di Pasquale Colarieti
erottonove.it, 1 giugno 2019
Intesa sottoscritta tra Comune, Icatt e cooperativa Amanuel per attività di formazione e di inclusione sociale dei detenuti. Comune di Eboli, Istituto a Custodia Attenuata per il Trattamento delle Tossicodipendenze (Icatt) e Cooperativa Amanuel hanno sottoscritto un protocollo d'intesa che punta alla cooperazione in materia di interventi di inclusione sociale ed occupazionale. L'obiettivo è la creazione di un percorso di rieducazione dei detenuti, con la prospettiva di raggiungere l'indipendenza lavorativa e professionale anche grazie alle competenze apprese nel loro percorso formativo. L'intesa è stata sottoscritta alla presenza del capogruppo consiliare Filomena Rosamilia e del presidente di commissione Cosimo Naponiello.
"Il Comune di Eboli si impegna a promuovere le attività e le produzioni che nascono nell'Istituto in un'ottica istruttiva e formativa e mirata alla promozione della cittadinanza attiva -, illustra il sindaco, Massimo Cariello -. Un progetto di inclusione importante, per il quale ringrazio la direttrice dell'Icatt, Concetta Felaco, ed il presidente della cooperativa Amanuel, Antonio Vecchio".
La cooperativa Amanuel si occuperà di progettare ed implementare percorsi formativi per l'avviamento dei detenuti al lavoro, anche nel settore della manutenzione delle aree verdi del territorio. "Il progetto offrirà strumenti utili a contrastare disagio sociale e degrado ambientale - spiega Filomena Rosamilia, consigliera comunale delegata - perché il recupero sociale può coesistere con le esigenze strutturali ed organiche di una città moderna".
Tra le attività contemplate rientrano interventi di bonifica, manutenzione, ripristino ed adeguamento di giardini, parchi, sentieri, viali, spiagge e le aree verdi di proprietà del Comune, le aree urbane di interesse storico, gli edifici pubblici e le loro pertinenze.
agenpress.it, 1 giugno 2019
In una lettera indirizzata a Gnewsonline, il quotidiano d'informazione del Ministero della Giustizia, Irene Iannucci, direttore della Casa circondariale di Tolmezzo, replica a un articolo uscito nei giorni scorsi sul quotidiano "Il dubbio" nei giorni scorsi dal titolo "Tolmezzo, per un'ora sotto gli idranti e lasciato una notte nella cella allagata"
Con riferimento all'articolo "Tolmezzo, per un'ora sotto gli idranti e lasciato una notte nella cella allagata", pubblicato il 28 maggio scorso a pagina 9 del quotidiano "Il Dubbio", è doveroso e necessario da parte mia rappresentare quanto segue.
In primo luogo, "il cittadino straniero" protagonista dell'episodio richiamato nel pezzo è Saber Hmidi, detenuto per reati di terrorismo internazionale, appartenente al gruppo islamico Ansar Al Sharia, collegato all'Isis e sottoposto da 2 anni e mezzo al regime detentivo di cui all'art. 14 bis per i gravi e reiterati comportamenti posti in essere in vari istituti italiani, dove ha gravemente e seriamente danneggiato sia le camere detentive sia i sistemi tecnici e tecnologici, tanto da essere periodicamente trasferito per evidenti difficoltà nella sua gestione.
Per temporanea assegnazione del Dap, il soggetto è giunto in data 1.12.2018 alla Casa circondariale di Tolmezzo e fin da subito ha posto in essere gravi comportamenti disciplinarmente e penalmente rilevanti, per i quali è stato sanzionato e deferito alla Procura della Repubblica e per i quali si è reso necessario prorogare il suddetto regime speciale.
