di Stefano Zurlo
Il Giornale, 15 giugno 2019
"La sentenza europea? Plausibile l'ergastolo ostativo se non c'è il pentimento". Senza benefici e senza spiragli: in galera fino alla morte. È la questione spinosa su cui riflette Salvatore Amato, cattolico, ordinario di filosofia del diritto a Catania.
di Susanna Marietti*
Il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2019
È una sentenza destinata a restare scolpita nella pietra, quella di ieri della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel caso Viola vs Italia. Non solo perché afferma che una pena perpetua senza possibilità di revisione è contraria al senso di umanità. Ma anche e soprattutto perché sostiene che nessun automatismo può da solo costituire una modalità di revisione sufficiente.
di Errico Novi
Il Dubbio, 15 giugno 2019
Sergio Mattarella ha fatto scoccare la scintilla. "Le elezioni suppletive per sostituire i consiglieri dimissionari del Csm siano il primo passo per voltare pagina", ha chiarito il Capo dello Stato. L'idea di poter riformare tutto, a cominciare dal Consiglio superiore, si rivela contagiosa: "Mercoledì, al massimo giovedì, incontreremo il ministro Bonafede per discutere della riforma della giustizia", rivela Matteo Salvini al termine del summit leghista. Si rompe l'incantesimo che teneva in stand- by da oltre due mesi il ddl del guardasigilli.
Dallo tsunami del Csm viene dunque un effetto positivo. La Lega è finalmente pronta a discutere del nuovo processo. L'intervento, aggiunge Salvini, deve riguardare la giustizia "penale, civile e tributaria". Ottime intenzioni. Che si incrociano alla perfezione con i dossier già definiti nel dettaglio da Bonafede. Sul fronte penale e civile il ministro ha tratto le conclusioni dal tavolo con avvocati e magistrati. Rispetto al settore tributario si potrà fare affidamento anche alle proposte avanzate sempre dalla professione forense, in particolare dall'Uncat, l'associazione degli avvocati di settore.
Ma ovviamente si discuterà anche di riforma del Csm, ancora ferma allo stadio delle ipotesi. Bonafede ha un'idea di partenza: "Il magistrato che entra in politica non potrà più tornare a fare il giudice o il pm, per non compromette la sua imparzialità". I testi per mettere fine, o almeno limitare le porte girevoli vengono dalla precedente legislatura quando, al Senato in particolare, erano stati ipotizzati vincoli molto stringenti. Ma è chiaro che si dovrà intervenire anche sul sistema per l'elezione dei togati a Palazzo dei Marescialli. Il principio è ormai acquisito da tutti: limitare il peso delle correnti. Non è ancora definita la strada, ma è esclusa l'ipotesi di una modifica costituzionale. Si dovrà agire sui dettagli della legge ordinaria, per esempio sull'ampiezza dei collegi, da ridurre in modo da assicurare più autonomia dai gruppi della magistratura associata a quelle toghe dotate di particolare credito fra i colleghi del loro distretto.
D'altra parte gli effetti del sisma al Consiglio superiore non accennano a esaurirsi.
Ieri si è dimesso il quarto togato, Corrado Cartoni: "Non ho mai parlato di nomine, ma lascio per senso delle istituzioni e per difendermi nel processo disciplinare", dice l'ormai ex consigliere di "Mi", che lunedì il plenum sostituirà, intanto, alla sezione disciplinare. Si conoscono già gli elementi contestati a un altro collega che dovrà rispondere davanti allo stesso organismo del Csm e che costituisce la figura di innesco dell'intero caso, Luca Palamara. Nell'atto di incolpazione del pg della Cassazione Riccardo Fuzio si parla di "comportamento gravemente scorretto" e delle trame che avrebbero dovuto danneggiare, oltre al procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, anche l'aggiunto di Roma Paolo Ielo.
Il dato è che le vicende sconvolgenti della magistratura restituiscono alla politica la determinazione riformatrice. Con diversi risvolti positivi. Non solo rispetto alla necessità che, come dice la plenipotenziaria di Salvini sulla giustizia, Giulia Bongiorno, "Bonafede trovi gli anticorpi alle degenerazioni del correntismo".
