di Teresa Valiani
Redattore Sociale, 13 giugno 2019
In continua ascesa il numero degli eventi, degli istituti di pena e delle regioni italiane che ogni anno partecipano alla Giornata nazionale. Vito Minoia, presidente del Coordinamento nazionale: "Un lavoro importante che va salvaguardato".
di Filippo Facci
Libero, 13 giugno 2019
Avete presente "Rashomon", il celebre film di Akira Kurosawa? No? Fa niente, è un film dove ogni protagonista racconta lo stesso omicidio in maniera diversa. Ma a Pavone Canavese, vicino a Ivrea, i protagonisti sono solo due: il tabaccaio Iachi Bonvin e il moldavo Ion Stavila che lo stava rapinando, ma che poi è morto perché Bonvin gli ha sparato.
di Giovanni Belardelli
Corriere della Sera, 13 giugno 2019
I casi di corruzione che da settimane occupano le prime pagine dei giornali ci dicono qualcosa di importante sul Paese, sulla sua identità e la sua storia. Le inchieste per corruzione che da settimane occupano le prime pagine dei giornali ci dicono qualcosa di importante sul nostro Paese, sulla sua identità e la sua storia.
di Ernesto Galli della Loggia
Corriere della Sera, 13 giugno 2019
L'Italia deve decidere una volta per tutte che cosa vuole fare del Meridione, perché forse non ha davvero capito che cosa significa abbandonarlo a se stesso. È doveroso ma anche troppo facile scandalizzarsi di quanto in uno studio televisivo Rai è uscito dalla bocca di due giovani "neomelodici", alias cantanti meridionali di vastissimo successo specializzati in moderne canzoni di malavita. I quali, come si sa, in perfetta coerenza con i testi delle loro canzoni, in cui si esaltano uomini e gesta della delinquenza spesso sconfinando nella vera e propria apologia di reato, se ne sono usciti con espressioni di sostanziale dileggio nei confronti di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. "Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita sanno le conseguenze - ha sentenziato uno dei due teppisti canori - come ci piace il dolce ci deve piacere anche l'amaro".
Una volta conosciute, simili parole - a quel che pare debolmente redarguite dal conduttore della trasmissione - hanno suscitato l'abituale indignazione stentorea dell'Italia ufficiale. Con l'inevitabile corredo di rampogne alla Rai, scuse, promesse di essere più "attenti" in futuro, annuncio di eventuali sanzioni e così via seguitando con l'aria fritta di sempre. Nessuno però si è fatto la domanda più ovvia: come mai "Scarface" e "Tritolo" (questi i leggiadri soprannomi dei due "neomelodici") hanno in tutto il Mezzogiorno il successo strepitoso che hanno? E dunque che razza di società è quella dove accade una cosa simile, dove si festeggiano nozze, battesimi e santi patroni inneggiando alle rivoltellate, agli uomini d'onore e ai morti ammazzati?
La risposta la conosciamo: è la società del Sud attuale. La società della disgregazione e dell'abbandono, dove lo sperpero e la malversazione aggravano l'ormai congenita inadeguatezza delle risorse. È la società delle opere pubbliche lasciate a metà, della frequenza scolastica massicciamente elusa, dell'industrializzazione troppo spesso fallita, delle amministrazioni locali in mano all'incapacità o al malaffare, dell'umiliante anabasi sanitaria al nord, dei centri urbani sconvolti e delle periferie invivibili, del voto di scambio, del trasformismo politico come prassi. È la società dove sotto un'apparente normalità dai toni magari spensierati, com'è nel suo carattere antico, serpeggia una sconsolatezza triste, una frustrazione mortificata, un pervadente sentimento di continua inadeguatezza, fatte apposta per spegnere iniziative, per logorare energie e speranze.
Sembriamo sapere così bene che cosa è il Mezzogiorno che da tempo, paradossalmente, non vogliamo però saperne più nulla. Sono anni e anni che il resto del Paese ha cessato di occuparsene. Il Sud è scomparso dall'agenda politica di qualsiasi partito così come dall'informazione. Nessuno più ha voglia di interessarsi ai suoi problemi. La sua condizione drammatica non fa più notizia se non per qualche clamoroso fatto sangue. Sicché se un vero rimprovero va mosso alla Rai non è quello di aver dato casualmente voce alle volgarità di due sciagurati giovinastri, bensì è quello di essersi uniformata da anni all'andazzo generale lasciando che di un intero pezzo d'Italia si occupassero solo le scialbe cronache della sue sedi regionali, rivolte, come in tutta la Penisola, unicamente a illustrare virtù e benemerenze dei cacicchi locali.
"Scarface" e "Tritolo" fanno notizia proprio perché rivelano ciò che non sappiamo ma che avremmo dovuto sapere: indoviniamo che attraverso le loro parole impudiche è l'intero degrado in cui nella nostra indifferenza è sprofondato un terzo del Paese che parla e c'interpella. Perché comunque e a dispetto di tutto, il Sud esiste e sta lì. E l'Italia deve decidere una volta per tutte che cosa vuole farci, perché forse non ha davvero capito che cosa significa abbandonarlo a se stesso. Il Sud sta lì con la mole della sua arretratezza ma anche con le sue sparse oasi di sviluppo talora di altissima qualità tecnologica. Con il suo mercato di consumatori non proprio indifferente per tanta industria del Nord, e con i suoi milioni di cittadini elettori che possono decidere da chi e come deve essere governato il Paese. Sta lì infine - e principalmente - con il rilievo della sua posizione geografica immersa nel Mediterraneo. Esso dunque ricorda che per l'Italia decidere che cosa fare del Mezzogiorno significa decidere per ciò stesso che cosa fare del Mediterraneo.