Passati i primi giorni e fino alla fine di aprile scorso il detenuto ha mantenuto una condotta relativamente regolare, non incorrendo in alcun comportamento disciplinarmente rilevante: per questo sono state autorizzate delle "aperture" nei suoi confronti, anche in considerazione del periodo di Ramadan, al fine di consentirgli la regolare fruizione del mese di culto. Tuttavia già sul finire di aprile egli riproponeva atteggiamenti disciplinarmente e penalmente rilevanti per i quali veniva nuovamente sanzionato e denunciato all'AG. Atteggiamenti che si sono ripetuti con cadenza quasi quotidiana e che, la sera del 19 maggio scorso, hanno raggiunto livelli particolarmente gravi e pericolosi per la sicurezza dell'Istituto.
Nel dettaglio: a seguito della mancata autorizzazione a passare ad altro detenuto il fornelletto (che gli era stato autorizzato esclusivamente nel mese del Ramadan e soltanto per il tempo strettamente necessario alla cena), Hmidi ha iniziato con inaudita violenza a sbattere contro il muro la porta blindata della propria camera, per circa mezz'ora, senza sosta. Tale comportamento gli consentiva di danneggiare la serratura del blindato, staccare il pesantissimo spioncino e usarlo come ariete sulla serratura del cancello, danneggiandola seriamente. Nel contempo iniziava a utilizzare il fornello per scaldare qualcosa di non meglio definito, ma che si ritiene improbabile, visto il ripetuto disordine creato, che avesse a che fare col cibo.
In tale situazione non può non apparire evidente - almeno a chi guardi con occhio privo di preconcetti e a chi conosca la quotidianità del carcere - il grave rischio per l'ordine e la sicurezza, oltre che per la incolumità di tutti i presenti, anche perché una eventuale uscita del detenuto dalla camera avrebbe potuto determinare conseguenze altamente pericolose. Altrettanto pericolosa avrebbe potuto risultare l'eventuale manomissione della serratura e l'impossibilità di apertura della camera nel caso si fosse reso necessario intervenire urgentemente, in quanto dall'interno iniziava a provenire un forte odore di gas.
Pertanto, ottenute le necessarie autorizzazioni e messo in sicurezza l'ambiente operativo, il personale dopo essersi dotato dei dispositivi di protezione è ricorso all'utilizzo dell'idrante. Dalla visione delle telecamere si evince chiaramente che, diversamente da quanto rappresentato nell'articolo, nel tempo intercorrente tra l'inizio (ore 20:15) e la fine dell'intervento degli agenti (ore 21:45), l'idrante è stato utilizzato soltanto ad intervalli, ciascuno della durata di qualche minuto, per un totale di circa 15 minuti non continuativi. L'intervento si concludeva con la consegna da parte del detenuto di tutti gli oggetti contundenti e pericolosi nella sua disponibilità e soltanto quando si ha avuta la certezza che non vi sarebbero stati ulteriori pericoli.
Considerate la violenza reiterata e continuativa del soggetto e la sua pericolosità, non si è potuto procedere all'apertura immediata della camera, la cui serratura era comunque danneggiata; né allo spostamento in altra camera, poiché non vi erano le condizioni minime di sicurezza e neppure un numero adeguato di agenti in servizio per affrontare una nuova emergenza, considerata anche l'imprevedibilità del soggetto.
Così si decideva di consegnare al detenuto una maglietta, una maglia pesante e una coperta. La mattina successiva il soggetto veniva momentaneamente spostato in altra stanza, così da consentire al personale della Mof di risistemare la serratura e lo spioncino della camera di pernottamento. Successivamente questi faceva rientro nella propria stanza, dalla quale non ha comunque voluto spostarsi, nonostante gli fosse stato più volte proposto.
Tutto ciò considerato, non posso non evidenziare come sia quanto meno semplicistico minimizzare i comportamenti del detenuto, quasi a renderli insignificanti, come riportato nell'articolo.
Inoltre, se il giornalista avesse interpellato la Direzione dell'istituto per cercare spiegazioni ufficiali su quanto gli era stato riportato, avrebbe saputo che tutti gli interventi effettuati dal personale, così come le immagini raccolte dalle telecamere, sono stati opportunamente relazionati e prontamente inviati alla Procura della Repubblica competente. Così come avrebbe saputo che lo stesso è stato fatto per l'altro episodio di cui si parla nell'articolo, accaduto nel mese di gennaio e relativo ad altro detenuto.