Intanto la stessa ministra della Pubblica amministrazione prevede che non ci si limiterà a "cambiare qualche norma della procedura civile e penale" ma che negli incontri, "già fissati per metà della prossima settimana con il guardasigilli", si toccherà per esempio anche il nodo "dell'accesso alla magistratura". Oggi è affidato a un concorso di secondo livello, che per la stessa Anm è un problema perché alza l'età del primo incarico. Ma a colpire, più di tutto, è il passaggio di Salvini sulle intercettazioni (richiamato anche in altro servizio, ndr):
"È incivile leggerle sui giornali, lo dico adesso che riguardano i magistrati". Potrebbe finalmente cadere il tabù della privacy sacrificata sull'altare di un malinteso diritto di cronaca. Non è scontato. Ma come dice il vicepremier leghista, "o si fa ora, o la riforma della giustizia non si farà per i prossimi cento anni". Solo il momento di crisi della magistratura poteva far vacillare tabù come quello sulle libere intercettazioni. Sarà sconsolante ammetterlo ma è così.
di Massimo Villone
Il Manifesto, 15 giugno 2019
L'ultimo degli errori che potremo vedere nel marasma seguito all'inchiesta di Perugia è l'ennesima rappresentazione di uno scontro tra giustizialisti e garantisti. In questo, come in tutti gli altri casi, sarebbe una falsa rappresentazione. Le esigenze sono chiare: osservare e applicare le leggi; esercitare le funzioni pubbliche ricoperte con "disciplina e onore", come richiede la Costituzione; assumersi la responsabilità politica se si ricopre un ruolo che la comporta. È possibile, o persino probabile, che Lotti non abbia fatto nulla di penalmente rilevante. Ma che i suoi comportamenti in un modo o nell'altro ricadano nelle categorie sopra indicate sembra sicuro. Ci informa che ha appreso dai giornali di aver causato imbarazzo ai vertici del suo partito. Non gli era venuto il sospetto che potesse accadere?
Probabilmente, il segretario Zingaretti che ha camminato sulle uova per giorni, gli aveva dato una impressione diversa. Ma questo è un problema tutto interno al Pd e alle sue dinamiche correntizie, che il partito dovrà in un modo o nell'altro affrontare. Certo la vicenda non si chiude con l'autosospensione di Lotti. Ma alla fine interessa solo il Pd, i suoi militanti, i suoi elettori. C'è invece una vicenda che interessa il paese tutto, ed è il grave danno arrecato all'immagine delle magistratura. All'inaccettabile groviglio di relazioni improprie che ha inquinato l'organo di autogoverno, si sono aggiunti i maldestri tentativi di auto-assoluzione di alcuni consiglieri coinvolti, e la resistenza alle dimissioni, richieste con forza da più parti. Mentre va sottolineato con apprezzamento che è stata la stessa magistratura a fare luce, senza sconti a nessuno e senza timori delle conseguenze. Opportuno anche il ricorso all'azione disciplinare.
Ma questo non impedirà che riparta il treno della riforma della giustizia, con in testa il vagone della subordinazione dei magistrati alla politica. In campo varie ipotesi, tra cui si segnala anzitutto la cancellazione dell'obbligatorietà dell'azione penale. In fondo basta poco: aggiungere alla formula dell'articolo 112 della Costituzione "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale" le parole "nei casi e modi stabiliti dalla legge". Un'aggiunta solo apparentemente innocua, perché può avere un unico significato: che in alcuni "casi e modi" l'obbligo viene meno. Il punto è che quei casi e modi sono stabiliti dal legislatore, e quindi dalla maggioranza pro tempore.
Da tempo i costituzionalisti hanno colto che la riserva di legge ha visto indebolirsi la funzione di garanzia che ad essa era stata riconosciuta. L'ossequio prestato al totem della governabilità, le conseguenti alterazioni della rappresentatività attraverso sistemi elettorali volti a favorirla con incentivi maggioritari di vario tipo, hanno accentuato il carattere delle legge come espressione della maggioranza detentrice del potere politico. E dunque oggi il rinvio ai "casi e modi" stabiliti dalla legge non è di per sé garanzia dell'indipendenza del magistrato. Può essere l'esatto contrario.
Non è questo il solo tema in discussione. Si punta alla riforma del Csm, che verrebbe sdoppiato, con una composizione paritaria laici-togati (oggi un terzo e due terzi). È del tutto evidente che si potrebbe giungere facilmente a una subordinazione dell'organo alla politica attraverso l'aggiunta ai laici di una piccola minoranza di togati. Sarebbe più o meno probabile in un siffatto organo collegiale il ripetersi di distorsioni come quelle che oggi si lamentano?
Se si aggiunge a tutto questo la separazione delle carriere, di cui anche si discute, e l'intimidazione da ultimo platealmente praticata dal ministro dell'interno, il quadro è completo. La magistratura è la più forte difesa che la Costituzione appresta alle libertà e ai diritti. Di questo dobbiamo essere in ogni momento consapevoli. I problemi che si manifestano vanno affrontati con decisione. Ma non con l'obiettivo surrettizio di scardinare il disegno che vide in Assemblea Costituente un dibattito tra i più approfonditi. Non per aprire alla bassa cucina di un ceto politico privo di qualità. Per questo dobbiamo mobilitarci per la difesa e la piena attuazione della Costituzione repubblicana.
di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 15 giugno 2019
Alla fine lo scandalo che investe il Csm è anche l'esito di riforme mancate e autoriforme inefficaci. Le prime, anche se non soprattutto, per le ansie revansciste della politica verso la magistratura; le seconde per la timidezza nell'affrontare nodi di fondo da parte dello stesso Consiglio. Dove a fallire sono stati i tentativi, a vario titolo, di arginare la deriva correntizia, incidendo sul sistema elettorale piuttosto che sui meccanismi di assegnazione degli incarichi di vertice.
