di Nello Scavo
Avvenire, 13 maggio 2020
Stavolta per Antonio Guterres è stato come fare i nomi. Nero su bianco, con un dossier al Consiglio di Sicurezza. La Corte penale dell'Aia lo ha già acquisito. Una plateale sconfessione verso chi persevera nei rapporti opachi con Tripoli: dai ministeri coinvolti nel traffico di persone agli esecutori degli stupri, fino a quei governi, come Italia e Malta, che tra memorandum e accordi segreti cooperano nei respingimenti illegali. "La situazione dei migranti e dei rifugiati, compresi quelli detenuti nei centri di detenzione ufficiali, rimane fonte di grave preoccupazione".
Nel rapporto del segretario generale è scritto che la missione Onu a Tripoli (Unsmil) "e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite peri diritti umani hanno continuato a ricevere segnalazioni di detenzione arbitraria o illegale, tortura, sparizioni forzate, sovraffollamento". Non solo nelle prigioni clandestine dei trafficanti, ma "nelle strutture di detenzione sotto il controllo del Ministero dell'Interno". Una chiamata in causa per l'apparato di Fathi Bashaga, il ministro degli Affari interni a cui sono affiliate diverse milizie. A conferma Guterres segnala come dal 15 gennaio al 5 maggio 2020 siano stati intercettati in mare 3.115 "tra migranti e rifugiati".
Ma circa "1.400 sono detenuti nelle prigioni sotto il controllo del ministero dell'Interno". Che fine hanno fatto tutti gli altri? La risposta la suggerisce il dossier. Mesi fa, quando Avvenire rivelò la presenza del guardacoste e trafficante Abdurhaman al Milad in Italia nel 2017, il ministro Bashaga assicurò che quel Bija sarebbe stato arrestato e rimosso dal comando della Guardia costiera e del porto di Zawiya, il principale snodo di ogni contrabbando: esseri umani, petrolio, armi.
Non solo Bija è rimasto al suo posto - e in questi giorni non manca di autopromuoversi divulgando immagini che lo vedono impegnato in battaglia - ma attraverso la milizia Al Nasr decide della vita e della morte di centinaia di internati. Guterres è chiaro: "Eunsmil ha ricevuto notizie credibili circa il contrabbando e il traffico di richiedenti asilo e rifugiati nei centri di detenzione ufficiali di Abu Isa e al Nasr a Zawiyah". Si tratta proprio delle prigioni governative affidate alla milizia Al Nasr.
Confermando anni di inchieste giornalistiche e denunce delle agenzie umanitarie, il segretario generale chiede di interrompere la cooperazione per la cattura dei migranti in mare: "La Libia non è un porto di sbarco sicuro". Nonostante questo Paesi come Italia, Malta e agenzie europee come Frontex, hanno intensificato il sostegno alla cosiddetta Guardia costiera libica a cui vengono segnalati i barconi da intercettare. "Donne e ragazze detenute nelle carceri e nei centri di detenzione hanno continuato a essere esposte alla violenza sessuale", si legge ancora.
Il libero accesso ai campi di prigionia ufficiali resta precluso ai funzionari Onu. Tuttavia nelle ultime settimane gli osservatori "hanno potuto documentare otto casi di donne e ragazze che erano state stuprate da trafficanti e personale di sicurezza libico". La riprova della connessione diretta tra uomini delle istituzioni e contrabbandieri di vite umane. Di ottenere giustizia nei tribunali locali non c'è speranza. Con il pretesto della pandemia "i casi penali sono stati rinviati", si legge nel rapporto.
Solo una scusa: "I membri della Procura della Repubblica non erano disposti o non erano nelle condizioni di indagare, a causa della paura di ritorsioni da parte di gruppi armati". C'è solo una cosa fare subito. Antonio Guterres lo dice senza girarci attorno: "Esorto gli Stati membri a rivedere le politiche a sostegno del ritorno di rifugiati e migranti in quel Paese".
di Monica Ricci Sargentini
Corriere della Sera, 13 maggio 2020
In un nuovo rapporto diffuso oggi Oxfam denuncia le catastrofiche conseguenze del mancato raggiungimento di un "cessate il fuoco globale" e di uno stop alla vendita di armi dirette a Paesi in conflitto, che renderà impossibile contenere la pandemia in tantissimi aree del mondo, dove decine di milioni di persone sono in fuga dalla violenza. "Uomini, donne e bambini che devono fare i conti con sistemi sanitari fatiscenti e ospedali distrutti, mentre a milioni si trovano in campi profughi, dove contenere il contagio è ancora più difficile, per la mancanza di servizi igienico sanitari adeguati e lo spazio vitale necessario a mantenere le norme di distanziamento sociale".