Cioè della sua proiezione naturale in quel mare e verso i soli teatri - i Balcani, l'Africa e il Levante - prospicienti su quelle acque e dove essa può contare qualcosa. O questo ormai non vuol dire nulla dal momento che abbiamo deciso (non so chi né quando) che il nostro futuro si gioca solamente tra Berlino e Bruxelles, al massimo con un occhio a Pechino?
Un'Italia senza il Sud va ineluttabilmente incontro a una drammatica perdita di rango destinata a riflettersi pesantemente anche a nord del Garigliano: come diceva Gaetano Salvemini, essa diviene solo "un Belgio più grande" (sia detto con tutto il rispetto per il Belgio). Non si tratta solo di questo però. C'è di peggio. Infatti, il resto dell'Italia può benissimo disinteressarsi del Mezzogiorno, fare come se non ci fosse: il fatto è che in ogni caso è comunque il Mezzogiorno che dimostra di non avere intenzione di disinteressarsi del resto d'Italia.
Lo sta facendo da anni trapiantando nel cuore dell'Emilia-Romagna, della Lombardia, del Veneto, nel cuore dell'opulento Nord, le succursali delle sue potenti organizzazioni criminali. Allargandone sempre più il dominio, erodendo il tessuto civile e amministrativo di quelle regioni, dei suoi governi locali, in certo senso letteralmente mangiandosele. A suo modo è una sorta di vendetta per il troppo lungo oblio. Alla quale non c'è che una risposta: ricominciare a occuparsi di quella parte decisiva del nostro Paese. Con intelligenza e con passione; non con indulgenza ma con generosità: perché alla fine è di noi tutti che si tratta.
Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2019
Il Consiglio di Stato e l'Accademia della Crusca insieme per un uso più appropriato della lingua italiana nelle sentenze. "Le decisioni del giudice devono essere comprensibili a tutti, grazie a una motivazione chiara e un linguaggio appropriato. Il giudice non deve persuadere, ma dare conto della propria decisione, per questo profili processuali e forme di linguaggio devono stare insieme nella redazione della sentenza, che è la ragion d'essere del giudice", lo hanno sottolineato il Presidente del Consiglio di Stato, Filippo Patroni Griffi, e il Presidente dell'Accademia della Crusca,Claudio Marazzini, sottoscrivendo l'accordo di collaborazione.
Una avvisaglia del nuovo corso linguistico che il presidente Patroni Griffi intendeva imprimere alle pronunce del Consiglio di Stato si era già avuta nei giorni scorsi, nel corso del primo Congresso della Giustizia amministrativa, dove i richiami ad un uso corretto della lingua erano stati numerosi. Con l'accordo stipulato oggi tra l'Accademia della Crusca e l'Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa, rappresentato dal Presidente Marco Lipari, per la durata di quattro anni, e senza oneri economici, si tenderà dunque al miglioramento delle tecniche di redazione dei provvedimenti giurisdizionali e dei pareri consultivi.
La sinergia fra le due istituzioni, prosegue la nota congiunta, mira a sostenere la lingua italiana, nel suo valore storico di fondamento dell'identità nazionale, e ad assicurare la massima efficacia, precisione e trasparenza dell'attività dei Tar e del Consiglio di Stato. La Convenzione si svilupperà attraverso percorsi di formazione e di sensibilizzazione in materia linguistica dei magistrati, del personale amministrativo, dei tirocinanti e degli operatori del diritto attraverso studi, ricerche, corsi di specializzazione, formazione e aggiornamento sulla lingua del diritto e attraverso l'organizzazione di convegni, seminari e laboratori.
di Mauro Mellini
Italia Oggi, 13 giugno 2019
Le correnti sono come i partiti della Prima repubblica. Le varie nomine non sono fatte in base al merito (come si dovrebbe) ma alle appartenenze. La crisi profonda che scuote la Magistratura e tutto l'apparato giudiziario italiano (e, se non lo scuote abbastanza, è perché la crisi è ancor più profonda e intrinseca di quanto non appaia) ha fatto emergere il nodo che avrebbe dovuto essere il centro di ogni discussione: il problema e il ruolo dell'Associazione nazionale magistrati e, soprattutto, delle "correnti" in cui essa è divisa e lottizzata.
Dico e sottolineo "avrebbe". Non pare che ci sia più chi abbia a cuore la giustizia come pilastro delle istituzioni e che dia segno di come affrontare la realtà e di farsene carico. Quando all'inizio del secolo scorso l'Anm fu fondata da un numero in verità modesto di magistrati, il Guardasigilli, che non era un Bonafede qualsiasi ma si chiamava Vittorio Emanuele Orlando (tempo fa in un mucchio di carte ho trovato la notifica della mia ammissione alla pratica forense firmata, appunto V.E. Orlando che finì la sua vita tornando a far la professione di avvocato ed il presidente dell'Ordine di Roma).
Orlando, dunque, si dichiarò subito contrarissimo al sopravvenire di quella associazione, rilevando una quantità di gravi inconvenienti che la sua stessa esistenza avrebbe creato. C'è da dire subito che quell'associazione presupponeva non già l'indipendenza e l'autonomia dell'Ordine giudiziario, ma si giustificava ponendosi come sindacato di "dipendenti", di impiegati dello Stato. Sciolta dal fascismo e rinata dopo la Liberazione, l'Anm ebbe subito a misurarsi con problemi di divisioni e frazioni. Per un certo tempo si trovò in posizione concorrenziale con l'Umi (Unione magistrati italiani), che raccolse molti magistrati dei massimi livelli di tendenza decisamente conservatrice. Questa, poi, si sciolse e confluì in massima parte nella corrente di "Magistratura Indipendente".