Mi piacerebbe far capire che delegittimare con ricostruzioni incomplete e superficiali l'operato di una istituzione penitenziaria può risultare estremamente pericoloso, soprattutto a fronte delle criticità e difficoltà che ogni giorno, con spirito di abnegazione e senso del dovere, il personale deve affrontare. E specialmente quando, nonostante le circostanze rischiose, devono essere (e lo sono state) garantite tanto la sicurezza, quanto l'incolumità di tutti, personale e detenuti.
Irene Iannucci, direttore della Casa circondariale di Tolmezzo
retesei.com, 1 giugno 2019
Dinanzi al Gup del Tribunale di Frosinone, Antonello Bracaglia Morante, ha avuto inizio il processo a carico di Daniele Cestra, accusato di una serie di omicidi commessi all'interno del Carcere di Frosinone, dove Cestra si trovava detenuto, tra il 2015 ed il 2016. In particolare secondo l'impianto accusatorio l'imputato, difeso dall'avvocato penalista Angelo Palmieri, si proponeva come "piantone", ossia come una sorta di badante, a vantaggio di alcuni detenuti, ritenuti non autosufficienti e bisognevoli di aiuto.
Ottenuto l'incarico ed il trasferimento nella cella dei predetti detenuti non autosufficienti, il Cestra portava a compimento il suo folle piano omicidiario, soffocando i malcapitati, i quali venivano trovati morti nelle proprie brande. In alcuni casi il Cestra simulava addirittura il suicidio mediante impiccagione dei suoi compagni di cella. Tali "coincidenze" non sono però passate inosservate, tanto che la Procura di Frosinone, con il Sostituto Procuratore Misiti, apriva un fascicolo a carico del predetto accusato di plurimi omicidi aggravati.
Veniva disposta anche la riesumazione delle salme il cui esame autoptico veniva affidato alla Dott.ssa Daniela Lucidi la quale confermava, all'esito dell'elaborato peritale, la morte per soffocamento delle persone rinvenute decedute nella cella che dividevano con il Cestra. Tra queste anche il sessantenne B.P., di origini irpine ma da anni trasferitosi in Puglia. B.P. dopo aver trascorso un periodo di detenzione nel carcere di Avellino era stato trasferito nella Casa Circondariale di Frosinone. Quivi iniziava ad avere gravi problemi di salute, in particolare alla vista, divenendo quasi ceco.
Per tale ragione gli veniva affidato come compagno di cella proprio il Cestra Daniele. La mattina del 24 Marzo 2015 B.P. veniva trovato, in stato di incoscienza, con un lenzuolo stretto al collo legato ad una estremità alla grata della finestra. Immediati i soccorsi ed il ricovero presso l'ospedale di Frosinone ove B.P., entrato in stato di coma, moriva in data 15 Giugno 2015. Anche per lui la perizia della dott.ssa Lucidi ha confermato la morte come conseguenza del subito soffocamento, escludendo il suicidio mediante impiccagione.
Questa mattina il difensore degli eredi di B.P., l'Avvocato Rolando Iorio, nel corso dell'udienza preliminare tenutasi dinanzi al Gup del Tribunale di Frosinone, Dott. Bracaglia Morante, ha chiesto ed ottenuto per i suoi assistiti la citazione in giudizio quale responsabile civile del Ministero della Giustizia e dell'Amministrazione Penitenziaria, ritenuti corresponsabili di quanto accaduto.