Le situazioni più gravi - In Yemen si stanno registrando decine di contagi da Covid19 con solo metà delle strutture sanitarie in funzione e oltre 100mila casi sospetti di colera registrati dall'inizio dell'anno. E questo in un panorama di scontri nonostante sia stato proclamato un cessate il fuoco. In Myanmar centinaia di migliaia di persone vivono in campi sovraffollati con scarsissimo accesso a strutture sanitarie, con 1 milione di persone che non ha accesso a internet, diventato essenziale per ricevere informazioni sul virus. Nella Repubblica Centrafricana l'Onu ha appena annunciato la sospensione della sua risposta umanitaria a causa della rottura del cessate il fuoco e dell'aumento esponenziale della violenza nel Paese, nonostante a febbraio 2019 i gruppi armati in conflitto avessero firmato una tregua con il Governo. In Burkina Faso le crescenti violenze riducono drammaticamente l'accesso a cibo, acqua e servizi sanitari di base per la popolazione, mentre le restrizioni adottate per prevenire la diffusione del virus hanno peggiorato condizioni di vita già impossibili.
La vendita di armi - L'anno scorso, fa notare Oxfam, la spesa militare ha raggiunto i 1.900 miliardi di dollari, una cifra che supera di 280 volte l'appello delle Nazioni Unite per una risposta globale al coronavirus. "Per questo Oxfam lancia un appello urgente a tutti i Paesi, che stanno continuando a esportare armi destinate a raggiungere zone di conflitto a interrompere immediatamente ogni vendita ed esportazione. Lavorando al contrario per fare pressione sulle parti in conflitto perché accettino un cessate il fuoco globale, che porti ad una pace duratura" si legge nel comunicato stampa.
Anche l'Italia può fare la sua parte, per affrontare la pandemia nei Paesi più vulnerabili. Oxfam lancia una petizione per chiedere al Governo, di sostenere in sede internazionale il "cessate il fuoco", cessando la vendita di armi verso tutte le parti in conflitto che non lo rispetteranno.
onuitalia.com, 13 maggio 2020
Per sostenere la crisi umanitaria e sanitaria che si è sviluppata in seguito alla pandemia di Covid-19 la Comunità di Sant'Egidio in Camerun ha organizzato in questi giorni distribuzioni di generi alimentari e coperte in quattro prigioni nell'estremo nord del paese africano. In tutta l'Africa la situazione delle carceri sta continuando ad aggravarsi, ma in Camerun la Comunità ha inoltre promosso la liberazione di 12 prigionieri che avevano diritto ad essere liberati, ma che secondo Sant'Egidio erano stati "dimenticati" in prigione per motivi burocratici. Dalle prigioni del Camerun arrivano notizie confuse e allarmanti sulla diffusione del virus, secondo quanto scrive Riccardo Noury di Amnesty International.
Almeno un detenuto della prigione centrale Kondengui di Yaoundé è risultato positivo al tampone ed è stato trasferito in ospedale. Altri due detenuti sono morti pochi giorni dopo il rilascio. Ma i numeri - afferma Noury - potrebbero essere molto alti. Un detenuto della stessa prigione ha detto ad Amnesty International che ci sono molti ammalati e non si capisce da dove parta il contagio. I detenuti hanno paura di recarsi nell'infermeria perché lì ci sono molti positivi. A chi presenta sintomi viene somministrata una bevanda a base di zenzero e aglio. In una lettera inviata al ministero della Giustizia, un gruppo di detenuti ha denunciato che l'infermeria è 'satura di prigionieri' e il personale medico non riesce a gestire la situazione.