Così, la riforma del Csm ha rappresentato una delle grandi incompiute della passata legislatura, annunciata sì dal tandem Renzi-Orlando, mai però portata a termine, malgrado una commissione presieduta da Luigi Scotti (ex ministro e presidente del tribunale di Roma) avesse messo a punto un'articolata relazione.
Il punto di riferimento continua a essere la legge Castelli del 2002 con cui il Governo Berlusconi II modificò la legge elettorale, prevedendo l'elezione di i6 magistrati (2 di Cassazione, 4 pubblici ministeri e io giudici) con un sistema maggioritario però su base nazionale. Sistema messo a punto per consentire a tutti i magistrati in servizio di potersi candidare, anche senza essere designati dai gruppi associativi dell'Anm, riducendone la capacità di influenza nella fase elettorale e poi nel funzionamento del Consiglio.
Alla prova dei fatti, però, e a distanza di 17 anni, l'eliminazione del voto proporzionale per liste contrapposte non ha condotto ai risultati attesi e, anzi, ha rafforzato il potere dei gruppi associativi di determinare l'esito elettorale. Decisivo, come doveva anche allora apparire evidente, era, ed è, la possibilità del candidato di fare campagna elettorale su tutto il territorio nazionale, cosa nei fatti impossibile senza un aggancio a qualche struttura associativa. Ovvio che allora di candidati indipendenti se ne siano visti pochi, eletti nessuno.
Di qui allora la proposta Scotti, mai approdata peraltro in consiglio dei ministri, che accantonò espressamente il sorteggio, a favore di un meccanismo a 2 fasi: la prima di tipo maggioritario per collegi territoriali e la seconda proporzionale per collegio nazionale su liste concorrenti. Nella scorsa consiliatura molto si lavorò per quella che poi è passata sotto il titolo di "autoriforma".
Leggasi, più nel dettaglio, Testo unico della dirigenza, approvato nel 2015, con i criteri sui quali modellare la nuova classe dirigente della magistratura. Un provvedimento tutto teso a rafforzare i margini di prevedibilità delle decisioni sui capi degli uffici giudiziari. Un set di regole oltretutto messo alla prova in una stagione nella quale, per effetto della decisione del Governo Renzi di abbassare l'età pensionabile dei magistrati, il Csm si è trovato a effettuare un numero di nomine senza precedenti (oltre i.000 tra direttivi e semi-direttivi).
Ora, anche in questo caso, la prova dei fatti non ha dato risultati brillantissimi. Requisiti attitudinali più stringenti, tarati anche sulla dimensione dell'ufficio da guidare, valorizzando per quelli più piccoli il lavoro giudiziario e per quelli più grossi le capacità manageriali dei candidati, non sono serviti più di tanto a fare da argine alle tentazioni spartitorie delle correnti. Tanto più se si tiene conto che gli interventi sull'ordinamento giudiziario, con la valutazione quadriennale di conferma per i vertici, hanno condotto a un esito positivo pressoché generalizzato.
Quindi, un Csm che, almeno nelle forma, aveva scelto di ingabbiarsi in regole più vincolanti, non ha tuttavia legato le mani ai gruppi associativi. Tanto da lasciare gioco facile alle contestazioni di un Piercamillo Davigo che, un anno fa, in piena campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio aveva censito 599 nomine su 832 (a marzo) effettuate all'unanimità. Plastico esempio della sopravvivenza delle logiche di spartizione che, portate in questi giorni al parossismo, hanno gettato il Csm nella sua stagione più buia.
di Carlo Nordio
Il Messaggero, 15 giugno 2019
Con una saggia e tempestiva decisione, il Quirinale ha indetto le elezioni suppletive del Csm evitandone la paralisi, e resistendo alle richieste del suo scioglimento. Resta tuttavia il rischio che questa iniziativa venga vanificata da una dissoluzione progressiva di questo organismo, come accade nella Sinfonia degli addii di Haydn dove gli orchestrali se ne vanno uno alla volta, o, se vogliamo citare un paragone più macabro, nel famoso giallo di Agatha Christie dove i convitati muoiono in rapida successione e alla fine non rimane nessuno. Ipotesi questa non del tutto remota, perché solo un ingenuo può pensare che le "contiguità" tra politici e magistrati siano state limitate agli approcci di Lotti con il dottor Palamara.
