La Repubblica, 14 giugno 2019
"La situazione del mondo penitenziario in Italia è una situazione che abbiamo ereditato: è drammatica". Così Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, a margine della firma del protocollo a Palazzo Salerno a Napoli per il passaggio di immobili dal ministero della Difesa a quello della Giustizia.
"Quello che abbiamo deciso di fare - prosegue Bonafede - a differenza di quanto si faceva in passato, quando si facevano indulti svuota carceri che non servivano a nulla, è di investire risorse sia nelle carceri sia nell'educazione dei detenuti". Il ministro definisce il livello dell'edilizia carceraria "molto basso, a volte non rispettoso della dignità dei detenuti che ci vivono e anche per la polizia penitenziaria".
"Il numero delle strutture che passeranno è ancora un numero da determinare nel totale - spiega Elisabetta Trenta, ministra della Difesa - per ora si lavora sulle prime idee di quattro strutture. Questa è la risposta dello stato, non di un solo ministro, perché nel momento in cui c'è un cittadino al centro, chiunque sia, tutte le spese dello stato devono essere messe insieme in sinergia evitando sprechi per risolvere il problema. Così - conclude - stiamo affrontando i problemi in questo governo".
La caserma Battisti - "La Difesa, con riferimento ad un primo portafoglio immobiliare, con questo protocollo si impegna a cedere al ministero della Giustizia la caserma Cesare Battisti di Napoli". Così Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, dopo aver firmato il protocollo quadro a Napoli, a Palazzo Salerno, con cui il suo dicastero cede alcuni immobili sul territorio nazionale al ministero della Giustizia. Nella struttura di Bagnoli sarà realizzato un istituto di custodia 'attenuata'. Tra gli esempi fatti dalla ministra c'è quello di un istituto per detenute madri o per minori.
Il caso Csm - "Voglio che sia chiaro che la situazione è chiaramente grave, e questa gravità va affrontata dalle istituzioni che devono rimanere compatte". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, sull'avvio della procedura disciplinare del ministero sul caso Csm.
"La magistratura italiana - ha detto - è di un livello altissimo, una delle migliori magistrature al mondo, sicuramente c'è un sistema delle correnti, un sistema contro cui in tanti ci siamo impegnati, anche la magistratura stessa, a combattere".
intervista di Cristiana Mangani
Il Messaggero, 14 giugno 2019
In Italia l'ergastolo è la massima pena prevista nell'ordinamento giuridico penale per un delitto. L'ergastolo ostativo, poi, esclude il detenuto da qualsiasi tipo di beneficio, anche dopo 26 anni passati in carcere. Una condizione che la Corte europea dei Diritti dell'uomo ci contesta da tempo. Ma è realmente così afflittivo il nostro sistema giudiziario? Quanti ergastolani concludono la loro vita in carcere?
Il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, ritiene che "la nostra sia una giustizia molto garantista", e che dall'entrata in vigore della Legge Gozzini, i condannati a fine pena mai possono vedersi riconosciuti parecchi benefici di legge.
Presidente, perché l'ergastolo ostativo è una pena detentiva difficilmente rivedibile?
"Va premesso che di ergastolani ostativi in Italia ce ne sono pochissimi. Nel caso preso in esame dalla Corte europea il condannato non si è mai pentito, nonostante abbia tenuto una buona condotta in carcere. Ora va valutato se questa buona condotta equivalga anche a un pentimento personale, seppure il detenuto abbia scelto di non fornire indicazioni sui complici o sull'organizzazione mafiosa. Altrimenti potrebbe voler dire che i rapporti non sono cessati e che lui è come un buon soldato pronto a tornare al posto di combattimento".
La Corte europea critica l'Italia perché considera la pena troppo afflittiva e non umana. Come ritiene che sia il nostro ordinamento giudiziario?
