La Stampa, 4 agosto 2018
Il documento sulla revisione del mandato strategico dell'operazione Sophia, inviato nelle capitali da Bruxelles, il 27 luglio, non contiene una proposta sui porti di sbarco per i migranti salvati in mare. L'assenza ha lasciato sorpresa l'Italia, che alla riunione del Comitato politico e di sicurezza (Cops) di oggi, con altri Stati, ha chiesto al Servizio europeo per l'azione esterna (Seae) di avanzare una proposta alla riunione del gruppo di lavoro della prossima settimana. Lo si apprende da fonti diplomatiche. Secondo quanto si apprende da altre fonti, nel documento, è stato lasciato uno spazio vuoto (quello che dovrà essere riempito dalla proposta), accompagnato da alcune righe, in cui si dichiara la necessità di trovare un accordo tra gli Stati, che sia in linea con i risultati del vertice europeo dei leader di fine giugno, e vada cioè nella direzione di una responsabilità condivisa. Alla riunione del Cops l'Italia è stata molto ferma nel ribadire la propria posizione secondo cui, con la fine della missione di Frontex-Triton, a febbraio (ora è sostituita da Themis), il piano operativo - che attualmente prevede che i migranti soccorsi siano sbarcati nei porto italiani - non può più essere considerato vigente, e quindi molto ferma sulla necessità di trovare una soluzione entro le cinque settimane concordate, al termine delle quali si riserva proprie iniziative. Al dibattito, un numero definito "importante" di Stati ha evidenziato che l'attuale piano operativo è valido fino a fine dicembre, e vorrebbe mantenerlo. Il lavoro sul mandato della missione Sophia continuerà con due riunioni del gruppo di lavoro e altri due Cops (il 21 e 28 agosto), mentre per il 29 agosto, a Vienna, è fissata la riunione informale dei ministri della Difesa dell'Ue.
Gli sbarchi e il tweet di Salvini - "Hanno sprecato i loro soldi, saranno rimandati indietro nei prossimi giorni". Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, commenta così la notizia dell'arrivo a bordo di 13 "barchini" di 135 migranti a Lampedusa, quasi tutti tunisini. Ai microfoni di SkyTg24, aggiunge: "Voglio fare un decreto sicurezza ampio. Che tratti dei rimpatri veloci, riduzione costi 35 euro al giorno, revisione degli accordi con i Paesi da cui arrivano. Ora abbiamo accordi con quattro Paesi. Funziona quello con la Tunisia".
"Il nostro obiettivo - prosegue Salvini - è controllare i confini sud della Libia dei Paesi di partenza e di transito. Ma noi stiamo anche preparando un progetto che prevede almeno un miliardi di spesa e di investimento per sostenere l'economia e il lavoro di centinaia di migliaia di persone in Africa, soprattutto puntando sull'agricoltura, sulla pesca e sul commercio. Non basta chiudere, ma occorre dare prospettiva di produzione e di crescita in quei Paesi". Per Salvini è anche necessario che l'Ue faccia la sua parte soprattutto con quei Paesi che non hanno firmato ancora un accordo per i rimpatri dei loro connazionali. "Il nostro governo ha chiesto all'Europa che qualsiasi accordo futuro comprenda anche i rimpatri. Accanto agli accordi commerciali con quei Paesi, dunque, si mette anche questo. Finora non è stato mai fatto".
di Victor Castaldi
Il Dubbio, 4 agosto 2018
Affetto da sindrome di down, aveva una pistola giocattolo. Eric Torell era un ragazzo di 20 anni affetto da autismo e sindrome di down, smarrito e incapace di far male a una mosca. La sua vita si è interrotta in un marciapiede di Stoccolma, abbattuto dai proiettili di una pattuglia di polizia. Un'esecuzione che ha scioccato l'opinione pubblica del paese scandinavo che chiede piena luce su questa tragedia. Secondo le forze dell'ordine il ragazzo stava camminando a notte fonda (erano le 4 del mattino) in una strada del quartiere Vasastan, una zona residenziale della capitale svedese, con una pistola giocattolo che avrebbe tratto in inganno gli agenti. Ma il padre della vittima replica tra le lacrime che tutto ciò è assurdo, visto che si trattava di un modello minuscolo per bambini di cinque anni.