Ciò consentirà ai parenti delle vittime, in caso di condanna del Cestra, quanto meno di ricevere un risarcimento economico da parte dello Stato. L'udienza è stata quindi rinviata al prossimo 13 Settembre 2019 allorquando il Ministero della Giustizia, attraverso l'Avvocatura dello Stato, siederà in aula di fianco all'imputato. Soddisfazione è stata manifestata da parte dell'avvocato dei parenti delle vittime, il penalista Rolando Iorio, il quale ha evidenziato come tali richieste di citazione in giudizio del responsabile civile non sempre vengono accolte
di Ferdinando Bocchetti
Il Mattino, 1 giugno 2019
"Pestato brutalmente in carcere dagli agenti della Polizia penitenziaria". A riferirlo la madre di un detenuto, G.L., residente a Marano e recluso da qualche tempo in un carcere calabrese. L'uomo, secondo quanto riferito dai suoi familiari ai carabinieri di Marano, presso la cui caserma è stata sporta formale denuncia, sarebbe stato minacciato da un compagno di cella, che lo avrebbe invitato ad aggredire una guardia penitenziaria. Al suo rifiuto, il detenuto sarebbe stato aggredito alle spalle dall'altro recluso che avrebbe tentato di soffocarlo. Le guardie penitenziarie sarebbero intervenute, riuscendo ad evitare il peggio.
G.L., portato in isolamento, sarebbe stato successivamente aggredito da alcuni agenti che indossavano - secondo quanto riportato nella denuncia - "guanti imbottiti al cui interno vi era qualche oggetto pesante". La madre del detenuto - che aveva ricevuta una telefonata dal figlio che l'avvertiva dell'accaduto - si è recata ieri presso il carcere calabrese. I familiari di G.L. hanno sporto denuncia ai carabinieri di Marano, sua città di residenza, e scritto ai giudici del tribunale di sorveglianza. "Abbiamo paura per la sua incolumità - dicono i familiari di G.L. - ci ha raccontato di avere persino paura di scendere in cortile".
gazzettadilivorno.it, 1 giugno 2019
A siglarlo Cgil, Casa circondariale e Garante. Tra i servizi previsti la consulenza sui diritti assistenziali e la formazione sul diritto del lavoro. Consulenza sui diritti assistenziali e previdenziali, assistenza fiscale e tributaria, formazione sul diritto del lavoro: questi i servizi a beneficio dei detenuti previsti dal protocollo d'intesa sottoscritto dalla Casa circondariale di Livorno, dalla Cgil provincia di Livorno e dal Garante per i diritti dei detenuti.
Il documento è stato sottoscritto alla Casa circondariale Le Sughere dal direttore Carlo Alberto Mazzerbo, da Nicola Triolo (segretario organizzativo Cgil provincia di Livorno) e Giovanni De Peppo (garante per i diritti dei detenuti del Comune di Livorno). Presente al momento della firma anche Stefano Turbati, dipendente della Casa circondariale.
"Le parti - si legge nel testo - si impegnano a programmare congiuntamente incontri di informazione e formazione sul diritto del lavoro, attività di consulenza e patrocinio del patronato Inca a tutela dei diritti assistenziali e previdenziali dei detenuti, attività di assistenza fiscale e tributaria a cura del Caaf Cgil e altre attività di consulenza a cura del sistema servizi Cgil e delle singole categorie".
L'obiettivo condiviso è quello di offrire ai detenuti maggiori opportunità di conoscenza e tutela dei propri diritti in ambito lavorativo, assistenziale e previdenziale. Le attività saranno allestite alla casa circondariale di Livorno e alla sezione distaccata di Gorgona. L'intesa sarà rinnovabile di anno in anno a seguito di verifica e valutazione degli obiettivi raggiunti. Le parti esprimono soddisfazione per l'accordo raggiunto: "Un altro passo in avanti per rendere meno distante il mondo del carcere dal territorio. È inoltre sempre più importante che i detenuti siano consapevoli dei loro diritti".
di Davide Cerbone
Il Mattino, 1 giugno 2019
Dopo tante sconfitte, una vittoria. Scampia, quartiere-ghetto a Nord di Napoli elevato suo malgrado a paradigma di tutte le Gomorra possibili, in un pomeriggio di maggio finalmente esulta. Lo fa con i suoi figli più giovani: i calciatori dell'under 18 dell'Oratorio Don Guanella, che sabato scorso hanno conquistato il titolo regionale.