"Devo dire che un regalo di civiltà dovrebbe portare, in futuro, al superamento dell'ergastolo: trenta anni di detenzione, credo che siano una sofferenza sufficiente. Ma, bisogna riconoscere, che in Italia difficilmente un ergastolano rimane tale a vita. Le nostre leggi sono molto garantiste, soprattutto rispetto ad altri paesi europei o anche ad alcuni Stati americani. In tante occasioni il giudice ha bloccato l'espulsione, perché nel paese di provenienza c'era la pena di morte. E spesso sono i detenuti stessi a preferire le carceri italiane piuttosto che quelle estere".
La sentenza non implica la liberazione del detenuto, anche se l'Italia dovrà pagargli 6 mila euro di spese. In che modo si potrà contrastare la decisione?
"Spetterà allo Stato decidere di presentare il ricorso, e certamente lo farà rivolgendosi alla Grande camera, diciassette giudici che vengono chiamati a pronunciarsi su casi eccezionali. Se il Governo non lo facesse, il verdetto diventerà definitivo entro tre mesi".
di Cristiana Mangani
Il Messaggero, 14 giugno 2019
Il tribunale di Strasburgo dà ragione a un condannato per mafia "La pena ostativa va rivista, il detenuto deve poter ottenere benefici". La legge sul carcere a vita va rivista. Così la pensa la Corte europea dei diritti umani che ha chiesto all'Italia di riformare le norme in materia di ergastolo ostativo.
di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2019
Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 13 giugno 2019 sul ricorso 77633/16. La legge italiana sull'ergastolo non convince la Corte europea dei diritti dell'uomo. Con una sentenza depositata ieri, i giudici hanno boccato la disciplina italiana e ne hanno chiesto la modifica.
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 14 giugno 2019
La legge italiana viola i diritti umani. L'ergastolo ostativo viola l'articolo 3 della Convenzione europea che vieta i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti, configurando un ergastolo incomprimibile. Così ha deciso ieri la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul ricorso dell'ergastolano Marcello Viola e assistito dagli avvocati Antonella Mascia, Valerio Onida e Barbara Randazzo.
di Teresa Valiani
Redattore Sociale, 14 giugno 2019
Con sei voti a favore e uno contrario, la Corte europea dei diritti dell'uomo affronta il tema riconoscendo la violazione e invitando l'Italia a un cambio di direzione. Il Garante Palma: "La Corte ci invita a riflettere sulle finalità della pena".
"L'ergastolo ostativo viola l'articolo 3 della Convenzione europea". Con sei voti a favore e uno contrario, la Corte europea dei diritti dell'uomo per la prima nella storia italiana ha affrontato la questione dell'ergastolo ostativo riconoscendo la violazione dell'articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani e degradanti come la tortura. Il caso, che sta aprendo una profonda riflessione sul diritto penale e penitenziario, arriva dal ricorso di un detenuto, rinchiuso in carcere ininterrottamente dal 1992.
"Quella di oggi è una decisione importante, soprattutto perché deve far riflettere sulla pena e sulla sua finalità - dichiara a Redattore Sociale il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma. Non è una cosa da sbandierare con posizioni preconcette ma un invito forte a una riflessione su quale sia la prospettiva della pena. Anche nei casi in cui si utilizzano regimi forti la finalità non deve essere mai persa, così come deve essere sempre tenuta presente la possibilità che quelle persone nel tempo possano mutare.
Altro aspetto importante: la dignità umana è un valore assoluto che prescinde da tutto e che va sempre ricordato. Tengo a precisare che la Corte non mette in discussione di per sé il 41bis o la necessità di misure severe, tra l'altro qui parla del 4bis, ma stabilisce prima di tutto il primato della dignità da tenere presente e poi invita lo Stato italiano a riflettere su come si possano determinare situazioni che rischiano di far perdere di vista la finalità rieducativa dell'articolo 27 della nostra Costituzione".
Che cosa succede adesso?
