di Pietro De Leo
Il Tempo, 17 maggio 2020
Si dimette il capo di gabinetto del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. M5S nell'occhio del ciclone per i boss scarcerati. Si chiude un'altra settimana difficile, per il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, e se ne aprirà, lunedì, un'altra all'insegna della passione, nel senso di patimento. Ieri mattina è piovuta sul confronto politico, già non proprio sereno per via dello scontro sul decreto Rilancio, la notizia delle dimissioni del capo di gabinetto di Via Arenula, Fulvio Baldi. "Motivi personali", riportano le agenzie.
Iniziativa assunta dopo un colloquio proprio con il ministro. Tuttavia, pare che gran peso sulla scelta l'abbia avuto un pezzo del Fatto Quotidiano dell'altroieri, dove sono presenti delle intercettazioni tra Baldi e il pm Luca Palamara, quest'ultimo al centro dell'inchiesta di Perugia per presunta corruzione. Baldi non è indagato, ma tema dello scambio tra i due par di intendere ci siano degli accordi per piazzare delle figure amiche nello staff di via Arenula. A Baldi, già sostituto procuratore generale della Cassazione, da ieri è subentrato il capo dell'ufficio legislativo, Mauro Vitiello.
Tuttavia, perdere il capo di gabinetto (la figura che, di fatto, condivide con il ministro la "sala macchine" della struttura) rappresenta di norma un duro colpo. Figuriamoci in una fase in cui il ministro in questione attraversa una vera e propria bufera politica. Ieri aumentata di intensità dalla valanga di strali arrivati dall'opposizione. Dalla Lega, l'ex sottosegretario proprio alla Giustizia Jacopo Morrone, parlando alla trasmissione "Gli inascoltabili" di Nsl Radio Tv affonda: "il ministero della giustizia si sta sgretolando ed è sotto gli occhi di tutti. Ci sono le dimissioni di tutti gli uomini più vicini al ministro, ma il ministro mantiene la sua poltrona".
E infatti proprio su queste due direttrici si concentrano gli attacchi dell'opposizione: da un lato il chiarimento e dall'altro le dimissioni. Così in Fratelli d'Italia, dove Fabio Rampelli osserva che Bonafede "dovrebbe chiarire quali altre pressioni ha subìto dall'ex pm Palamara, già capo di Anm, per la creazione degli uffici di staff e quali altre liste ha ricevuto in questi anni" e poi chiede "il giusto epilogo di una conduzione fallimentare del dicastero di via Arenula".
Sulla stessa linea, Andrea Delmastro punta il dito contro le "ombre imbarazzanti" attorno al ministero e intima a Bonafede: "si dimetta". Da Forza Italia, se Gasparri ironizza "ci deve essere un equivoco nelle comunicazioni. Bonafede te ne devi andare tu", Gianfranco Rotondi prende le difese di Baldi: "un magistrato integerrimo e a suo carico non esiste alcun procedimento giudiziario". Ed invita Bonafede a respingere le dimissioni.
Dunque, l'ennesimo mattone che viene via, dopo le dimissioni da capo del Dap di Basentini, il frontale in diretta tv con il componente del Csm Nino Di Matteo. E i retroscena che ricondurrebbero all'ambiente universitario fiorentino (di cui facevano parte sia Bonafede che Conte) l'origine della scelta di Basentini a capo dell'amministrazione penitenziaria, al posto di Di Matteo. Dinamiche, queste, che oramai da settimane avvolgono il ministro.
Il quale anche questa settimana dovrà affrontare un altro percorso ad ostacoli. Mercoledì in Senato si voterà la mozione di sfiducia che verrà sostenuta dal centrodestra unito (anche Forza Italia, e ieri Antonio Tajani ha spiegato il motivo: "Non si tratta di un giudizio, negativo, soltanto sull'operato del ministro ma riguarda una gestione non all'altezza dell'intero settore Giustizia su cui il governo ha fallito su tutta la linea"). Giovedì, invece, il Guardasigilli riferirà in commissione antimafia. All'ordine del giorno, scarcerazioni e avvicendamento al Dap.
di Paolo Comi
Il Riformista, 17 maggio 2020
Non c'è due senza tre a via Arenula. Dopo le dimissioni del capo dell'Ispettorato Andrea Nocera, indagato per corruzione, quelle del capo del Dap Francesco Basentini, travolto per la (non) gestione delle carceri durante emergenza Covid-19, ecco il turno di quelle del capo di gabinetto Fulvio Baldi. La pubblicazione questa settimana sul Fatto Quotidiano dei suoi colloqui con Luca Palamara, contenuti nel fascicolo della Procura di Perugia che lo scorso anno terremotò il Csm, è stata fatale all'ormai ex uomo di fiducia di Alfonso Bonafede.
"Fulvietto", come lo chiama Palamara, più che un capo di gabinetto di un ministro, leggendo le trascrizioni delle conversazioni, sembra il capo dell'ufficio di collocamento magistrati. Palamara, già ras indiscusso di Unicost, la stessa corrente di Baldi, nell'estate del 2018 ha un problema: piazzare "fuori ruolo" due magistrate. Si tratta di Katia Marino, sostituto procuratore a Modena, e Francesca Russo, giudice del Tribunale di Roma. Baldi è pronto ad esaudire i desiderata di Palamara ma ha finito i posti al gabinetto del Ministero. Si rivolge al collega Mauro Vitiello, capo del Legislativo, ufficio dove i posti ci sono ancora. Vitiello, però, è di Magistratura democratica, la corrente di sinistra, e si mette di traverso.
Palamara non si perde d'animo e cerca una sponda con Nicola Clivio, suo collega al Csm in quota Md, ma senza successo. L'exit strategy, per non fare brutta figura, pare essere il Dag, il Dipartimento degli Affari di Giustizia (all'interno del quale c'è la direzione che Bonafede voleva dare in quelle settimane a Nino Di Matteo, ndr), presidiato da Maria Casola, altra esponente di punta di Unicost. Palamara è dubbioso sulla soluzione proposta da Baldi e quindi chiede: "Se la prende lei o no?". Baldi replica: "Eh beh ma la Casola è nostra ragazzi, gliela indichiamo noi che cazzo, e allora che cazzo piazziamo a fare i nostri?".
Passando i giorni senza che situazione si sblocchi, ecco spuntare dal cilindro di Baldi l'Ufficio contenzioso del Ministero degli esteri. A differenza degli incarichi a via Arenula questo posto non ha indennità economiche aggiuntive. E poi c'è il problema della lingua inglese che il giudice Russo non conosce. L'esplosione del caso Palamara qualche mese più tardi interrompe l'attività dell'ufficio di "collocamento" e le due magistrate restano al loro posto.