Figli di una Napoli minore, sgarrupata e maltrattata: quella della povertà e dell'illegalità, in cui il disagio ambientale si intreccia con quello familiare. A dispetto di questa partenza ad handicap, i piccoli uomini di Scampia, correndo più forte di tutti, quel marchio d'infamia, almeno sul campo, l'hanno cancellato. E hanno scoperto che quella frase un po' ad effetto letta nel Vangelo della domenica può diventare realtà. Che gli "ultimi", come ripete da vent'anni il loro prete-presidente don Aniello Manganiello, qualche volta possono davvero diventare i primi.
Così, sui loro volti di giovani adulti, spunta un sorriso. Lo stesso che don Aniello ha sciolto nelle lacrime. Per una volta, è il confessore a confessare: "Non mi vergogno a dire che mi sono commosso, come i miei collaboratori, con i quali nel 1994 abbiamo fondato la squadra".
Fu lui, ormai vent'anni fa, a difendere dall'arroganza dei camorristi il polveroso rettangolo sul quale, intorno a un pallone, era nata una scommessa: far migrare i ragazzi dagli stradoni anonimi epicentro dello spaccio in quel campo ricavato sotto un ponte che, come un confine, divide la città da un purgatorio chiamato Scampia. "Alcuni delinquenti si erano allacciati abusivamente al nostro contatore dell'acqua, mi arrivavano bollette da 4 milioni di lire. Li denunciai e vennero a minacciarmi", ricorda don Aniello. All'ombra del ponte del Don Guanella si ritrovano oltre 250 tra bambini e ragazzi dai 5 anni in su.
"Abbiamo 13 squadre, compresa la prima, che gioca in Promozione. Chiediamo una quota minima: 11 euro al mese. Chi non può permettersi neanche quella, si iscrive gratis", risponde il presidente con il clergyman, che è viceparroco a Ferentino ma non hai mai reciso il suo legame con Scampia. E racconta con passione di una piccola, grande impresa che ha scelto come sponsor due icone della fede e dell'identità: Gesù e le Vele, entrambi portati sulle magliette con fierezza.
"Sulle divise dell'under 18 e della prima squadra c'è l'immagine di un bambino che gioca a calcio sullo sfondo di una Vela, mentre su quelle dei più piccoli è stampato il titolo del libro di don Aniello, le cui vendite finanziano l'attività sportiva: "Gesù è più forte della camorra". Ma ci sono anche aziende e privati che ci aiutano ad andare avanti", riferisce Gennaro Granato, direttore della Scuola calcio, prima di sgranare un rosario di amarezza e misericordia.
"In ogni squadra abbiamo almeno due o tre giocatori che hanno i papà in carcere, quasi tutti per traffico e spaccio di stupefacenti. Ma tanti di questi padri carcerati ci chiedono di insegnare delle regole ai loro figli. E nel Don Guanella, col permesso del giudice, giocano anche ragazzi agli arresti domiciliari. Noi ci mettiamo il nostro, ma il pezzo più grande lo deve fare la famiglia", sottolinea Granato.
"C'era un ragazzo che sin da piccolo aveva commesso degli errori: ha pagato il suo conto con la legge ed è stato in affidamento qui. Ora è uno dei nostri allenatori ed ha aperto una pizzeria". "Sono le vittorie più belle", commenta don Aniello, spiegando che la chiave sta in una regola semplice: "Dobbiamo fare le cose che piacciono ai ragazzi, per insegnare loro il rispetto delle regole e degli avversari, la legalità, soprattutto l'autocontrollo e l'importanza dello studio, della cultura, dell'impegno".
