di Fabrizio Vanorio*
La Repubblica, 5 novembre 2019
La recente sentenza della Corte costituzionale non ha affatto "abolito" l'ergastolo o "aperto le porte" delle carceri ai boss mafiosi. A distanza di circa una settimana dalla sentenza della Corte costituzionale sul cosiddetto ergastolo ostativo, a sua volta preceduta dalla condanna del nostro Paese in sede europea da parte della Cedu con la sentenza Viola c. Italia del 13 giugno scorso, è forse possibile svolgere un'analisi più pacata sugli effetti concreti della decisione e su alcune questioni di fondo come il contrasto alle organizzazioni mafiose e la funzione della pena detentiva.
di Errico Novi
Il Dubbio, 5 novembre 2019
Il costituzionalista. "Se nel nostro ordinamento si può parlare di ergastolo, se ancora una simile pena esiste, è solo ed esclusivamente perché è possibile per il condannato la prospettiva di un ritorno in libertà. Senza l'accesso almeno potenziale a un esito indispensabile per attuare il fine rieducativo della pena, l'ergastolo sarebbe incostituzionale.
di Mario Chiavario
Avvenire, 5 novembre 2019
Bisogna leggere bene la sentenza della Consulta sull'ergastolo ostativo. Tanti magistrati criticano la Corte costituzionale per la sentenza che ha incrinato il regime dell'ergastolo "ostativo" cominciando ad ammettere che anche chi vi sia sottoposto possa fruire di permessi fuori dal carcere, pur se non abbia prestato una "collaborazione" per far scoprire altri delitti o altri delinquenti.
di Lorena Puccetti
cfnews.it, 5 novembre 2019
La mancata collaborazione con la giustizia non impedisce i permessi premio. La Corte costituzionale, il 23 ottobre 2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4bis, primo comma, della Legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354/1975), nella parte in cui impedisce che siano concessi i permessi premio ai condannati che non collaborino con la giustizia, anche se abbiano fornito prova di partecipazione al percorso rieducativo e siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità della partecipazione all'associazione criminosa.
di Valentina Ascione
Il Riformista, 5 novembre 2019
Associazione mafiosa: è la pesante accusa con cui ieri la procura di Palermo ha disposto il fermo di Antonello Nicosia, assistente parlamentare di 48 anni originario di Sciacca. Secondo i pm, Nicosia avrebbe approfittato della collaborazione con la deputata Giuseppina Occhionero (estranea alle indagini) per entrare nelle carceri e incontrare i capimafia anche in regime di 41bis per poi veicolare i loro messaggi all'esterno.
Passepartout è infatti il nome del blitz, eseguito dai militari della Guardia di Finanza e dai carabinieri del Ros, che ha portato all'arresto di altre quattro persone. Tra queste il 61 enne Accursio Dimino, boss di Sciacca ritenuto legato alla famiglia di Matteo Messina Denaro. Ed è proprio al superlatitante di Castelvetrano che Nicosia, intercettato, si riferisce chiamandolo "fi primo ministro". E poi. sempre senza sapere di essere ascoltato, definisce i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino "vittime di un incidente sul lavoro".
Parole che hanno suscitato l'indignazione trasversale del mondo politico. L'indagine, coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, descrive Antonello Nicosia come un uomo dalla "doppia vita". Pubblicamente è impegnato a favore della legalità e dei diritti dei detenuti. Dopo essersi lasciato alle spalle una condanna a 10 anni per traffico di droga, si dedica molto al tema delle carceri, è direttore dell'Osservatorio Internazionale dei diritti umani.
Nel 2017 viene eletto nel comitato nazionale di Radicali Italiani. poi la collaborazione con la parlamentare Occhionero, ex LeU oggi in Italia Viva, per entrare più agevolmente negli istituti di pena: "Se ci vado come Radicale devo chiedere l'autorizzazione al Dap, con un deputato invece ci vado all'improvviso", spiega Nicosia in una intercettazione, "ho trovato questo escamotage".
