di Alberto Gentili
Il Messaggero, 15 giugno 2019
Pronta una bozza che Bonafede discuterà la prossima settimana con la Bongiorno. Contro il correntismo, l'elezione di una "rosa" di nomi tra cui estrarre i consiglieri.
Dopo l'aut aut di Sergio Mattarella, il Guardasigilli Alfonso Bonafede si muove. Per provare a restituire credibilità, autorevolezza e indipendenza al Csm, il ministro della Giustizia ha cominciato in queste ore a elaborare una bozza di riforma del Consiglio superiore della magistratura che, in settimana prossima, confronterà con il ministro della Lega Giulia Bongiorno, noto avvocato penalista.
In questa traccia di lavoro ci sono le "pagelle" per i giudici, rose ristrette per l'elezione nell'organo di autogoverno e qualche colpo al sistema delle correnti. Bonafede, secondo fonti del dicastero di via Arenula, "sta elaborando una serie di idee per attuare quel giro di vite, necessario soprattutto dopo l'emergere dei dettagli dello scandalo che sta investendo il Csm". E la priorità "è garantire un riconoscimento più oggettivo della meritocrazia dei magistrati, con criteri che risultino del tutto oggettivi".
Tant'è, che gli uffici del ministero hanno elaborato in queste ore una proposta in tal senso, con l'obiettivo di "rimediare a due evidenti criticità". La prima: "La dilagante prassi di generale standardizzazione delle valutazioni professionali dei magistrati, che ha generato un sistema appiattito di avanzamento automatico indifferenziato di tutti".
La seconda criticità: "L'eccesso di discrezionalità nel conferimento degli incarichi direttivi, che le circolari vigenti non sono riuscite a limitare adeguatamente". In particolare, ai fini della scelta dei dirigenti, la proposta allo studio di Bonafede prevede "la quantificazione esatta di punteggi da assegnare ad ogni esperienza lavorativa, all'anzianità, ai risultati oggettivamente ottenuti - come ad esempio lo smaltimento dell'arretrato - la capacità di rendimento, la corretta gestione delle attività di ufficio, secondo precisi indicatori comuni ben tarati sulle singole realtà". A questi criteri potrebbero essere aggiunte, anche recuperando soluzioni già emerse, le eventuali valutazioni - motivate e dettagliate - espresse da parte del Consiglio dell'Ordine. E, di contro, in negativo, dovrebbero trovare spazio eventuali condanne disciplinari o segnalazioni riscontrate e validate, provenienti dai whistleblower".
Vale a dire: i testimoni di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso che decidono di segnalarlo al Csm. In questo modo, secondo i tecnici di via Arenula, "ogni magistrato verrà "pesato" oggettivamente con un sistema di calcolo capace di mettere assieme tutte le informazioni e restituire un dato univoco".
A quel punto, per esempio, il Csm potrebbe esprimere appieno la propria alta discrezionalità scegliendo fra i primi tre candidati col punteggio più alto. Stessa procedura potrebbe applicarsi per la conferma nell'incarico, verificandosi ad esempio l'attuazione reale e concreta del progetto presentato dal candidato all'atto della nomina a giudice togato. Ma c'è di più. Tra le ipotesi allo studio da parte del Guardasigilli c'è anche un depotenziamento del ruolo delle correnti. Questo dovrebbe avvenire attraverso il superamento del collegio unico nazionale, passando a collegi più ristretti e territoriali.
Attualmente, ad esempio, un magistrato siciliano vota un collega e candidato friulano in base all'appartenenza a una corrente. Con i collegi ristretti e territoriali il voto avverrebbe invece sulla base di una conoscenza diretta del candidato. In più, Bonafede studia il meccanismo del sorteggio per eleggere i membri togati del Csm. E questo sorteggio dovrebbe avvenire attraverso l'individuazione e il voto sulla base di un elenco di magistrati con particolari requisiti, poi ristretti attraverso l'elezione a una rosa più ristretta. I nomi presenti in questa rosa sarebbero infine sottoposti a sorteggio.
Il meccanismo non è sgradito alla Bongiorno: "Ciò che è importante per la Lega è individuare un sistema che impedisca scambi opachi. Perciò vanno bene i collegi territoriali per l'elezione dei giudici che poi verrebbero sorteggiati.
Oppure, si può valutare la creazione di un elenco nazionale di eletti in ragione di determinati requisiti. E far scattare il sorteggio su questo elenco". La prima scelta del ministro leghista sarebbe però una riforma costituzionale "per una revisione complessiva del Csm". Ma essendo "una riforma maxi è necessario un accordo complessivo con i 5Stelle". Cosa non facile.
di Salvatore Merlo
Il Foglio, 15 giugno 2019
I comportamenti arcinoti, i guai di Mattarella e l'asse Bonafede-Davigo. "Sa cos'è che trovo insopportabile? Trovo insopportabile questo festival dell'ipocrisia", dice Roberto Castelli, ministro della Giustizia dal 2001 al 2006, e passato alle cronache probabilmente come il ministro più odiato di sempre dai giudici. "Trovo indisponente questo collettivo cadere dalle nubi, come direbbe Checco Zalone. Ma qualcuno la vuole dire la verità?