"È un fatto tragico e comprendo che molte persone sperino di ottenere delle risposte rapide", ha dichiarato in una nota il procuratore generale, Martin Tide, incaricato dell'indagine per "errore professionale". Tide ha poi provato a spiegare la dinamica dei fatti: "Il ragazzo era munito di un oggetto simile a un'arma, la polizia l'ha interpretata come situazione ostile e ha aperto il fuoco". Ha poi aggiunto che al momento nessun agente di polizia è sospettato di alcun crimine. Il quotidiano locale Aftonbladet ha riferito che ad aver sparato contro Eric Torell sono stati tre poliziotti, praticamente una tempesta di piombo. Secondo la sua famiglia, il ragazzo aveva le capacità intellettuali di un bambino di tre anni e un'estrema difficoltà a comunicare: "Siamo completamente devastati e scioccati", ha dichiarato a Katarina Soderberg, la madre del giovane ucciso. "Non sapeva essere minaccioso. Le uniche cose che sapeva fare erano coccolare e abbracciare", ha aggiunto la donna.
Anche il padre, Rickard Torell, non si capacita della tragedia. "Hanno detto che aveva un'arma finta, non è vero, era chiaramente un giocattolo, una pistola in miniatura per bambini di cinque anni, di plastica e non molto ben imitata", ha detto al giornale Mitt i Stockholm. "Questa è una tragedia per tutti gli interessati, e rispetto e capisco che questo incidente provoca molta rabbia" si è invece lamentato il capo della polizia regionale Ulf Johansson. Ma la questione è un'altra: gli agenti non sono accusati di aver assassinato volontariamente il giovane disabile ma di una totale incapacità professionale di gestire la situazione e di contenere una persona del tutto inoffensiva.
amnesty.it, 4 agosto 2018
Le autorità russe hanno negato ad Amnesty International il permesso d'incontrare il regista ucraino Oleg Sentsov, detenuto in una colonia penale della regione artica e in sciopero della fame da oltre 80 giorni. "Impedirci d'incontrare Sentsov, che è quasi al terzo mese di sciopero della fame, è una pretesa indifendibile. Avevamo in programma di visitare Oleg insieme a un medico indipendente per esaminare il suo stato di salute. Per sciogliere ogni dubbio sulle condizioni di salute del detenuto e valutare l'adeguatezza dell'assistenza medica che gli viene fornita, questa visita rimane fondamentale", ha dichiarato Oksana Pokalchuk, direttrice di Amnesty International Ucraina.
"Amnesty International continua a chiedere l'immediato rilascio di Oleg Sentsov e chiede che, finché resterà in stato di detenzione, sia visitato da personale medico qualificato che gli fornisca cure mediche coerenti coi principi etici sanitari, tra i quali quelli della confidenzialità, dell'autonomia e del consenso informato. Le autorità russe dovrebbero inoltre consentire al personale del consolato ucraino di visitare il detenuto", ha aggiunto Pokalchuk.
Il 30 luglio 2018, l'ufficio di Amnesty International a Mosca ha ricevuto una lettera da parte di Valery Balan, vicedirettore della Direzione penitenziaria federale della Russia. Nella lettera, oltre a negare senza alcuna spiegazione il permesso di visitare Sentsov nella colonia penale di Labytnangi, si affermava che le sue condizioni di salute sono stabili e che non sono in atto "dinamiche negative". Oleg Sentsov è un regista ucraino condannato a 20 anni di carcere, al termine di un processo iniquo, per "terrorismo", solo per essersi opposto all'occupazione russa della Crimea. Dal 14 maggio 2018 è in sciopero della fame per protestare contro la detenzione, politicamente motivata, di decine di cittadini ucraini nella Federazione Russa.