Nel provvedimento di fermo, infatti, i pm della Dda di Palermo scrivono che "Sia gli incarichi assunti a diverso titolo in più associazioni volontaristiche, sia l'elezione nel movimento dei Radicali Italiani, sia ancora i rapporti stretti con Giuseppina Occhionero sono stati tutti da lui strumentalizzati per accreditarsi presso diverse strutture penitenziarie e per fare visita a mafiosi detenuti, a scopi estranei a quelli. proclamati, della tutela dei loro diritti".
Antonello Nicosia "non ricopre attualmente alcuna carica in Radicali Italiani", precisano i dirigenti, ribadendo però che "la presunzione di innocenza vale per tutti e i processi si celebrano nei tribunali. non sui media. Se i contorni della vicenda fossero confermati ci troveremmo di fronte non soltanto alla strumentalizzazione di un istituto preziosissimo come le visite ispettive nelle carceri, ma anche a un danno enorme nei confronti di noi radicali. che lottiamo da decenni per garantire lo stato di diritto e la giustizia".
C'è intanto chi coglie l'occasione dell'inchiesta di Palermo per riaprire la discussione sul "carcere duro" e sull'ergastolo ostativo: secondo il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra del M5S il 41bis, "non è assolutamente un regime carcerario duro inteso come disumano. Il regime prevede isolamento nel senso di impossibilità di comunicazione all'interno e all'esterno dell'istituto di pena. Se a infrangere questa regola interviene un assistente parlamentare che accompagna il parlamentare in una visita ispettiva la situazione è molto, molto grave ed impone un ripensamento complessivo non solo sulle proposte avanzate da più e tempo e da più parti di modificare il regime 41bis ma anche di intervenire sul 4bis (ergastolo ostativo ndr)". Insomma, il caso Nicosia potrebbe diventare una scusa per una ulteriore stretta?
di Clemente Pistilli
La Notizia, 5 novembre 2019
Parla Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia: "La sentenza della Consulta non può favorire i clan". Per il senatore 5S il rispetto dei diritti dei detenuti deve essere coniugato con la tutela dei cittadini.
Alla luce dell'arresto di Antonello Nicosia, esponente dei Radicali e collaboratore della deputata Pina Occhionero di Italia Viva, torna a farsi ancor più assillante il sospetto che lo stop all'ergastolo ostativo dato dalla Consulta possa spuntare pericolosamente le armi nella lotta alle mafie.
Difficile infatti non pensare che se già oggi i boss in carcere riescono addirittura a sfruttare il braccio destro di una parlamentare per mandare messaggi all'esterno e proseguire nei loro affari criminali, sia per loro ancor più semplice gestire il potere una volta che avranno la possibilità di godere di permessi premio e altri benefici anche se decidono di non collaborare con la giustizia.
Presidente Nicola Morra, visto anche quanto accaduto in Sicilia, e considerando che ha assicurato come antimafia di essere alla ricerca di una soluzione, cosa intende fare esattamente?
Le anticipo che in queste ore, al massimo domani (oggi per chi legge ndr), contatterò i capigruppo della maggioranza e poi, se ci sarà accordo come mi auguro, coinvolgerò anche gli altri in antimafia e non solo, per ragionare della possibilità di avanzare come Parlamento, in maniera compatta e unanime, la proposta di un articolato di legge che dia risposta al problema sollevato dalla Consulta, tenendo conto che noi abbiamo il dovere-diritto di impedire che i sodalizi mafiosi possano usare la teoria dei diritti umani, ineccepibile, a loro esclusivo vantaggio.
Dobbiamo avere la capacità di coniugare il rispetto dei diritti della persona, anche se detenuta, con quello dei diritti della comunità e dei cittadini tutti, che debbono avere dallo Stato tutela e non semplicemente promesse. Giacché il mafioso, come ricordava Tommaso Buscetta, è tale fino alla morte, a meno che non decida di collaborare, lo Stato ha la necessità di ricordarci queste parole per tornare sulle premiale, i benefici che la legge Gozzini riconosce dal 1986 a tutti i detenuti purché rispettino il codice di buona condotta.