Ciò che emerge adesso dal Csm, il degrado, gli scambi, le spartizioni, il mercato, è un sistema codificato che tutti, intendo tutti, e ripeto tutti, conoscono perfettamente. Si fa così da decenni". E perché allora le cose non cambiano? Marcello Maddalena, l'ex procuratore della Repubblica di Torino, un galantuomo, ieri sul Foglio ha detto che sulla politica ricade la colpa principale di una debolezza supina e di una rassegnazione codarda nei confronti della magistratura: il sistema elettorale del Csm favorisce il correntismo esasperato, e nessuno in Parlamento, in politica, interviene. Tutt'al più si urla in televisione, e si fanno proposte senza senso, pirotecniche, come l'idea bislacca di sottoporre i magistrati a un test psico-attitudinale.
"Per intervenire sulla giustizia devi avere un governo potentissimo", dice Castelli. "E anche solidissimo. Sia al suo interno, nel rapporto con gli alleati. Sia nel rapporto con l'opinione pubblica. E un governo con queste caratteristiche in Italia non c'è mai stato negli ultimi 25 anni. Forse ce l'avrà Salvini, la prossima volta... speriamo".
Intanto il Csm sempre più sporcato dalle rivelazioni dell'inchiesta di Perugia, resiste. Sergio Mattarella non ha i poteri per scioglierlo, ha probabilmente tentato di spingere i componenti - tutti - alle dimissioni, ma si è dovuto arrendere di fronte a due resistenze: quella dei togati che non vogliono mollare e quella della maggioranza di governo, che è risultata incapace di garantire in tempi rapidissimi una riforma del sistema elettorale. Far votare infatti i magistrati con l'attuale sistema riproporrebbe esattamente lo stesso meccanismo malato di cui adesso tutti discutono. Si sarebbe punto e a capo.
"Ci vuole un antidoto e lo stiamo preparando", racconta allora Andrea Ostellari, il presidente leghista della commissione Giustizia del Senato. "Il tempo per fare una buona riforma del sistema elettorale del Csm c'è", dice. "Dipende dalla volontà. Magari non in un mese, ma in un tempo congruo sì", aggiunge. Lasciando forse intuire, a un ascoltatore che fosse particolarmente malizioso, come le resistenze non siano certo nella Lega, ma tra i Cinque stelle. "Il percorso lo ha delineato con estrema correttezza il presidente Mattarella".
Anche il sottosegretario leghista alla Giustizia, Jacopo Morrone, fa un esercizio di prudenza: "Ci stiamo confrontando in queste ore. Non è detto che il sistema elettorale che verrà scelto alla fine preveda il sorteggio", specifica, facendo riferimento alle ipotesi attribuite al ministro Alfonso Bonafede. E insomma i leghisti di governo sono felpati, e misurati.
"La verità?", ride l'ex ministro Castelli. "La verità è che sulla giustizia non si può fare nulla perché il ministro Bonafede è allineato con le posizioni più estremiste dei più estremisti e conservatori tra i magistrati". Si riferisce probabilmente alla convergenza, almeno ideale, tra i grillini e la componente dei togati guidata da Piercamillo Davigo, che per effetto delle dimissioni dei tre togati di Mi coinvolti nello scandalo diventa imprevedibilmente la forza di maggioranza dentro al Csm.
"A noi non interessa parteggiare per una corrente o per l'altra", dice Ostellari. "Noi adesso abbiamo il dovere di trovare una soluzione che restituisca legittimità e decoro al Csm". L'unico modo è che il Consiglio si sciolga. Ma per sciogliersi i consiglieri dovrebbero dimettersi tutti. E non vogliono. Approvare rapidamente un sistema di voto equivale a spingerli alle dimissioni, rendendo questo Csm già delegittimato ancora più anacronistico. La Lega è pronta, pare. Manca l'altro lato della luna. "Non ci conterei troppo", conclude Castelli.
di Andrea Malaguti
La Stampa, 15 giugno 2019
Scandalo Csm, parla il ministro Bonafede: Quirinale impeccabile, basta con il potere delle correnti. Toghe sporche. La sintesi giornalistica resta appiccicata al corpo sempre più fragile del Consiglio Superiore della Magistratura come un marchio d'infamia e mette a rischio la credibilità del potere forse più delicato dello Stato. Un potere, per citare le parole di Giulia Bongiorno, "molto simile a quello di Dio".
Sul banco degli imputati questa volta ci sono i giudici che giudicano i giudici. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, rispondendo a La Stampa dalla sua casa di Firenze, evita accuratamente di entrare nel merito dello scandalo ma racconta senza reticenze quello che secondo lui deve cambiare, e in fretta, nei rapporti malati tra le toghe e la politica.
Ministro Bonafede, è necessario sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura?
"Guardi, io non entro nel merito di decisioni che non mi competono, ma come ministro della Giustizia ho due compiti: quello di iniziare le azioni disciplinari (cosa che ho fatto nei confronti di alcuni consiglieri) e quello di avviare un pacchetto di norme che impediscano il ripetersi di fatti come quelli emersi. La penso esattamente come il presidente della Repubblica: è necessario cambiare le regole per voltare pagina".
Un filo vago...
"Lo dico più chiaramente: dobbiamo alzare un muro che tenga distante la politica dalla magistratura".
Come si fa?
"Per esempio riducendo il potere delle correnti e stabilendo un principio: i magistrati che entrano in politica non possono tornare indietro. Inoltre il nuovo progetto si deve fondare sul merito".
Le pagelle per i magistrati?
"Quelle in qualche modo ci sono già. I magistrati sono soggetti a valutazioni di vario tipo. Dobbiamo cercare di rendere i parametri assolutamente oggettivi. L'importante è che il cambiamento non avvenga sulla base di un'onda emotiva, ma con un'attenta riflessione in Parlamento".