Quest'ultimo, del resto, ha detto in un'intervista che i suoi incontri avvenivano anche con altri colleghi ed esponenti di partiti. Sarà stata un'ammissione, ma a noi è sembrato anche un ammonimento. A nessuno del resto è sfuggito il verecondo silenzio delle correnti dell'Associazione, che dopo l'indignazione tignosa e purificatrice dei primi giorni, sono diventate improvvisamente caute e guardinghe, come se si attendessero imbarazzanti novità nelle prossime puntate delle intercettazioni.
Una nemesi storica nei confronti di quelle toghe che, quando manifestavamo preoccupazione per l'uso distorto di questo strumento di indagini ambiguo e invasivo, rispondevano supponenti che le cose andavano nel migliore dei modi possibili. Mai dunque, come in questo momento, vale il detto biblico che chi ha seminato vento raccoglie tempesta. Questa tempesta, naturalmente, non travolge solo la magistratura e le sue correnti ormai screditate. Coinvolge anche la politica, che con i suoi rappresentanti più o meno subalterni alle toghe hanno dimostrato di voler intervenire attivamente nelle nomine fatte dal Csm.
Circostanza questa nota a tutti gli addetti ai lavori, ma sdegnosamente respinta negli anni passati come un' intollerabile insinuazione. Per la verità, i cittadini si sarebbero già dovuti allarmare per il numero crescente di magistrati (diventati famosi per la carica ricoperta o i processi celebrati) candidati dai partiti con ostentazione orgogliosa. Poiché infatti una candidatura non si improvvisa in poche ore, era da supporre che questi giudici, mentre indossavano la toga, avessero avuto ripetuti ed intensi incontri con i rappresentanti dei rispettivi partiti.
Stupirsi ora che questa baratteria contaminasse anche il Csm significa abusare della credulità degli italiani. I quali, peraltro, hanno già capito una cosa. Che così com'è strutturato il Csm non solo funziona male, ma non funziona affatto, e va radicalmente cambiato. Ebbene, se è vero che "oportet ut scandala eveniant", è anche vero che questa indecorosa vicenda può essere l'occasione per una riforma che elimini lo strapotere delle correnti e renda effettivamente indipendente la magistratura non solo dalla politica ma anche da sé stessa e dalle degenerazioni di chi ne esercita la rappresentanza e il potere.
Come? Con il sorteggio. Qualche anima bella ha ironizzato sul fatto che nessuno si farebbe operare da un tizio sorteggiato tra i passanti. Per la verità, la Corte d'Assise che ti condanna all'ergastolo è composta, nella sua maggioranza, proprio da giurati sorteggiati tra il popolo. Così come sono sorteggiati i membri del tribunale dei ministri, quelli, per intenderci, che volevano mandare a giudizio Salvini. Ma queste sono osservazioni marginali. Il sorteggio dovrebbe infatti avvenire dentro un paniere composto di magistrati di alto grado, di avvocati membri dei consigli forensi e di docenti universitari di materie giuridiche.
Tutte persone, per definizione, intelligenti e competenti. Così si spezzerebbe davvero quel legame perverso che unisce eletti ed elettori, e quella assurdità tutta italiana per la quale la sezione disciplinare è, di fatto, nominata da quelli che deve giudicare. La magistratura è contraria? Non crediamo. Certo lo sono i rappresentanti del suo sindacato, e questo è ovvio perché il loro enorme potere risiede proprio lì, e non si può chiedere al tacchino di preparare il pranzo di Natale. Ma poiché ora si comincia a sentir puzza di bruciato, può anche darsi che sia opportuno cambiar forno.
di Alberto Gentili
Il Messaggero, 15 giugno 2019
Pronta una bozza che Bonafede discuterà la prossima settimana con la Bongiorno. Contro il correntismo, l'elezione di una "rosa" di nomi tra cui estrarre i consiglieri.
Dopo l'aut aut di Sergio Mattarella, il Guardasigilli Alfonso Bonafede si muove. Per provare a restituire credibilità, autorevolezza e indipendenza al Csm, il ministro della Giustizia ha cominciato in queste ore a elaborare una bozza di riforma del Consiglio superiore della magistratura che, in settimana prossima, confronterà con il ministro della Lega Giulia Bongiorno, noto avvocato penalista.
In questa traccia di lavoro ci sono le "pagelle" per i giudici, rose ristrette per l'elezione nell'organo di autogoverno e qualche colpo al sistema delle correnti. Bonafede, secondo fonti del dicastero di via Arenula, "sta elaborando una serie di idee per attuare quel giro di vite, necessario soprattutto dopo l'emergere dei dettagli dello scandalo che sta investendo il Csm". E la priorità "è garantire un riconoscimento più oggettivo della meritocrazia dei magistrati, con criteri che risultino del tutto oggettivi".
Tant'è, che gli uffici del ministero hanno elaborato in queste ore una proposta in tal senso, con l'obiettivo di "rimediare a due evidenti criticità". La prima: "La dilagante prassi di generale standardizzazione delle valutazioni professionali dei magistrati, che ha generato un sistema appiattito di avanzamento automatico indifferenziato di tutti".