La collaborazione viene intesa come il passaggio dal fronte mafioso a quello dello Stato democratico e di diritto e occorre tenere conto di tutti questi aspetti per elaborare un articolato di legge rispettoso della carta costituzionale ma anche dei diritti della comunità. Mi lasci anche aggiungere che proprio per quanto appreso questa mattina è auspicabile che tutti i parlamentari che effettuano visite negli istituti di pena controllino con molta attenzione chi gli sta intorno, perché voglio sperare e augurarmi che vi sia stata solo inconsapevolezza da parte della deputata in questione.
Sull'accaduto farete degli approfondimenti?
Se ne ragionerà nel prossimo ufficio di presidenza. Non è certa l'audizione dei soggetti coinvolti, ma di certo rifletteremo e se necessario procederemo a esaminare il materiale della Dda di Palermo e audiremo quantomeno la deputata.
Ritiene dunque possibile una soluzione al problema dell'ergastolo ostativo?
La dobbiamo trovare. Stiamo già lavorando con esperti di diritto penale e consulenti della commissione antimafia al fine di evitare uno scenario che sarebbe solo e soltanto devastante, perché delle premiali potranno avvalersi tanti soggetti e soggetti con un passato mafioso assai importante.
Non si poteva intervenire prima della sentenza della Consulta?
Certo che si sarebbe potuto intervenire. Le forze di governo hanno deciso di non farlo, volendo rispettare la Consulta, che al suo interno è risultata divisa. Forse c'era anche la speranza di una determinazione di altro tipo. Ora però occorre pensare al presente e al futuro, non al passato.
di Luca Tescaroli
Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2019
La vicenda giudiziaria che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 4bis comma 1 dell'Ordinamento penitenziario (con conseguente possibilità anche per i mafiosi ergastolani di fruire di permessi premio), a seguito della sentenza Cedu che ha ritenuto detta disposizione incompatibile con l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani, pur nell'imprescindibile rispetto delle decisioni assunte, impone alcune riflessioni sulle ricadute al contrasto alla criminalità organizzata in modo da poterla colpire nei suoi aspetti vitali. Il mafioso ha avuto una certezza antica, sino alla sentenza della corte di Cassazione de130 gennaio 1992, che ha reso definitive le condanne inflitte in esito al primo maxi-processo palermitano, e all'inizio della stagione repressiva caratterizzata da numerose collaborazioni con la giustizia, iniziata dopo le stragi di Capaci e di via Mariano d'Amelio.
Il carcere bisogna farlo, senza lamentarsene e con dignità. Il carcere è provvisorio. Il mafioso non era abituato e non subiva condanne all'ergastolo. E, dunque, un dato obiettivo che la possibilità di uscire dal carcere per il mafioso rappresenta una flessione dell'azione di contrasto. La condanna all'ergastolo rappresenta un mezzo per tentare di recidere i legami criminali tra il detenuto e il territorio di riferimento e, al contempo, un incentivo alle collaborazioni con la giustizia, che rappresentano la sola prova di un autentico percorso rieducativo del sodale.
Il mafioso può recidere i propri legami con l'organizzazione solo in un altro modo, con la morte. Rammento che, intorno al 2000, quando ancora lavoravo alla Procura della Repubblica di Caltanissetta, esponenti della commissione provinciale di Palermo, come Pietro Aglieri, Carlo Greco e altri tentarono di avviare un dialogo con le istituzioni, manifestando la disponibilità a dissociarsi, a fronte della concessione di benefici penitenziari, fra i quali i permessi premio. Fu una contromisura per arginare il profluvio di collaborazioni che stava scompaginando Cosa Nostra.
Quell'operazione fu giustamente respinta. Occorre chiedersi quale significato assume per un cittadino vedere il mafioso condannato all'ergastolo che ritorna nel suo paese o nella sua abitazione, dopo essere stato condannato all'ergastolo e aver espiato 7,5 anni di detenzione (si può essere ammessi dopo dieci anni decurtabili di un quarto con l'applicazione della liberazione anticipata), per fruire di un permesso premio, ove ha sempre esercitato l'attività di organizzazione e direzione del sodalizio a lui facente capo e il proprio potere criminale, attraverso periodiche intimidazioni ai danni di imprenditori, commercianti, onesti lavoratori, e assassini di rivali o di uomini, donne e bambini inermi?