Il risultato è un trionfo dell'inclusione: dai calci del Don Guanella, infatti, non passa soltanto la lotta alla sottocultura criminale, ma anche quella al razzismo. "Con l'under 18 si allena dall'inizio della stagione un immigrato africano arrivato con uno dei tanti barconi della speranza. Anche se per motivi burocratici non ha potuto firmare il tesserino, è diventato parte del gruppo".
Nella squadra campione regionale, allenata da Raffaele Giannoccoli, non mancano le promesse: "Ciro Capasso - dice Granato - è attaccante nella Spal under 16 e Edoardo Colonna, attaccante di 15 anni, gioca con la Paganese, mentre alcuni under 18 hanno già esordito nella nostra prima squadra: il portiere Umberto Campanile, 17 anni, Antonio Spina, attaccante, Danilo Giuditta, difensore e il terzino Michele Arianiello, che a 18 anni è al secondo campionato di Promozione. Il nostro obiettivo è farli diventare uomini onesti e liberi. Se poi diventano anche calciatori, ben venga".
di Francesco Rigatelli
La Stampa, 1 giugno 2019
Voto in controtendenza rispetto alla decisione del governo per polizia e carabinieri. Il Consiglio comunale dice no al taser per i vigili urbani. L'ordine del giorno approvato a larga maggioranza giovedì a Milano chiede alla giunta Sala di "non dotare il corpo di polizia locale con impulsi elettrici".
Secondo Milano progressista, il gruppo che ha proposto l'idea i taser sono "particolarmente pericolosi, specie nei confronti dei soggetti più vulnerabili, e lesivi dei diritti fondamentali della persona". Sempre nel documento si legge che l'utilizzo della pistola elettrica "distrarrebbe la polizia locale dai compiti che le sono propri e senza l'assolvimento dei quali la vivibilità delle città risulterebbe fortemente compromessa".
Durante la votazione erano presenti in aula 27 consiglieri ed il testo è stato approvato con 22 voti positivi, contrari solo Lega e Forza Italia, mentre il M5s si è astenuto. Nel documento viene stigmatizzato l'utilizzo del taser per la polizia locale, mentre dal 2018 questo strumento viene adottato in via sperimentale da carabinieri e polizia di stato ed entro l'estate farà parte della loro normale dotazione. Va aggiunto che la giunta non ha mai provato a introdurre il taser per la polizia locale, mentre sta sperimentando l'uso dello spray al peperoncino.
Sulla vicenda è poi intervenuto anche il ministro dell'Interno Salvini: "Nella fase sperimentale il taser ha dato ottimi risultati e nessuna controindicazione. Spiace questa mancanza di fiducia e di tutela nei confronti della polizia municipale: è un regalo a criminali e sbandati. E non capisco l'astensione del Movimento 5 Stelle, che pure ha contribuito ad approvare il decreto sicurezza. Il centrosinistra pensa di fare un torto al sottoscritto, ma danneggia Milano".
di Gianfranco Salvatori
Il Piacenza, 1 giugno 2019
Il pm dovrà riformulare il capo di imputazione per l'ex comandante delle Novate e per un ispettore. Prosciolto, invece, un terzo agente della penitenziaria. I tre erano accusati di lesioni nei confronti di un detenuto per violenza sessuale, poi espulso. È stata respinta la richiesta di archiviazione per due dei tre poliziotti della polizia penitenziaria accusati di aver malmenato un detenuto marocchino che, nel 2016, aveva denunciato di aver subito violenza da parte del personale della casa circondariale piacentina.
Il pm Emilio Pisante - che aveva chiesto l'archiviazione per tutti e tre - avrà una decina di giorni per riformulare il capo di imputazione. I tre erano stati indagati con l'ipotesi di lesioni aggravate. Il giudice per l'udienza preliminare, Luca Milani, ha rigettato due delle tre richieste del pm Pisante. E così si aprono ora le porte del giudizio per l'ex comandante della polizia penitenziaria, difeso dall'avvocato Fabio Giarda (Foro di Milano) e un ispettore, assistito dall'avvocato Mauro Pontini. L'altro agente era difeso dall'avvocato Carlo Bordi.