La seconda criticità: "L'eccesso di discrezionalità nel conferimento degli incarichi direttivi, che le circolari vigenti non sono riuscite a limitare adeguatamente". In particolare, ai fini della scelta dei dirigenti, la proposta allo studio di Bonafede prevede "la quantificazione esatta di punteggi da assegnare ad ogni esperienza lavorativa, all'anzianità, ai risultati oggettivamente ottenuti - come ad esempio lo smaltimento dell'arretrato - la capacità di rendimento, la corretta gestione delle attività di ufficio, secondo precisi indicatori comuni ben tarati sulle singole realtà". A questi criteri potrebbero essere aggiunte, anche recuperando soluzioni già emerse, le eventuali valutazioni - motivate e dettagliate - espresse da parte del Consiglio dell'Ordine. E, di contro, in negativo, dovrebbero trovare spazio eventuali condanne disciplinari o segnalazioni riscontrate e validate, provenienti dai whistleblower".
Vale a dire: i testimoni di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso che decidono di segnalarlo al Csm. In questo modo, secondo i tecnici di via Arenula, "ogni magistrato verrà "pesato" oggettivamente con un sistema di calcolo capace di mettere assieme tutte le informazioni e restituire un dato univoco".
A quel punto, per esempio, il Csm potrebbe esprimere appieno la propria alta discrezionalità scegliendo fra i primi tre candidati col punteggio più alto. Stessa procedura potrebbe applicarsi per la conferma nell'incarico, verificandosi ad esempio l'attuazione reale e concreta del progetto presentato dal candidato all'atto della nomina a giudice togato. Ma c'è di più. Tra le ipotesi allo studio da parte del Guardasigilli c'è anche un depotenziamento del ruolo delle correnti. Questo dovrebbe avvenire attraverso il superamento del collegio unico nazionale, passando a collegi più ristretti e territoriali.
Attualmente, ad esempio, un magistrato siciliano vota un collega e candidato friulano in base all'appartenenza a una corrente. Con i collegi ristretti e territoriali il voto avverrebbe invece sulla base di una conoscenza diretta del candidato. In più, Bonafede studia il meccanismo del sorteggio per eleggere i membri togati del Csm. E questo sorteggio dovrebbe avvenire attraverso l'individuazione e il voto sulla base di un elenco di magistrati con particolari requisiti, poi ristretti attraverso l'elezione a una rosa più ristretta. I nomi presenti in questa rosa sarebbero infine sottoposti a sorteggio.
Il meccanismo non è sgradito alla Bongiorno: "Ciò che è importante per la Lega è individuare un sistema che impedisca scambi opachi. Perciò vanno bene i collegi territoriali per l'elezione dei giudici che poi verrebbero sorteggiati.
Oppure, si può valutare la creazione di un elenco nazionale di eletti in ragione di determinati requisiti. E far scattare il sorteggio su questo elenco". La prima scelta del ministro leghista sarebbe però una riforma costituzionale "per una revisione complessiva del Csm". Ma essendo "una riforma maxi è necessario un accordo complessivo con i 5Stelle". Cosa non facile.
di Salvatore Merlo
Il Foglio, 15 giugno 2019
I comportamenti arcinoti, i guai di Mattarella e l'asse Bonafede-Davigo. "Sa cos'è che trovo insopportabile? Trovo insopportabile questo festival dell'ipocrisia", dice Roberto Castelli, ministro della Giustizia dal 2001 al 2006, e passato alle cronache probabilmente come il ministro più odiato di sempre dai giudici. "Trovo indisponente questo collettivo cadere dalle nubi, come direbbe Checco Zalone. Ma qualcuno la vuole dire la verità?
Ciò che emerge adesso dal Csm, il degrado, gli scambi, le spartizioni, il mercato, è un sistema codificato che tutti, intendo tutti, e ripeto tutti, conoscono perfettamente. Si fa così da decenni". E perché allora le cose non cambiano? Marcello Maddalena, l'ex procuratore della Repubblica di Torino, un galantuomo, ieri sul Foglio ha detto che sulla politica ricade la colpa principale di una debolezza supina e di una rassegnazione codarda nei confronti della magistratura: il sistema elettorale del Csm favorisce il correntismo esasperato, e nessuno in Parlamento, in politica, interviene. Tutt'al più si urla in televisione, e si fanno proposte senza senso, pirotecniche, come l'idea bislacca di sottoporre i magistrati a un test psico-attitudinale.
"Per intervenire sulla giustizia devi avere un governo potentissimo", dice Castelli. "E anche solidissimo. Sia al suo interno, nel rapporto con gli alleati. Sia nel rapporto con l'opinione pubblica. E un governo con queste caratteristiche in Italia non c'è mai stato negli ultimi 25 anni. Forse ce l'avrà Salvini, la prossima volta... speriamo".