La Repubblica, 3 agosto 2018
Il ministro Bonafede: "Garantiamo certezza della pena e qualità della vita". I dem: "Vanificato il lavoro di anni compiuto da volontariato ed esperti del settore". Stop alla riforma delle carceri voluta dall'ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Il governo la riscrive in un consiglio dei ministri terminato in tardissima serata. La riforma - che allargava i benefici per i detenuti - era stata avviata e poi messa in stand-by prima del voto quando probabilmente era sembrato rischioso portare fino in fondo un progetto ribattezzato dagli oppositori "salva-ladri". E naturalmente quelle norme sono ora state spazzate via dall'esecutivo gialloverde.
di Alessandro Galimberti
Il Sole 24 Ore, 3 agosto 2018
Dalla riforma dell'ordinamento penitenziario, approdata al Consiglio dei ministri di ieri sera, esce tutta la parte sulla facilitazione all'accesso delle misure alternative alla detenzione e all'eliminazione degli automatismi preclusivi alla concessione di forme attenuate di esecuzione della pena. Il decreto ha così in sostanza preso atto della "mutata volontà politica" già tradotta nei pareri parlamentari contrari alla prima versione della riforma.
di Samuele Cafasso
lettera43.it, 3 agosto 2018
Il fulcro del provvedimento era l'estensione dell'esecuzione penale esterna come alternativa al carcere. Ed è qui che bisogna attendersi modifiche sostanziali.
Il governo M5S-Lega mette da parte e riscrive la riforma del sistema penitenziario firmata Andrea Orlando, quella che il precedente esecutivo aveva prima promosso e caldeggiato, poi messo a bagnomaria e stoppato sotto elezioni, quando non era utile approvare un testo bollato dalla Lega come "salva-ladri", che allargava le maglie dei benefici per i detenuti. A urne chiuse, il 16 marzo, il Consiglio dei ministri ci aveva riprovato e aveva approvato il testo, senza modificare i punti più controversi su cui le Camere chiedevano interventi, ma accogliendo comunque alcuni emendamenti, il che rendeva necessario un altro passaggio in parlamento e poi il ritorno in Consiglio dei ministri.
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 3 agosto 2018
Inasprimento per l'accesso al lavoro penitenziario ed eliminazione dello sconto di pena speciale. Questo è uno pareri che le commissioni giustizia delle Camere hanno espresso per il decreto legislativo alla riforma dell'ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro. Una mini riforma che, appunto, ha subito modifiche, contrarie allo spirito della delega ricevuta un anno fa dal Parlamento, anche sulla giustizia riparativa e l'esecuzione penale minorile.
di Michele Ainis
La Repubblica, 3 agosto 2018
La legge Mancino (n. 205 del 1993) promette un anno e mezzo di galera a chi diffonde l'odio razziale. C'è un giudice, un pubblico ministero, un attendente del pubblico ministero che ne rammenti l'esistenza? Perché un fatto è sicuro: in Italia il razzismo soffia come il vento. Altrimenti non si spiegherebbero le 11 violenze in meno di due mesi.
Dunque c'è chi attizza questa fiamma, chi vi avvicina le mani per scaldarle, chi ci sparge sopra incenso e mirra. Ma non si può, è vietato dalla legge. E se il diritto, nella patria del rovescio, fosse una cosa seria, i nuovi apostoli dell'odio sarebbero alla sbarra. Invece dichiarano, twittano, bloggano, sproloquiano senza che alcun gendarme li degni d'uno sguardo. La legge sul razzismo c'è, però nessuno vuole leggerla.