L'avvocato del marocchino Rachid Assarag (oggi in Marocco dopo essere stato espulso perché ritenuto vicino ad ambienti del radicalismo islamico), Fabio Anselmo (Foro di Ferrara) aveva sostenuto che a dimostrare il pestaggio in cella c'erano le immagini delle telecamere di videosorveglianza. Inoltre, per la difesa l'espulsione era avvenuto perché l'uomo aveva finito di scontare la pena.
I difensori dei poliziotti, al contrario, avevano negato il fatto perché quel detenuto - trasferito 13 volte in varie carceri a causa del suo carattere non facile - non era del tutto "trasparente". Pontini, nella scorsa udienza aveva ricordato come l'immigrato fosse fuggito contromano in auto dalla polizia che lo inseguiva, avesse provocato un incidente e minacciato i poliziotti con un rasoio. Senza contare che l'immigrato stava scontando una pena di 9 anni e 4 mesi per violenza sessuale nei confronti di due ragazze, nel 2008.
Inoltre, secondo i difensori, gli agenti sarebbero intervenuti - tutt'al più con percosse - per evitare danni più gravi al personale e allo stesso detenuto. Assarag, nel 2014, aveva denunciato alcuni agenti del carcere di Parma, ma nel 2016 il gip aveva archiviato le loro posizioni. Assarag, sposato con una donna italiana, aveva denunciato alcuni poliziotti del carcere di Parma, dopo aver registrato alcune loro frasi, grazie a un registratore nascosto e poi consegnato alla moglie.
lametino.it, 1 giugno 2019
"Il reinserimento sociale e lavorativo passa anche dall'acquisizione di nuove abilità: anche imparare a preparare i cocktail può essere una strada". Così Angela Paravati, direttrice del carcere di Catanzaro, ha commentato l'evento conclusivo del corso per barman, svoltosi oggi nell'istituto.
L'attività di formazione è stata organizzata dall'associazione Universo Minori, presieduta dall'avvocato Rita Tulelli, che da tempo collabora con l'istituto con iniziative trattamentali e culturali, coinvolgendo molti reclusi con ottimi risultati.
L'iniziativa nello specifico è stata rivolta ai detenuti del circuito media sicurezza. Luigi Mellace ha insegnato a circa 30 detenuti ricette per cocktail e tanti segreti per l'attività di barman. Sono stati consegnati gli attestati di frequenza, spendibili sul mercato del lavoro, soprattutto in considerazione del fatto che il settore ricettivo e di ristorazione è quello in cui è più facile trovare occupazione in una regione a vocazione turistica come la Calabria.
"Le attività scolastiche e di formazione professionale svolte all'interno di un istituto di pena - ha detto ancora la direttrice Angela Paravati - non possono prescindere dal contesto territoriale in cui quell'istituto è inserito, perché il carcere, se inteso come servizio sociale, deve mirare soprattutto a prevenire la recidiva".
"Le persone detenute - ha proseguito - devono tornare nella società libera con competenze diverse da quelle possedute al momento dell'ingresso in carcere, in modo che sia più facile per loro svolgere un'attività onesta, e avere un'alternativa.
La delinquenza è spesso legata alla mancanza di opportunità lavorative: creare un circolo virtuoso secondo cui la pena non è solo afflittiva, ma è anche una forma di rinnovamento interiore, vuol dire dare la possibilità in carcere di studiare e di imparare un lavoro. Possibilmente deve essere un lavoro di cui ci sia richiesta, in modo tale che queste persone, una volta uscite, possano avere un reddito onesto e ricominciare"
di Fulvio Bufi
Corriere della Sera, 1 giugno 2019
Scompare la Fulgor. Il campione olimpico di boxe: "Tristezza infinita". Lo sport napoletano ha alcuni posti che ne hanno fatto la storia. Il San Paolo lo conoscono tutti, e molti ricordano che ai tempi di Diego Armando Maradona in certe partite l'esultanza del pubblico faceva alterare i diagrammi dei sismografi. Oggi non più, ma almeno lo stadio è lì e la speranza del terzo scudetto si rinnova a ogni stagione.