Intanto il Csm sempre più sporcato dalle rivelazioni dell'inchiesta di Perugia, resiste. Sergio Mattarella non ha i poteri per scioglierlo, ha probabilmente tentato di spingere i componenti - tutti - alle dimissioni, ma si è dovuto arrendere di fronte a due resistenze: quella dei togati che non vogliono mollare e quella della maggioranza di governo, che è risultata incapace di garantire in tempi rapidissimi una riforma del sistema elettorale. Far votare infatti i magistrati con l'attuale sistema riproporrebbe esattamente lo stesso meccanismo malato di cui adesso tutti discutono. Si sarebbe punto e a capo.
"Ci vuole un antidoto e lo stiamo preparando", racconta allora Andrea Ostellari, il presidente leghista della commissione Giustizia del Senato. "Il tempo per fare una buona riforma del sistema elettorale del Csm c'è", dice. "Dipende dalla volontà. Magari non in un mese, ma in un tempo congruo sì", aggiunge. Lasciando forse intuire, a un ascoltatore che fosse particolarmente malizioso, come le resistenze non siano certo nella Lega, ma tra i Cinque stelle. "Il percorso lo ha delineato con estrema correttezza il presidente Mattarella".
Anche il sottosegretario leghista alla Giustizia, Jacopo Morrone, fa un esercizio di prudenza: "Ci stiamo confrontando in queste ore. Non è detto che il sistema elettorale che verrà scelto alla fine preveda il sorteggio", specifica, facendo riferimento alle ipotesi attribuite al ministro Alfonso Bonafede. E insomma i leghisti di governo sono felpati, e misurati.
"La verità?", ride l'ex ministro Castelli. "La verità è che sulla giustizia non si può fare nulla perché il ministro Bonafede è allineato con le posizioni più estremiste dei più estremisti e conservatori tra i magistrati". Si riferisce probabilmente alla convergenza, almeno ideale, tra i grillini e la componente dei togati guidata da Piercamillo Davigo, che per effetto delle dimissioni dei tre togati di Mi coinvolti nello scandalo diventa imprevedibilmente la forza di maggioranza dentro al Csm.
"A noi non interessa parteggiare per una corrente o per l'altra", dice Ostellari. "Noi adesso abbiamo il dovere di trovare una soluzione che restituisca legittimità e decoro al Csm". L'unico modo è che il Consiglio si sciolga. Ma per sciogliersi i consiglieri dovrebbero dimettersi tutti. E non vogliono. Approvare rapidamente un sistema di voto equivale a spingerli alle dimissioni, rendendo questo Csm già delegittimato ancora più anacronistico. La Lega è pronta, pare. Manca l'altro lato della luna. "Non ci conterei troppo", conclude Castelli.
di Andrea Malaguti
La Stampa, 15 giugno 2019
Scandalo Csm, parla il ministro Bonafede: Quirinale impeccabile, basta con il potere delle correnti. Toghe sporche. La sintesi giornalistica resta appiccicata al corpo sempre più fragile del Consiglio Superiore della Magistratura come un marchio d'infamia e mette a rischio la credibilità del potere forse più delicato dello Stato. Un potere, per citare le parole di Giulia Bongiorno, "molto simile a quello di Dio".
Sul banco degli imputati questa volta ci sono i giudici che giudicano i giudici. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, rispondendo a La Stampa dalla sua casa di Firenze, evita accuratamente di entrare nel merito dello scandalo ma racconta senza reticenze quello che secondo lui deve cambiare, e in fretta, nei rapporti malati tra le toghe e la politica.
Ministro Bonafede, è necessario sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura?
"Guardi, io non entro nel merito di decisioni che non mi competono, ma come ministro della Giustizia ho due compiti: quello di iniziare le azioni disciplinari (cosa che ho fatto nei confronti di alcuni consiglieri) e quello di avviare un pacchetto di norme che impediscano il ripetersi di fatti come quelli emersi. La penso esattamente come il presidente della Repubblica: è necessario cambiare le regole per voltare pagina".
Un filo vago...
"Lo dico più chiaramente: dobbiamo alzare un muro che tenga distante la politica dalla magistratura".
Come si fa?
"Per esempio riducendo il potere delle correnti e stabilendo un principio: i magistrati che entrano in politica non possono tornare indietro. Inoltre il nuovo progetto si deve fondare sul merito".
Le pagelle per i magistrati?
"Quelle in qualche modo ci sono già. I magistrati sono soggetti a valutazioni di vario tipo. Dobbiamo cercare di rendere i parametri assolutamente oggettivi. L'importante è che il cambiamento non avvenga sulla base di un'onda emotiva, ma con un'attenta riflessione in Parlamento".