"La Corte dice che questo non significherà nulla rispetto alla libertà del soggetto, ma che lo Stato deve interrogarsi sull'assolutezza che copre non solo i benefici ma anche la prospettiva di una liberazione condizionale. Teniamo presente che la liberazione condizionale, che è nel codice non nella legge penitenziaria, è prevista dopo 26 anni. Ora, 26 anni fatti senza beneficio sono proprio 26. D'altra parte la Corte in precedenti sentenze che avevano riguardato il Regno Unito e la Bulgaria aveva dato indicazioni secondo cui dopo 25 anni, più o meno, sarebbe importante interrogarsi sulla persona che ci si trova davanti e guardare anche al percorso che ha fatto".
Quante sono state le sentenze sul tema?
"In termini assoluti le sentenze sono state 30 e hanno riguardato ben 13 Stati. Mentre ci sono al momento altri casi pendenti. Nella sentenza di oggi si registra una evoluzione perché la Corte se nel 2008, in un caso rispetto a Cipro, aveva detto che il fatto che ci potesse essere la grazia presidenziale era di per sé una speranza, poi via via ha modificato, facendola evolvere, la sua giurisprudenza. Tanto che nel 2013 in un caso rispetto al Regno Unito ha sostenuto che non poteva bastare la sola grazia del sovrano ma che c'era bisogno di una norma che prevedesse una revisione dopo un certo numero di anni. Ecco, in questo solco si inserisce la sentenza di oggi che non è solo una questione italiana ma resta un punto di riflessione importante anche per noi".
Una prima volta per l'Italia?
"In realtà - spiega Palma - per l'Italia c'era stato un altro caso su cui la Corte si era interrogata rispetto a un ergastolo, nel 2008, dichiarandone però l'inammissibilità per come era formulato, perché chiaramente infondato: non c'era ancora l'ostatività, come termine, per il ricorrente. In questo senso oggi siamo davanti a una prima volta importante anche perché la Corte ha accettato le terze parti, i cosiddetti amici curiae composti da gruppi che facevano capo all'università di Milano e di Firenze.
Proprio perché è un tema su cui si voleva riaprire una discussione e che va affrontata con calma. È inutile ora schierarsi. La decisione ci pone dei principi: quello della modificabilità dei destini della persona e quello della dignità come valore fondante. Ecco, abbassiamo i toni e discutiamo di questo. Ci farà bene per discutere anche sul significato della pena. Mi auguro che l'Italia metta in piedi un gruppo di lavoro a livello parlamentare o esecutivo per ragionare insieme su come muoversi dopo questa sentenza".
di Mario Chiavario
Avvenire, 14 giugno 2019
Ciò che davvero offende la sicurezza dei cittadini. "Prudenza", continua giustamente a raccomandare Giuseppe Ferrando, il procuratore della Repubblica di Ivrea cui spetta dirigere le indagini sul caso del tabaccaio che ha ucciso una delle tre persone venute a rubare nella sua proprietà.
Un dato sta comunque emergendo, a smentita delle illusioni alimentate dal trionfalismo con cui si è propagandata la 'nuova legittima difesa'. Neppure adesso, il procurarti un'arma può farti sentire più sicuro contro i furti o le altre intromissioni in casa tua o nel tuo negozio, quasi che tu potessi comunque usarla senza avere, al di là di quelli di coscienza, problemi legali. Ma, allora... quel "sempre" che si è introdotto nel testo dell'articolo 52 del codice penale sull'onda di uno slogan di facile presa ("La difesa è sempre legittima")? No; neanche quell'avverbio - e meno male... - può impedire che degli inquirenti coscienziosi e preparati facciano il loro lavoro di ricostruzione dell'effettiva dinamica di un episodio che ha provocato un evento tragico qual è la morte di un uomo. E, qualora si venisse ad appurare che il colpo letale è stato sparato su una persona in fuga, nemmeno la nuova dizione della legge potrebbe assicurare la totale impunità a chi ha premuto il grilletto: questa - a meno di cambiare completamente il senso a parole di universale comprensione - non è nemmeno più un'autentica 'difesa', quali che possano poi essere le parziali giustificazioni e le attenuanti da riconoscere.