Il decreto emanato dal governo il 15 aprile ha favorito il rilascio di centinaia di prigionieri: 831 solo nella regione dell'Estremo Nord. Ma il sovraffollamento resta una realtà spaventosa: 432 per cento a Kondengui, 729 per cento nella prigione di Bertoua, 481 per cento in quella di Sangmelima e 567 per cento in quella di Kumba. Come in molti altri casi, scrive ancora la ong, il provvedimento non ha riguardato i prigionieri politici e di coscienza. Tra questi Mamadou Mota, vicepresidente del partito di opposizione Movimento per la rinascita del partito del Camerun; Mancho Bibixy Tse, che sta scontando una condanna a 25 anni solo per aver preso parte a proteste pacifiche contro l'emarginazione delle province anglofone del paese; Amadou Vamoulke, 70 anni, in cattive condizioni di salute, ex direttore della tv di stato, in detenzione preventiva dal 2016; e il più recente, Franck Boumadjieu, un attivista politico che aveva denunciato il silenzio del presidente Paul Biya all'inizio della pandemia.
di Ermes Antonucci
Il Foglio, 12 maggio 2020
Il presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick, svela il bluff del governo: "Il testo non serve. Stimola solo i magistrati a fare delle verifiche che già erano tenuti a svolgere. È un modo per cercare di salvare la faccia".
di Maria Brucale*
Ristretti Orizzonti, 12 maggio 2020
Sempre più violenta, capillare, insensata, forcaiola e ottusa l'ingerenza del governo sull'operato della magistratura. Sempre più chiassoso e sfottente lo stravolgimento dei poteri e delle prerogative di Stato.
di Errico Novi
Il Dubbio, 12 maggio 2020
Non è un granché come decreto. E se ne sono visti di peggiori, tra i provvedimenti poco attenti ai diritti. Ma nelle nuove norme sulle scarcerazioni varate sabato notte dal Consiglio dei ministri, emanate domenica dal presidente Mattarella e in vigore da ieri, c'è una voragine giuridica pazzesca: non è previsto alcun ruolo per la difesa del detenuto.
di Vincenzo Vitale
L'Opinione, 12 maggio 2020
Nella gazzarra pubblica che da settimane occupa i giornali e le televisioni in relazione alle scarcerazioni di centinaia di detenuti, occorre prima di tutto fare chiarezza in punto di fatto. In breve, occorre precisare che dei 376 scarcerati, 196 erano soltanto in attesa di giudizio e che di questi oltre la metà non aveva ancora ottenuto neppure la sentenza di primo grado.
Si noti allora intanto che per questi 196 non si trattava di detenuti già sanzionati quali colpevoli, ma di presunti innocenti ancora in attesa di sentenza definitiva e perciò mettiamoli fuori da ogni polemica, fosse pure soltanto per una pura ragione di civiltà e di decoro. Dei rimanenti 180 scarcerati, ebbene soltanto 3 - dico 3 - si trovavano a scontare la pena al regime del 41bis destinato ai mafiosi molto pericolosi.
Tuttavia, si è imbastita una enorme caciara ipotizzando che gli scarcerati fossero tutti o quasi altamente pericolosi già al 41bis: così non è e non è mai stato. I rimanenti 177 erano detenuti non al 41bis ma in regime di sicurezza speciale, come dire che si trattava di detenuti di pericolosità media e non certo elevata come quelli invece detenuti al 41bis. I detenuti in questo grado di sicurezza sono complessivamente in Italia circa 9mila. Ne viene che gli scarcerati rappresentano meno del 2 per cento di tutti costoro. Di questo parliamo e non di altro.
Ma occorrono altre precisazioni. In particolare, a scarcerare i primi 196 sono stati non i magistrati di sorveglianza ma i giudici di merito, per motivi strettamente sanitari. Inoltre, se i magistrati di sorveglianza sono stati gli autori delle altre scarcerazioni, è del tutto evidente lo abbiano fatto in base alle norme vigenti e non certo per capriccio, e anche qui per pure ragioni di salute.
Se il nostro è uno Stato di diritto - almeno così si suole affermare - è anche perché il bene della salute è ritenuto prevalente su altri beni, pur meritevoli di tutela, quali la sicurezza pubblica. Può non piacere, ma è così.
Inoltre, il ruolo del Dap in queste scarcerazioni è marginale, per il semplice motivo che è impossibile immaginare che esso potesse trovare 180 posti utilizzabili presso strutture sanitarie adeguatamente protette per gli altri scarcerati: il tutto ovviamente nell'arco di due o tre settimane. Per questa ragione, la eventuale responsabilità del capo del Dap è a dir poco evanescente.