Il massimo della frammentazione in correnti si ebbe, però, quando venne alla ribalta Magistratura Democratica, di Sinistra addirittura extraparlamentare, come allora si diceva. Ideologicizzata al massimo, essa si considerava, più che una corrente dei magistrati, una corrente politica extraparlamentare proiettata in seno alla Magistratura. Le prese di posizione politico-ideologiche, gli ordini del giorno, le deliberazioni congressuali di Md, tutti chilometrici e ideologici, erano improntati ad una finalità: "L'uso alternativo della giustizia" quale strumento di rivoluzione e di partecipazione al movimento marxista.
Da allora, grazie anche alla nuova forma di composizione e di elezione del Consiglio superiore della magistratura, la finalità di tutte le "correnti" dell'Anm fu quella di realizzare una lottizzazione del governo della magistratura. Alla "partitocrazia" che caratterizzò la Primo Repubblica, si affiancò una altrettanto ferrea "correntocrazia" nel governo della magistratura. Ho fatto scandalizzare avversari e amici, più volte, affermando che tutto il sistema politico istituzionale della Prima repubblica non era, come con petulante monotonia si andava ripetendo, "nato dalla Resistenza" ma piuttosto "nato da Yalta".
Oggi siamo tutti un po' orfani di Yalta e della Guerra fredda. Man mano che andò prendendo corpo la struttura della Magistratura conforme alla nuova legislazione e dipendente dal nuovo assetto anche elettorale del Csm, la lottizzazione di ogni carica direttiva e semi-direttiva (presidenti di sezione ecc.) prese corpo e diventò abituale e rigidamente osservata. "Tu mi dai un procuratore della repubblica di Vattelappesca di Magistratura Democratica e io ti do un presidente del Tribunale di Chissadove di Magistratura Indipendente". E così via. La "lottizzazione" è fondata sul "do ut des" di chi dovrebbe esercitare potere a scelte esclusivamente sulla base dei meriti e delle attitudini.
Che il sistema lottizzatorio non sia molto diverso, anche dal punto di vista del diritto penale, da un colossale mercato di corruzione è cosa che non sfuggirebbe ad un esame razionale e scientifico della questione.
Oggi le "correnti", già "collaterali" ai partiti politici presenti in parlamento ora scomparsi, hanno perso, nel dissolversi delle ideologie (e degli imperativi di Yalta) il loro carattere originario e quel tanto della loro giustificazione che ne faceva sistema comunemente accettato. È accaduto in esse quello che è accaduto nella politica parlamentare. Finiti i partiti ideologici (per i quali il finanziamento con tangenti in luogo di "decime" era pressoché naturale), è rimasto l'interesse privato o particolare senza coperture e camuffamenti. Il denaro per il denaro senza camuffamenti.
Qualcosa di simile è avvenuto nel sistema "correntocratico" della Magistratura. Se le correnti non servono più per fare la rivoluzione o per opporvisi, è naturale che quelli che erano gli "strumenti" del potere ne siano divenuti le finalità. Senza voler dare giudizi e prognosi di colpevolezza, direi che il Palamara di venticinque anni fa non è diverso da quello che pare sia divenuto oggi. È cambiato il sistema attorno a lui. Il mercato delle cariche è mercato, quale che ne sia la moneta o lo scambio della merce. Ma questo ci impone di riconsiderare tutta la storia della Magistratura repubblicana. E di ricordare con attenzione e senza la supponenza della modernità anche le opinioni di Vittorio Emanuele Orlando.
Non dovendo litigare (così si dice) con Luigi Di Maio, Salvini ha messo da parte il suo ruolo di buttafuori dei migranti. Un po' perché al di là del Mediterraneo avranno scoperto che per negare loro lo sbarco ci vorrà un concerto di ministri (che di concerto non conoscono che quello della rissa), gli imbarchi sono aumentati e, con essi, gli sbarchi.
Un po' perché finalmente pare sia arrivata la bella stagione e il mare un po' più calmo, sono ripresi gli sbarchi che l'effetto Salvini aveva drasticamente ridotto. Il governo va avanti. Almeno così sembra. Avrà altro tempo per altre cazzate e per procurarsi altri guai.
Tutti contenti? Col cavolo. Ma non c'è chi sostituisca questi buffoni. A proposito di sostituzioni: quella della Magistratura ai poteri politici nel loro complesso e di governo è, con gli scandali di Palazzo dei Marescialli, un'eventualità svanita, un progetto che è difficile che qualcuno voglia cavalcare. E questa è una buona notizia. Bisogna accontentarsi del male minore?
di Liana Milella
La Repubblica, 13 giugno 2019
Dopo Spina, lascia Morlini: "Commessa una leggerezza, vado via per senso di responsabilità" Oggi nuovo plenum del Consiglio, che rischia di decadere se dovesse scendere sotto il tetto dei dieci componenti togati. A Palazzo Marescialli si dimette un secondo consigliere. Via all'azione disciplinare per i quattro autosospesi. L'incubo dello scioglimento anticipato.
La nota della presidenza: "Con Lotti ultimo incontro ad agosto". Il Csm decisamente vacilla. Potrebbe essere costretto all'auto scioglimento. Il mercato delle nomine per le più grandi procure italiane, Roma in testa, e i numerosi consiglieri coinvolti - cinque ufficiali, altri nelle carte di Perugia, su 24 (16 togati e 8 laici) - sconvolgono il palazzo. Mattarella, di fronte alle indiscrezioni che lo vorrebbero parte attiva nella scelta dei capi degli uffici, mette un punto fermo, "mai intervenuto per suggerire un nome, solo criteri generali".