Sul fronte del Csm, invece, altre intercettazioni riportate dal quotidiano La Verità, molto attivo in questa fase insieme al Fatto (nel silenzio, invece, del Corriere, Repubblica e Messaggero, i giornali che lo scorso anno pubblicarono le intercettazioni che costrinsero alle dimissioni cinque consiglieri, cambiando gli equilibri al Csm e stoppando la corsa di Marcello Viola alla Procura di Roma), hanno svelato ieri il ruolo di Md, la corrente del molto attivo presidente dell'Anm Luca Poniz, nella spartizione degli incarichi. Attività che si pensava fosse esclusivo appannaggio del duo Palamara-Cosimo Ferri. Dai colloqui con Massimiliano Fracassi, nella scorsa consiliatura capo delegazione delle toghe di sinistra a Palazzo dei Marescialli, si discute della nomina del vice segretario generale del Csm. Nella scelta sembra si sia intromesso Stefano Erbani, esponente di Md distaccato al Quirinale. "L'uomo è pericoloso, fidati", dice allora Fracassi a Palamara.
L'incarico andrà poi a Gabriele Fiorentino, componente del comitato esecutivo di Md. Palamara, comunque, ha un rapporto di ferro con David Ermini (Pd) da lui imposto alla vicepresidenza del Csm. I due si sentono spessissimo. Il giorno dell'elezione Palamara gli scrive due messaggi: "Godo!!!" e "Insieme a te!!!". Ermini ha in grande considerazione Palamara al punto che, bypassando gli Uffici relazioni esterne del Csm, gli chiede la cortesia di scrivere gli interventi che deve pronunciare ai convegni. In attesa della probabile pubblicazione di ulteriori intercettazioni, alcuni aspetti non tornano. Il primo è come mai il livello di fiducia dei cittadini italiani nella magistratura sia ancora attestato su un elevato 36%. Il secondo riguarda i laici del Csm, stimati professori universitari e avvocati, che continuano ad entrare a Palazzo dei Marescialli senza provare alcun disagio.
di Errico Novi
Il Dubbio, 17 maggio 2020
L'ex procuratore capo di Milano: "Si volti pagina, come chiede il presidente Mattarella: i magistrati devono ritrovare la fiducia dei cittadini". Con Edmondo Bruti Liberati l'espressione "leadership" può declinarsi a pieno anche rispetto alla magistratura.
Non solo perché si tratta di una figura che ha guidato l'ufficio inquirente chiave del Paese, la Procura di Milano: Bruti Liberati è stato anche leader in senso stretto di Magistratura democratica, gruppo storico e decisivo dell'associazionismo giudiziario. Ora assiste ai tormenti delle toghe, che non risparmiano gli uffici di via Arenula. E usa un'espressione: amarezza. "È amaro", dice, "vedere un magistrato in preda a un delirio di onnipotenza e altri, non tutti, che non hanno la prontezza di rigettare il suo approccio".
Le notizie sull'indagine di Perugia possono radicare nell'opinione pubblica un'immagine desolante della magistratura?
Le notizie emerse mostrano un preoccupante decadimento di costume, di cui è indice anche un linguaggio non commendevole, che coinvolge alcuni magistrati in posizioni di rilievo. È amaro vedere un magistrato in preda a un delirio di onnipotenza e altri, non tutti, che non hanno la prontezza di rigettare il suo approccio.
Ma non si tratta di fatti di rilievo penale...
No e, pare, neppure di rilevo disciplinare: riguardano alcuni singoli magistrati, ma non voglio minimizzare perché viene coinvolto il Csm. Le vicende che oggi vengono alla luce sono degli anni scorsi e arrivano fino ai primi mesi del 2019 toccando il Csm attualmente in carica. Ricordiamo il severo monito rivolto dal presidente Mattarella nella seduta straordinaria del Csm del 21 giugno dello scorso anno: "Oggi si volta pagina nella vita del Csm, la prima di un percorso di cui non ci si può nascondere difficoltà e fatica di impegno. Dimostrando la capacità di reagire con fermezza contro ogni forma di degenerazione. Occorre far comprendere che la Magistratura italiana - e il suo organo di governo autonomo, previsto dalla Costituzione - hanno al proprio interno gli anticorpi necessari e sono in grado di assicurare, nelle proprie scelte, rigore e piena linearità".
Quel monito si è tradotto in un effettivo cambio di passo?
A me pare che una risposta vi sia stata: sia pure dopo qualche titubanza, tutti i consiglieri in qualche modo coinvolti hanno rassegnato le dimissioni, taluni dall'incarico al Csm, altri dalla magistratura. E viviamo in un Paese in cui le dimissioni, a prescindere da un'indagine penale, sono un evento tutt'altro che frequente.
Ma nel Paese la magistratura è stata a lungo considerata un baluardo di credibilità e autorevolezza, nel vuoto di classi dirigenti sempre più pallide: crede che quel baluardo regga ancora, agli occhi dell'opinione pubblica?
La giustizia si regge sulla credibilità della magistratura, i magistrati sono espressione di un Paese che vede una crisi delle classi dirigenti e una pericolosa svalutazione delle competenze. Le riforme degli studi universitari e post universitari, con le migliori intenzioni, hanno prodotto effetti pessimi. Si è creato un lungo periodo di parcheggio, di pochissima utilità sotto il profilo della formazione, che induce i migliori a trovare altri sbocchi professionali, seleziona per censo coloro che hanno alle spalle una famiglia in grado di mantenerli agli studi fino a trent'anni, stempera nella attesa gli entusiasmi.
Quadro desolante: come si fa a cambiarlo?
È urgente consentire ai giovani laureati, dopo il quinquennio di studi di giurisprudenza, di affrontare subito il concorso per l'accesso in magistratura. Per i vincitori si deve prevedere un più lungo e organizzato periodo di tirocinio presso la Scuola Superiore della Magistratura. La nostra Scuola, arrivata buona ultima in Europa, ha acquisito efficacia e autorevolezza, grazie anche alla guida dei tre presidenti che si sono succeduti, non a caso tutti ex presidenti della Corte costituzionale. Occorre investire sulla Scuola, sia per il tirocinio iniziale che per l'aggiornamento professionale, e tra i corsi dovrà essere potenziato lo spazio dedicato alla deontologia.
Ma è possibile che la magistratura, avvilita anche da alcune vicende poco commendevoli, rinunci a esercitare un ruolo culturale nel dibattito pubblico e finisca per ritirarsi in una sorta di minimalismo sindacalistico?