Ricordarlo non è 'buonismo' verso l'aggressore né crudeltà verso chi reagisce all'aggressione. È puro e semplice freno al rischio di farsi avvolgere da una spirale di disumanità, all'esito della quale non è del resto escluso che venga un incoraggiamento alla delinquenza, a farsi sempre più feroce... e più capace di sparare per prima.
Sbaglia però chi, specialmente di fronte a tragedie come questa, crede di poter liquidare con qualche battuta l'esasperazione che si va diffondendo in larghi strati della popolazione, giudicandola come mero effetto di un'abile propaganda e della risonanza che a certi episodi viene data dai media. Propaganda e sfruttamento mediatico ci sono ma non basterebbero, da soli, a suscitare dimostrazioni come la fiaccolata a sostegno del tabaccaio eporediese.
E a chi avverte attorno a sé, o addirittura ha sperimentato personalmente, il peso di ripetute e impunite manifestazioni di delinquenza importa poco il sapere dalle statistiche che il tasso di criminalità, da noi, sta diminuendo e che addirittura l'Italia 'è il Paese più sicuro d'Europa': valide per gli omicidi e le grandi rapine (dove è certamente minimo lo scarto tra le denunce e i delitti effettivamente commessi), quelle risultanze sono assai meno significative per quanto concerne minacce, scippi, furti in casa... tutti reati per i quali la 'cifra oscura' degli eventi non denunciati è alimentata dalla crescente sfiducia sulla possibilità di veder realmente perseguiti i colpevoli; senza contare, almeno in certi casi, il timore di ritorsioni.
Si sa che alle radici di molta criminalità stanno problemi sociali e individuali anche di grande complessità e nessuno, certo, ha in tasca soluzioni magicamente idonee a ridurre, se non a sgonfiare, i problemi che ne nascono. La stessa, pur giusta richiesta di una più consistente e più efficace prevenzione da parte dello Stato incontra dei limiti se non si vuole che ciò si traduca in una gestione del territorio prossima a quella di uno Stato di polizia.
Non deve comunque passare un messaggio troppo facilmente indulgenziale, neppure verso quella che viene definita, e per lo più è oggettivamente, "microdelinquenza", ma che tale non può essere sempre percepita da chi la subisce. Men che meno, certamente, può valere, per coloro che vivono in quel sottobosco, l'auspicio sinistro e sempre disumano del 'marcire in galera'; al contrario, è proprio per questi casi, che dovrebbero esser potenziate e rese sempre più efficaci le misure sanzionatorie e cautelari diverse dal carcere; però, l'alternativa non può essere quella di un andirivieni tra qualche giorno di arresto e il ritorno all'esercizio, sostanzialmente indisturbato, di un 'lavoro' che spesso è preludio di qualcosa di ancor più pericoloso, per sé e per gli altri.
di Valentina Errante
Il Messaggero, 14 giugno 2019
Il Consiglio superiore della magistratura perde un altro pezzo. Il terzo dimissionario è Antonio Lepre. Dopo l'autosospensione, segue i colleghi Gianluigi Morlini e Luigi Spina. Restano nel limbo dell'autosospensione Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli, le altre due toghe del Csm intercettate a discutere di nomine durante una cena con i parlamentari del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti. E il presidente Sergio Mattarella volta pagina: elezioni suppletive.
Il 6 e il 7 ottobre le toghe torneranno alle urne per sostituire due consiglieri. Lo scioglimento è escluso: senza una riforma riproporrebbe le stesse logiche a Palazzo dei Marescialli. Fare in fretta per restituire prestigio alla magistratura. "Voltare pagina". Il presidente della Repubblica, dopo giorni di riflessione e contatti continui con il vicepresidente del Csm, David Ermini e il ministero della Giustizia, sceglie di non sciogliere il Consiglio e indice nuove elezioni. Mattarella non nasconde la propria preoccupazione e la traduce in atti e inviti: apre alla riforma delle procedure di elezione dei membri del Csm e indica le suppletive, che ovviamente avverranno con le attuali regole.
