazza Bettini lavoreranno a turno i detenuti del carcere. Fino a oggi il laboratorio sfornava prodotti che si consumavano in istituto. Il promotore del progetto: "Così i giovani si rimettono in gioco".
Ripartire dalle cose semplici, dalla fatica fisica, dall'emozione di fare una cosa buona con le proprie mani e vedere che questa cosa diventa anche un lavoro. Onesto. È questa la sfida che stanno affrontando i ragazzi del carcere minorile Beccaria che da gennaio produrranno pane fresco e lo venderanno in un negozio vero, esterno alla struttura dove scontano la loro pena, un panificio che aprirà in piazza Bettini 5, in zona Bisceglie, a pochi passi dall'istituto penale di via Calchi Taeggi.
In due alla volta, la mattina usciranno dalla cella per mettersi addosso un grembiule da panificatori ed andare al forno. Poi si metteranno dietro al bancone a servire i clienti. Una bella prova di concretezza ed umiltà, per cominciare a vivere su basi diverse, sfruttando le cose imparate dentro al Beccaria, dove da anni si tiene un laboratorio di panetteria. È il progetto "Buoni dentro" voluto dalla direttrice del carcere Olimpia Monda e da Claudio Nizzetto, della fondazione Eris. Un intervento di formazione partito grazie al supporto di Enaip (l'ente di formazione professionale delle Acli) e dell'Associazione Panificatori di Milano.
La novità è che da gennaio, i pani, le pizze e i dolci non verranno più solo consumati direttamente dentro al carcere, ma anche venduti al pubblico sia presso la cooperativa Coafra della Cascina Nibai di Cernusco sul Naviglio, sia nel nuovo negozio di piazza Bettini. L'intervento è stato lodato anche dal presidente del Tribunale dei minori Mario Zevola che ha parlato di "concrete possibilità di integrazione e opportunità per sviluppare le capacità personali" come "occasioni di recupero reale dei giovani detenuti".
Nel negozio saranno impiegati due ragazzi per turno, mentre il laboratorio interno al Beccaria ne forma altri due, per un periodo di circa sei mesi, cercando a rotazione di coinvolgere il maggiore numero di ospiti alla volta. "Il lavoro artigianale, presso un maestro di bottega, diventa un motivo di cambiamento, in un contesto di vita vera. I ragazzi si mettono in gioco in un ambiente pulito dove si dà loro fiducia, ruolo, obiettivi - spiega Nizzetto.
Il solo percorso formativo tradizionale non riesce ad accendere la curiosità e la voglia di rimettersi in gioco. Il lavoro è la chiave della rinascita". Ed è chiaro che la sfida è mettere i giovani che facevano le spaccate alle vetrine a maneggiare soldi e scontrini, in un'ottica nuova. Per chi è finito dentro per furto o spaccio "ricevere gli incarichi dal "mastro di bottega", gestire gli ordini dei clienti e la cassa in modo onesto, è un'esperienza di vita vera, la prova che si può vivere in un altro modo", aggiunge don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria.
Il progetto punta sulla fiducia e sulla relazione, sull'apprendimento pratico. Nizzetto parla dell'"autostima" che dopo la fase della "trasgressione e dell'illegalità dimostra a chi è finito in cella che si può essere anche altro: dalla rilettura del proprio passato c'è un'ipotesi di futuro costruita nel presente con relazione con un "maestro". L'esperimento coinvolgerà sia ragazzi del Beccaria, sia giovani
adulti, reclusi a San Vittore perché hanno compiuto altri reati o superato la maggiore età, ma devono ancora finire di scontare la pena. Fra questi anche John, che ha frequentato il laboratorio: "Molti di noi sono i recidivi, ma un cambiamento è possibile quando ti accorgi di essere ancora valorizzato. Se si ricreano relazioni di fiducia e la speranza di qualcosa di bello per il futuro, diventa una nuova opportunità. E non ce la lasciamo scappare".