Questo rischio esiste. L'Anm deve occuparsi anche di temi strettamente sindacali, ma la sua lunga storia ha evidenziato la capacità di superare una visione grettamente corporativa e contribuire alle riforme del sistema giustizia. La magistratura deve conquistarsi la fiducia dei cittadini, che non vuol dire assenso acritico e neppure adeguamento al volere della piazza.
Si citano spesso sondaggi di opinione sulla percentuale di fiducia nella magistratura che si attesterebbe intorno al 45 per cento. Ebbene, un sondaggio francese del settembre 2019, di Ifop per L'Express, indica la percentuale del 53 per cento per la fiducia nella giustizia, in quadro complessivo in cui tutte le istituzioni hanno un grado di fiducia di circa dieci punti superiori rispetto alla situazione italiana. I molteplici fattori di crisi delle nostre società si ripercuotono ovunque anche sul sistema di giustizia.
Le campagne sulle "scarcerazioni dei boss" e i provvedimenti assunti a riguardo dal governo possono indebolire l'indipendenza dei magistrati di sorveglianza?
Vi è stata una clamorosa disinformazione: basti pensare che i 3 casi che hanno riguardato detenuti delle categorie pericolose sono divenuti più di 300... Il ministro della Giustizia e il Governo si sono sottratti alla responsabilità di affrontare la situazione di grave sovraffollamento nella emergenza Covid-19 e il problema è stato rovesciato sulle spalle della magistratura e di quella di sorveglianza in particolare. Ogni provvedimento può essere discusso, ma è inaccettabile l'allarmismo sui numeri manipolati e la campagna di aggressione verso chi si è assunto responsabilità, a fronte di una politica latitante.
Ma per tornare alle vicende delle ultime ore, crede che favoriranno la rivincita di chi chiede il sorteggio per eleggere il Csm?
Il sistema elettorale in vigore, che si proponeva di scardinare il sistema delle correnti, ha ottenuto l'effetto opposto. Il sorteggio è il sistema proposto nel 1972 dall'onorevole Almirante, ma con modifica costituzionale. I tentativi di costruirne oggi declinazioni variamente mitigate ne evidenziano il limite insuperabile. La elettività dei componenti, posta in Costituzione, mira a far vivere il Csm ai magistrati come organo di cui portano la responsabilità. Si fonda anche sulla esigenza di valorizzare l'attitudine per una funzione, che richiede, oltre a tutte le qualità del buon magistrato, anche una ulteriore: la capacità di misurarsi con la organizzazione di un sistema complesso come quello della giustizia.
Non è dunque il sorteggio, la soluzione...
Le clamorose vicende che hanno investito alcuni componenti del Csm indicano che le peggiori derive sono conseguenza di ambigui occulti rapporti tra "notabili", sensibili al demone dell'esercizio del potere e delle pratiche di accordi occulti, che si muovono del tutto trasversalmente rispetto a quello che dovrebbe essere l'aperto e trasparente confronto. Le "correnti" della magistratura devono mostrarsi all'altezza del monito del presidente Mattarella: "Voltare pagina". Il sistema elettorale deve mirare a ridurre il peso degli apparati allargando le possibilità di scelta degli elettori che continuino a fare riferimento ad una o altra corrente. Qualunque riforma deve misurarsi con principi fondamentali: la libertà di opinione e di associazione e il contributo che i corpi intermedi apportano alla vita di un ordinamento democratico, in tutte le sue articolazioni.
di Anna Fornasieri
Corriere della Sera, 17 maggio 2020
In una lettera al ministro della Giustizia, una studentessa che da mesi si prepara ai due concorsi segnala come i calendari, "sospesi" a causa del coronavirus, rischino di portare a sovrapposizioni ingestibili. Destinate a vanificare il sacrificio (di tempo ed economico) sostenuto da candidati e famiglie
Egregio Ministro Bonafede, mi chiamo Anna, ho 27 anni e da circa un anno e mezzo sto studiando per la preparazione del concorso di magistratura. Le scrivo col desiderio di raccontarle la scoperta della fecondità di questo tempo così strano e di esprimerle le esigenze che dallo stesso stanno emergendo.
Come saprà questo percorso è lungo e accidentato, capace di temprare la resistenza e la fermezza delle persone che vi si accingono. Il mio desiderio innato di scoprire cosa sia la giustizia, maturato e cresciuto tramite lo studio della letteratura greca e latina del liceo classico, mi ha portato sulla strada su cui ora mi trovo. Mi sono laureata all'Università Cattolica di Milano nell'aprile 2018 e qualche giorno dopo ho cominciato il tirocinio di 18 mesi presso la Corte di Appello di Milano, affiancando un giudice di una statura umana e professionale eccezionale. In quei 18 mesi, potendo osservare da vicino il mestiere del giudice, ho scoperto di volerlo davvero fare. È stata infatti l'occasione per scoprire che la risposta a cosa sia la giustizia non può essere rinvenuta in un'ideologia preconcetta, ma deve passare dal realismo del bilanciamento dei fattori in gioco in una determinata vicenda, scoprendo così, che la giustizia è l'ideale a cui ogni contraddizione umana tende continuamente.
E ora, mentre le scrivo, guardando fuori dalla finestra in questa giornata soleggiata, mi trovo in casa a fare i conti ogni giorno con questa domanda: il desiderio che ho di fare questo mestiere, il gusto che ho provato in quei mesi di tirocinio, valgono la fatica di questa attesa che, ora più che mai, sembra infinita?
Mi sembra importante farle sapere che la risposta a questa domanda, che inevitabilmente risuona ogni giorno quando ci si alza la mattina presto per continuare questa battaglia e persistere nelle lunghe ore di studio passate in solitudine, è sì. Questa è la risposta anche di alcuni amici e colleghi impegnati sullo stesso percorso, con i quali in questi giorni silenziosi mi continuo a confrontare. Rispondo che sì, vale la pena permanere su questa strada, ma bisogna capire il perché. Se io ogni giorno non sperimentassi, quando apro quei libri infiniti di penale, civile e amministrativo, un gusto nello studiare, un entusiasmo per come la ragione viene invitata ad aprirsi e a conoscere il mondo e l'uomo, mi sarei già fermata di fronte all'assoluta incertezza che ci avvolge. L'adesione che non si stanca mai a questo tipo di percorso, infatti, o è sostenuta da una passione vera alla conoscenza, oppure si interrompe. Ma questa scoperta, questa dedizione continua allo studio di cui le mie giornate sono fatte da ormai molto tempo, ha dentro qualcosa che ancora non ho detto: il desiderio di scoprire il mio posto nel mondo, l'esigenza di capire come anche io posso contribuire alla costruzione del bene comune che tutti cerchiamo.