Il capo dello Stato ha deciso di non attendere oltre. La motivazione è forte: lo scioglimento cambierebbe poco, riproponendo, con tutta probabilità, le stesse criticità che le indagini stanno portando a galla. "Diverse forze politiche auspicano un cambiamento e chiedono una riforma delle norme di elezione", spiegano fonti del Quirinale facendo anche riferimento alle spinte dei partiti che chiedono modifiche sostanziali.
Naturalmente l'obiettivo del presidente Mattarella è uno solo: restituire quel prestigio e quell'indipendenza della magistratura che oggi sono fiaccati dall'inchiesta e dall'amplificazione mediatica. Un'inchiesta che ha "incrinato" il prestigio della magistratura. La sostituzione dei dimissionari è il primo passo. Gli equilibri all'interno dell'attuale consiglio cambieranno, al posto di Gianluigi Morlini, entrerà Giuseppe Marra di A&I, la correte di Davigo.
Se dovessero dimettersi anche gli altri consiglieri coinvolti di Mia sostituirli saranno un altro esponente di A&I e uno di Area, la corrente di sinistra. Ieri, intanto, anche il Guardasigilli ha integrato l'atto di incolpazione notificato due giorni fa alle toghe, contestando ai cinque magistrati coinvolti nella vicenda, anche la violazione delle norme "che stabiliscono la necessità di preservare l'autonomia valutativa del Csm".
Spina, Cartoni, Criscuoli, Lepre e Morlini "gettando discredito sull'ordine giudiziario incidevano negativamente sulla fiducia e sulla considerazione di cui il magistrato deve godere". Al centro dell'accusa del ministro, come del pg, c'è sempre la cena del 9 maggio alla quale le cinque toghe discutevano con i parlamentari Ferri e Lotti "completamente estranei - si legge nel documento - alle funzioni ed alle attività consiliari e con i quali gli incolpati pianificavano la possibilità di incidere sulle future nomine di direttivi di uffici giudiziari, tra cui, specificamente, la proposta inerente la nomina del Procuratore della Repubblica di Roma, di diretto interesse personale per il pm Palamara e Lotti. In particolare, nei confronti di quest'ultimo, per il quale era già stato richiesto il rinvio a giudizio dinnanzi al Tribunale di Roma, il nominando Procuratore della Repubblica di Roma avrebbe dovuto sostenere la funzione di accusa".
di Guido Neppi Modona
Il Dubbio, 14 giugno 2019
Non credo che il tabaccaio di Pavone Canavese, che pare abbia sparato dal balcone di casa sette colpi di pistola contro tre ladri dopo che era scattato l'allarme antifurto del negozio, fosse al corrente dei contenuti della recentissima riforma della legittima difesa.
Probabilmente però era stato raggiunto dalle dichiarazioni del ministro dell'interno che il 26 aprile, in occasione dell'approvazione della "sua" legge che modificava la legittima difesa, aveva parlato di "un bellissimo giorno per gli italiani in cui viene riconosciuto il sacrosanto diritto alla legittima difesa", tra l'altro esibendo nel corso della conferenza stampa la storica maglietta recante la scritta "la difesa è sempre legittima".
La legittima difesa "classica" era disciplinata dall'art. 52 del codice penale del 1930 con una formulazione semplice e sintetica: in un unico comma di poche righe si stabiliva che non è punibile chi ha commesso un reato (ad esempio ha sparato e ucciso) per esservi stato costretto dalla necessità di difendere la vita e l'incolumità fisica e anche i propri beni contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta (ad esempio l'aggressione di ladri o rapinatori), sempreché la reazione di difesa dell'aggredito fosse proporzionata all'offesa.