Ansa, 3 gennaio 2015
Un appello al ministro della Giustizia Andrea Orlando perché disponga al più presto un intervento al supercarcere di Parma dove il sistema di videosorveglianza e videoregistrazione è costantemente a rischio black-out, è arrivato dal deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia. Mattiello, il 30 dicembre scorso, aveva incontrato nel carcere di Parma, dove sono detenuti mafiosi di calibro, il presunto capo del sodalizio Roma Capitale Massimo Carminati detenuto in regime di 41/bis, il carcere duro.
In quell'occasione era emerso come il sistema elettrico del carcere non sia adeguato a reggere il carico di tensione del sistema. "La direzione del carcere - spiega oggi Mattiello - ha fatto richiesta per avere otto gruppi di continuità che garantiscano il funzionamento del sistema ma non ha ricevuto risposta. Sono passati tre giorni e non è successo nulla. Questa condizione rende ancora più stressante il lavoro degli operatori di polizia penitenziaria: il sistema può andare in tilt da un momento all'altro ma non si sa mai quando e per quanto tempo.
Quando il sistema va in black-out - conclude il parlamentare - l'unica modalità per garantire la sicurezza è il controllo a vista da parte degli agenti e in particolare del Gom per quanto riguarda il 41bis". Di qui l'appello al ministro Orlando perché disponga al più presto l'intervento. "Da parte mia continuerò a seguire la situazione", assicura l'esponente del Pd.
www.quartaparetepress.it, 3 gennaio 2015
Proseguono le interviste di QuartaParete nell'ambito dell'inchiesta finalizzata a conoscere meglio gli operatori culturali che svolgono attività all'interno delle istituzioni carcerarie. È la volta di Bano Ferrari.
Clown, docente universitario, scrittore, regista ed esperto in attività pedagogiche, nonché vincitore di diversi premi internazionali tra i quali l'Unicef 2001 come "Esperto qualificato nel recupero dei minori in difficoltà", Bano Ferrari, nel 1978, fonda il gruppo dei Barabbàs clown grazie all'incontro con i ragazzi del Centro salesiano di Arese, ex sede distaccata del penitenziario minorile Beccaria, rilevato dai salesiani negli anni Cinquanta e trasformato da centro detentivo in centro educativo per la valorizzazione della personalità e lo sviluppo della formazione dei minori a rischio. Ecco cosa ci ha raccontato della sua esperienza ultraventennale.
Cosa significa per Lei essere un clown?
Essere un clown e non fare il clown. Il clown è sì una tecnica ma, per me, è una condizione dello spirito, è un modo di guardare la realtà riservandosi sempre la possibilità di spostare il punto di osservazione, dando così la possibilità di scoprire l'inaspettato.
Il clown ha il suo habitat nel circo. Cosa accade quando viene trasportato in altri contesti?
Il clown nasce nel circo, anche se è presente, sotto altre forme, in tutta la storia del teatro. Nel circo ha trovato la sua collocazione naturale, lì è maturato, è cresciuto e ciascun interprete ha saputo trovare una strada originale che lo rendesse unico nell'eterno gioco tra "bianco" e "augusto". L'emigrazione, graduale del clown dal contesto circense al teatro e poi, di conseguenza, anche fuori dal teatro in contesti di "sofferenza" inizia negli anni '70. È importante sottolineare che, uscendo dal circo, il clown perde la connotazione iconografica tipica, ma non perde assolutamente lo spirito, la sua capacità di inciampare nella realtà, di mostrare i limiti dell'essere umano, di sorprendersi e stupirsi: capacità di apertura e di ascolto e relazione con l'altro.
Nell'ambito dell'istituzione carceraria la sua attività può aiutare i detenuti a guardare il mondo con occhi diversi?
Credo che questa capacità sia sotto gli occhi di tutti: il clown ti offre la chiave per poter aprire questa porta, per rendere più leggera e sopportabile la vita in un luogo di sofferenza come può essere un carcere, senza però perdere tutta la drammaticità della situazione.
Come nasce la compagnia Barrabàs clown e perché questo nome?