Come spiegherebbe a uno studente di giurisprudenza il meccanismo di nomina dei capi delle
procure?
"Gli direi che a capo delle procure vanno i magistrati migliori. E che con la riforma in arrivo blinderemo la meritocrazia. Aggiungerei che i nostri magistrati sono tra i migliori al mondo, perché non hanno solo passione, ma anche grande coraggio".
Le piace esagerare?
"Al contrario. Fotografo l'esistente. I capi delle procure sono tutti di altissimo livello. Ma non ci sono dubbi che il correntismo provochi delle degenerazioni".
I privati cittadini lo sanno che i magistrati sono così bravi?
"Io sono convinto di sì. Il loro lavoro - enorme - è sotto gli occhi di tutti. Chiaramente bisogna rispondere con determinazione a chi sbaglia in questo ruolo così delicato".
Cito Giuseppe Cascini, leader di magistratura democratica: "La debolezza delle correnti favorisce la formazione di aggregazioni occulte, che hanno come unico obiettivo la gestione del potere"...
"Qui non è in discussione il diritto costituzionale di associarsi, ci mancherebbe altro. Qui si tratta di aprire gli occhi. Nel momento in cui una corrente smette di sviluppare la propria prospettiva giuridica per sostituirla col puro esercizio del potere allora bisogna intervenire. Se la magistratura vuole rilanciare la propria immagine deve riconoscere che il problema esiste. Ricordiamoci che la credibilità della giustizia è la credibilità dello Stato. Se. come è avvenuto nelle ultime elezioni, per quattro ruoli in posti apicali ci sono solo quattro candidati di quattro correnti diverse è ovvio che qualcosa non va".
Ancora Cascini: "Toghe sporche mi fa pensare alla P2"...
"A me non piace commentare frasi come questa né alimentare polemiche. Siamo di fronte a un fatto grave che va affrontato con serietà, proteggendo la credibilità della giustizia". Provo a chiederglielo diversamente: quanto è forte l'influenza della politica nelle nomine della procure? "Diciamo che ci sono dei campanelli d'allarme sui tentativi da parte di alcuni politici di incidere sulle nomine. Per questo il sistema deve reagire in maniera compatta".
Parafrasando Davigo, troverebbe sbagliato dire che non esistono magistrati onesti, esistono solo magistrati che non sono stati intercettati?
"Non lo troverei soltanto sbagliato. Lo troverei offensivo. Mi perdoni, ma questo è un piano sul quale non voglio proprio scendere".
E la sua legge spazza-corrotti che ha rafforzato le intercettazioni...
"Certo. E lo rivendico. Le vicende di queste ore stanno dimostrando l'importanza di un sistema che in passato era stato indebolito. Le intercettazioni sono uno strumento di indagine fondamentale".
È giusto utilizzare il trojan - vale a dire una sorta di microspia inserita negli smartphone che funziona anche a telefono spento - per reati diversi da mafia e terrorismo?
"Sì. Anche se è uno strumento che va usato con cautela e tenendo presenti le esigenze della privacy".
Fa molto polizia segreta della Germania est...
"È una fesseria".
Non è una fesseria notare che ogni singola parola finisce sui giornali prima dei processi...
"Questo è un discorso diverso. I giornalisti fanno il loro mestiere e il diritto di cronaca è sacrosanto. Da parte nostra dobbiamo trovare un modo per rendere tracciabili i file con le intercettazioni per capire chi li usa e in che modo".
Luca Lotti...
"La fermo. Non parlo delle indagini in corso".
Ha l'impressione che il Quirinale sia sotto attacco?
"No".
Ministro, perché la sua riforma della giustizia si è arenata?
"Non si è arenata affatto. La prossima settimana ricominceremo gli incontri di governo. Nei mesi passati i nostri colleghi di governo non si sono presentati. Lo dico senza polemica. Di recente sono stato io a decidere di sottrarre il dibattito sulla riforma al vortice della campagna elettorale".
Salvini vi ha messo con le spalle al muro?
"Questo è un argomento che piace molto alla stampa ma non corrisponde alla realtà. Abbiamo fatto molte cose importanti assieme e nove su dieci dei provvedimenti più importanti di questo anno di governo sono a firma del Movimento 5 Stelle. A partire dall'anticorruzione".
La sua collega Giulia Bongiorno dice che "il potere di un magistrato è uguale a quello di un sacerdote o persino a quello di Dio e deve essere accompagnato da grande responsabilità". I giudici-dio sono fuori controllo?
"Le ho già detto quello che penso della qualità dei magistrati. E riserverei le questioni religiose ad altro. Però mi fa piacere il richiamo alla questione morale".
Traduco: la questione morale nel governo è colpa della Lega...
"Traduce male. Io dico solo che sono d'accordo sulla centralità del tema e sulla necessità di averlo come stella polare".
di Marco Cremonesi
Corriere della Sera, 15 giugno 2019
Il ministro della Pubblica amministrazione, tra i consiglieri giuridici più ascoltati da Salvini: "Termini perentori per le indagini. E divieto assoluto di pubblicazione di ciò che attiene alla vita privata delle persone". Per il Csm sorteggio su base territoriale. "Le intercettazioni? Sono soltanto uno dei punti delle riforma della giustizia che a questo governo è richiesta". Giulia Bongiorno è sì il ministro per la Pubblica amministrazione. Ma è anche uno dei consiglieri giuridici più ascoltati da Matteo Salvini sin da quando ha aderito alla Lega, quasi un ministro ombra.