Per oltre 75 anni l'art. 52 ha funzionato egregiamente: una consolidata giurisprudenza ha stabilito che si poteva reagire legittimamente solo contro un'aggressione in atto (e non anche contro un aggressore in fuga), che la proporzione tra la difesa e l'offesa andava intesa nel senso che non si poteva reagire sparando contro un ladro disarmato, non essendovi proporzione tra la tutela del patrimonio e il bene della vita dell'aggressore.
Negli ultimi mesi del terzo Governo Berlusconi una legge del 2006 ha introdotto la c. d. legittima difesa "domiciliare", al fine di apprestare una più efficace tutela per la le vittime di furti nell'abitazione e in ogni luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Sono stati così aggiunti due commi nell'art. 52 del codice penale, grazie ai quali si ritiene sussistere il requisito della proporzione tra difesa e offesa se l'aggredito usa un'arma da lui legittimamente detenuta al fine di difendere la propria incolumità ovvero i suoi beni, sempreché non vi sia desistenza e permanga il pericolo di aggressione. Dovrà comunque essere sempre il giudice a valutare se sussistono i requisiti della legittima difesa, anche nella situazione del c. d. eccesso colposo, cioè quando la vittima del furto ha ritenuto per errore di essere vittima di un'aggressione, mentre in realtà non vi erano gli estremi per reagire in stato di legittima difesa.
Dopo 13 è anni è intervenuta la riforma Salvini, forse per tradurre in termini giuridici il motto che "la difesa è sempre legittima". Ne è sortito un groviglio incomprensibile per il comune cittadino e da cui sarà difficile districarsi anche per le più raffinate menti giuridiche. Limitandoci ai casi di eccesso colposo (il tabaccaio di Pavone Canavese potrebbe appunto essere indagato per omicidio colposo), nell'art. 55 del codice penale è stato aggiunto un secondo comma che, in riferimento alla legittima difesa "domiciliare", esclude la punibilità se chi ha sparato per difendere la propria incolumità si trovava in condizioni di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la difesa, ovvero "in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto". Quest'ultima condizione, assai stravagante e sinora sconosciuta nell'ordinamento giuridico, è di pressoché impossibile interpretazione: è presumibile che chi si trova esposto ad una aggressione che mette in pericolo la propria vita e/ o i propri beni rimanga quantomeno un po' turbato, ma rimane il problema di quali siano le manifestazioni del turbamento "grave", che deve essere coevo alla situazione di pericolo in atto, per cui ai fini dell'esclusione della punibilità non dovrebbe avere rilievo uno stato di grave turbamento che perdura quando il pericolo è cessato essendo gli aggressori in fuga.
Per fortuna la nuova disciplina non opera automaticamente, ma vi sarà sempre un giudice chiamato a interpretarne il significato in rapporto alle condizioni generali della legittima difesa "domiciliare", a stabilire i criteri interpretativi del grave turbamento, e anche a verificare gli eventuali profili di illegittimità costituzionale della norma introdotta.
di Liana Milella
La Repubblica, 14 giugno 2019
Il Capo dello Stato: elezioni suppletive per sostituire i magistrati dimissionari. "Prestigio e fiducia incrinati, ma è inutile azzerare tutto senza cambiare le regole".
Il Csm a guida Ermini andrà avanti. Per ridare subito "prestigio e fiducia" alla magistratura e voltare pagina. Con una mossa a sorpresa, il capo dello Stato, nonché presidente del Csm Sergio Mattarella, ha indetto le elezioni - si svolgeranno il 6 e 7 ottobre - per scegliere i due togati che appartengono alla categoria dei pm e che dovranno prendere il posto dei dimissionari Luigi Spina e Antonio Lepre. Che ieri ha lasciato il Consiglio.