Da qui la doppia vittima di questa brutta storia: da un lato gli stranieri, dall'altro il senso stesso della legalità. Perché non è vero, non è affatto vero che manchino gli anticorpi normativi contro l'infezione. Semmai ne abbiamo troppi, col risultato che s'annullano a vicenda.
La prima disciplina di contrasto fu la legge Scelba (1952), seguita poi dalla legge Reale (1975): entrambe puniscono l'apologia d'idee o metodi razzisti, attuando la XII disposizione finale della Costituzione, che vieta la riesumazione del fascismo. Dopo di che abbiamo battezzato la legge n. 654 del 1975, questa volta in attuazione della Convenzione internazionale del 1966 contro la discriminazione razziale; e da allora in poi il razzismo, in tutte le sue forme, incorre nel bastone del diritto.
Ma il bastone bastona anche il diritto, nel senso che gli cambia incessantemente i connotati. La prima modifica coincide, per l'appunto, con la legge Mancino, che nel 1993 aggiunge al reato di razzismo una specifica aggravante. In seguito la modifica viene modificata altre quattro volte (nel 2006, nel 2016, nel 2017, nel 2018). Se non è tombola, è cinquina. Sarà per questo che a consultare "Normattiva, la banca dati ufficiale delle norme in vigore, la legge Mancino vi figura in un testo ormai superato: nemmeno la Repubblica italiana conosce gli atti della Repubblica italiana. E se non li conosce chi li ha scritti, figurarsi chi dovrebbe farne applicazione. Sta di fatto che il reato commesso dai razzisti è desaparecido dai nostri tribunali: rari processi, conclusi quasi sempre con un'assoluzione.
Ai violenti viene spesso contestata l'aggravante dell'odio etnico o razziale; ai parlanti, a chi predica l'odio senza passare ai fatti, invece no. Come se le parole fossero innocue, come se l'istigazione non fosse già un delitto. C'è qualche eccezione, tuttavia. Così, nel '2009 la Cassazione penale (sentenza n. 41819) ha applicato la legge Mancino per castigare manifesti contro i campi nomadi, basati sul presupposto che ogni zingaro sia un ladro; nel 2013 (sentenza n. 33179) ha condannato i gestori di un blog; mentre nel 2017 il Tribunale di Brescia è intervenuto contro alcuni post su Facebook che degradavano i richiedenti asilo a clandestini.
Ecco, sarebbe bene trasformare l'eccezione in regola. Del resto, se i giudici italiani non conoscono la legge Mancino, c'è invece chi la conosce a menadito: è il caso della Lega, che nel 2014 promosse un referendum per chiederne l'abrogazione. Certo, può darsi che gli abolizionisti abbiano a cuore la libertà di manifestazione del pensiero, può darsi che il nostro ordinamento ospiti troppi reati d'opinione. Ma c'è un diritto per il tempo di pace e un diritto per il tempo di guerra, quando ogni libertà s'affievolisce in nome della salvezza collettiva. E adesso siamo in guerra, l'odio razziale è già una guerra.
di Giovanni M. Jacobazzi
Il Dubbio, 3 agosto 2018
"Abbiamo in programma molte attività per il mese di settembre. E inviterò a parteciparvi tutti i neo consiglieri. Sarà questo il modo migliore per favorire il passaggio di testimone fra il Consiglio uscente e quello di nuova costituzione", dichiara il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura. Giovanni Legnini ci riceve nel suo ufficio a Palazzo dei Marescialli e ci illustra le iniziative già in calendario al ritorno dalla pausa estiva.
Il 10 settembre un incontro con i presidenti delle sezioni specializzate in materia di protezione internazionale. Poi, il 13, un Plenum straordinario in occasione dell' 80° dalla entrata in vigore delle leggi razziali dove verrà presentato il volume "Razza e in Giustizia", una ricerca storica sui magistrati e avvocati che non si piegarono alle norme volute dal fascismo e con l'elenco di tutte le toghe che subirono l'epurazione.