La riforma - Mercoledì il Guardasigilli Alfonso Bonafede presenterà la riforma della giustizia agli alleati. Ma su questo tema ci sono state forti tensioni e il nuovo confronto rischia di essere cruciale per il futuro del governo. "Preciso che io e nessun altro ha visto le carte e letto il provvedimento del ministro - spiega Bongiorno. Ma se lei mi chiede, certamente da parte nostra sono maturate alcune convinzione rispetto a ciò che è necessario alla Giustizia italiana e noi ci presenteremo all'appuntamento con spirito costruttivo. E guardi che non si tratta soltanto di giustizia. Il punto è che il buon funzionamento di quella è anche un importante fattore di competitività: dobbiamo evitare che gli imprenditori e gli investitori stranieri scappino dall'Italia a gambe levate per la lunghezza dei procedimenti".
Le intercettazioni - E quindi, stretta severa alle intercettazioni? "Con il decreto sicurezza bis - spiega il ministro - si sono differiti alcuni punti della riforma Orlando, che presentava numerosissime criticità. Detto questo, dobbiamo evitare le intercettazioni a strascico", quelle che coinvolgono persone diverse da quelle inizialmente indagate o addirittura vengono disposte in assenza di legami diretti con il caso d'indagine. "Inoltre, occorre evitare la pubblicazione dei verbali nelle fasi precoci del procedimento. Infine, noi crediamo nel divieto assoluto di pubblicazione di ciò che attiene alla vita privata delle persone". Ancora più chiara: "Non basta più dire: non pubblicate. È necessaria anche una sanzione per la pubblicazione delle cosiddette "intercettazioni gossip"".
La durata dei processi - Altro grande tema, su cui già non sono mancate le polemiche con i 5 stelle, è la durata dei processi. Premesso che il ministro è "contrarissima a levare pezzi di processo e quelli che ci sono devono restare, un punto fondamentale è riuscire ad evitare i tempi morti del processo". La chiave del problema storico della giustizia italiana è "dare un limite perentorio a tutte le fasi del processo, ma in particolare alle indagini preliminari. I sei mesi oggi sono prorogati e poi riprorogati. Ci sono indagini preliminari che durano anni anche per la mancanza del tempo per chiuderle". Bongiorno non vuole dire lei quanto debba essere lungo il termine perentorio: "Ma se è un anno, deve essere un anno". Inoltre, "in caso di ritardi del tutto ingiustificati da parte dei magistrati, dovremmo introdurre importanti conseguenze processuali e anche disciplinari. Per dire: se una sentenza non viene mai depositata, io non posso mai impugnarla". Per questo, "dato che stiamo parlando di vera paralisi, io credo si potrebbero introdurre dei manager con un principio semplice: ai giudici la giurisdizione, ai manager l'amministrazione. Se ne parla da tempo, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di introdurli".
Il Consiglio superiore della magistratura - Tema finale, ma non certo ultimo, la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Secondo Giulia Bongiorno, i fatti recenti "rischiano di avere un effetto deflagrante sulla giustizia, chi è indagato non riesce più ad accettare di essere indagato. Nella nostra società che assolve e condanna sono solo i sacerdoti e i magistrati e dunque questi ultimi devono avere un'immagine sacerdotale". Sulla riforma del Csm per il ministro ci sono due strade: "La separazione del consiglio in due con la separazione delle carriere, oppure un intervento più rapido che riguardi solo la nomina dei componenti. Io sarei favorevole all'iter costituzionale ma, appunto, la situazione richiede anche incisività di azione".
E dunque, l'idea è quella che Giulia Bongiorno chiama "sorteggio mediato". In che cosa consiste? "Prima si individua un elenco di persone che hanno i requisiti per fare i consiglieri. E sulla base di quello, pur consapevoli di alcune controindicazioni, si fa un sorteggio". Ma gli elenchi da cui pescare gli eletti dovrebbero avere una base territoriale: "Penso alla creazione di piccoli collegi sui territori. Un'area indica alcuni nomi, è tra quelli si fa il sorteggio". L'obiettivo è una grande discontinuità con l'attuale sistema: "Oggi le nomine vengono fatte dalle correnti della magistratura. E questo non va bene".
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 15 giugno 2019
Era in imminente pericolo di vita al regime duro del carcere di Terni, per questo subito ricoverato d'urgenza all'ospedale, sempre in regime di 41 bis. I familiari sono riusciti ad ottenere un permesso speciale dal tribunale di Marsala per poterlo andare a trovare un'ora al giorno. Ma non hanno fatto in tempo a vederlo vivo. Dopo una nota del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, infatti, il tribunale ha fatto dietrofront, ripristinando il colloquio di un'ora al mese. Parliamo di Rosario Allegra, uno dei cognati del super latitante Matteo Messina Denaro - arrestato ad aprile dell'anno scorso - e ristretto al 41 bis, in custodia cautelare, dal 5 maggio scorso.