Come spiegherebbe a uno studente di giurisprudenza il meccanismo di nomina dei capi delle
procure?
"Gli direi che a capo delle procure vanno i magistrati migliori. E che con la riforma in arrivo blinderemo la meritocrazia. Aggiungerei che i nostri magistrati sono tra i migliori al mondo, perché non hanno solo passione, ma anche grande coraggio".
Le piace esagerare?
"Al contrario. Fotografo l'esistente. I capi delle procure sono tutti di altissimo livello. Ma non ci sono dubbi che il correntismo provochi delle degenerazioni".
I privati cittadini lo sanno che i magistrati sono così bravi?
"Io sono convinto di sì. Il loro lavoro - enorme - è sotto gli occhi di tutti. Chiaramente bisogna rispondere con determinazione a chi sbaglia in questo ruolo così delicato".
Cito Giuseppe Cascini, leader di magistratura democratica: "La debolezza delle correnti favorisce la formazione di aggregazioni occulte, che hanno come unico obiettivo la gestione del potere"...
"Qui non è in discussione il diritto costituzionale di associarsi, ci mancherebbe altro. Qui si tratta di aprire gli occhi. Nel momento in cui una corrente smette di sviluppare la propria prospettiva giuridica per sostituirla col puro esercizio del potere allora bisogna intervenire. Se la magistratura vuole rilanciare la propria immagine deve riconoscere che il problema esiste. Ricordiamoci che la credibilità della giustizia è la credibilità dello Stato. Se. come è avvenuto nelle ultime elezioni, per quattro ruoli in posti apicali ci sono solo quattro candidati di quattro correnti diverse è ovvio che qualcosa non va".
Ancora Cascini: "Toghe sporche mi fa pensare alla P2"...
"A me non piace commentare frasi come questa né alimentare polemiche. Siamo di fronte a un fatto grave che va affrontato con serietà, proteggendo la credibilità della giustizia". Provo a chiederglielo diversamente: quanto è forte l'influenza della politica nelle nomine della procure? "Diciamo che ci sono dei campanelli d'allarme sui tentativi da parte di alcuni politici di incidere sulle nomine. Per questo il sistema deve reagire in maniera compatta".
Parafrasando Davigo, troverebbe sbagliato dire che non esistono magistrati onesti, esistono solo magistrati che non sono stati intercettati?
"Non lo troverei soltanto sbagliato. Lo troverei offensivo. Mi perdoni, ma questo è un piano sul quale non voglio proprio scendere".
E la sua legge spazza-corrotti che ha rafforzato le intercettazioni...
"Certo. E lo rivendico. Le vicende di queste ore stanno dimostrando l'importanza di un sistema che in passato era stato indebolito. Le intercettazioni sono uno strumento di indagine fondamentale".
È giusto utilizzare il trojan - vale a dire una sorta di microspia inserita negli smartphone che funziona anche a telefono spento - per reati diversi da mafia e terrorismo?
"Sì. Anche se è uno strumento che va usato con cautela e tenendo presenti le esigenze della privacy".
Fa molto polizia segreta della Germania est...
"È una fesseria".
Non è una fesseria notare che ogni singola parola finisce sui giornali prima dei processi...
"Questo è un discorso diverso. I giornalisti fanno il loro mestiere e il diritto di cronaca è sacrosanto. Da parte nostra dobbiamo trovare un modo per rendere tracciabili i file con le intercettazioni per capire chi li usa e in che modo".
Luca Lotti...
"La fermo. Non parlo delle indagini in corso".
Ha l'impressione che il Quirinale sia sotto attacco?
"No".
Ministro, perché la sua riforma della giustizia si è arenata?
"Non si è arenata affatto. La prossima settimana ricominceremo gli incontri di governo. Nei mesi passati i nostri colleghi di governo non si sono presentati. Lo dico senza polemica. Di recente sono stato io a decidere di sottrarre il dibattito sulla riforma al vortice della campagna elettorale".
Salvini vi ha messo con le spalle al muro?
"Questo è un argomento che piace molto alla stampa ma non corrisponde alla realtà. Abbiamo fatto molte cose importanti assieme e nove su dieci dei provvedimenti più importanti di questo anno di governo sono a firma del Movimento 5 Stelle. A partire dall'anticorruzione".
La sua collega Giulia Bongiorno dice che "il potere di un magistrato è uguale a quello di un sacerdote o persino a quello di Dio e deve essere accompagnato da grande responsabilità". I giudici-dio sono fuori controllo?
"Le ho già detto quello che penso della qualità dei magistrati. E riserverei le questioni religiose ad altro. Però mi fa piacere il richiamo alla questione morale".
Traduco: la questione morale nel governo è colpa della Lega...