Ma il fulmine della giornata sono le 4 azioni disciplinari dalla Procura generale della Cassazione che raggiungono altrettanti consiglieri autosospesi da una settimana, di cui uno solo - Gianluigi Morlini di Unicost, la corrente centrista delle toghe - opta per lasciare il Consiglio. Mentre gli altri tre, tutti di Magistratura indipendente, il gruppo più di destra delle toghe, resistono. Oggi un plenum straordinario sancirà, per uno di loro, almeno l'esclusione dalla sezione disciplinare, che dovrà occuparsi proprio di lui.
Una contraddizione clamorosa. Un caos. Allo scoperto dopo giorni Partiamo da qui, dalle fonti ufficiali del Colle. Dopo giorni di voluto silenzio, in cui Sergio Mattarella ha taciuto pur nella duplice veste di capo dello Stato e del Csm, affidando la gestione del drammatico caso al vice presidente di Palazzo dei Marescialli David Ermini, adesso il presidente parla.
Non solo per dire che non s'è mai occupato di nomine, che non ha mai ricevuto il deputato pd Luca Lotti per parlare della sua inchiesta, ma soprattutto che il Quirinale non gestisce alcun tipo d'informazioni giudiziarie da diffondere. Secondo il Colle la misura è colma, perché troppe indiscrezioni lasciano intendere che Mattarella avrebbe dato suggerimenti per promuovere una toga piuttosto che un'altra. Le fonti precisano che Mattarella non ha mai parlato con nessuno di specifiche nomine di magistrati, a partire dalla procura di Roma.
È vero invece che il presidente, in via generale, ha richiamato più volte i consiglieri del Csm al rispetto rigoroso dei criteri obiettivi e delle regole. In particolare, convocando al Colle i consiglieri, ha raccomandato di seguire l'ordine temporale. È del tutto falso che si sia mai occupato della procura di Gela. Netta la smentita di un suo incontro recente con il dem renziano Lotti. Poiché l'agenda del presidente è pubblica, da essa risulta che l'ultimo incontro risale al 6 agosto 2018. E certo non si parlò del caso Consip.
Le regole violate Hanno violato le lettere "d" e "u" dell'ordinamento giudiziario del 2006, nella parte in cui stabilisce le colpe disciplinari. Morlini, Cartoni, Lepre e Criscuoli hanno tenuto "comportamenti non corretti" quando in un dopocena hanno incontrato Lotti con Luca Palamara, il pm di Roma all'origine dell'inchiesta di Perugia toghe sporche. E hanno "divulgato atti coperti dal segreto istruttorio e sono venuti meno al dovere di riservatezza". I quattro ieri mattina erano al Csm, hanno mostrato la contestazione disciplinare firmata dal Pg della Cassazione, Riccardo Fuzio. Morlini, che il giorno prima aveva lasciato Unicost, si dimette. Ammette di "aver compiuto un errore", lo derubrica a "leggerezza", ma per "senso di responsabilità istituzionale" decide di lasciare.
Gli altri tre resistono spalleggiati dai vertici di Magistratura indipendente, in primis il segretario Antonello Racanelli, anche lui un ex Csm, oggi procuratore aggiunto di Roma. Le incognite sul futuro Sono ore drammatiche a Palazzo dei Marescialli. Si fanno i conti per verificare se questo Csm può sopravvivere a se stesso. Soprattutto se dovessero giungere i nomi di nuovi incolpati da Perugia. Per assurdo proprio Magistratura indipendente, la corrente più colpita, fa la voce grossa e tiene in scacco il Consiglio.
Lo stesso Racanelli lo ha teorizzato in un'intervista, i suoi togati non si possono dimettere o Mi non sarebbe più la prima corrente con 5 esponenti, ma si ridurrebbe a 2, visto che i tre che subentrano appartengono in due al gruppo di Piercamillo Davigo, uno alla sinistra di Area. Ecco spuntare la proposta, di cui si discuteva ieri, di costringere i tre subentranti alla rinuncia (peraltro il davighiano Marra oggi è fuori ruolo in via Arenula) per elezioni in blocco per 5, o forse 7 nuovi esponenti. Ma di fatto sarebbe la fine dell'attuale Csm, che sotto i 10 togati su 16 non può scendere.
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 13 giugno 2019
Per ora sarebbero due i magistrati finiti nel registro degli indagati con l'ipotesi di reato di concorso in calunnia aggravato dall'avere favorito Cosa nostra. Parliamo del nuovo colpo di scena relativa alla vecchia indagine sulla strage di Via D'Amelio, definita dal Borsellino Quater il "il più grande depistaggio della Storia".
Ma è un depistaggio che ha visto anche come protagonista l'irritualità dello svolgimento del processo, tant'è vero che lo scorso novembre la Procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo del Borsellino Quater, aveva trasmesso una tranche dell'inchiesta ai colleghi messinesi perché accertassero se nella vicenda, ci fossero responsabilità di magistrati.
Così la Procura di Messina ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre- investigativa sfociata adesso in una inchiesta per calunnia aggravata. Ora dovranno conoscere i contenuti delle registrazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino quando era nel programma protezione, dove aveva a disposizione un telefono fisso e poteva solo ricevere le chiamate. Parliamo di un accertamento tecnico non ripetibile, avente ad oggetto il riversamento di 19 supporti magnetici contenenti registrazioni prodotte con strumentazione della Radio Trevisian, denominata RT2000, trasmessi alla procura di Messina, in originale, dalla procura di Caltanissetta.
Ma rimane ancora inevaso un interrogativo, proprio sulla conduzione dell'iter processuale che è costata la condanna di otto innocenti, sulla base delle dichiarazioni di Scarantino. Lo spartiacque, o meglio quello che avrebbe dovuto essere, è da ritrovare nella data del 13 gennaio del 1995, quando c'è stato il confronto tra Scarantino e i collaboratori di giustizia Totò Cancemi, Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo. Ed è proprio in quel confronto che emerse la totale mancanza di attendibilità di Scarantino.