Dunque, io le chiedo e chiedo ai politici che stanno guidando il Paese in questo tempo così duro: vi interessa coltivare questa aspirazione di noi giovani? Perché non si può pensare che la crescita e, ad oggi, direi la rinascita di un Paese, non passi attraverso la scommessa su questo desiderio che ci muove. Certamente dentro questa affermazione che faccio vi è piena coscienza della situazione emergenziale in cui ci troviamo, in cui le uniche risposte da dare sembrano essere quelle legate alla salute ed alla sicurezza. Ma nessuno in questa fase 2 tanto proclamata, si è soffermato nemmeno per un istante a riflettere sulla condizione di chi, come noi, lavora e studia da due anni senza prendere nemmeno uno stipendio, mantenuto dalla propria famiglia, spesso in difficoltà economica, perseguendo però con fedeltà l'ideale di servire la società impastandosi nella ricerca della giustizia. Non è forse la persona il primo luogo per la costruzione di un Paese? Ecco, dunque, io credo che ora dobbiate guardare anche a chi, questa società, la sostiene con questo sacrificio operoso.
Ma ecco la cruna dell'ago: per ciò che concerne lo scritto di magistratura 2020 abbiamo aspettato notizie dal Ministero. La data inizialmente prevista per la fissazione del calendario delle prove era il 27 marzo, è stata poi rimandata al successivo 24 aprile. Il 24 aprile la risposta è stata: "daremo la risposta il 24 luglio", non una parola di meno non una di più. Aspettare fino al 24 di luglio per sapere, (ma visti i rimandi senza spiegazione, si dubita), quando sarà questo concorso, significa essere nell'impossibilità di capire come spendere il proprio tempo. In questa opacità e mancanza di trasparenza circa lo svolgimento del concorso, le uniche voci su cui fare affidamento sono quelle di alcune piattaforme social, secondo le quali il concorso di magistratura dovrebbe svolgersi a fine novembre 2020.
Come migliaia di altri ragazzi, e come di prassi, ho fatto lo scritto di avvocato a Milano a dicembre 2019 ma anche su questo fronte non si sa nulla di certo, perché ufficialmente non ci è stato detto nulla. Tutto tace. L'unica notizia, arrivata solo qualche giorno fa, è paradossale: riprenderanno le correzioni in via telematica e gli orali cominceranno a partire da ottobre. Beh, era ora... ma mi permetta di dire che la annunciata soluzione di effettuare le correzioni degli scritti dell'esame di avvocato tramite gli strumenti che la tecnologia ci offre, non ci era sembrata così fantascientifica e non immaginavamo che richiedesse un iter così lungo per formularla (da fine febbraio a metà maggio).
Ed ecco il cuore del problema: la collisione tra gli orali di Avvocato e lo scritto di Magistratura. In questa prospettiva, io, come tanti altri che hanno messo il loro impegno in entrambe le strade, mi troverei a dover sostenere il concorso di magistratura a fine novembre e a metà dicembre - sulla base della lettera alfabetica estratta - l'orale di avvocato che, tra le materie comuni al concorso, ne ha solo una su sei. Qualora, infatti, si decidesse di fissare il diario delle prove del concorso di magistratura entro la fine dell'anno corrente e l'inizio degli orali di avvocato realmente ad ottobre, come lei certamente capirà, numerosi giovani si troverebbero a dover affrontare una mole di studio definibile solo come folle. Con l'aggravante che la possibilità di capire come barcamenarsi tra questi due esami ci verrà rivelato a sorpresa solo il 24 di luglio.
Ora, lei capirà che con questo scenario - che potrebbe definirsi solo mostruoso - si ridicolizza il sacrificio economico, di tempo e fatica che questo tipo di percorsi ha comportato fino ad ora. Ma soprattutto, le chiedo, le sembra giusto? Non è uno sterile lamento per una situazione che, come detto in precedenza, ci ha trovato tutti impreparati.
Ma ciò che voglio dirle, Ministro, è che non si può pensare a una riorganizzazione dei concorsi e della formazione giuridica senza che voi sappiate chi c'è dietro a quei numeri che ogni anno si presentano da tutta Italia per affrontare quelle prove e senza ascoltarne le esigenze.
In sintesi chiedo, io insieme a migliaia di giovani, di renderci partecipi delle possibilità che sono al vaglio del Ministero circa lo svolgimento del concorso di magistratura, perché la realtà vista solo da un lato è astratta, e di prendere in considerazione una soluzione per evitare la sovrapposizione del periodo di preparazione dell'orale di avvocato e del concorso di magistratura. Spero e confido nel fatto che lei, Ministro della Giustizia, la abbia veramente a cuore, perché la giustizia prima che nelle aule di tribunale si gioca nel rapporto con un bisogno espresso.
La Città di Salerno, 17 maggio 2020
Il Garante dei detenuti in Campania, Ciambriello: da marzo 920 le liberazioni. In Campania sono stati 920 i detenuti che hanno beneficiato degli arresti o della detenzione domiciliare, sia per effetto del decreto "Cura Italia" sia per la normativa ordinaria regolamentata dalla legge 199/2010. A dirlo è il garante campano per i detenuti, Samuele Ciambriello che annuncia anche la consegna di elettrodomestici agli istituti penitenziari di Bellizzi Irpino e Fuorni.
"Sulle carceri troppe polemiche e parole senza senso - dice Ciambriello. In queste settimane di emergenza Covid-19, l'Ufficio del Garante campano dei detenuti ha intensificato i colloqui telefonici con gli stessi, i protocolli di intesa con le Asl e le iniziative sanitarie per ogni Istituto, sia per la quarantena fiduciaria per chi arriva da fuori, sia per gli spazi di isolamento sanitario per casi sospetti o eventualmente positivi". E poi si passa alle statistiche.
"Ad oggi - aggiunge il Garante - in Campania sono presenti 6.401 detenuti, di cui 298 donne. Da marzo ad oggi, sono state 920 le persone ad aver ottenuto gli arresti domiciliari o la detenzione domiciliare". L'ufficio del garante si è adoperato per fornire attrezzature di utilità ai detenuti. "Dopo aver consegnato in tanti istituti 25 lavatrici, in data odierna sono pervenuti, sia nel carcere di Bellizzi Irpino che Fuorni otto pozzetti, 30 phon e quattro fornetti", spiega Ciambriello.
L'intervento sullo stato delle carceri e sulle condizioni dei detenuti non può non finire sulla polemica che ha infiammato i dibattiti sulla giustizia nei salotti televisivi, sull'uscita dalle carceri di detenuti accusati di camorra e sottoposti al regime del cosiddetto "carcere duro".