Il detenuto, come detto, versava - così scrivono i medici - "in gravissime condizioni di salute irreversibile" e così il suo avvocato aveva presentato, il giorno dopo il ricovero, avvenuto il 23 maggio, istanza di revoca della misura o di autorizzazione almeno ad una visita - ulteriore rispetto a quella prevista per il mese successivo a norma di legge -, affinché incontrasse la moglie e i figli. Il motivo della richiesta era l'imminente pericolo di vita. Il Tribunale di Marsala ha rigettato la richiesta di revoca della misura ma, visto che nel frattempo il detenuto iniziava a versare in condizioni terminali e si trovava in ospedale in stato praticamente di incoscienza, ha autorizzato la moglie e i due figli al colloquio di un'ora al giorno per vederlo in via straordinaria. Nell'occasione il Tribunale ha osservato che, se è vero che i detenuti in 41 bis possono usufruire di un solo colloquio al mese, è vera anche la previsione che, in caso di eccezionali circostanze, sia consentito di prolungare la durata del colloquio per i congiunti e conviventi. Pertanto, ritenendo la veridicità del pericolo di vita, evidenziato dalle risultanze degli atti medici prodotti dalla difesa, il Tribunale di Marsala, in un'articolata e motivata ordinanza completa di richiami normativi all'ipotesi della eccezionalità, ha applicato la norma che consente il prolungamento dei colloqui almeno fino al mutamento dell'eccezionale urgenza e dell'imminente pericolo di vita. Per questo, il Tribunale ha autorizzato i colloqui supplementari giornalieri ai figli e alla moglie nel luogo di degenza. Questo è accaduto il 6 giugno scorso, dietro istanza del difensore. Lo stesso giorno il Dap scrive però una nota al Tribunale di Marsala e lo invita a rivisitare il provvedimento, segnalando che il ministro aveva già autorizzato un colloquio visivo "viste le gravi condizioni di salute, in cui versava".
Il tribunale di Marsala il 7 giugno ha recepito la nota e "melius re perpensa" ha revocato l'ordinanza del precedente 6 giugno, nella parte in cui aveva autorizzato per un'ora al giorno i colloqui con la moglie e i figli. Il tutto accade dietro la deduzione di un'attesa valutazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sulla effettiva ricorrenza dell'ipotesi dell'imminente pericolo di vita. Ciò, anche se il paziente era in effetti "in imminente pericolo di vita", come si evinceva dalle carte mediche, ed anche se necessitava di "supporto per tutte le funzionalità" secondo il bollettino clinico del 2 giugno dell'Azienda Ospedaliera di Terni - in possesso anche dell'Amministrazione del carcere.
In soldoni, nel giro di poche ore il tribunale ha revocato l'autorizzazione, prima concessa ai congiunti prossimi, di vedere un'ora al giorno il detenuto. Giovedì mattina, Rosario Allegraè morto e, almeno fino al pomeriggio i suoi figli - incensurati - non hanno potuto vederlo. Tutto questo - con tanto di documentazione - lo denuncia a Il Dubbio l'avvocato Michele Capano, componente del Comitato di Radicali Italiani.
"A parte la chiara e vergognosa sudditanza del potere giudiziario a quello esecutivo che il carteggio prova - spiega Capano - è una questione che testimonia del degrado nella magistratura ben più che le vicende di Palamara & company: la prova di disumanità di una Repubblica che - dopo non avere consentito gli estremi conforti al moribondo - ha anche "trattenuto" la salma, evidentemente per non meglio precisate operazioni da compiere".
Continua l'attivista dei Radicali Italiani: "In questa maniera impediscono anche che i familiari si raccolgano nel pianto vicino al cadavere: sono punti di non ritorno nell'imbarbarimento del sistema detentivo". E conclude: "Così viene meno ogni credibilità istituzionale nella lotta alla mafia e si guadagna consenso alla mafia".
di Eleonora Martini
Il Manifesto, 15 giugno 2019
Il perito Francesco Introna rettifica se stesso e ammette. Se Stefano Cucchi non fosse stato
pestato fino a spezzargli la schiena, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, mentre era trattenuto dai carabinieri che lo arrestarono, "verosimilmente" non sarebbe morto. A riferirlo ai giudici della Prima Corte d'Assise, nell'udienza del processo bis che si è tenuta ieri in via straordinaria nell'aula bunker del carcere di Rebibbia, non è un testimone di parte civile ma il prof. Francesco Introna, coordinatore del collegio di periti nominati nel 2016 dal Gip Elvira Tamburelli che eseguirono a quel tempo l'incidente probatorio necessario a stabilire le cause esatte di morte del geometra romano deceduto una settimana dopo il suo arresto nel reparto protetto dell'ospedale Sandro Pertini.
Proprio quel Francesco Introna alla cui nomina inizialmente si era opposta la stessa famiglia Cucchi e il loro avvocato Fabio Anselmo perché lo consideravano "molto vicino a Ignazio La Russa e a Cristina Cattaneo, il medico legale che firmò la prima perizia d'ufficio sul corpo di Stefano in cui non c'erano tracce delle vertebre fratturate di recente".
Ieri però il capo dei periti, medico legale al Politecnico di Bari, incalzato dalle domande del presidente della Corte, il giudice Vincenzo Capozza, ha ammesso: "Nessuno può avere certezze, però se Stefano Cucchi non avesse avuto la frattura della vertebra S4 non sarebbe stato ospedalizzato; era immobile nel letto e non riusciva più a muoversi per problemi connessi alla frattura. Cucchi non avrebbe avuto la vescica atonica, probabilmente avrebbe avuto lo stimolo alla diuresi e verosimilmente la morte o non sarebbe occorsa o sarebbe sopraggiunta in un momento diverso".