Ma è accaduto che il verbale del confronto è rimasto nel cassetto per diverso tempo. Alla data dei confronti, ovvero il 13 gennaio 1995, nessuno dei processi riguardante la strage di via D'Amelio era stato ancora definito. La sentenza del primo processo concluso, il Borsellino 1, viene pronunciata solo nel gennaio del 1996, a distanza di oltre un anno dall'avvenuta assunzione dei confronti. Il deposito di quei verbali demolitori della figura di Scarantino, quanto al profilo e criminale quanto al contenuto delle dichiarazioni, avrebbe potuto quindi incidere sensibilmente sulle conclusioni di quel processo. Che invece, com'è noto, si concluse accettando l'intero impianto accusatorio basato sulla parola di Scarantino e condannando all'ergastolo.
Il verbale uscì fuori grazie alla tenacia dell'avvocato Rosalba Di Gregorio, che all'epoca difese alcuni imputati poi condannati ingiustamente per la strage. Lo racconta in audizione dinnanzi la commissione antimafia della Sicilia presieduta da Claudio Fava. "Siamo all'udienza preliminare del bis, quindi siamo se non ricordo male nel 1996 - ha spiegato Di Gregorio - facciamo le copie degli atti, tra le copie degli atti spunta fuori una missiva strana, una lettera di trasmissione dal Procuratore aggiunto di Caltanissetta Paolo Giordano, al procuratore aggiunto Guido Lo Forte di Palermo dove gli dice: "Ti mando, per quanto di interesse, i confronti fra Scarantino- Cancemi, Scarantino- Santino Di Matteo, Scarantino - Gioacchino La Barbera". Cerchiamo questi confronti ma non ci sono, cioè non sono stati depositati, quindi noi chiediamo al giudice dell'udienza preliminare di fare depositare i confronti. La risposta a verbale è "Non esistono". Gli abbiamo detto: "Non è possibile che non esistono, se li avete trasmessi a Palermo, evidentemente esistono quindi non ci dite non esistono, dite non ve li vogliamo depositare", "Non esistono e se esistono non riguardano gli imputati di questo processo, quindi voi non li potete avere".
A quel punto l'avvocato ha fatto un'istanza al dott. Guido Lo Forte come indagine difensiva ed è andata a parlargli. "Mi ha detto - racconta sempre la Di Gregorio: "Lei è pazza - graziosamente, cordialmente - se pensa che io le do una cosa che Caltanissetta non le vuole dare". Io ho detto "No, no, ma io lo voglio messo per iscritto: non te la posso dare, fattela dare da Caltanissetta".
E così abbiamo fatto. Il dott. Lo Forte scrive nella mia istanza "Non te la do, te la fai dare da Caltanissetta", quindi io prendo la risposta e la porto a Caltanissetta a Paolo Giordano dicendo: "Siccome esistono e me li devi dare tu, ti dispiace che me li dai?" "Non se ne parla assolutamente, non ti interessano, non ti riguardano, non riguardano gli imputati, non riguardano questo processo". Alla fine, nel febbraio del 97 (e cioè dopo più di un anno dalla richiesta rigettata in udienza preliminare), l'avvocato Di Gregorio chiese e ottenne il deposito del confronto tra i collaboratori di giustizia e Scarantino nel processo "Borsellino ter".
La commissione antimafia della Sicilia, nella sua relazione, ha evidenziato che il mancato deposito di detti verbali nella segreteria del pubblico ministero ha "sicuramente determinato una grave deviazione processuale, perché ha impedito alla Corte di Assise di Caltanissetta una piena cognizione ed una corretta valutazione dell'inesistente affidabilità di Scarantino". Un iter processuale, quindi, che già nel 1995 avrebbe avuto un esito diverso, se solo si fosse portato a conoscenza di quel verbale, il perno principale che avrebbe fatto decadere tutte le accuse senza arrivare fino al Borsellino Quater.
di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2019
Più tempo per la riforma delle intercettazioni. Con il decreto sicurezza bis, approvato dal Consiglio dei ministri di martedì, si affidano altri 6 mesi al ministero della Giustizia per mettere a punto la nuova disciplina che modificherà quanto previsto dalla riforma Orlando. Sarebbe peraltro più corretto sostenere che l'azzererà, tenendone in piedi solo qualche aspetto. Perché, come noto, la proposta Orlando che sarebbe dovuta andare in vigore a luglio dell'anno scorso, indirizzata a conciliare diritto alla privacy e salvaguardia delle necessità investigative, non ha mai convinto il ministro della Giustizia del Governo gialloverde Alfonso Bonafede. Che ne dispose subito il congelamento, di fatto prorogato l'altra sera sino alla fine di quest'anno.
Al ministero si sta però già mettendo a punto un modello che in buona parte ricalcherà la situazione preesistente, conservando però l'ormai realizzato, presso quasi tutte le procure, archivio riservato, nel quale dovranno confluire tutte le intercettazioni effettuate, lasciandovi collocate anche quelle ritenute irrilevanti dopo la valutazione di stralcio. Resterà fermo il diritto alla copia da parte dell'avvocato, che era stato invece eliminato dalla riforma Orlando. Quest'ultima vietava la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti per le indagini e di quelle su dati personali sensibili, imponendo che nel verbale fossero indicate solo la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è stata effettuata. Il pubblico ministero, a cui spettava di verificare l'irrilevanza delle comunicazioni intercettate o di chiederne la trascrizione aveva poi il compito di dettare le istruzioni e le direttive necessarie agli ufficiali di polizia giudiziaria per rendere concreto l'obbligo di informare il pm sui contenuti delle conversazioni di dubbia rilevanza.
