di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 11 febbraio 2019
La "toga rossa" Saraceni racconta la sua vita. La scoperta arrivò nell'ottobre 2003, nel mezzo di una vacanza in Giamaica, quando l'ex giudice ed ex parlamentare Luigi Saraceni - una "toga rossa" che ha sempre rivendicato la sua militanza nella sinistra e la funzione sociale della magistratura che amministra giustizia in nome della Costituzione, divenuto avvocato - venne a sapere che sua figlia Federica era stata arrestata.
Con la più grave delle accuse: appartenenza alle "nuove" Brigate rosse responsabili dell'omicidio del professor Massimo D'Antona, ucciso nel 1999. "La cosa mi sembra inverosimile, assurda", racconta Saraceni. Poi l'immediato rientro in Italia, l'incontro in carcere e la conferma che è tutto molto serio e fondato: "Il problema è capire quanto sia coinvolta Federica in questa follia. Come sia potuto accadere, se è accaduto, che su mia figlia non abbiano funzionato gli anticorpi di carattere umano, morale, politico che costituiscono il patrimonio del mondo a cui ritengo di appartenere. Vediamo le carte. Mentre vado avanti nella lettura mi accorgo, con dolore, che mia figlia con quel gruppo di dissennati, in qualche modo ha avuto a che fare. Ma fino a che punto?".
La terza parte dell'appassionata e appassionante autobiografia di Luigi Saraceni, che abbraccia "Un secolo e poco più" come recita il titolo, è la più drammatica. Dopo aver raccontato le gesta del padre anarco-comunista - difensore di braccianti e contadini nella Calabria del primo Novecento, arrestato sotto il fascismo e nell'interregno pre-repubblicano fino all'assoluzione per aver agito in difesa della popolazione ridotta alla miseria - e poi la propria avventura di magistrato, deputato e avvocato nella seconda metà del secolo, quando non era in discussione che sinistra e garantismo fossero sinonimi, le ultime pagine sono dedicate al tormento vissuto con le accuse e le condanne subite dalla figlia.
Che si somma ai ricordi dolorosi degli amici e colleghi di Saraceni ammazzati dalle Br di prima generazione, come Riccardo Palma e Girolamo Minervini, uomini ridotti a simboli eliminati con "ferocia disumana"; agli interventi che lo stesso Saraceni pronunciò, rivolto alla sinistra extra-parlamentare più vicina alla lotta armata, contro la deriva del terrorismo, che indussero un gruppo eversivo a progettare un attentato contro di lui; all'incontro in Parlamento con D'Antona, giurista e consulente del governo sostenuto dal suo voto di fiducia, un altro "simbolo" assassinato perché portatore di idee che, "condivisibili o meno, erano comunque ispirate a favore del lavoratore".
Un miscuglio di considerazioni, inquietudini e realtà nascoste, emozioni e sentimenti con cui il padre (dilaniato tra l'amore per la figlia e la solidarietà verso i familiari della vittima) deve fare i conti quando decide di assumere, su richiesta dell'interessata, la difesa di Federica. Dopo essersi convinto che con l'omicidio non c'entra. In primo grado la condanna si limita alla banda armata, mentre in appello arriva anche per il delitto D'Antona.
"Come si sa, il giudicato non si discute, gli si deve ossequio e obbedienza - scrive il giurista Saraceni. Ovviamente non voglio sottrarmi a questo dovere, ma so anche che esiste l'errore giudiziario, che è la verità che sopravvive al giudicato".
Dunque resta l'intima convinzione di un padre che va oltre le sentenze da rispettare, e la presa d'atto delle sciagurate scelte che hanno trascinato la figlia dentro una formazione terroristica. E un rapporto personale che durante e dopo il carcere ha preso una piega diversa, anche grazie alla laurea conseguita da Federica dietro le sbarre e ai nuovi impegni che ha preso su di sé dopo la condanna, grazie alle opportunità concesse ai detenuti da quello Stato che le Br volevano abbattere. Lo stesso che invece non è riuscito a salvare dalla persecuzione il leader curdo Abdullah Ocalan, a cui l'Italia ha concesso asilo politico solo dopo che era stato mandato via e rinchiuso in un carcere turco, dove langue da vent'anni; un altro capitolo avvincente e dolente della vita e del libro di Luigi Saraceni.
gaypost.it, 4 agosto 2018
Sale a undici il numero dei suicidi avvenuti in carcere da inizio anno. L'ultima vittima è una trans di trentatré anni: si è tolta la vita lo scorso martedì nel carcere maschile di Udine. Non era la prima volta che veniva rinchiusa lì, nella Casa Circondariale di via Spalato: era rientrata da poche ore quando è stata trovata ormai priva di vita nel bagno della sua cella. Forse è in questo ritorno dietro alle sbarre che si possono cercare i motivi del suo gesto.