Introna, così come gli altri esperti del collegio peritale sentiti ieri in udienza (Cosma Andreula, Vincenzo D'Angelo e Franco Dammacco), hanno di fatto rivisto quanto affermarono nel 2016 in fase di indagine preliminare, prendendo atto evidentemente del bagaglio di evidenze emerse durante il dibattimento e alla luce dell'inchiesta integrativa sui depistaggi aperta dal pm Giovanni Musarò. Anche se il capo del periti, rispondendo alle domande della difesa di uno dei cinque carabinieri imputati, ha ammesso di aver dato in passato una diversa interpretazione, peraltro già più volte confutata durante il processo bis, che presupponeva una condizione di deperimento fisico di Stefano prima di essere arrestato, non si sa bene se dovuta al suo passato da tossicodipendente, alla sua magrezza strutturale o all'epilessia di cui soffriva. Condizioni che, secondo l'accusa e la famiglia della vittima, nulla hanno a che vedere con la morte di un giovane di 32 anni che fino al giorno del suo arresto si era allenato in palestra e che ambiva a praticare costantemente la boxe. "Cucchi è morto per una concatenazione di diverse cause, non abbiamo mai detto che l'epilessia fosse l'unica causa della morte", hanno precisato ieri i periti che stranamente dimenticano, tra le "concause della morte", la frattura della vertebra L3 avvenuta contestualmente alla frattura della S4, evidentemente considerando poco influente le conseguenze psico-fisiche di un trauma di questo genere sulla vittima.
Di fatto però il processo ha subito ieri l'ennesima accelerazione verso quella "verità processuale" che la famiglia Cucchi auspica e attende da tempo. "Ci sono voluti dieci anni, sono invecchiata in queste aule di tribunale - ha commentato infatti Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, a fine udienza - e finalmente oggi per la prima volta sento un perito affermare che se Stefano non fosse stato vittima di quel pestaggio che gli ha causato quelle lesioni, non sarebbe mai finito in ospedale e quindi non sarebbe mai morto". "Ora - ha aggiunto l'avvocato Fabio Anselmo - nessuno potrà dire che Stefano Cucchi è morto per colpa propria".
Nella prossima udienza, il 26 giugno, saranno sentiti i periti di parte. Nel frattempo, il 17 e il 18 giugno si terranno le udienze preliminari davanti al Gup per decidere sul rinvio a giudizio chiesto dalla procura di Roma per otto carabinieri (il generale Alessandro Casarsa, i colonnelli Lorenzo Sabatino e Francesco Cavallo, il maggiore Luciano Soligo, il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, il capitano Tiziano Testarmata e i militari Luca De Cianni e Francesco Di Sano) accusati a vario titolo di aver depistato e insabbiato la verità per quasi dieci anni.
barlettanews.it, 15 giugno 2019
Il certificato di collaudo tecnico-amministrativo relativo al nuovo padiglione dell'istituto penitenziario di Trani verrà rilasciato presumibilmente entro il mese di luglio 2019. È quanto si apprende dal funzionario responsabile del Provveditorato interregionale opere pubbliche presso il Ministero delle Infrastrutture e trasporti in risposta alla richiesta formulata nel mese di aprile dal sen. Dario Damiani (Forza Italia). In data 12 aprile scorso, infatti, il senatore Damiani aveva effettuato un sopralluogo nella nuova ala del carcere tranese, un padiglione da 200 posti ultimato ma ancora inagibile per ritardi nel rilascio della documentazione tecnica.
L'indicazione del mese di luglio prossimo fa quindi ben sperare in una soluzione rapida della grave problematica, che comporta per i detenuti e per gli agenti penitenziari in servizio una seria compromissione dei propri diritti essenziali.
"A breve finalmente l'opera già ultimata potrà entrare nella piena disponibilità dell'ente penitenziario. Anche a seguito del mio interessamento, sono state attivate le opportune verifiche che consentiranno, a luglio, di rendere la struttura fruibile - commenta con soddisfazione il sen. Damiani - Continuerò a seguire la vicenda, affinché non resti un'ulteriore opera incompiuta.
È inaccettabile che i detenuti continuino a subire condizioni di sovraffollamento e di emergenza igienico-sanitaria nella vecchia struttura ormai fatiscente e che gli agenti siano costretti a svolgere il proprio lavoro con aggravio di mansioni e carenza di sicurezza".
salto.bz, 15 giugno 2019
Il presidente della Provincia Kompatscher incontra la nuova direttrice Francesca Gioieni. "Massimo impegno della Provincia per il cantiere". La data è un anticipo rispetto al 2021 indicato. L'attuale struttura è in condizioni critiche e quella nuova è per ora solo sulla carta, condizionata dalle incognite che interessano l'azienda vincitrice dell'appalto, Condotte spa, tutt'altro che fugate. Arno Kompatscher assicura però "il massimo impegno della Provincia affinché i lavori del possano iniziare nel 2020, nonostante le ben note difficoltà di carattere economico che stanno colpendo la società".