La fruizione del permesso premio consente ai consociati e, soprattutto, alle vittime di percepire un messaggio rafforzativo del potere di quel mafioso che lo vedono e un senso di smarrimento per chi è stato vittima di sopruso. Il mafioso viene lasciato libero di dialogare senza che venga disposto alcun controllo o presenza di appartenenti delle forze dell'ordine per evitare contatti con sodali o terze persone, il detenuto potrebbe impartire ordini o far giungere messaggi ad altri sodali o soggetti collegati, anche per il tramite di familiari conviventi.
Se poi il permesso fosse accordato con la fruizione del servizio di scorta per essere trasportato ove ha esercitato il suo incontrastato potere mafioso, il cittadino è indotto a ritenere che il mafioso agisca con la palese patente da parte dello Stato, che gli mette a disposizione i propri mezzi.
Credo che sia giunto il momento di avviare una riflessione culturale sul significato della giurisdizione e degli strumenti repressivi, che abbandoni l'angusto limite del solo principio di rieducazione della pena, senza mai considerare la valenza retributiva-punitiva che la stessa deve avere, nella prospettiva di valutare globalmente tutti i valori di rango costituzionali che ruotano attorno alla specificità del contrasto al crimine mafioso con la possibilità di usufruire di benefici, bilanciando le garanzie del reo, con le contrapposte preminenti esigenze di tutela, riconducibili alla salvaguardia delle garanzie collettive e individuali delle vittime e della collettività che dia centralità al problema della criminalità mafiosa, che compromette i diritti inviolabili dell'uomo come singolo e come collettività, nei diritti alla vita, di iniziativa economica, di proprietà e di libertà personale.
E in questa prospettiva perché accordare al mafioso la liberazione anticipata, che offre la possibilità di detrarre 45 giorni per ogni singolo semestre di pena espiata, sulla mera base della partecipazione all'opera di rieducazione, quando lo stesso mantiene sempre una condotta carceraria ineccepibile?
agensir.it, 5 novembre 2019
Dichiarazione del Portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, Stefano Anastasìa: "La Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà condivide le preoccupazioni espresse da più parti, nei giorni scorsi, per gli effetti che il progetto di riordino delle carriere delle forze di polizia potrà avere sui delicati equilibri del sistema penitenziario e dei singoli istituti di pena.
Nessuna preclusione al riconoscimento della legittima progressione di carriera dei dirigenti di polizia penitenziaria, ma lo schema di decreto legislativo all'attenzione delle Camere prefigura una separazione sempre più netta tra il personale di polizia e il restante personale dell'Amministrazione penitenziaria. In particolare, ne sarebbero svilite le funzioni dei direttori di garanzia dei limiti e dei fini costituzionali della privazione della libertà in carcere e di coordinamento delle diverse aree operative interne agli istituti.
Ai direttori sarebbe preclusa la valutazione professionale e disciplinare degli appartenenti al Corpo e sottratta la stessa valutazione di ultima istanza nell'uso delle armi prevista dall'articolo 41 dell'ordinamento penitenziario. Facciamo appello a Parlamento e Governo perché lo schema di decreto legislativo sia modificato in questi punti essenziali prima della sua definitiva adozione".
di Claudio Cerasa
Il Foglio, 5 novembre 2019
Cosa indica l'arresto di Nicosia, mafioso e finto attivista pro detenuti. L'arresto di Antonello Nicosia, sedicente alfiere dei diritti dei detenuti ora accusato di associazione mafiosa, oltre che l'esito di un'eccellente operazione investigativa segnala un problema proprio nelle fila del movimento garantista. Naturalmente non si può chiedere a chi si batte per un principio di selezionare aderenti e collaboratori con gli strumenti di un'indagine giudiziaria.