58 transessuali nelle carceri italiane - Secondo una relazione del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute (scaricabile qui), le persone transessuali attualmente presenti nelle carceri italiane sarebbero cinquantotto. Queste persone sono attualmente censite in 10 sezioni a loro riservate e sono tutte collocate in istituti maschili. "Il Garante nazionale -si legge nella relazione- ha da tempo espresso l'opinione che sia più congruo ospitare tali sezioni specifiche in Istituti femminili, dando maggior rilevanza al genere, in quanto vissuto soggettivo, piuttosto che alla contingente situazione anatomica". In altre parole, bisognerebbe dare priorità alla percezione soggettiva dei diretti interessati (detenute/i), quindi alla loro identità di genere, piuttosto che basarsi semplicemente sui documenti anagrafici.
MIT: "Il vero problema è dopo il carcere" - "La vita da detenuti è complicata di suo. Per le trans, lo è di più - commenta Porpora Marcasciano, presidente onoraria del Movimento Identità Trans. In carcere sono isolate due volte perché sono tenute in sicurezza rispetto agli altri detenuti ma non godono neanche dei vantaggi, se così li vogliamo chiamare, degli altri detenuti". Tuttavia, se la vita nel carcere è difficile, la situazione all'esterno è ancora più preoccupante per la mancanza di strutture e servizi dedicati: "I problemi - prosegue - che poi spingono alla depressione e a queste situazioni estreme [riferendosi all'ultimo caso di cronaca, ndr], sono nel dopo-carcere, di cui nessuno si preoccupa. Le persone trans non hanno reti familiari alle spalle, soprattutto quelle immigrate, per cui vengono abbandonate a se stesse. Un paese civile dovrebbe pianificare dei percorsi, invece il tutto è affidato alla sensibilità di gruppi, di associazioni, di persone che fanno volontariato".
La Stampa, 4 agosto 2018
Gelo dei Cinque Stelle: "Non si cambia". La proposta del ministro Fontana rilanciata da Salvini. Alt di Di Maio e Conte. La comunità ebraica: strumento necessario. È gelo nel governo sull'abrogazione della legge Mancino sui reati di opinione.
È il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, a rilanciare una vecchia battaglia della Lega e "chiodo fisso" di Matteo Salvini, a sostegno della quale il partito di via Bellerio raccolse anche le firme, nella primavera del 2014. A Fontana fa subito sponda il ministro dell'Interno.
"Alle idee, anche le più strane, si risponde con le idee, non con le manette", dice Salvini. Salvo poi precisare che le "priorità della Lega e del governo sono lavoro, tasse, giustizia e sicurezza", mentre "evitare di processare le idee nel nome della libertà di pensiero è una battaglia giusta ma certo non una priorità".
Lo stop del M5S - Sull'argomento era nel frattempo intervenuto Luigi Di Maio a "frenare" e rammentare che l'abrogazione della legge Mancino "non è nel contratto di governo. È uno di quegli argomenti usati per fare un po' di distrazione di massa che impedisce di concentrarsi al 100% sulle reali esigenze del Paese: lotta alla povertà, lavoro e imprese".
A Di Maio ha fatto eco il premier, Giuseppe Conte ricordando che "l'abrogazione della legge Mancino non è prevista nel contratto di governo e non è mai stata oggetto di alcuna discussione o confronto tra i membri del governo. Personalmente credo che il rispetto delle idee sia un valore fondamentale di ogni sistema democratico, ma allo stesso modo ritengo che siano sacrosanti gli strumenti legislativi che contrastano la propaganda e l'incitazione alla violenza e qualsiasi forma di discriminazione razziale, etnica e religiosa. In questo momento - ha aggiunto Conte - il governo deve lavorare e impegnarsi su molti fronti caldi: rilancio dell'occupazione, riforme strutturali che consentano la crescita economica e lo sviluppo sociale del Paese. Concentriamo su questi obiettivi il nostro impegno".
La protesta del Pd - Subito dopo le dichiarazioni di Fontana la sinistra era insorta, con il Pd che aveva parlato di "governo "nero"", accusato i leghisti di "fascismo" e Liberi e uguali che aveva chiesto un passo indietro di Fontana. Il ministro veneto era stato netto su Facebook.
"I fatti degli ultimi giorni rendono sempre più chiaro come il razzismo sia diventato l'arma ideologica dei globalisti e dei suoi schiavi (alcuni giornalisti e commentatori mainstream, certi partiti) per puntare il dito contro il popolo italiano, accusarlo falsamente di ogni nefandezza, far sentire la maggioranza dei cittadini in colpa per il voto espresso e per l'intollerabile lontananza dalla retorica del pensiero unico", aveva scritto su Facebook. "Una sottile e pericolosa arma ideologica studiata per orientare le opinioni", aveva aggiunto.