La Provincia si impegnerà al massimo affinché i lavori del possano iniziare nel 2020, nonostante le ben note difficoltà di carattere economico che stanno colpendo Condotte spa (Arno Kompatscher)
Così interviene il Landeshauptmann a margine dell'incontro con Francesca Gioieni, nuova direttrice della casa circondariale di Bolzano. Originaria della Puglia, da marzo Gioieni ha preso il posto di Rita Nuzzaci che per 16 anni è stata alla guida del carcere altoatesino. La dirigente ha incontrato per la prima volta, nel suo ufficio di Palazzo Widmann, il presidente della Provincia Kompatscher. Insieme si sono soffermati sulle note problematiche che affliggono la struttura di via Dante. Il progetto: i dati sul nuovo carcere di Bolzano nel dossier discusso nella clausura di giunta a maggio a Carezza. Oltre al penitenziario la Condotte spa deve costruire anche il nuovo polo bibliotecario
"Francesca Gioieni - sottolinea il governatore, soddisfatto del colloquio - ha dimostrato grande spirito di iniziativa e si pone come obiettivo quello di avviare una serie di misure e iniziative per migliorare la situazione di chi deve scontare la pena, ma anche di chi opera e lavora all'interno del carcere". Francesca Gioieni si pone l'obiettivo di migliorare la situazione di chi deve scontare la pena, ma anche di chi opera e lavora all'interno del carcere.
Il presidente promette il massimo impegno dell'amministrazione locale affinché si dia avvio al cantiere già nel 2020. In realtà, si tratta di un'anticipazione rispetto alla data segnata sul dossier discusso nella clausura di giunta di inizio maggio. Le tappe previste sono: progetto esecutivo a metà 2020, inizio lavori nella primavera 2021, fine lavori a marzo 2023. Il costo dell'opera, compreso l'acquisto dell'area, è di 63 milioni di euro.
di Giampiero Marras
L'Unione Sarda, 15 giugno 2019
La vita dei detenuti al centro dell'incontro organizzato all'università. Dal racconto in prima persona di Federico Caputo, ex detenuto che è stato anche nella struttura di Alghero, alle parole di Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia. "Mio fratello Giovanni una volta disse: 'Non bisogna mai dimenticare che in ognuno degli assassini c'è un barlume di umanità".
È stata una mattinata intensa anche emotivamente quella dedicata all'editoria carceraria nell'ambito di "Dentro & Fuori", il workshop organizzato dal Polo Universitario Penitenziario dell'Università di Sassari insieme a numerosi partner per fornire un contributo significativo al dibattito in corso su dove va, e dove dovrebbe andare, il sistema carcerario italiano.
"La persona non è solo il suo reato, ma è qualcosa di più complesso" ha detto Federico Caputo, che nel 2014 ha finito di scontare una pena di 14 anni, abbreviata di 4 anni, resa ancora più pesante dalle precarie condizioni fisiche. Ha scritto un libro dal titolo "Sensi ristretti" perché, come ha spiegato: "L'odore indefinibile, l'assenza di colori, il silenzio rumoroso interrotto solo dai cancelli che sbattono. Il sapere interpretare qualsiasi rumore. Tutti i sensi si attivano perché devi sopravvivere in carcere. Sono libero da cinque anni, ma quando chiudo gli occhi l'odore del carcere lo sento ancora".
Giovanni Gelsomino, operatore nella Casa di reclusione di Nuchis, a Tempio, ha sottolineato quanto lo studio possa aiutare una persona che vive rinchiusa da anni, senza la cognizione di come si vive fuori. "La metà dei detenuti di Nuchis frequenta la scuola e molti sono avviati alla laurea. Percentuali da record non solo in Italia, ma credo siano tra le più alte d'Europa. Per dare un'idea di cosa voglia dire stare dentro per anni, quando abbiamo accompagnato un detenuto fuori, è uscito sotto la pioggia ad abbracciare gli alberi", ha detto
di Damiano Tavoliere
Alias - Il Manifesto, 15 giugno 2019
Dal braccio della morte di San Quintino ai detenuti del carcere romano: la compassione di un monaco buddista. "Anche un serial killer riesce a fare meditazione, a contattare livelli di calma profonda e avere un'importante trasformazione interiore, persino superiore a quanto avviene con la psicanalisi. Nello Zen si parla di condizionamenti (mentali, sociali, culturali, familiari, storici...) e afflizioni (ignoranza, paura, rabbia, odio...) che offuscano la nostra vera natura luminosa. Chi non è in grado di gestire le proprie emozioni e l'aggressività connaturata all'uomo, finisce preda delle stesse".
Allora che dire dell'attuale ministro degli Interni che chiude i porti e fa morire la gente in mare? "Una persona che si comporta con tutto quest'odio, tutta questa rabbia, quanto sta male? Quanto dolore ha in sé per rovesciare crudeltà su persone che neppure conosce? Poiché chi sta male scarica la sua sofferenza sugli altri; la meditazione (che è il mio percorso, per altri può essere altro) aiuta le persone a contattare la propria sofferenza e prendersene cura, a guardare ansie paure angosce che guidano la propria esistenza, a riconoscere il proprio ego ipertrofico e le ferite profonde dentro di sé invece di proiettarle sull'altro da sé, in questo caso i migranti. Ma -come per chiunque- tale aiuto va desiderato, non imposto".
L'abbraccio di San Quintino - Dario Doshin Girolami nasce a Roma il 29 settembre 1967 da una famiglia di cineasti: figlio del regista Marino e della costumista Silvana Scandariato, fratello dell'attore Enio (Fellini, Visconti...) e del regista Enzo G. Castellari (adorato da Quentin Tarantino e citato in Bastardi senza gloria). Il suo destino sembrava inciso geneticamente, ma a sei anni il medico curante -nonché insegnante di yoga e meditazione- vede nel bambino vibrazioni speciali, gli trasmette disciplina e testi orientali: un imprinting fatale che diviene nel tempo scelta di vita, studio e pratica, senza nulla togliere al gioco o agli amori e all'infinita attrazione per il mare e i suoi sport. Seguono la laurea e l'opzione monastica, con specifici approfondimenti sulle emozioni che lo conducono al Centro Zen di San Francisco, guidato da Eijun Linda Cutts.