"Le decisioni dei magistrati di sorveglianza e magistrati di merito devono essere accettate. Non credo che i circa 200 Magistrati coinvolti in tutt'Italia, sia negli arresti domiciliari che in detenzione domiciliare per detenuti malati, siano tutti eversori delle leggi italiane. Credo che anche loro siano servitori dello Stato al pari di tanti altri magistrati vocianti da diversi pulpiti".
In origine, la discussione era incentrata sulla disponibilità dei "braccialetti elettronici": sistema di controllo a distanza dei detenuti in regime di detenzione domiciliare. Con il decreto "Cura Italia" sono diventati obbligatori per quanti beneficiano dell'uscita dal carcere condizionata alle condizioni di salute e al rischio concreto di contagio dal Covid-19.
La dotazione di apparecchi annunciata da fonti ministeriali non si è rivelata fondata. I ritardi hanno provocato difficoltà nell'esecuzione delle misure adottate dai giudizi dei tribunali di Sorveglianza. E c'è stato chi, tra i detenuti in attesa, si è lasciato andare a gesti estremi, non compiuti, per i rimbalzi di responsabilità sul rilascio dell'agognato apparecchio.
di Andrea Fabozzi
Il Manifesto, 17 maggio 2020
No alla sfiducia a Bonafede, ma il Pd chiede una svolta. "Se la nuova legge elettorale per l'organo di autogoverno piace poco alle correnti non è detto che sia un male", dice il vice segretario dem. E aggiunge: "Ci aspettiamo discontinuità nella guida del Dap. Ora il ministro tiri fuori dal cassetto l'ordinamento giudiziario".
Andrea Orlando, vice segretario Pd ed ex ministro della giustizia, mercoledì in senato si vota la mozione di sfiducia al ministro Bonafede. Il suo partito non gli risparmia critiche ma voterà contro la mozione. Con qualche imbarazzo?
Nessun imbarazzo, la mozione va respinta con convinzione perché è strumentale ed è basata su argomenti infondati: le allusioni a oscure ragioni per la scelta del capo del Dap e il nesso inesistente tra provvedimenti del governo e scarcerazione dei boss mafiosi.
Al fondo però c'è l'attacco di Di Matteo a Bonafede e la parabola di un giustizialismo che il Pd dichiara di avversare....
Sotto il profilo culturale questa vicenda dimostra che quando si cavalca la tigre prima o poi la tigre ti azzanna. Quando ero ministro il Dap fece una circolare per omogeneizzare il trattamento del 41 bis in tutti gli istituti, nessun lassismo, secondo le indicazioni della Cedu. Bastò questo per far dire al M5S che si era riaperta la trattativa con una mafia. Ho subito sulla pelle quel metodo, non è il mio e lo combatterò sempre.
Ma le difficoltà di Bonafede aumentano, ha dovuto lasciare anche il suo capo di gabinetto coinvolto nelle intercettazioni del caso Palamara...
Appunto, non voglio usare contro i 5 Stelle il metodo che i 5 Stelle hanno usato contro gli altri.
Le differenze tra voi sono politiche non giudiziarie. Per quanto ancora riuscirete a metterle da parte?
Non le nascondiamo, le affrontiamo. Un conto è respingere le teorie del complotto, un conto è discutere come è stato condotto il Dap negli ultimi mesi, in continuità con il governo gialloverde. Speriamo che la nuova guida porti a risultati diversi. Va ripresa la riforma dell'ordinamento penitenziario che Bonafede ha messo in un cassetto all'inizio della legislatura. Con quella riforma avremmo avuto gli strumenti per gestire la situazione di difficoltà provocata dalla pandemia senza scaricare le responsabilità sulla magistratura di sorveglianza. E senza determinare rischi per la sicurezza. Sarebbe stata possibile una gestione intelligente dell'esecuzione della pena con più strumenti oltre al carcere.
Peccato sia stata la maggioranza di centrosinistra a non avere il coraggio di approvare quella riforma...
È vero, sarebbe intellettualmente disonesto dare tutta la colpa alla destra. È una storia lunga, sul finire della precedente legislatura ci sono state molte frenate all'interno del centrosinistra e non tutti quelli che oggi si presentano come garantisti lo erano allora. Anche Forza Italia diede il suo contributo a stopparla, a proposito di garantisti a corrente alternata. Salvini e i 5 Stelle hanno dato il colpo finale.
L'emergenza Covid ha interrotto il confronto sulla giustizia, il processo penale attende di essere riformato. Si può ripartire?
Sì, ma non dal punto di partenza quando si agitavano le bandiere invece di confrontarsi nel merito. Dobbiamo riprendere il discorso sull'efficienza del processo penale che è un bene scarso e va utilizzato solo per le forme di illecito non contrastabili in altro modo.
Sta proponendo una depenalizzazione?
Sto proponendo di spingere sui riti alternativi, di rafforzare le misure amministrative e tutto ciò che evita di intasare i tribunali.
Un anno fa 5 Stelle e Lega hanno fatto il contrario, escludendo i reati punibili con l'ergastolo dai riti alternativi. Si può tornare indietro?
Quello è stato solo l'ennesimo cedimento al populismo penale. La ratio del sistema accusatorio è produrre una convenienza a chiudere prima del processo. Sono anche per discutere di depenalizzazioni mirate, ma in modo serio. Ricordo che quando introdussi una depenalizzazione di tutti i reati puniti solo con pene pecuniarie parlarono di "svuota carceri". Per quei reati non si andava nemmeno in carcere.
Ripartirebbe dalla legge delega sulla quale il governo aveva trovato una faticosa intesa a febbraio?
C'è soprattutto un tema che merita attenzione. Da quel disegno di legge delega era rimasta fuori la riforma del Csm. Mi domando se, alla luce delle pratiche che sono emerse nel Consiglio e attorno al Consiglio, non sia invece il caso di cominciare da lì. Era stato trovato un buon punto di partenza, prevedeva una nuova legge elettorale della componente togata e la riforma del disciplinare. Secondo me si devono legare di più le valutazioni di professionalità a criteri oggettivi, alle performance degli uffici giudiziari.
La nuova legge elettorale per la componente togata del Csm piaceva poco alla magistratura...
Se piace poco ai rappresentanti delle correnti non è detto che sia un male. La magistratura associata nei primi giorni del caso Palamara ha reagito con forza, ma poi non è stata capace di una seria riflessione sulle prassi che portano a questi fenomeni.
Sicuro che basti una riforma elettorale del Csm? Anche l'ultima era stata fatta per diminuire il peso delle correnti...