Una battaglia storica della Lega - L'abrogazione della Legge Mancino, rilanciata dal ministro delle Famiglia, è una storica battaglia della Lega, "chiodo fisso" di Salvini. Nella primavera 2014, il "capitano" milanese, da pochi mesi alla guida di via Bellerio, presentò come suo primo manifesto politico anti-Renzi cinque referendum, tra cui vi era proprio l'abrogazione delle legge sui reati di opinione. A sostegno dei referendum, l'allora neo segretario leghista raccolse le firme, non riuscendo però a raggiungere per alcun quesito il quorum delle 500 mila sottoscrizioni. Gli altri referendum erano a favore dell'abolizione della Legge Fornero sulle pensioni (l'unico quesito che si avvicinò al quorum), l'abrogazione della Legge Merlin, la cancellazione delle prefetture e delle norme che consentono agli immigrati di partecipare ai concorsi pubblici. Il 17 settembre scorso, al raduno di Pontida, Salvini aveva rilanciato il progetto mai accantonato.
"La Lega al governo proporrà un progetto di legge per avere giudici eletti direttamente dal popolo. E chi sbaglia paga. E siccome siamo un movimento nato per la libertà, cancelleremo la legge Mancino e la legge Fiano. Le storie e la legge non si processano", aveva scandito nell'ultima Pontida pre-governativa. "Fanno il processo al ventennio mussoliniano - aveva aggiunto - e poi si comportano come il regime nel 1925 che imbavagliava chi non la pensava come volevano".
L'intervento della Comunità Ebraica - Per la Comunità Ebraica di Roma, "la legge Mancino è uno strumento necessario per combattere i rigurgiti di fascismo e antisemitismo", e come tale va quindi difesa e non abrogata. "Grazie alla normativa vigente - sottolinea un comunicato - è stato possibile alla magistratura individuare e colpire i gruppi neonazisti che progettavano azioni antisemite come avvenuto per Militia e per Stormfront i cui protagonisti, che progettavano anche di colpire fisicamente membri della Comunità Ebraica, sono stati arrestati e condannati in virtù di questa legge". Inequivocabili le parole contro la proposta di Fontana: "Se si accetta l'incarico di Ministro della Repubblica di questo Paese lo si deve fare coscienti della storia e della responsabilità, evitando boutade e provocazioni stupide. Soprattutto a ottant'anni dalla promulgazione delle Leggi Razziali sarebbe bene comprendere come combattere le discriminazioni invece che strizzare continuamente l'occhio ai neofascismi".
Noemi Di Segni Laufer, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane chiede al Presidente del Consiglio, Conte, "se la proposta di abrogazione della Legge Mancino lanciata dal ministro Fontana corrisponde a un progetto del Governo italiano che dirige". Perché "sono parole che offendono profondamente quanto si è inteso difendere a seguito di gravissimi episodi neonazisti e neofascisti e di grave recrudescenza negli Anni Ottanta, e peraltro ribaditi dalla Decisione comunitaria che focalizza i medesimi atti di odio, approvata anche dal nostro Paese". Per la Comunità ebraica, in conclusione, "questi presidi normativi vanno semmai rafforzati e da tutti difesi, senza al contrario alimentare ulteriori paure e rancori sociali".
L'Arci: ennesimo colpo allo stato di diritto - "Le parole di Fontana infliggono l'ennesimo colpo allo stato di diritto e dimostrano che a Palazzo Chigi siedono ministri razzisti, che vogliono fare carta straccia della Costituzione e della nostra democrazia faticosamente conquistata: non lo permetteremo e cercheremo in tutti i modi che ci sono propri di fermare questa intollerabile deriva" afferma Francesca Chiavacci presidente nazionale dell'Arci.
"Fontana, dopo le infelici dichiarazioni sul tema dei diritti delle famiglie gay, oggi aggiunge la proposta di abrogazione della legge Mancino, definendola una normativa anti-italiana - ricorda Chiavacci - Prima di tutto vogliamo ricordare al ministro che per assumere il suo incarico ha giurato, come gli altri esponenti del Governo, sulla Costituzione che dall'antifascismo nasce e trae ispirazione. Il ruolo che ricopre fa assumere alle sue dichiarazioni un peso diverso che se pronunciate da un normale cittadino. Ma di ciò non sembra rendersi conto".
Tra l'altro, osserva la presidente dell'Arci, "la sua proposta fra l'altro cade in un momento in cui le parole d'odio del ministro Salvini hanno scatenato le peggiori pulsioni razziste come dimostra la sequenza di aggressioni ai danni delle persone straniere. È evidente poi come le formazioni che si richiamano apertamente al fascismo e al nazismo hanno rialzato la testa, moltiplicando le iniziative provocatorie e violente. Tutto ciò richiederebbe un'applicazione puntigliosa della legge Mancino e un suon rafforzamento, certo non la sua abrogazione".