E ancora, c'è da credere che i magistrati di sorveglianza fossero abbastanza consapevoli di una tale funzione marginale e che per questo non abbiano sofferto remore particolari assumendo i provvedimenti di scarcerazione.
Adesso, il governo emana decreti per riesaminare le posizioni degli scarcerati, esigendo periodiche e ravvicinate revisioni delle singole scarcerazioni. I magistrati di sorveglianza ne subiranno un enorme carico di lavoro che facilmente si può ipotizzare condurrà a ben poche revoche fra quelle adottate. Scommetto.
ansa.it, 12 maggio 2020
Sullo scontro tra il ministro Alfonso Bonafede e il magistrato Nino Di Matteo taglia corto: "Non è un affare importante". Per Giovanni Fiandaca, docente di diritto penale e garante dei detenuti in Sicilia, sono altre le questioni collegate alle polemiche sulle scarcerazioni che meritano di essere poste al centro della discussione pubblica.
di Piero Sansonetti
Il Riformista, 12 maggio 2020
L'accusa padrona della pena e delle carceri. I giudici delegittimati. L'autonomia della magistratura calpestata. La difesa cancellata. Le Camere penali si sono opposte a questo decreto che sbarra, in uscita, le porte delle carceri. E istituisce una specie di tribunale speciale per le scarcerazioni, come negli anni Venti.
di Orlando Sacchelli
larno.ilgiornale.it, 12 maggio 2020
Il coronavirus ha avuto pesanti ripercussioni anche dietro le mura delle carceri. Sia per chi vi lavora, sia per i detenuti. Le rivolte di marzo sono solo la punta dell'iceberg di un sistema che è stato gestito con approssimazione e gravi errori, come testimoniato dai molti contagi che vi sono stati.
Le ultime polemiche in tv, tra il ministro Bonafede e il magistrato antimafia Di Matteo, sui retroscena per la nomina alla guida del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) evidenziano un imbarazzante mix tra pressapochismo e scarso senso delle istituzioni, dove la cosa ancor più grave è che i problemi delle carceri restano sullo sfondo, quasi fossero di minore importanza rispetto al resto.
Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Ceraudo, che per diversi anni ha diretto il Centro clinico del carcere Don Bosco di Pisa, ed è stato presidente dell'Associazione nazionale dei medici penitenziari (Aampi) e presidente del Consiglio internazionale dei servizi medici penitenziari (Icpms).
Professore, si può dire che vi sono state mancanze da parte di chi amministra il sistema carcerario?
Mancanze determinate da una competenza approssimativa, senza il conforto di una esperienza specifica. Troppa autoreferenzialità. Basta citare la circolare con la quale il Capo del Dap individua nel Medico Competente il responsabile della gestione del Covid-19 senza saper che questa figura professionale non è presente nell'organigramma sanitario di molti Istituti penitenziari e poi il Medico Competente si interessa dell'organizzazione del lavoro. L'ex capo del Dap Francesco Basentini, tanto per intenderci, è quello che ha sempre negato il sovraffollamento ricorrendo a logaritmi improbabili.
Inizialmente per alcune settimane dal Dap era arrivato l'ordine ai Direttori degli Istituti di pena di non fare indossare le mascherine?
Questo è successo in molti Istituti tra cui Bologna e Pisa. È gravissimo, in quanto le Aziende Usl competenti per territorio sono state subalterne alle direzioni delle carceri, travalicando le stesse direttive contemplate dalla Sanità con risultanze devastanti sul piano dei contagi. Due medici penitenziari (a Foggia e a Brescia) sono deceduti per il contagio da Covid-19. Molti altri medici e infermieri sono stati inviati in prima linea a mani nude e sono rimasti contagiati con serie conseguenze. Molti detenuti (di cui 4 sono deceduti per l'infezione da Covid 19) sono stati contagiati. Altrettanto per gli agenti di Polizia Penitenziaria. Si delineano delle responsabilità gravissime. Sono state formulate delle circostanziate denunce all'Autorità giudiziaria per il reato di epidemia colposa.
Che mi dice sul distanziamento sociale in carcere?