Un lavoro che è stato condotto con la collaborazione del Consiglio nazionale forense. Il 18, quindi, la presentazione del Codice dell'Organizzazione giudiziaria. Ed infine, il 24, un Plenum straordinario presieduto dal Capo dello Stato per celebrare l'anniversario del 60° dell'entrata in vigore della legge istitutiva del Csm. Non solo nomine, dunque, ma momenti formativi di alto livello. Un cambio rispetto al passato. In questi quattro anni, il Consiglio ha svolto un lavoro importante finalizzato ad un profondo cambio culturale nella giurisdizione. Nelle intenzione di Legnini un "orizzonte innovativo". Non sono però mancate le polemiche, in particolare a proposito nomine degli incarichi direttivi.
La modifica dell'età pensionabile delle toghe ha costretto il Csm ad effettuare oltre mille nomine che hanno cambiato il volto della magistratura italiana. Un lavoro che è stato svolto, archiviato il parametro dell'anzianità, seguendo quello dell'attitudine e del merito. Il prossimo Consiglio dovrà procedere alla conferma, allo scadere del quadriennio, di questi mille direttivi e semi direttivi nominati. Un banco di prova importante.
Una delle accuse mosse all'attuale Consiglio è quella di "dirigismo", di aver voluto imporre agli uffici giudiziari regole stringenti.
Una accusa respinta dagli interessati che hanno sempre ribadito come sulla cultura dell'organizzazione non sia possibile tornare indietro. Esempi, al riguardo, la circolare sulle Procure, quella per velocizzare le esecuzioni immobiliari, quella sulla comunicazione giudiziaria, e le linee guida sulle intercettazioni. Norme di soft low, non vincolanti, ma che sono un riferimento per agevolare il lavoro dei magistrati.
Critiche sono venute da settori minoritari della magistratura, caratterizzati da "pigrizia ed insofferenza", ha puntualizzato un consigliere laico uscente. Legnini è molto orgoglioso del nuovo approccio del Csm. Da luogo lontano dall'efficienza degli uffici che si occupava solo di nomine a centro di riferimento per le best practice in tema di organizzazione.
Chi non comprende il cambiamento ha una visione "antica" della magistratura. Rispettoso dei poteri dei magistrati, senza limitarne l'autonomia, il Csm ha voluto dare dei suggerimenti alle toghe per fare al meglio il proprio lavoro. Nessuna visione dirigistica, dunque, ma solo voglia di estendere a tutti le migliori esperienze dei Tribunali italiani. Un rammarico, per Legnini, è stata la bocciatura della riforma della legge sull'Ordinamento penitenziario. In Plenum era stato votato un parere positivo su questa modifica legislativa attesa da anni.
Uno degli esempi del rinnovato protagonismo istituzionale del Csm, aperto alle istanze di tutti gli operatori del diritto, magistrati e avvocati, è rintracciabile consultando il portale, dove sono contenute utili informazioni. Oltre ad una sempre maggiore trasparenza: è consultabile tutto, tranne quanto segretato o vincolato dalla normativa della privacy. Le recenti elezioni per il rinnovo del Csm sono state caratterizzate da un forte condizionamento mediatico. In particolare per uno dei candidati che era appoggiato apertamente da diversi quotidiani. Una novità.
Limitata la componente femminile, nulla per i membri laici. E sulla proposta di inserire l'avvocato in Costituzione, Legnini ricorda che già ora la Carta contiene principi importanti sul diritto di difesa e sulla parità fra accusa e difesa. Una ulteriore riconoscibilità della funzione dell'avvocato non può che essere vista positivamente.
di Emiliano Silvestri
Il Dubbio, 3 agosto 2018
Nella suggestiva cornice del parco di Villa Piccolo a Capo d'Orlando il 30 luglio si è tenuto un convegno (registrato da Radio Radicale) organizzato dalle Camere penali di Patti e Barcellona Pozzo di Gotto. Al centro della discussione, otto proposte di legge di iniziativa popolare del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito "contro il regime".