Gay Center: sarebbe un via libera a discriminare - "Se pur la legge Mancino non tutela tutte le minoranze, è oggi l'unico strumento normativo a supporto delle vittime di discriminazione e violenza, abolirla significherebbe dare il via libera a discriminare" spiega Fabrizio Marrazzo Portavoce Gay Center e Responsabile Gay Help Line. "Riteniamo invece che la legge Mancino - aggiunge - vada ampliata anche per le persone lesbiche, gay e trans e per sostenere le vittime che hanno il coraggio di denunciare. Ricordiamo che al nostro numero verde Gay Help Line 800713713 ogni anno ci contattano oltre 20 mila persone vittime di discriminazione e solo 1 su 40 pensa che denunciare sia utile. Infatti, ad oggi non esistono da parte dello stato strumenti di sostegno che diano la giusta protezione alle vittime che denunciano".
di Andrea Fabozzi
Il Manifesto, 4 agosto 2018
Il leghista Fontana. Salvini lo copre, Conte deve smentirlo, M5S in imbarazzo. E allora "non è prioritario". "In questi strani anni", sostiene Lorenzo Fontana che a forza di sparate omofobe e integraliste è diventato ministro della Repubblica - per quanto senza portafoglio e incapace fin qui di muovere un atto - "la legge Mancino si è trasformata in una sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano".
Per questo vuole abolirla, e il desiderio era noto visto che Salvini lo ha ripetuto in tutti i comizi della campagna elettorale e la Lega ha anche tentato, invano, di raccogliere le firme per un referendum abrogativo contro la Mancino quattro anni fa. Ora però i leghisti sono al governo, e via social - Fontana ha scritto su Facebook e Salvini ha reagito su Twitter - dettano l'agenda se non delle iniziative concrete almeno della propaganda. Il ministro della famiglia, in questo modo, conquista l'audience del pomeriggio estivo, anche più di quanto era riuscito a fare con le sue precedenti uscite anti gay.
In realtà dovessero contare solo sulla legge Mancino, i "globalisti" odiati da Fontana sarebbero spacciati. La legge che dal 1993 sanziona chi compie atti di violenza "per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi" o diffonde "idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale" o infine "incita a commettere atti di discriminazione", è stata applicata dai giudici con mano assai leggera. Tanto che anche atti chiaramente riferiti all'ideologia neofascista - come il saluto romano e o l'esibizione della croce celtica - sono stati fatti rientrare nella più generale tutela della libertà di espressione.
Anche le disposizioni che prevedono lo scioglimento delle formazioni neofasciste - principio previsto dalla Costituzione e diventato applicabile con la legge Scelba nel 1952 - sono state messe in pratica assai raramente (un paio di casi) perché richiedono una sentenza di condanna passata in giudicato. La legge Mancino ha introdotto anche la possibilità di una "sospensione cautelare" di queste formazioni neofasciste prima della sentenza (mediante un richiamo alla legge Anselmi sulle logge segrete e solo in caso di episodi di violenza razzista), ma anche qui la scelta politica è stata quella di evitare di regalare il comodo ruolo di vittima ai gruppi dell'estrema destra con un seguito scarso.
Poi questi gruppi o i loro amici leghisti sono arrivati al governo. E non si sono dimenticati la battaglia per abolire la legge Mancino. Anche se per il momento resterà un desiderio. Poco dopo l'uscita del ministro Fontana, infatti, al presidente del Consiglio Conte è stato spiegato che era indispensabile uno stop immediato. Preceduto di pochi minuti dal vicepresidente del Consiglio Di Maio - "l'abolizione della legge Mancino non nel contratto di governo", Conte ha detto che "gli strumenti legislativi che contrastano la propaganda e l'incitazione alla violenza e qualsiasi forma di discriminazione razziale, etnica e religiosa sono sacrosanti", chiudendo - almeno per il momento - il discorso. Matteo Salvini, che nel frattempo si era spinto a coprire il suo fedelissimo Fontana, confermando l'obiettivo leghista dell'abolizione "perché alle idee, anche le più strane, si risponde con le idee e non con le manette", è stato costretto a ripiegare sull'argomento che "l'abolizione della legge Mancino non è una priorità".
Lo stesso ministro dell'interno, del resto, per le sue uscite anti migranti è stato denunciato almeno in un caso recente per violazione della Mancino (da Roberto Speranza), mentre in passato era stato sottoposto a indagine per violazione di quella legge proprio su iniziativa di un ufficio del Viminale, che adesso guida. Se dal M5S sono arrivati chiari segnali di insofferenza verso l'iniziativa leghista - il presidente della camera Fico ha detto che la legge non si tocca, il sottosegretario Spadafora ha aggiunto che andrebbe casomai allargata contro l'omofobia - il capo leghista si è parimenti mostrato irritato per aver dovuto mordere il freno. E ai suoi ha dato indicazione di insistere. E così Fontana, in chiusura di giornata, con un video ha confermato tutto: "Non è una priorità del governo ma una riflessione sulla Mancino va fatta, non è uno strumento per combattere il razzismo ma per fare propaganda ideologica". Propaganda senz'altro.
di Andrea Alberto Moramarco
Guida al Diritto, 4 agosto 2018
Corte costituzionale in primo piano questa settimana. Con due importanti sentenze i giudici delle leggi hanno dichiarato illegittimo l'articolo 21-bis dell'ordinamento penitenziario, nella parte in cui subordina il beneficio per la madre detenuta dell'assistenza esterna ai figli minori di 10 anni alla scelta di collaborare con la giustizia; e precisato che va applicato anche ai lavoratori autonomi iscritti alle gestioni previdenziali di artigiani e commercianti il principio di neutralizzazione dei contributi dannosi, cioè quelli che abbassano la pensione.