Per Bonafede una legge bavaglio, che sotto la maschera di volere tutelare la riservatezza di chi poteva finire coinvolto in intercettazioni del tutto insignificanti sul piano investigativo, nascondeva invece la volontà di tutelare soprattutto gli esponenti politici. Divisi poi i pubblici ministeri. Dove alcune Procure avevano anticipato la riforma mettendo a punto, come a Roma, sotto la direzione Pignatone, un proprio modello di protezione della privacy. A ruota seguirono poi altri uffici come quello di Torino e Napoli.
Ma sulla stessa riforma Orlando a pronunciarsi in maniera critica era stata la stesa Anm sostenendo che a venire compromessi sarebbero stati sia il diritto di difesa sia soprattutto il lavoro d'indagine. Le intercettazioni, sosteneva l'Associazione nazionale magistrati, continuano a rappresentare uno strumento indispensabile di investigazione, fondamentale nel contrasto a reati gravi come, per esempio, la corruzione. E su questo punto va invece sottolineato come la legge "spazza-corrotti", questa sì fortemente voluta da Bonafede, criticata sotto alcuni profili (anche di costituzionalità), ha almeno reso possibile l'utilizzo dei virus informatici anche per la corruzione, con immediati risultati come testimoniato dalla recente indagine dei Pm di Perugia sui fatti di presunta corruzione che sono arrivati a coinvolgere esponenti attuali e passati del Csm.
di Manuela D'Alessandro
agi.it, 13 giugno 2019
Intervista a Davide Steccanella, avvocato dell'ex terrorista dei Pac, in cella di isolamento dopo la sua cattura in Bolivia e l'estradizione in Italia dal Brasile (ha ammesso di avere avuto un ruolo materiale o come mandante in quattro omicidi). "Lui deve scontare il dovuto ma non vedo perché debba essere sottoposto a un trattamento diverso rispetto agli altri detenuti".
"Il mio impegno è far sì che Cesare Battisti non muoia in carcere. Tu non puoi rimproverare di avere violato la legge se non sei il primo a rispettarla e uno Stato che non rispetta la legge perde autorevolezza anche nei confronti di chi la viola".
Davide Steccanella è l'avvocato del militante dei Pac (Proletari armati comunisti) catturato in Bolivia dopo una latitanza durata 37 anni. Ma è anche uno degli storici più preparati sugli anni del terrorismo italiano e non solo, autore di diversi testi di riferimento. Per la prima volta, da quando il suo assistito è in carcere per scontare due ergastoli relativi a quattro omicidi, Steccanella si fa intervistare a tutto campo sul rientro in Italia di Battisti e indica la strategia che seguirà per garantirgli una pena che ritiene coerente nell'entità e nei modi con la Costituzione e il diritto internazionale.
Cosa significa per lei, che ha studiato anche da storico quel periodo pur non avendolo vissuto, difendere Cesare Battisti?
"Avrei preferito continuare a occuparmene da storico, sicuramente non avrei mai pensato da avvocato di scrivere un'istanza su fatti commessi nel 1979. All'inizio è stato difficile, però nel momento in cui una persona in stato di detenzione mi nomina come avvocato non posso che fare solo l'avvocato e dimenticare di essere anche uno storico. Da quell'istante, considero il mio cliente una persona che ha necessità di una difesa tecnica e quello è il mio approccio, anche se è senz'altro singolare fare diventare cronaca giudiziaria quella che è invece è storia. La situazione di Battisti è molto particolare perché qui non soltanto si parla di fatti commessi 40 anni fa, ma anche di una persona che è andata via dall'Italia 40 anni fa, nel 1979 quando, dopo due anni di galera, è stato fatto evadere da altri, è andato all'estero e non ha più fatto rientro nel nostro Paese. Ora, chiunque abbia potuto vivere in Italia negli ultimi 40 anni sa che questo è un Paese completamente diverso. C'è questo duplice problema: sono vecchi i fatti ed è vecchissimo questo rapporto con lo Stato che in questo momento sta eseguendo nei suoi confronti una pena. C'è anche una difficoltà di comunicazione: Battisti è una persona abituata a parlare da anni altre lingue. Insomma, è tutto molto singolare rispetto alle precedenti mie esperienze professionali".
Prima di tornare in Italia, Battisti a un certo punto dice di essere andato dalla Francia al Brasile grazie ai servizi segreti francesi. Poi non ha mai più smentito questa storia. È davvero andata così?
"Io parlo delle cose che so e questo non lo so, il mio cliente non mi ha mai riferito modalità di questo tipo. In quegli anni sono state molte le persone che si sono sottratte alle sanzioni riparando all'estero. Non era così inusuale che un soggetto riuscisse ad andare all'estero senza bisogno dei servizi segreti. Parliamo di una persona che è da 40 anni all'estero e che di dichiarazioni ne ha fatte tante, ogni volta determinate dalla situazioni in cui si trovava. Per questo, preferisco adeguarmi a quello che mi ha detto di persona e su questo aspetto non ho avuto nessuna conferma. Da quello che ho capito io, mi pare assolutamente compatibile la sua versione. Ai tempi anche prendere gli aerei non era così complicato come oggi, è pieno di casi, non sarebbe né il primo né l'ultimo ad averlo fatto in quegli anni, non è necessario che ci sia dietro chissà quale protezione francese. Tra l'altro con la Francia lui ha un rapporto particolare perché è stato per tanti anni al riparo della cosiddetta 'dottrina Mitterand' che poi è saltata praticamente per lui perché sono pochissimi i casi contrari. Non credo francamente che abbia avuto protezioni al di là di quello che ha dichiarato".