Si va avanti nonostante lo scandalo "toghe sporche", e le dimissioni, già date o in procinto di esserlo, di ben cinque togati su sedici. Nessuno scioglimento dunque, come chiede Forza Italia, o auto scioglimento, perché se ciò accadesse - ed è questa la motivazione del Colle - si finirebbe per votare con le stesse regole attuali che invece il Guardasigilli Alfonso Bonafede già annuncia di voler cambiare. Introducendo il sorteggio per ridimensionare il potere finora assoluto delle correnti delle toghe. Se invece il Colle rimandasse tutti a casa oggi si voterebbe proprio con le stesse regole che il governo vuole cancellare.
Per completare invece la rosa dei dieci giudici - ne mancano tre - si attingerà alla lista dei non eletti, giusto tre per tre posti, visto che nelle elezioni del luglio 2018 c'erano pochissimi candidati, quattro pm per quattro posti, 13 giudici per 10 posti, quattro toghe della Cassazione per due posti. Sono le 19 quando Mattarella rende pubblica la decisione e chiude la porta a qualsiasi manovra dentro l'attuale Csm o alle richieste politiche, come le dimissioni in blocco avanzate da Fi.
A fronte della resistenza di chi, come i giudici coinvolti nelle intercettazioni Corrado Cartoni e Paolo Criscuoli che, pur destinatari di una doppia procedura disciplinare dal Pg della Cassazione Riccardo Fuzio e dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, ancora non si dimettono, mentre lascia Antonio Lepre, il capo dello Stato fissa la data delle prossime elezioni per i due posti da pm. La prima settimana di ottobre per consentire la campagna elettorale.
La ragione è semplice, ed è politica, perché lo scioglimento immediato di questo Consiglio comporterebbe la rielezione del Csm con gli stessi criteri seguiti a luglio 2018 in quanto non si farebbe in tempo in tre mesi ad approvare una nuova legge. Ma c'è di più nel passo del presidente del Csm, che anche questa volta si è mosso in piena sintonia con il suo vice, l'ex Pd David Ermini. La sostituzione è il primo passo per restituire alla magistratura indipendenza e prestigio.
"Prestigio e fiducia" che, secondo Mattarella, sono state incrinate dallo scandalo esploso con l'inchiesta di Perugia. Dunque questo Csm riparte. Anche se, a fronte delle dimissioni date ieri da Antonio Lepre, mancano ancora quelle di Cartoni e Criscuoli, che però dovrebbero giungere nel fine settimana. Si preparano i sostituti. Già ieri il plenum ha votato il rientro in ruolo di Giuseppe Marra, giudice della corrente di Piercamillo Davigo e primo dei non eletti. In una settimana potrebbe entrare, dopo la verifica dei titoli, anche la collega Ilaria Pepe, sempre di Davigo, e Bruno Giangiacomo di Area. Magistratura indipendente si riduce da cinque a due membri e paga uno scotto pesante. Mentre Davigo raddoppia la sua pattuglia e passa da due a quattro consiglieri.
La sinistra di Area arriva a cinque. La storia stessa di questo Csm, dove finora ha dominato, soprattutto nelle nomine, l'asse Unicost-Mi, è destinata a cambiare. A cominciare dalla scelta dei vertici delle procure di Roma, Perugia, Torino, Brescia. La mossa di Mattarella delude Forza Italia, che con un diktat di Berlusconi ha chiesto al Colle lo scioglimento del Consiglio, anche se i due laici designati da Fi, gli avvocati Michele Cerabona e Alessio Lanzi, ieri affermavano la propria indipendenza - "non siamo dei politici, non riceviamo ordini, nessuno si è permesso di darceli" - e la volontà di non mandare in crisi il Consiglio.
Ma sia Fi che Fratelli d'Italia propongono una commissione parlamentare d'inchiesta sulle toghe sporche. Il Guardasigilli Bonafede conferma invece il progetto di incidere per legge sul Csm. Perché "nessuno tra i magistrati che ogni giorno lavorano e portano faticosamente avanti la macchina della giustizia possa pensare che per fare carriera si deve stare in una corrente".
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