Corte costituzionale in primo piano questa settimana. Con due importanti sentenze i giudici delle leggi hanno dichiarato illegittimo l'articolo 21-bis dell'ordinamento penitenziario, nella parte in cui subordina il beneficio per la madre detenuta dell'assistenza esterna ai figli minori di 10 anni alla scelta di collaborare con la giustizia; e precisato che va applicato anche ai lavoratori autonomi iscritti alle gestioni previdenziali di artigiani e commercianti il principio di neutralizzazione dei contributi dannosi, cioè quelli che abbassano la pensione.
Diritto di visita dei nipoti anche al nonno acquisito - Dei giudici di legittimità, invece, si segnalano per il diritto civile diverse e importanti sentenze. Tra queste spicca la pronuncia che ha esteso il diritto ad avere rapporti significativi con i nipoti anche a ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, coniuge o convivente di fatto, se questi si è dimostrato adatto a instaurare con il bambino una "relazione affettiva stabile". Rilevante è poi la decisione che ha sottolineato che il contratto che origina l'usufrutto deve essere in forma scritta e deve essere stipulato con la partecipazione sia del soggetto che concede l'usufrutto sia del soggetto che acquista l'usufrutto, non essendo applicabile alla fattispecie l'articolo 1333 del Cc. Dalle Sezioni unite, poi, arrivano due puntualizzazioni: l'una in materia di giurisdizione, sussistendo danno erariale e cognizione della Corte dei conti se l'albergatore non versa al Comune i soldi della tassa di soggiorno; l'altra in materia disciplinare, non potendo nel procedimento innanzi al Cnf, a meno che l'indirizzo Pec non sia accessibile, la notifica della sentenza essere fatta presso gli uffici del consiglio forense.
Continuazione di reati giudicati con riti diversi, sconto di pena solo per l'abbreviato - Per il diritto penale spicca la sentenza a Sezioni unite sulla continuazione di reati giudicati con rito ordinario e abbreviato: lo sconto di pena di un terzo si applica solo per i secondi. Importante è anche la prima decisione della Cassazione sulla legge 179/2017 in materia di whistleblowing, che ha escluso la tutela ivi prevista per il dipendente improvvisatosi investigatore per raccogliere, in violazione di legge, prove di illeciti nell'ambiente di lavoro. Si segnalano, poi, la pronuncia con cui i giudici di legittimità hanno confermato che rischia una condanna per molestie il venditore ambulante che cerchi di vendere il proprio prodotto in modo eccessivamente petulante; e la sentenza con cui la Suprema corte ha assolto dal reato di diffamazione, per la sussistenza dell'esimente del diritto di critica, un sindaco che aveva espresso su internet le sue ragioni circa una vicenda di interesse pubblico, che coinvolgeva gli interessi contrastanti dell'amministrazione comunale e di un privato, essendo il tema di un certo interesse e le dichiarazioni espresse in maniera appropriata e pertinente.
di Marina Castellaneta
Guida al Diritto, 4 agosto 2018
Corte di giustizia dell'Unione europea - Sezione I - Sentenza 25 luglio 2018 - Causa C-220/18 PPU. Il 25 luglio, con due sentenze, la Corte Ue ha chiarito la portata delle eccezioni alla consegna, mandato di arresto europeo, nel caso in cui nel Paese di emissione vi siano rischi sul rispetto delle regole dell'equo processo.
Giurisdizione - Mandato di arresto europeo - Consegna - Fiducia reciproca - Rispetto dei diritti fondamentali - Divieto di trattamenti inumani o degradanti - Situazione carceraria - Verifica sul caso concreto - Ricorso giurisdizionale interno - Irrilevanza. (Decisione quadro 2002/584/Gai, articoli 1, 5 e 6; Carta dei diritti fondamentali, articolo 4)
Se l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione ritiene che sussista un rischio di trattamento inumano o degradante nello Stato di emissione non può procedere alla consegna anche se in detto Paese è ammessa la possibilità di un ricorso giurisdizionale per consentire all'interessato di contestare le condizioni di detenzione. L'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione deve effettuare un esame sulle condizioni concrete e precise della persona interessata, non limitata all'esistenza di violazioni sistemiche di carattere generale. Nel compiere tale verifica le autorità nazionali dovranno basarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e debitamente aggiornati sulle condizioni di detenzione all'interno degli istituti penitenziari dello Stato membro.
Il mandato di arresto europeo continua a porre diversi problemi applicativi soprattutto con riferimento alle possibilità per lo Stato di esecuzione di invocare eccezioni alla consegna in ragione di carenze nel sistema giudiziario e penitenziario nello Stato di emissione. Grazie agli interventi della Corte di giustizia dell'Unione europea e ai chiarimenti da essa forniti le autorità nazionali hanno a disposizione principi utili a garantire la corretta applicazione della decisione quadro n. 2002/584 sul mandato di arresto europeo e sulle procedure di consegna tra Stati membri (recepita in Italia con legge n. 69/2005), come modificata dalla decisione quadro 2008/909, conciliando le esigenze di lotta all'impunità con quelle della tutela dei diritti fondamentali.