Tuttavia proprio chi condivide l'appello garantista deve rendersi conto che è possibile che si verifichino episodi di infiltrazione di soggetti animati, invece, dalla volontà di favorire delinquenti con i quali intrattengono rapporti occulti. Anche nelle esternazioni pubbliche di Nicosia si potevano notare eccessi inaccettabili, come la demonizzazione del maxi processo, che non è emersa dalle intercettazioni, ma era apertamente rivendicata nel corso di una trasmissione televisiva.
La parlamentare di cui Nicosia era portavoce, Giuseppina Occhionero, è stata ingannata dal suo curriculum, la radicale Rita Bernardini lo considerava un fanatico. È naturale che non abbiano sospettato il suo doppio gioco, ma la vicenda deve indurre chi ha rapporti con le carceri per nobili ragioni a vigilare. Naturalmente le battaglie garantiste non sono offuscate da una vicenda torbida come quella di Nicosia, ma sicuramente ora c'è un nuovo argomento propagandistico per i manettari. Sul piano politico questo è l'esito immediato di una vicenda che, naturalmente, sarà chiarita solo nel dibattimento in tribunale.
Distinguere sempre e con la massima nettezza tra la difesa dei diritti dei detenuti e il diritto dello stato a condannare i colpevoli, che poi deve trattare con umanità secondo il dettato costituzionale, ma senza dimenticare che sono stati giudicati e debbono scontare la pena inflitta: questa è la condizione elementare per rendere credibile la battaglia garantista, già tanto difficile.
Le infiltrazioni mafiose sono sempre possibili, se ne sono riscontrate anche tra magistrati, poliziotti e esponenti politici, proprio per questo chi conduce battaglie difficili sul delicato problema carcerario, deve esercitare il massimo della vigilanza. Per non averne un danno politico.
di Giorgio Iusti
La Notizia, 5 novembre 2019
Il capo politico Di Maio e il capogruppo Perilli: subito una soluzione. Per il ministro degli Esteri la lotta è contro "degli animali" che hanno ucciso e sciolto bambini nell'acido.
Sulla stessa lunghezza d'onda di Morra, per quanto riguarda una soluzione utile a evitare che i boss mafiosi finiscano per avere un'arma in più nella sentenza contro l'ergastolo ostativo, ci sono da giorni anche il ministro e capo politico pentastellato Luigi Di Maio e il capogruppo al Senato del Movimento 5 Stelle, Gianluca Perilli.
"I boss mafiosi che non collaborano con la giustizia non possono avere permessi premio e benefici - ha specificato Perilli - il M5s su questo è categorico. Stiamo già lavorando per arrivare in tempi rapidi a un nuovo testo di legge. Lo strumento fortemente voluto da Giovanni Falcone va rimodulato, ma è impossibile a nostro giudizio farne a meno perché rappresenta un o dei pilastri della legislazione antimafia".
Duro dopo la sentenza della Corte Costituzionale lo stesso Di Maio: "Rispetto la sentenza, ma il Movimento 5 stelle non è d'accordo e faremo il possibile affinché quelli che erano in carcere con regime di ergastolo ostativo ci rimangano finché non si prendono altri mafiosi". Ancora: "Si dice che quel regime violi alcuni diritti fondamentali della persona, ma quelle non sono persone, sono animali che hanno ucciso e sciolto nell'acido bambini".
Ora, dopo le rassicurazioni, come evidenziato dal presidente della commissione parlamentare antimafia, servono però i fatti. E se il Movimento 5 Stelle vuole realmente evitare che i boss irriducibili tornino facilmente in libertà e portino avanti le loro trame criminali dovranno fare in fretta a varare una nuova norma.
- Carcere, brava Gabanelli peccato la scivolata sulla Corte europea
- Per l'assistenza legale gratuita una rete di 500 avvocati ed enti
- Il carisma di Pignatone e Di Matteo che si abbatte sulla giustizia già indebolita
- Mauro Palma insignito della laura honoris causa in Giurisprudenza
- Un ulteriore giro di vite nelle carceri. Nuova catena di comando