C'è anche il tema del disciplinare e il disegno di legge lo affronta. Poi bisogna cambiare le regole che consentono di lasciare le sedi vacanti in attesa che si raggiunga un numero sufficiente di incarichi da assegnare con la logica del pacchetto. Sono prassi che vanno impedite non criticate moralisticamente. Per questo è importante che ci sia un'apertura anche ad altri mondi, che si rompa l'autoreferenzialità della magistratura. Gli avvocati devono entrare con maggior peso nei consigli giudiziari, anche nelle valutazioni. Gli uffici devono confrontarsi, essere anche un po' valutati sul territorio, dovrebbero esserci forme di consultazione sulla qualità dell'azione giudiziaria.
Per questa via si arriva in un attimo al procuratore eletto...
Assolutamente no, non si tratta di questo, ma della necessaria interlocuzione con la società e le altre istituzioni su come si organizzano gli uffici in maniera trasparente e pubblica. Del resto non tutti gli uffici sono efficienti allo stesso modo. Ci sarà un motivo?
Il Resto del Carlino, 17 maggio 2020
Le prime avvisaglie all'esterno, si sono manifestate quando venerdì agli avvocati giunti per incontrare i loro clienti, è stato spiegato che non era possibile entrare in carcere. A impedirlo, ragioni sanitarie legate al fatto che un detenuto di origine straniera, fosse appena stato trovato positivo al Covid-19, con i rischi che ne conseguono.
La scoperta è stata fatta nell'imminenza di un trasferimento in altra struttura: i protocolli emergenziali messi a punto per contrastare la diffusione del coronavirus nelle carceri italiane, prevedono infatti che solo di fronte alla negatività si possa trasferire il detenuto. E così ora il diretto interessato, dopo il tampone di giovedì i cui risultati sono arrivati il giorno dopo, si trova sempre a Port'Aurea ma in isolamento, in attesa di ulteriori riscontri diagnostici.
La situazione ha comportato l'immediato esame per tutti all'interno della casa circondariale, a partire da detenuti (al momento sono 73) e agenti di polizia penitenziaria (70, direttrice compresa: tutti negativi già ai test di fine aprile). Per proseguire con tutti gli operatori che a vario titolo si trovino a lavorare là dentro (vedi medici, infermieri, oss, psichiatri e psicologi).
Uno screening con tamponi (quasi 200) eseguito da due squadre dell'Ausl i cui primi risultati escluderebbero l'esistenza di un focolaio nelle celle ravennati. Contestualmente è stata fatta la sanificazione della cella dove si trovava il detenuto positivo. L'uomo è asintomatico; inoltre dall'esame della sua cartella clinica, non è emerso nemmeno nessun sintomo influenzale nel recente passato. In ogni modo, la direzione ha segnalato subito tutti i contatti avuti dal detenuto sin dal primo momento, compresi i compagni di cella e l'avvocato.
Resta ancora da chiarire come sia possibile la sua positività visto che l'uomo si trova a Port'Aurea da qualche mese ormai. Tra le ipotesi, c'è quella legata a un possibile paio di accessi in ospedale. In ogni modo, l'eventuale contagio non può essere venuto da altri detenuti dato che coloro che entrano per la prima volta in cella - vedi alcuni dei recenti arresti scattati nell'ambito dell'indagine antidroga Robbed Cheese - vengono sistemati separatamente per il tempo di quarantena individuato per il Covid-19 (cioè 14 giorni). Improbabile anche la pista avvocati visto che a chi entra in carcere, non solo viene misurata la temperatura, ma vengono richiesti presidi sanitari come le mascherine.
Durante i colloqui con i loro assistiti, i legali sono inoltre protetti da uno schermo in plexiglass (lo stesso vale per psicologo e psichiatra). E per quanto riguarda i detenuti, la mascherina viene richiesta oltre che durante i colloqui con i difensori, anche negli uffici matricola e nel corso di eventuali controlli degli agenti.
Questi ultimi, si muovono pure con i guanti e sanificano sempre dopo i colloqui. Ovvero compiono il massimo sforzo possibile in situazione di emergenza. Sforzo che è destinato ad aumentare in ragione del fatto che i colloqui tra detenuti e familiari, passeranno presto dalla videoconferenza alla presenza, per un massimo di una volta a maggio e di due a giugno.
L'Unione Sarda, 17 maggio 2020
Settantasette persone hanno lasciato le case circondariali. Poco meno della metà sono stranieri. "Solo il 3,6% dei detenuti ha lasciato il carcere, nel mese di aprile, durante la pandemia del coronavirus in Sardegna. Un numero irrisorio rispetto ai presenti con pene brevi e alle persone con patologie e disturbi psichici e/o in doppia diagnosi.
Pochi se si pensa che nella nostra isola si trovano anche tre colonie penali. Ancora una volta, anche davanti a un grave rischio di diffusione di un virus pericoloso, il sistema detentivo nell'isola si conferma particolarmente rigido e, gravando pesantemente sugli operatori penitenziari, sembra voler sempre considerare la pena come una vendetta sociale". Lo sostiene in una dichiarazione Maria Grazia Caligaris (Socialismo Diritti Riforme), con riferimento ai dati diffusi dal Ministero della Giustizia, relativi al mese di aprile.
"I cittadini privati della libertà - viene fatto osservare - sono risultati al 30 aprile 2.125 erano 2.202 il 31 marzo. In un mese, dunque, si sono ridotti di 77 unità, di cui 33 stranieri (42,8%) e 2 donne. Sono anche diminuiti i posti regolamentari da 2.710 a 2.679 per effetto di lavori di adeguamento a Isili e a Bancali. Il maggior numero di persone che hanno varcato la soglia delle strutture penitenziarie era detenuto a Uta. Non si conoscono le ragioni che hanno permesso loro di uscire dall'Istituto. Presumibilmente si tratta di 20 ristretti, su 571, che hanno trovato ospitalità in comunità terapeutiche e/o ai domiciliari", ha detto ancora.
"Dopo Cagliari, è stata la Casa Circondariale di Sassari a vedere ridotta la presenza di detenuti dentro le celle. Diciassette di loro, su 433, hanno così lasciato l'Istituto. Nell'elenco, Pasquale Zagaria, l'unico nominativo di cui si abbia avuto notizia a cui è stata concessa una pena alternativa per motivi di salute. Seguono nell'ordine decrescente Nuoro (11), Arbus e Oristano (7), Onanì-Mamone (6), Isili (5), Alghero (4), Tempio (1). L'unico Istituto dove si è registrato un aumento di presenze è stato il San Daniele di Lanusei cresciuto di una unità. Mentre un altro detenuto ha lasciato la semilibertà".
"Un quadro insomma - conclude Caligaris - che non appare confortante anche perché in questi mesi hanno dovuto affrontare le pesanti difficoltà gli operatori, agenti e funzionari giuridico-pedagogici, i Sanitari e i Direttori degli Istituti.