Altri luoghi simbolo, invece, hanno fatto una brutta fine: la Sala d'Armi del Collana, dove sono cresciute generazioni di schermidori olimpionici, non esiste più, e solo l'impegno personale del pluri-medagliato Sandro Cuomo consente di mantenere vivo il nome di una scuola tra le più importanti non solo d'Italia. L'ippodromo di Agnano continua a riproporre ogni anno il Gran Premio Lotteria, ma ormai è un appuntamento per pochi intimi, e magari mancasse soltanto la mondanità d'un tempo: sono i grandi nomi dell'ippica che non ci sono più. La Capri-Napoli è una nuotata che non raduna più nessuno sul lungomare ad aspettare l'arrivo degli immancabili vincitori egiziani, e dello stadio Albricci che vide i trionfi rugbistici della Partenope di Elio Fusco, i più giovani non sanno nemmeno l'esistenza.
Cinquant'anni di storia - Restava forse un solo posto dove ancora ci si poteva illudere che il tempo dello sport non fosse passato. Dove il rumore dei pugni sul sacco, gli impulsi sonori del timer segnatempo, il sibilo cadenzato della corda che ruota nell'aria, erano rimasti uguali da sempre. E soprattutto erano rimasti: c'erano ogni giorno. Da oggi non ci sono più. La Fulgor, la palestra dove maestri di boxe e di lealtà come Geppino Silvestri e Antonio D'Alessandro hanno insegnato a tirare a Patrizio Oliva e Ciro De Leva e Salvatore Bottiglieri è costretta a smantellare.
La sede di via Goethe, a due passi da piazza Municipio, dove la società era approdata dopo aver lasciato gli antichi locali di via Roma, abbassa la saracinesca. Il titolare, Gennaro Carbonara, rimasto da solo a tenere in piedi l'attività dopo che gli altri soci hanno via via gettato la spugna, vuole a tutti i costi ricominciare altrove, trovare altri spazi dove rimontare sacchi e ring, e non buttare all'aria cinquant'anni di storia. Magari ci riuscirà, ma comunque la Fulgor non sarà più la palestra del centro di Napoli, quella dove i bambini dei Quartieri spagnoli potevano andare a fare sport senza dover pagare, e imparare che i pugni si tirano solo su un quadrato, e mai per strada.
I conti - Ne sono passati tantissimi per quella palestra. E si sono innamorati del pugilato o degli altri sport da combattimento che qui sono arrivati quando ancora nessuno li conosceva, come la muay thai, portata dal maestro Decio Pasqua. Ci è tornato Patrizio Oliva ad allenare ("È una tristezza infinita sapere che quella palestra non ci sarà più", dice ora), e ci sono passati anche attori di serie girate a Napoli, venuti con gli stunt coordinator per imparare movimenti da eseguire poi sul set. Ma niente è bastato per tenere in piedi una struttura dove il fitness, quello delle schede pettorali-glutei-addominali, rappresentava l'unica e obbligata fonte di guadagno per poter allenare gratuitamente gli agonisti della boxe e per pagare il mutuo concesso dal Credito Sportivo per l'acquisto dei locali, e gli stipendi ai tecnici.
Ma a trenta metri esatti dalla Fulgor da quattro anni c'è una palestra di quelle appartenenti a una catena internazionale. È ospitata al primo piano di un albergo tra i più centrali di Napoli, e ci si può iscrivere pagando 20 euro al mese. Tutti quelli che andavano a via Goethe solo per tenersi in forma si sono spostati rapidamente e alla Fulgor i conti non sono più tornati. "Noi facciamo tutto in regola", dice Carbonara. "L'ho segnalato a tutti: vigili urbani, Vigili del fuoco, Comune, Asl, ma nessuno ha mai mosso un dito. È soltanto per questo che siamo costretti ad andarcene".
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