In particolare, il 25 luglio, con due sentenze, la Corte Ue ha chiarito la portata delle eccezioni alla consegna nel caso in cui nel Paese di emissione vi siano rischi sul rispetto delle regole dell'equo processo, con specifico riferimento al diritto a un giudice indipendente (causa C-216/18) e all'ipotesi di rischi di trattamenti inumani per le condizioni di detenzione nel Paese (C-220/18), così precisando le condizioni in cui può operare il no alla consegna, nel pieno rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Con la sentenza C-268/17, depositata nello stesso giorno, invece, la Corte ha affrontato una questione di minore rilievo precisando che la decisione di un pubblico ministero che dispone la chiusura delle indagini contro ignoti, in cui la persona richiesta è stata sentita come teste, non può essere invocata per rifiutare l'esecuzione del mandato di arresto nei confronti della persona oggetto del provvedimento. Alla luce di quanto precede conviene soffermarsi sulle prime due sentenze, partendo da quella che appare di più ampia applicazione ossia la C-220/18, incentrata sul rapporto tra esecuzione della consegna e condizioni carcerarie nel Paese di emissione.
Il fatto - A rivolgersi alla Corte Ue è stato il Tribunale superiore del Land di Brema (Germania). La vicenda aveva al centro l'emissione di un mandato di arresto europeo emesso da un tribunale ungherese nei confronti di un connazionale, condannato in contumacia. Il ministero della Giustizia aveva indicato il luogo di detenzione, specificando che l'uomo non sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, assicurando così il pieno rispetto dell'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Arrestato in Germania e sottoposto a un arresto provvisorio ai fini della consegna, l'uomo si era opposto alla consegna e le autorità tedesche ritenevano di dover approfondire la parte del provvedimento in cui si ipotizzava il trasferimento in un istituto penitenziario diverso da quello indicato nella richiesta. Il Tribunale del Land di Brema, precisato che l'uomo non aveva un interesse meritevole di tutela a scontare la pena in Germania, Paese con il quale non aveva legami e del quale non parlava la lingua, riteneva di dover chiarire la questione circa la situazione di detenzione in Ungheria e si è così rivolto alla Corte Ue per avere un chiarimento sul rapporto tra situazione carceraria nel Paese di emissione ed esecuzione del mandato di arresto.
Le carenze sistemiche nelle condizioni di detenzione e l'attuazione del mandato di arresto - Nodo centrale della vicenda è la corretta lettura dell'articolo 1, paragrafo 3, in base al quale l'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici dell'articolo 6 del Trattato Ue prevale, in sostanza, sull'attuazione della decisione quadro. In particolare, si tratta di verificare se, per bloccare la consegna, lo Stato di esecuzione possa basarsi sull'esistenza di una generale situazione di deterioramento delle condizioni di detenzione nel Paese o se debba procedere a un esame caso per caso. Prima di tutto, la Corte di giustizia ha stabilito che la lettura e l'applicazione delle regole della decisione quadro devono avvenire nel pieno rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, applicabile in tutti i casi in cui venga in rilievo il diritto dell'Unione. E invero, l'articolo 4 della Carta, intitolato "Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti" che, come precisato nelle Spiegazioni sulla Carta, corrisponde all'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, impone all'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione "qualora disponga di elementi comprovanti l'esistenza di carenze sistemiche o generalizzate delle condizioni di detenzione all'interno degli istituti penitenziari dello Stato membro emittente" di bloccare l'esecuzione. Questo, però, solo se sussiste un "rischio reale che la persona interessata da un mandato d'arresto europeo emesso ai fini dell'esecuzione di una pena privativa della libertà sia oggetto di un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta". Chiarito il principio generale, però, la questione sollevata dai giudici tedeschi è incentrata sull'accertamento del pericolo e, in particolare, se sia sufficiente l'esistenza di un rischio generale per le strutture carcerarie del Paese o se sia necessario un accertamento specifico.
di Carmelo Minnella
Guida al Diritto, 4 agosto 2018
La Suprema corte aggiunge un ulteriore tassello interpretativo al puzzle della sussumibilità dell'asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato, ove restano ancora incerti i confini tra la corruzione della funzione ex articolo 318 del Cp e la corruzione propria concernente l'atto contrario ai doveri d'ufficio punito dal successivo articolo 319.
La Suprema corte aggiunge un ulteriore tassello interpretativo al già complesso puzzle della sussumibilità dell'asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato, ove restano ancora incerti i confini tra la corruzione della funzione ex articolo 318 del codice penale e la corruzione propria concernente l'atto contrario ai doveri d'ufficio punito dal successivo articolo 319. La linea di confine tra le due fattispecie incriminatrici diventa così sempre più "mobile" e variabile a seconda dell'intensità del patto corruttivo posto in essere, con gravi problemi in termini di tassatività della norma penale e della sua accessibilità e conoscibilità da parte dei consociati, in aperto contrasto con l'articolo 25 della Costituzione e dell'articolo 7 della Cedu.