I detenuti d'altra parte hanno dovuto subire quasi un totale isolamento, con le limitazioni imposte per sicurezza ai colloqui con i familiari avendo garantite solo le telefonate e le videochiamate, senza la possibilità di ricevere pacchi e preoccupati per quanto avveniva dentro e fori dalle strutture penitenziarie. Senza dimenticare chi, in precarie condizioni di salute, a causa del covid19, ha dovuto rinunciare alle visite di controllo. L'auspicio è che al più presto sia possibile garantire piena agibilità a tutte le strutture anche con una presenza più forte e significativa del volontariato".
di Luca Fazzo
Il Giornale, 17 maggio 2020
Petralia nei messaggi del magistrato indagato Lo contattò per fare il procuratore a Torino. Per mesi, magistrati illustri o sconosciuti di tutta Italia hanno incrociato le dita, sperando che Luca Palamara - collega potente e riverito fino al clamoroso tonfo per via giudiziaria - avesse avuto il buon senso di cancellare ogni tanto le sue chat.
Perché sapevano che se si fosse risaliti non solo agli ultimi mesi, quelli della primavera 2019, ma anche più indietro, non si sarebbe salvato nessuno. Ma Palamara i messaggi non li cancellava. E adesso ce n'è davvero per tutti. Tutti coloro che in due anni hanno bussato alla porta del leader della corrente di Unicost per chiedere, proporre, trattare, sanno che il loro nome prima o poi salterà fuori dalla cornucopia dell'indagine della Procura perugina su Palamara e la sua cricca.
Così nel tritacarne finisce anche un magistrato che alla ribalta pubblica ci era arrivato nei giorni scorsi per la prima volta: Dino Petralia, il procuratore generale di Reggio Calabria, chiamato dal ministro Alfonso Bonafede per mettere un po' di ordine nel caos delle carceri italiane. L'arrivo di Petralia al Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, era stato salutato come una garanzia di esperienza e serietà. Ma ora si scopre che negli scorsi anni anche Petralia aveva chiesto l'aiuto di Palamara per conquistare un posto cui ambiva assai: la Procura di Torino, lasciata libera dal suo capo Armando Spataro nel dicembre 2018.
Per il posto di Spataro fanno domanda in quattordici, tra cui lo stesso Palamara. Petralia, per anzianità e curriculum, sembra di gran lunga il più titolato. Ma prima ancora che la commissione incarichi direttivi del Csm decida le proposte per il plenum, Petralia intuisce che la sparizione tra correnti rischia di tagliarlo fuori. Prima si sfoga telefonando a una collega, il giudice reggino Tommasina Cotroneo, che si precipita a chiamare Palamara: il quale le dice di rassicurare Petralia, "cercheremo di fare tutto il possibile che tutto vada bene".
Ma sono promesse fatte d'aria. Petralia inizia persino a ricevere messaggi di "condoglianze" di colleghi che danno per scontata la sua bocciatura, e a quel punto chatta direttamente con Palamara. I messaggi si infittiscono fino all'ultimo sfogo, il 20 maggio 2019, quando Petralia si lamenta che nonostante i suoi "titoli oggettivi che nessun altro possiede" verrà scavalcato "per logiche antiche che pure questo Csm sosteneva di avere abbandonato".
Nove giorni dopo, però, scoppia il finimondo, con l'inchiesta per corruzione a carico di Palamara che esce allo scoperto e investe l'intero Csm. Petralia ci pensa un po', e il 17 giugno comunica al Csm la sua decisione di revocare la domanda per la Procura di Torino. La mossa appare all'epoca come una giusta dissociazione dal mercato delle nomine scoperchiato dall'inchiesta di Perugia, ma ora, inevitabilmente, va letta anche in un'altra luce: Petralia sapeva che frugando nel telefono di Palamara gli inquirenti avrebbero trovato anche i suoi messaggi, visto che risalivano a pochi giorni prima. Come salteranno fuori le pressioni che lo stesso Petralia aveva fatto l'anno precedente per aiutare un suo amico, Vito Saladino, a diventare presidente di sezione del tribunale di Marsala. Petralia chiede l'intervento di Palamara, che in quel momento è ancora membro del Csm. E il 4 luglio 2018, nell'ultima seduta prima del suo rinnovo, il Csm nomina Saladino.
Scene di ordinario sottobosco, si dirà, cui neanche magistrati rispettabili sapevano sottrarsi. Vero. Ma intanto le intercettazioni tra Palamara e Petralia creano una nuova, consistente rogna per il ministro Bonafede, che puntava sul magistrato siciliano come "uomo forte" sul fronte carcerario: e invece d'ora in poi, ad ogni scontro, Petralia si vedrà rinfacciare quelle chat. Il Dap, insomma, si ritrova un capo depotenziato, se non delegittimato: proprio nel momento meno adatto.
adnkronos.com, 17 maggio 2020
È un quadro "inquietante" quello emerso dalle intercettazioni di conversazioni tra Fulvio Baldi e Luca Palamara, secondo il sindaco di Napoli Luigi de Magistris. All'Adnkronos spiega che "è uno spaccato di una magistratura che ormai conosciamo, dove conta il tema dell'appartenenza alle correnti, anche nel linguaggio.
Quei 'nostri' è quello che alcuni di noi hanno sempre sostenuto, cioè che quando si parla di indipendenza della magistratura non si tratta solo di indipendenza dai poteri esterni, politica, lobby, finanza e affari, ma anche di indipendenza interna, al fatto che devi appartenere a una corrente per fare carriera, per salvarti dal procedimento disciplinare, per diventare procuratore. Quanto fiume melmoso giudiziario deve ancora passare per smetterla con questa vergogna?".
De Magistris cita la frase pronunciata "dall'allora presidente dell'Anm Luca Palamara, quando i magistrati di Salerno che indagavano sulle questioni di Catanzaro furono fermati dal Csm dopo che avevano accertato la totale correttezza del mio operato e che ero vittima di interferenze illecite di un sistema criminale. Palamara disse 'il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi'. Una frase, a rileggerla oggi, inquietante. Eravamo considerati un virus di fronte a un sistema, ma eravamo un virus benefico di fronte al contagio criminale. Il magistrato libero e indipendente è quello che paga un prezzo altissimo".
Facendo riferimento a una frase di Baldi, "che li piazziamo a fare i nostri?", intercettata nel corso di una conversazione risalente al 2018, de Magistris spiega: "È un linguaggio che appartiene ad altri, a quelli che i magistrati dovrebbero contrastare, non può dirlo un magistrato. È questo il virus che corrode l'indipendenza della magistratura, quel 'i nostri' significa che se appartiene a qualche congrega che poi si collega ai politici allora diventi capo di gabinetto, presidente del Tribunale, procuratore della Repubblica, ti salvi dai procedimenti disciplinari. È un sistema e alla politica conviene".