Lì lo Zen intreccia valori essenziali in Occidente: "la democrazia, il femminismo, l'uguaglianza di genere, infatti è la badessa la mia maestra, quella che mi ha trasmesso il Dharma, ossia l'autorizzazione ad insegnare a mia volta, mentre in Oriente c'è separazione uomini/donne e queste sono subordinate". Girolami fa esperienza nel penitenziario di San Quintino coi detenuti condannati a morte ("uno di loro mi disse che ero la prima persona ad averlo abbracciato"), poi a Roma fonda il Centro Zen l'Arco, sposa una fascinosa docente di danza indiana, insegna Taichichuan, tiene seminari e corsi di meditazione all'università e nel carcere di Rebibbia (una sua collaboratrice opera nel settore femminile).
Il famigerato Ashin - La fede buddista è certamente tra le più pacifiche, ma l'inaffidabilità umana fa breccia in tutti gli ambiti e in tutte le epoche, per cui il cronista non può eludere domande sui massacri odierni compiuti esattamente da chi per eccellenza predica la tolleranza: è recente il documentario girato clandestinamente dal regista Barbet Schroeder sul famigerato monaco birmano Ashin Wirathu (Il venerabile W), fautore di una pulizia etnica antimusulmana e di sterminio della minoranza Rohingya, con l'ausilio della giunta militare al potere, il favore pressoché totale del popolo fanatizzato e l'appoggio di San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace nel 1991 (ora in tanti ne chiedono la revoca); non dissimile il nazionalismo religioso nello Sri Lanka contro cristiani e musulmani. Girolami non si scompone, respira profondamente come volesse assorbire il male del mondo e purificarlo, riabbozza un sorriso di misericordia per le debolezze e le ambiguità costitutive nella nostra specie: "Occorre bloccare e ingessare chi fa del male a sé e agli altri, non girare la testa altrove, come sono fermati e ingessati coloro che incontro in carcere.
Personalmente mi ispiro al modello di Gandhi, faccio del mio meglio per attenermi ai precetti filosofico-religiosi, ma se un malvivente non sente ragione chiamo un carabiniere. Ognuno di noi ha lati oscuri di rabbia e paura che -se non contattati e curati- possono portare alla follia hitleriana, al razzismo, al genocidio. Wirathu va contro gli insegnamenti del Buddha, mi vergogno per la sua condotta, la nostra comunità -soprattutto occidentale- condanna a voce alta il clero buddista birmano legato al regime militare.
Dobbiamo illuminare gli angoli bui che ci affliggono dentro: essere buddisti non significa essere santi, siamo umani e i nostri precetti etici e morali devono orientare il nostro cammino, ma proprio perché umani rischiamo sempre di perdere la bussola. Pure il clero zen giapponese è contravvenuto ai nostri principi di etica, saggezza e compassione: nella Seconda guerra mondiale ha sostenuto lo sforzo bellico nazionalista e -mi duole il cuore a dirlo- alcuni monaci hanno imbracciato le armi violando apertamente l'insegnamento del Buddha".
Dario Girolami è persona assai evoluta, il suo Centro Zen è aperto a tutti senza distinzione di "età, genere, orientamento sessuale, etnia, nazionalità...", la scuola giapponese Soto Zen di cui fa parte consente il matrimonio e le badesse nei templi. Fra le sue varie cariche, egli è membro fondatore di Cmc (Consciousness Mindfulness Compassion), coordinatore Ebu (Unione buddista europea), copresidente di RfP (Religions for Peace).
È cosciente di avere potere su chi gli si rivolge in quanto Maestro, come è cosciente della propria fallibilità in quanto essere umano; perciò, sebbene in teoria autosufficiente e indipendente come Maestro col livello iniziatico più alto (a maggio 2019 diviene Abate del Tempio dell'Arco), la sua continua autosorveglianza s'accompagna alla supervisione della sua storica insegnante spirituale e di uno psicologo, "così verifico che il potere non mi dia alla testa deviando dalla rettitudine e dall'umiltà".
Insensatezza e compassione - "L'unica risposta possibile all'insensatezza della realtà nella quale viviamo è la compassione, volerci bene e sostenerci, senza distogliere lo sguardo dalla sofferenza di tutti gli esseri viventi, senzienti e non senzienti, poiché siamo tutti interrelati e interconnessi in una dimensione impermanente: il carcere è un buco nero che nessuno vede, la società lo rimuove, ma lì ci sono umani sofferenti; troppo facile condannarli: che vita han fatto per finire lì?, e noi, la buona società, cosa abbiamo fatto per loro?
Siamo individui unici e irripetibili, ma siamo pure una sola natura in una società definita. Quando entro in carcere so di incontrare dei malfattori, magari degli assassini, ma io li incontro come esseri umani (né m'interessa il reato commesso), mi preme dargli rispetto, affetto, attenzione, è questo che può cambiare la persona, insieme all'investigazione interiore per capire da quali ferite profonde originano il male e le difese di rabbia e odio. In una lettera bellissima un ex detenuto mi ha scritto: tu sei il primo che mi ha fatto sentire di valere qualcosa".
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