Il nome "Barabbàs" deriva dal fatto che in dialetto milanese i giovani delinquenti erano chiamati "barabitt" cioè piccoli Barabba, questo riferimento ci era piaciuto molto perché riusciva a mettere insieme due segni opposti e inaspettati : la vita ai margini della società quindi la sofferenza e il riso. La compagnia nasce al termine del mio servizio civile, come obiettore di coscienza, svolto dal 1977 al 1979 presso l'Istituto Salesiano di Arese che ospitava minori in difficoltà. L'incontro tra la figura del clown e questi giovani è stato sorprendente. L'"augusto" era ed è (l'esperienza continua tuttora) il loro eroe. Si identificano con questa figura di clown che è "out" fuori dalle regole, non accetta il potere, inciampa e si rialza, viene bastonato, deriso ma continua a mostrarci tutte le debolezze umane con candore, suscitando magari non la risata ma il sorriso.
Lei ha lavorato in alcuni istituti penitenziari. Come viene percepita l'attività di clownerie? Quali sono le difficoltà iniziale con cui deve scontrarsi?
Portare il clown dentro gli istituti di pena si scontra molto spesso con l'idea sbagliata e superficiale che il clown sia qualcosa adatto ai bambini, uno sciocco un pasticcione ma allo stesso tempo la bellezza sta nel fare scoprire che il clown è questo incredibile equilibrista del disequilibrio che può raccontare cose terribili con leggerezza, magari non suscitando il fragore di una risata ma il sussurro di un sorriso e una stretta allo stomaco.
Ha mai realizzato spettacoli in cui erano coinvolti detenuti?
Ho realizzato due spettacoli con i detenuti : il primo nel 1996 con i detenuti del carcere di S. Vittore, percorso che è durato sei mesi di incontri e allestimento dello spettacolo, l'altro nel 2011 con i detenuti del carcere di Opera dopo un mese di laboratorio sul clown. Mi viene spontaneo parlare dell'esperienza più lontana perché più lunga articolata e complessa. Entrato in carcere con un progetto sponsorizzato dalla Regione Lombardia e curato dall'Università Cattolica e dal Crt mi sono trovato subito immerso in una serie di richieste pressanti, da parte dei detenuti, sulla necessità di raccontare, attraverso lo spettacolo, tutta l'assurda e disumana vita carceraria che li schiacciava inesorabilmente. All'inizio sembrava loro assurdo che io fossi un clown e che intendevo lavorare con loro utilizzando il modo di pensare ed agire tipico di questo personaggio. Per i detenuti appariva talmente lontano questo linguaggio che non intravedevano possibilità alcuna di centrare il loro obiettivo. Per raccontare una tragedia è necessario mettere in scena la tragedia stessa con un linguaggio e con le tinte necessari classicamente ad esprimerla. Lentamente ma inesorabilmente sono rimasti colpiti ed hanno scoperto quanto può essere "tragico" un clown e quanta efficacia abbia la "leggerezza" che ferisce, denuncia ed urla. Così è nato Aria, spettacolo d'evasione dove raccontavamo una giornata tipo nel carcere e denunciavamo, facendo sorridere, il sovraffollamento, l'affettività negata, i tentativi di suicidio i rapporti umani distorti dall'assenza stessa dell'umanità. Alla fine dello spettacolo veniva lasciata in scena la copia manichino di ogni attore che se ne andava canticchiando tra il pubblico.
Nel 2007 ha ricevuto il premio Unicef come "Esperto qualificato nel recupero dei minori in difficoltà". Secondo Lei quanto può essere utile l'attività teatrale per le persone cosiddette "difficili" e, in particolare, per i detenuti?
Oltre alle particolarità del lavoro del clown che ho già sottolineato in precedenza, vale la pena di riflettere su altri elementi messi in atto da questa esperienza. Innanzitutto il clown porta ad una profonda conoscenza di sé, a "volerti bene" a conoscerti anche negli aspetti meno piacevoli della tua personalità, ad imparare la pazienza, l'apertura verso l'altro, l'ascolto, la collaborazione, impari a non dare nulla per scontato, tieni sveglia l'attenzione e l'immaginazione, perdi tempo e scopri la bellezza dell'essere inutile, cadi, inciampi ma sempre pronto a rialzarti per ricominciare. Inoltre, utilizzi linguaggi a volte dimenticati come quelli del corpo.
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