La sentenza n. 26025 del 2018 si occupa di un caso di corruzione, con profili di estremo interesse sia sul versante sostanziale che su quello processuale, in cui un assessore e un dirigente di un Comune e l'amministratore di una cooperativa venivano condannati in primo grado per corruzione di atto contrario ai doveri d'ufficio in relazione a fatti verificatisi ante legge n. 190 del 2012 aventi a oggetto l'aggiudicazione di appalto per servizio assistenza sugli scuolabus, a cui l'extraneus forniva una serie di utilità.
La decisione veniva parzialmente riformata in appello, in quanto il dirigente andava assolto, valorizzando il giudicato cautelare, così escludendo il rapporto di funzionalità necessaria delle determinazioni di proroga del servizio di assistenza sull'intesa corruttiva. Per altri due imputati i giudici di seconde cure riqualificavano il fatto nella corruzione della funzione descritta nell'articolo 318 del Cp, espungendo nella ricostruzione del fatto gli atti della procedura di affidamento contestati come illegittimi, ritenendo che l'assessore fosse a "libro paga" dell'imprenditore.
Contrariamente a quanto possa sembrare a primo acchito, la pronuncia n. 26025 del 2018 non si pone in linea di discontinuità con la recente giurisprudenza di legittimità secondo cui, a partire dalla sentenza Bonanno (sezione Sesta, n. 3606 del 2017), in aperto contrasto con la ratio della novella del 2012 e con relativo orientamento che si era formato dopo la legge n. 190 del 2012, configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'articolo 318 del Cp) lo "stabile" asservimento del pubblico ufficiale a interessi personali di terzi, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali.
Essa rimane a metà strada in quanto parla di vendita della funzione "non stabile" (anche se non si comprende la differenza visto che lo stare a libro paga sembra evocare uno stabile mercimonio), la cui area di punibilità viene ricondotta (salvo le ipotesi in cui possa essere individuato un "determinato" atto contrario ai doveri d'ufficio) sotto l'ombrello dell'articolo 318 del Cp e non in quello dell'articolo 319 del Cp.
Si tratta quindi di un parziale ritorno al passato, senza sconfessare, almeno per obiter dictum (avendolo citato in un passaggio, senza contraddirlo) il recente orientamento qualora oggetto del patto corruttivo sia la stessa funzione che viene "interamente" asservita agli interessi del privato. Il risultato finale è che la linea di confine tra le due fattispecie incriminatrici diventa sempre più incerta e variabile a seconda dell'intensità del patto corruttivo posto in essere, con possibili tensioni con il principio di tassatività della norma penale e della sua accessibilità e conoscibilità da parte dei consociati.
La novella del 2012 - Anche per ridurre i notevoli margini di indeterminatezza di tali confini, ed eliminare zone grigie di mancata punibilità di certe aree di corruzione, la legge n. 190 del 2012 ha riformulato il delitto di corruzione impropria (legato cioè ad atto conforme ai doveri d'ufficio), sanzionando la condotta del "pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro a altra utilità o ne accetta la promessa". Tale figura criminosa - come riconosciuto da coloro che hanno riscritto l'articolo 318 del Cp - è in grado di offrire copertura normativa sia alle ipotesi di corruzione impropria sia ai casi di corruzione per l'esercizio della funzione in cui non è individuabile un accordo avente a oggetto la "compravendita" dell'esercizio della stessa funzione del pubblico agente senza riferimento dunque a uno specifico atto. In tal modo si prende atto del processo di "smaterializzazione" dell'elemento dell'atto d'ufficio, nel quadro di una ridefinizione degli ambiti di applicazione delle vigenti figure di corruzione (Severino).
di Davide Serafin
possibile.com, 4 agosto 2018
Dalila si è uccisa appena dopo 4 ore dal suo ingresso nel carcere di Udine. Dalila era una giovane transessuale: doveva solo scontare una pena o una mera custodia cautelare, non perdere la vita. Schiacciato il principio di uguaglianza, perché una detenuta transessuale ha meno diritti a cagione della sua condizione. Schiacciato il principio rieducativo e risocializzante della pena, perché il carcere diventa per alcune categorie vulnerabili di detenuti, come le persone transessuali, un luogo di ulteriore segregazione, stigma, discriminazione.
Calpestato il principio per cui nessuna pena deve consistere in un trattamento disumano e degradante, perché per una transessuale essere rinchiusa in una sezione maschile del carcere è di per sé una forma di tortura. Una questione allarmante visto che tutte le persone transessuali censite sono collocate in Sezioni Maschili senza che si tenga in alcuna considerazione la propria identità ed esponendole ad una serie di problematiche e discriminazioni aggiuntive rispetto agli altri detenuti.