Battisti ha ammesso di avere avuto un ruolo materiale o come mandante in quattro omicidi: quelli del maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Udine Antonio Santoro, del gioielliere Pierluigi Torreggiani, del commerciante Lino Sabbadin e del poliziotto Andrea Campagna. Ammettere gli addebiti dopo averli negati per anni è una decisione che ha preso lui oppure gliel'ha suggerita lei?
"Mai nella vita ho preso una decisione per conto dei miei clienti, soprattutto se è di questa delicatezza e di questa importanza. È evidente che è una scelta che ha fatto lui e io gli ho creato i mezzi tecnici per portarla avanti. In quel momento ho ritenuto di scegliere l'interlocutore che mi sembrava più adatto e istituzionale, cioè il procuratore dell'antiterrorismo di Milano, Alberto Nobili, che, tra l'altro, è un magistrato che stimo tantissimo e di cui mi fido ciecamente. La decisione è stata sicuramente sua ma tenete conto che sono state scritte un po' di inesattezze su questo fatto, nel senso che Battisti non ha mai negato di fare parte dei Pac che erano una delle tantissime formazioni armate di quegli anni. Lui non ha mai detto 'Io non ho fatto la lotta armatà. Se il discorso è relativo ai singoli episodi, il negarli ha un senso di fronte alle autorità che deve riceverli. Battisti non ha mai partecipato ai processi in Italia, era in contumacia e la prima volta che ha trovato un magistrato, cioè dopo il rientro nel nostro Paese, ha fatto quella dichiarazione. Eventuali dichiarazioni fatte ai media all'estero in precedenza vanno prese con le molle. Non è corretto dire che abbia cambiato idea, ha sostanzialmente sempre ammesso la sua situazione storica e politica sulla quale ha anche scritto dei libri. A Nobili ha detto che le sentenze corrispondono al vero perché insieme a tanti altri è stato un militante dei Pac. Teniamo presente che i Pac non erano le Br, ma un gruppo ristretto. Se fai parte dei Pac, le azioni che hanno fatto sono quelle e pensare che fai parte dei Pac senza partecipare a quelle azioni poteva sembrare contraddittorio".
Nell'interrogatorio davanti a Nobili, Battisti ammette di avere ucciso, sparandogli, il poliziotto Andrea Campagna "su indicazione data dal collettivo di Zona Sud in quanto Campagna era stato ritenuto uno dei principali responsabili di una retata ai danni dei compagni del collettivo Barona che erano poi stati torturati in caserma". Come si lega quell'episodio alla vicenda di Battisti che, comunque, non lo usa per discolparsi?
"Quello è un fatto provato, ormai storico, anche se chi denunciò venne accusato di diffamazione, e riguarda tutti i militanti del collettivo Barona (quartiere di Milano, ndr) che furono sottoposti a tortura in caserma. Si sanno anche i nomi. C'entra fino a un certo punto con Battisti. Certamente fu un episodio orrendo, che però in realtà aveva riguardato una serie di persone che non c'entravano nulla coi Pac anche se li conoscevano coi militanti ed erano vicini come zona. Ho trovato onesto da parte di Battisti non strumentalizzare per se stesso quell'episodio che effettivamente non aveva nessuna attinenza. Questa è una brutta pagina di quella storia che ho anche riportato in un libro, facendo parlare i protagonisti. Il problema di quella storia è che non si è trattato di una serie di episodi giuridicamente delittuosi ma si è inserita in un gigantesco conflitto sociale che ha coinvolto il nostro Paese per più di 15 anni. Per durare più di 15 anni in uno Stato capitalista, che non sono le montagne della Sierra Nevada, evidentemente era una situazione storica molto particolare al cui interno si colloca la micro-esperienza di Battisti e di migliaia di altre persone. Che lo Stato in qualche modo abbia reagito andando oltre i mezzi consentiti è abbastanza normale, cioè tu dichiari guerra e l'attaccato risponde. Battisti è stato un combattente di quel periodo e trovo anche che sia abbastanza coerente che non faccia il "piangina" rimproverando lo Stato. Aveva messo in conto che lo Stato reagisse in quel modo. Cioè lui non è un democratico, non puoi chiedere a Battisti di utilizzare lo sdegno democratico perché sarebbe anche contraddittorio. Battisti è l'ultimo a sorprendersi che la polizia torturasse i militanti arrestati. Non toccava a lui parlarne, ma allo Stato ammettere".
Lo Stato italiano continua a cercare i latitanti all'estero. Alcuni protagonisti di quegli anni e diversi intellettuali ritengono che lo Stato dovrebbe non limitarsi a ridurre quelli commessi all'epoca come dei fatti criminali ma anche espressione di un conflitto sociale. È possibile che prima o poi accada?