Secondo de Magistris "l'unico modo per scardinarlo è affidarti a persone totalmente autonome e indipendenti, ma non lo faranno mai. Io sono stato espulso dalla Calabria, mi hanno catapultato via per incompatibilità ambientale e quasi quasi, col senno di poi, avevano ragione. Ero incompatibile con un sistema criminale e corrotto che loro hanno difeso".
L'ex pm sostiene che "si tratta di una questione criminale gigantesca che continua e che a me fa impressione. Ne ho viste di tutti i colori ma continuo a non abituarmi. Che fiducia si può avere così? Conosco centinaia di magistrati integerrimi, vengo da una famiglia di magistrati da quattro generazioni e questo mi fa rabbia. La magistratura ha perso credibilità e non fa nulla per rimediare" sottolinea.
Il sindaco di Napoli ha parlato anche dell'emergenza coronavirus e della fase 2. "Il decreto Ripresa non c'è ancora e questa è un'altra cosa surreale, ma se diamo per buono quello che gira sulle chat dei sindaci, sui mezzi di comunicazione, agenzie e telegiornali, allora per i Comuni c'è pochissimo. Abbiamo chiesto il minimo e neanche quello ci è arrivato".
"C'è un po' di elemosina, qualcosina che compensa la tassa di soggiorno, un po' di occupazione di suolo pubblico, ma pochissima roba. Con l'elemosina si può sopravvivere qualche giorno, ma non si ricostruisce un Paese", afferma.
De Magistris ricorda che i sindaci "hanno rappresentato al Governo quanto in meno abbiamo incassato dal 21 febbraio a oggi con le tariffe che vanno dalle strisce blu alla tassa di soggiorno, all'occupazione di suolo pubblico, al trasporto pubblico, ai trasferimenti erariali. Avevamo chiesto 6-7 miliardi, sembrerebbe che non ne arrivano più di 3. Già questo basta per dire che non siamo in condizione di garantire i servizi che erano in affanno già a febbraio, perché molte città, tra cui Napoli, sono in pre-dissesto e hanno un debito storico pesantissimo.
Il presidente del Consiglio aveva detto che i sindaci sono le sentinelle sul territorio, ma se un generale non ascolta l'allarme delle sentinelle, e quindi dei soldati in prima linea, e li abbandona è come se si stesse preparando a perdere la guerra. Se il Paese non sarà in grado di garantire da qui a breve servizi adeguati, si aggiungerà sofferenza alla sofferenza degli imprenditori, dei lavoratori, dei cittadini e tutto diventerà più complicato".
Nei confronti del Mezzogiorno, prosegue de Magistris, è in atto "una discriminazione nella discriminazione. Non hanno per nulla considerato la questione degli enti in piano di riequilibrio o in pre-dissesto. A pagare il prezzo più alto è il Sud e sono le città del Sud, da Napoli a Reggio Calabria, da Messina a Palermo. Sembra anche qui - conclude - che sotto sotto, ancora una volta, nell'abbandono ci sia anche quell'aspetto malefico di essere ancora più punitivi nei confronti del Mezzogiorno d'Italia, che ha dato tra l'altro prova di grande responsabilità nella pandemia".
"Con questo tipo di manovra, se non sarà corretta in Parlamento, se non ci saranno manovre aggiuntive e se non ci saranno altre risorse, il rischio che ci sia l'interruzione di alcuni servizi essenziali è una certezza", ha dichiarato ancora de Magistris, rimarcando come quella relativa ai servizi garantiti dai Comuni "sia una preoccupazione che accomuna tutti i sindaci" e citando "le dichiarazioni anche di sindaci di città più ricche finanziariamente e anche dal punto di vista della comunità cittadina", in particolare il sindaco di Firenze Nardella che ha ipotizzato uno stop all'illuminazione pubblica.
"Non abbiamo la certezza di quando potrà accadere - spiega de Magistris - ma è evidente che, se le risorse non entrano, delle due l'una: o fai pagare altre risorse alla comunità, ed è impensabile e noi metteremo in campo tutte le azioni possibili perché non arrivi mai quel giorno, o i servizi non potranno mai migliorare e il rischio che ci siano interruzioni lo considero una certezza. Non è allarmismo, non è un urlare per ottenere, è un quadro assolutamente reale e abbiamo il dovere di dirlo ai cittadini e anche ai lavoratori, perché è un tema che attiene ai servizi essenziali e al rischio default del Paese. Il quadro è molto serio ed esprimo profonda delusione per questa manovra, dopo 3 mesi bastava poco per dare un segnale ai sindaci e per dire che il Governo c'è e ci mette nelle condizioni di non franare", conclude.
"Non mi pare che il pericolo del contagio criminale venga colto come priorità", ha detto ancora de Magistris spiegando di essere stato "attento al dibattito istituzionale, politico e mediatico, e non mi è parso di avvertire negli atti e nelle parole da parte di esponenti del Governo, ma anche delle Regioni, il pericolo concreto, a mio avviso la certezza, che sia in atto un contagio criminale. La lentezza con cui si è proceduto contrastano con la straordinaria rapidità, con l'efficacia, l'assenza di burocrazia, la grande liquidità e la conoscenza del territorio che hanno le associazioni criminali da Palermo a Milano, da Reggio Calabria a Torino, passando per Napoli, Roma, Firenze e Bologna. Non è un tema meridionale".
De Magistris ricorda che "le mafie vivono di consenso, e in questo momento fiutano che possono riacquistare un consenso perso: andando dal cittadino bisognoso con le modalità dell'usura, andando dal commerciante e dall'imprenditore che dopodomani proverà ad alzare la saracinesca e troverà che ha una pesantezza economica che non aveva mai avuto. Le mafie si presentano come il volto buono ma in realtà diabolico di chi ha risorse". Il timore è "l'acquisizione del consenso anche attraverso la riproposizione sui territori desertificati, attraverso piazze di spaccio, controllo del territorio, stese, estorsioni, di fronte a un Paese che arretra in cultura. La desertificazione del territorio diventa terra conquista".
Il timore espresso dal sindaco di Napoli è rivolto a "tutte quelle persone che in questi anni, con la rinascita culturale, turistica ed economica della città, avevamo portato attraverso quella linea di confine verso la legalità, e ora stanno lì con il rischio della mano tesa del crimine che può riportarli dove c'è il guadagno facile dello spaccio e di altre attività criminali". Tra Stato e mafie, conclude de Magistris, "è una maratona, ma i primi 100 metri sono importanti perché danno subito contezza a chi vede e ascolta di dove si vuole andare. Se gli altri iniziano a correre e tu no, rischi di dover inseguire".
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