Il numero dei suicidi nelle carceri italiane, che è arrivato a quota 31 dall'inizio dell'anno, è preoccupante e indicativo di un sistema fallimentare e incapace di garantire la dignità dei detenuti ma anche di tutti gli operatori carcerari, in primis della polizia penitenziaria. La denuncia del sindacato Sappe sulla vicenda di Udine chiarisce che forse il suicidio di Dalila si poteva evitare: personale insufficiente per una efficace sorveglianza e un decreto mai emanato certificano le responsabilità del Ministero della Giustizia.
La riforma dell'ordinamento penitenziario - finora osteggiata dal governo giallo-verde - deve necessariamente essere l'occasione per un intervento risolutivo anche su questa delicata materia che riguarda la dignità ed il rispetto dei diritti umani fondamentali ed inviolabili della persona. Vorremmo sentire parole e impegni chiari dal nuovo inquilino di Via Arenula, perché oggi il carcere è un luogo in cui la Costituzione muore e con essa tante, troppe persone. A questo deve necessariamente aggiungersi l'impegno a contrastare le discriminazioni multiple a cui sono soggette le persone in transizione in particolare per quanto riguarda il rispetto della propria identità di genere in ogni ambito e settore della vita pubblica, che sia in carcere, negli ospedali o nelle scuole e università.
linkabile.it, 4 agosto 2018
Dichiarazione sui decreti delegati e i suicidi in carcere. Una delegazione di Garanti regionali e territoriali, alla quale ha preso parte Samuele Ciambriello, il Garante campano per le persone prive della libertà, ha incontrato oggi a Roma Francesco Basentini il nuovo capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dove ha dichiarato: "Abbiamo ritenuto importante incontrare i nuovi vertici del Dap perché è utile creare un buon clima di cooperazione istituzionale, rispettoso delle differenti funzioni che ciascuno di noi svolge. Ho apprezzato la disponibilità istituzionale del dr Basentini al quale vanno i nostri auguri di buon lavoro, un lavoro impegnativo. Soprattutto, in un clima di ascolto, abbiamo evidenziato le criticità del sistema penitenziario che speravamo potessero essere affrontate anche con l'approvazione della riforma penitenziaria."
"Non nascondo -ha dichiarato Ciambriello- un profondo senso di delusione per la mancata approvazione dei quattro schemi di decreto legislativo in attuazione della delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario. Una scelta certo di questa nuova maggioranza, ma la cui responsabilità ricade anche sulla maggioranza della precedente legislatura, che per timori infondati e spinte populiste, e forse anche per insipienza, ha ritardato oltre modo una riforma richiesta a gran voce da tutti gli operatori e volontari del settore.
Una riforma, voglio ribadirlo, che non avrebbe diminuito la sicurezza dei cittadini, ma avrebbe solo contribuito a rendere più dignitose le condizioni di migliaia di persone ristrette. Sul testo del decreto incardinato ieri, e non ancora divulgato, è bene attendere per esprimere un giudizio. Ci saranno 90 giorni prima della sua approvazione definitiva, che consentiranno alle forze parlamentari, al Garante nazionale, ai garanti regionali e territoriali, agli esperti del settore di esprimersi anche, eventualmente, per proporre modifiche al testo".
Il Garante campano interviene poi sugli ultimi due suicidi nel carcere di Poggioreale, dichiarando :"Gli ultimi due drammatici suicidi avvenuti la scorsa settimana nel carcere di Poggioreale, nel quale sono ristrette 2.256 persone a fronte di una capienza di 1.659 posti, sono un pericoloso campanello di allarme per una situazione che di estate rischia di diventare ancora più critica. Per questo motivo, prosegue Ciambriello, attiverò i miei uffici e tutti i nostri volontari a fare il maggior sforzo possibile per monitorare anche nel mese di Agosto le condizioni negli istituti di pena campani, rese ancora più dure dal caldo implacabile di questi giorni". Secondo i dati dell'Ufficio del Garante in Campania vi sono 7.410 detenuti su una capienza di 6161 posti, 376 donne e 986 immigrati.
Corriere della Sera, 4 agosto 2018
"Solo in cartolina" è la campagna di denuncia di un gruppo di giovani creativi italiani per raccontare cosa succede a largo delle coste italiane. "Solo in cartolina" è la campagna di denuncia contro le morti in mare di un gruppo di giovani creativi italiani per raccontare cosa succede a largo delle coste italiane. Le immagini mostrano barconi, naufraghi e mani che chiedono aiuto. Sullo sfondo ombrelloni, acque cristalline e turisti. Tra i sostenitori dell'iniziativa illustratori, designer, artisti e fumettisti, ma anche tanti cittadini che hanno voluto far sentire la propria voce.
Alla campagna ha aderito anche il cantautore Colapesce inviando una storie inedita in cartolina. Per selezionare le 10 cartoline che verranno poi stampate in 1.000 copie ciascuna e recapitate al Ministro dell'Interno, Matteo Salvini, i promotori dell'iniziativa hanno deciso di lanciare un contest sul sito www.soloincartolina.it.
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