"C'è stato un conflitto di classe che si è inserito perfettamente in quel ventennio molto particolare di un secolo molto particolare, con guerriglie sparse in tutto il mondo. Questo lo Stato non lo vuole ammettere ma ai tempi del sequestro Moro sarebbe stata sufficiente una dichiarazione che c'era un conflitto sociale in corso per salvare la vita del politico. Lo Stato decise di non farlo allora ed è ovvio che non lo fa 40 anni dopo, ma così si continuerà a raccontare una storia monca che non fa capire né com'è nata né com'è finita, con ciò lasciandola sospesa. Tu puoi raccontare la storia solo se la definisci, se no resta lì e queste sono delle protuberanze che assomigliano a una forma di vendetta tardiva. Io sono contrario anche a recuperare i criminali nazisti, c'è poco di giuridico e tanto di vendetta, oltre al discorso della propaganda politica. Sapere che un ministro, Matteo Salvini, dice che un detenuto deve marcire in galera mi fa orrore e in questo do atto alla Corte d'assise d'appello di Milano, che si è occupata del caso, di avere ristabilito i giusti termini giuridici. La storia di un Paese non doveva essere delegata alla magistratura che non ha il compito di risolvere un conflitto sociale. Battisti non ha inventato la lotta armata ma faceva parte di altri 6 mila cittadini condannati per lotta armata. Ho trovato ripristinato il principio secondo cui nessuno deve marcire in galera proprio nell'ordinanza che ha respinto la mia istanza di commutare in 30 anni la pena dell'ergastolo (nel provvedimento, i giudici hanno stabilito che Battisti "potrà godere dei benefici penitenziari, in virtù di un trattamento che è diretta attuazione del canone costituzionale della funzione rieducativa della pena", ndr). In quell'ordinanza, il percorso penitenziario arrivato dalle leggi approvate negli anni 70 ha trovato un senso anche perché se lo Stato si limita a essere una retina che raccoglie tutti i ruderi di una guerra finita ci fa brutta figura lui. Uno Stato forte chiude i conti col passato. C'è stato bisogno di una mia istanza per ottenere il riconoscimento del 'presofferto', cioè i quasi 8 anni di carcere che Battisti aveva già scontato. I media hanno fatto passare il concetto che abbiamo chiesto uno sconto di pena, ma non è così. Io mi sono limitato a osservare che una parte di galera l'aveva già fatta".
Come ha trovato Battisti dal punto di vista umano?
"L'ho visto per la prima volta nel carcere di massima sicurezza, è una persona di 65 anni che ha tutta una storia particolare, completamente diversa dalla mia, per cui all'inizio è stato un po' difficile. Quello che posso dire è che mi pare una persona sincera. Il mito che era stato costruito non mi sembra corrispondere per niente alla persona fisica e reale che in questi mesi sto conoscendo. Sicuramente la mia impressione è migliore di quella che la stampa aveva trasmesso".
Lei sostiene che Battisti non sia stato espulso ma estradato e, per questo, gli vada applicata la pena massima dei 30 anni di carcere perché in Brasile non è previsto l'ergastolo, a differenza che in Bolivia. Perché ne è convinto?
"In tutti gli atti pubblici della Digos non si parla mai di una procedura di espulsione, Battisti viene sempre definito come estradato e, come tale, va trattato secondo quanto stabilito dall'accordo tra Brasile e Italia del 2017 (la tesi non è stata accolta dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano e Steccanella ha presentato ricorso alla Cassazione, ndr). A mio parere l'Italia non può fare questa figuraccia di non rispettare l'accordo col Brasile nel quale si era impegnata a fargli scontare una pena di 30 anni. Non capisco le levate di scudi alla mia richiesta di commutare la pena dal carcere a vita a 30 anni su un uomo di 65 anni. Chiunque dotato di un minimo di buon senso capisce che trasformare in 30 anni la pena su una persona di questa età è di assoluta irrilevanza. Allora mi chiedo: perché tutto questo accanimento su cose che non hanno un rilievo effettivo? Significa che lo Stato va oltre, che in qualche modo vuole fargliela pagare un po' di più e questo è sbagliato. Prendo però atto che, in questi sei mesi, gli unici soggetti coi quali ho potuto interloquire rimanendo nell'ambito del diritto sono stati i magistrati e la poliziotta Cristina Villa (tra le principali artefici della cattura in Bolivia, ndr). Meno male che loro mi hanno consentito di fare il mio mestiere. Battisti ha fatto parte di una storia dolorosa, anche in questo Palazzo di Giustizia (di Milano, ndr) vediamo tutta una serie di targhe che ci ricordano le persone che sono morte in quegli anni, ma ricordiamoci che sono morte tantissime persone anche dall'altra parte e non vengono mai ricordate. Lo dicono i numeri che è stata una guerra".
A luglio scadono i sei mesi di isolamento. Cosa succederà dopo?
"Battisti è stato rinchiuso nel carcere di Oristano dove non ci sono altri detenuti qualificati come lui, cioè As2 (Alta sicurezza livello 2, ndr). Questo significa che quando scadrà la pena dell'isolamento lui continuerà a scontare in maniera illegittima l'isolamento se non verrà trasferito in una carcere dove potrà stare con altri. Che uno Stato pretenda di eseguire una pena è legittimo ma questa non deve trasformarsi in una tortura. L'isolamento è una pena ulteriore che non può andare un giorno oltre la pena comminata. Se non lo spostano da lì è invece destinato a prolungare una pena a quel punto illegale. Lui deve scontare il dovuto ma non vedo perché debba essere sottoposto a un trattamento diverso rispetto agli altri detenuti. Proverò a rivolgermi al Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per farlo trasferire in un altro carcere ed evitargli l'isolamento oltre la pena. Bisogna trovare un carcere dove ci sono altri As2. Battisti sta scontando una pena per una storia alla quale hanno partecipato tantissimi in questo Paese, non ha inventato niente, è figlio di un'epoca. Il mio obbiettivo è che non muoia in carcere perché quando ho scelto di fare l'avvocato l'ho fatto per un Paese dove ero convinto e lo sono tuttora che i detenuti non debbano marcire in galera. In Italia manteniamo in vigore la pena dell'ergastolo che quasi tutti gli altri Stati a cui l'Italia si sente superiore per civiltà, ritengono superata. Nell'accordo su Battisti, l'allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando scriveva in tre pagine, quasi scusandosi col Brasile, di avere ancora l'ergastolo e sembrava di percepire il suo imbarazzo per questo. Due anni dopo sentire l'attuale Ministro che la rivendica e si augura che un detenuto marcisca in galera lo trovo inquietante non per me bensì per tutto il sistema, in primis per gli stessi operatori del diritto, avvocati e magistrati: perché allora che ci stiamo a fare? Per marcire in galera non c'è bisogno di noi".
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