"Traduce male. Io dico solo che sono d'accordo sulla centralità del tema e sulla necessità di averlo come stella polare".
di Marco Cremonesi
Corriere della Sera, 15 giugno 2019
Il ministro della Pubblica amministrazione, tra i consiglieri giuridici più ascoltati da Salvini: "Termini perentori per le indagini. E divieto assoluto di pubblicazione di ciò che attiene alla vita privata delle persone". Per il Csm sorteggio su base territoriale. "Le intercettazioni? Sono soltanto uno dei punti delle riforma della giustizia che a questo governo è richiesta". Giulia Bongiorno è sì il ministro per la Pubblica amministrazione. Ma è anche uno dei consiglieri giuridici più ascoltati da Matteo Salvini sin da quando ha aderito alla Lega, quasi un ministro ombra.
La riforma - Mercoledì il Guardasigilli Alfonso Bonafede presenterà la riforma della giustizia agli alleati. Ma su questo tema ci sono state forti tensioni e il nuovo confronto rischia di essere cruciale per il futuro del governo. "Preciso che io e nessun altro ha visto le carte e letto il provvedimento del ministro - spiega Bongiorno. Ma se lei mi chiede, certamente da parte nostra sono maturate alcune convinzione rispetto a ciò che è necessario alla Giustizia italiana e noi ci presenteremo all'appuntamento con spirito costruttivo. E guardi che non si tratta soltanto di giustizia. Il punto è che il buon funzionamento di quella è anche un importante fattore di competitività: dobbiamo evitare che gli imprenditori e gli investitori stranieri scappino dall'Italia a gambe levate per la lunghezza dei procedimenti".
Le intercettazioni - E quindi, stretta severa alle intercettazioni? "Con il decreto sicurezza bis - spiega il ministro - si sono differiti alcuni punti della riforma Orlando, che presentava numerosissime criticità. Detto questo, dobbiamo evitare le intercettazioni a strascico", quelle che coinvolgono persone diverse da quelle inizialmente indagate o addirittura vengono disposte in assenza di legami diretti con il caso d'indagine. "Inoltre, occorre evitare la pubblicazione dei verbali nelle fasi precoci del procedimento. Infine, noi crediamo nel divieto assoluto di pubblicazione di ciò che attiene alla vita privata delle persone". Ancora più chiara: "Non basta più dire: non pubblicate. È necessaria anche una sanzione per la pubblicazione delle cosiddette "intercettazioni gossip"".
La durata dei processi - Altro grande tema, su cui già non sono mancate le polemiche con i 5 stelle, è la durata dei processi. Premesso che il ministro è "contrarissima a levare pezzi di processo e quelli che ci sono devono restare, un punto fondamentale è riuscire ad evitare i tempi morti del processo". La chiave del problema storico della giustizia italiana è "dare un limite perentorio a tutte le fasi del processo, ma in particolare alle indagini preliminari. I sei mesi oggi sono prorogati e poi riprorogati. Ci sono indagini preliminari che durano anni anche per la mancanza del tempo per chiuderle". Bongiorno non vuole dire lei quanto debba essere lungo il termine perentorio: "Ma se è un anno, deve essere un anno". Inoltre, "in caso di ritardi del tutto ingiustificati da parte dei magistrati, dovremmo introdurre importanti conseguenze processuali e anche disciplinari. Per dire: se una sentenza non viene mai depositata, io non posso mai impugnarla". Per questo, "dato che stiamo parlando di vera paralisi, io credo si potrebbero introdurre dei manager con un principio semplice: ai giudici la giurisdizione, ai manager l'amministrazione. Se ne parla da tempo, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di introdurli".
Il Consiglio superiore della magistratura - Tema finale, ma non certo ultimo, la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Secondo Giulia Bongiorno, i fatti recenti "rischiano di avere un effetto deflagrante sulla giustizia, chi è indagato non riesce più ad accettare di essere indagato. Nella nostra società che assolve e condanna sono solo i sacerdoti e i magistrati e dunque questi ultimi devono avere un'immagine sacerdotale". Sulla riforma del Csm per il ministro ci sono due strade: "La separazione del consiglio in due con la separazione delle carriere, oppure un intervento più rapido che riguardi solo la nomina dei componenti. Io sarei favorevole all'iter costituzionale ma, appunto, la situazione richiede anche incisività di azione".
E dunque, l'idea è quella che Giulia Bongiorno chiama "sorteggio mediato". In che cosa consiste? "Prima si individua un elenco di persone che hanno i requisiti per fare i consiglieri. E sulla base di quello, pur consapevoli di alcune controindicazioni, si fa un sorteggio". Ma gli elenchi da cui pescare gli eletti dovrebbero avere una base territoriale: "Penso alla creazione di piccoli collegi sui territori. Un'area indica alcuni nomi, è tra quelli si fa il sorteggio". L'obiettivo è una grande discontinuità con l'attuale sistema: "Oggi le nomine vengono fatte dalle correnti della magistratura. E questo non va bene".
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