L'Oms ha stilato precise linee di comportamento per prevenire e controllare la diffusione del Covid-19 nelle carceri. Tra queste assume un significato particolare il distanziamento fisico che prefigura la necessità di stare ad almeno un metro di distanza. Questo non può essere assicurato in carcere in preda ad un cronico sovraffollamento (dove un detenuto è accanto all'altro, dove uno è sopra all'altro nei letti a castello) mentre è forte la difficoltà di rispettare accuratamente le norme igienico-sanitarie e le opere di sanificazione degli ambienti. Bisogna decongestionare le carceri, altrimenti rischiamo una ecatombe, una catastrofe umanitaria.
La salute dei detenuti va tutelata. Cosa è mancato e manca, secondo lei, nel nostro Paese?
Ci troviamo costretti a parlare di una riforma della Medicina Penitenziaria tradita, di una riforma purtroppo violentata nello spirito più concreto di applicazione. Dopo circa 12 anni registriamo con viva preoccupazione risultati fallimentari. Addirittura siamo arrivati al punto che il Consiglio dei Ministri dell'Europa ha condannato il nostro Paese per l'inadeguatezza delle cure mediche in carcere. Come ci siamo potuti ridurre in simili condizioni dove i detenuti vivono peggio delle bestie. Bisogna avere il coraggio di ammettere che i cani, i polli, i maiali vivono meglio. Tutto questo è successo perché è mancata la cultura del carcere. Sono venuti meno gli investimenti. È prevalsa la linea rigidamente ragionieristica delle Aziende Usl. Manca alle Aziende Usl la coscienza dei propri diritti e delle proprie responsabilità. Manca la consapevolezza dei propri compiti. L'Azienda Usl è entrata in carcere in punta di piedi, fondamentalmente si sente estranea. I Centri clinici penitenziari hanno perso la loro operatività. Del resto i detenuti sono i nuovi ultimi e tali devono rimanere. Non hanno alcun valore sociale e tanto meno politico.
Per quanto riguarda il personale che lavora nelle carceri?
I medici penitenziari dovevano diventare i diretti protagonisti del processo riformatore, invece sono stati collocati in posizioni marginali senza alcun potere decisionale e senza alcuna possibilità di assumere iniziative laddove sono stati messi alla porta senza alcun giustificato motivo facendo venir meno in modo paradossale un importante patrimonio di conoscenze e di competenze specifiche. Dominano il precariato e il turnover continuo, mentre non viene rinnovato il contratto da ben 14 anni.
A Marzo con le rivolte nelle carceri ci sono stati scontri pesanti, morti e danni ingenti. Che idea si è fatto? A lei è mai capitato di vivere un momento così drammatico?
In 40 anni di attività professionale espletata in prima linea al massimo livello di responsabilità, non ho mai assistito ad avvenimenti così drammatici. 15 detenuti morti, sequestri di personale sanitario a Modena, Melfi, Bologna, Rieti, danni ingenti alle strutture, una tragedia immane. Il coronavirus è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il malcontento, il disagio covava ormai da tempo, perché erano venute meno importanti garanzie assicurate dagli Stati Generali dell'azione penale. Da un momento all'altro, senza alcuna, relativa valutazione e spiegazione è stata imposta con una burocratica circolare da parte del Dap a firma Basentini la sospensione immediata dei colloqui con i familiari. In un batter d'occhio tutto è precipitato.
Che me dice sulle polemiche a proposito della nomina a capo del Dap?
Il duello televisivo Bonafede-Di Matteo è stato assolutamente inopportuno e fuori luogo: una seria mortificazione per le Istituzioni. In termini maldestri hanno amplificato le potenzialità mostruose delle organizzazioni mafiose.
Quali le prospettive?
Bisogna sforzarsi di concepire il carcere non come valore, ma in alcuni casi come una dura, insopprimibile necessità che non si deve tradurre in afflizione totale, ma deve garantire la dignità e il diritto di cambiare e di sperare. Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità e della persona. Il carcere, invece, è una barbarie senza alcun contenuto pedagogico, curativo, correttivo, rieducativo. Il miglioramento delle condizioni di vita all'interno, l'implementazione delle attività sociali, lavorative, ricreative e della presenza del territorio, la costituzione di una cultura inclusiva, le pene alternative, il riconoscimento del diritto all'affettività sono questioni dalle quali non è possibile prescindere se vogliamo finalmente incominciare a parlare di dignità e di umanità nelle carceri.