A introdurre i lavori il presidente della Camera penale di Patti, l'avvocato Carmelo Occhiuto, che ha ricordato una recente sentenza della Corte Costituzionale (n° 149/2018) che ha sancito: "l'illegittimità costituzionale dell'art. 58-quater, comma 4, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui si applica ai condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 289-bis del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato".
Ha poi ricordato l'allora presidente del Parco dei Nebrodi e attuale responsabile nazionale legalità del Pd, applaudito nel corso di un convegno per avere concorso alla chiusura di 42 cooperative sulle 44 presenti nel territorio di sua competenza. Al convegno hanno partecipato anche Pietro Cavallotti e Massimo Niceta che hanno illustrato la proposta di legge di revisione del sistema delle informazioni interdittive e delle misure di prevenzione antimafia.
I due imprenditori hanno risposto a chi li accusa di voler cancellare la legge Rognoni-La Torre: "vogliamo invece, come Partito Radicale e come associazione InDifesa, riportare quella legge alla sua purezza originaria, limitando l'eccessiva discrezionalità che le attuali norme consentono". Oggi basta un semplice sospetto, nemmeno sorretto da riscontri: un indizio non grave, non preciso e non concordante. La proposta di legge prevede la sospensione della misura di prevenzione nell'attesa della sentenza penale e la revoca quando questa sia di assoluzione.
Il professore Angelo Mangione, ha ricordato come confisca e prevenzione siano ora estese anche ai corrotti; misure basate sulla logica del sospetto e centrate più sulla pericolosità che sul fatto. Misure che non dovrebbero esistere in uno stato democratico e che, tuttavia, sembrano depotenziate dagli interventi della Cedu e delle Corti di Cassazione e Costituzionale. Elisabetta Zamparutti, rappresentante italiana al Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, ha presentato la proposta per la riforma del sistema di ergastolo ostativo (sono 1.200 sul totale di 1.600 ergastolani quelli che non potranno uscire se non dopo aver "offerto" collaborazione) e del regime del 4bis, chiamato carcere duro ma definito dal Comitato: "una forma di pressione fisica e psicologica volta a indurre alla collaborazione, che contrasta con la Costituzione e i trattati internazionali sui diritti umani di cui l'Italia è parte" in pratica, come nel titolo di un libro di Sergio D'Elia e Maurizio Turco "Una tortura democratica".
Giuseppe Tortora, presidente della Camere Penali di Barcellona Pozzo di Gotto, si è soffermato sulla proposta di modifica dell'art. 143 del T. U. Enti Locali; sullo scioglimento dei Comuni per mafia: emblematici i casi di Scicli e di Vittoria, preceduti da campagne di stampa. Rita Bernardini ha ripreso un articolo del 17 lug 1944 di Luigi Einaudi: "Dove non esiste il governo di sé stessi, dov'è la democrazia? " e ha ricordato al ministro Salvini che la Lega appoggiò la campagna "einaudiana" lanciata ne11992 da Marco Pannella per l'abolizione dei prefetti. Rocco Abruzzese, segretario della stessa Camera penale, ha sostenuto la proposta di abolizione degli incarichi extragiudiziali dei magistrati.
Molti hanno sottolineato la necessità che il Partito Radicale raggiunga l'obiettivo dei 3.000 iscritti; diversamente, ha sottolineato il professor Antonio Matasso, l'unica voce che non si conforma acriticamente ai sondaggi mantenendo nel paese la fiammella dello stato di diritto sarà spenta. Una voce che parla di giustizia senza paura dell'impopolarità e che propone di combattere la criminalità organizzata senza distruggere l'economia già fragile dell'isola. Per dirla con Sergio D'Elia (e con Leonardo Sciascia) la mafia non si combatte con la "terribilità" ma con il diritto.
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