Agi, 1 gennaio 2015
C'è attesa per la decisione del Tribunale del Riesame di Catania riunitosi ieri e che ha aggiornato a domani l'udienza, alle 10.30, per pronunciarsi sulla richiesta di scarcerazione di Veronica Panarello. È un mesto capodanno in carcere per la donna accusata dalla procura di Ragusa di avere ucciso il figlio di otto anni, Loris Stival, a Santa Croce Camerina, lo scorso 29 novembre.
di Gabriele Bassani
Il Giorno, 1 gennaio 2015
Intercettazione mal interpretata, ora il collezionista Pasquale De Domenico si prepara a chiedere i danni. Una telefonata intercettata e male interpretata è costata due settimane di carcere e oltre due anni e mezzo di preoccupazioni ad un imprenditore cogliatese, incensurato. La vittima di questa vicenda sconcertante è Pasquale De Domenico, collezionista ed esperto d'arte, finito suo malgrado nell'inchiesta sul maxi furto alla gioielleria Scavia di via Della Spiga a Milano, avvenuto nel febbraio del 2011.
Il 23 maggio del 2012, ironia della sorte o beffa del destino, giorno del suo compleanno, uomini della Polizia bussano alla casa cogliatese di De Domenico, in via Piave, prima dell'alba, con un mandato di arresto. Quello stesso giorno aveva un volo prenotato per tornare nella sua Sicilia, di cui è originario a dare sepoltura alla madre nella tomba di famiglia. Ma da quel momento la sua vita non è stata più la stessa. Gli agenti hanno perquisito le stanze dell'abitazione alla ricerca di "un oggetto a forma di palla" che non trovano, poi prelevano De Domenico e lo conducono in Questura a Milano per le formalità, quindi in carcere a Brescia.
È accusato di avere venduto gioielli "di sicura provenienza delittuosa". Per gli inquirenti sarebbe uno dei ricettatori, in particolare di un oggetto "a forma di palla" di cui De Domenico ha parlato al telefono con uno tra i più noti antiquari di Milano, il cui apparecchio era sotto controllo. Ma l'oggetto della discussione era un vaso Gallè, che De Domenico aveva regolarmente acquistato alla Fiera antiquaria di Parma nel 2011, con tanto di fotografie, descrizione e fattura e che proprio nel maggio del 2012 ha lasciato in conto vendita all'antiquario milanese.
Sarebbe bastato accertare questo, con tutti i documenti alla mano, nel giro di un paio d'ore, per evitare a De Domenico 14 giorni di carcere in una cella piccolissima, a Brescia, con altri 5 detenuti. Invece ci vogliono 2 giorni prima di poter parlare con il Gip, poi altri 10 giorni per incontrare il pubblico ministero a cui spiegare le sue ragioni, evidentemente convincenti, tanto che lo stesso Pm produce subito un'istanza di scarcerazione, che però ha bisogno di altri 2 giorni per essere visionata ed accolta. "Sono stato rilasciato l'8 giugno, un venerdì, alle 17, non ho potuto nemmeno riprendermi i 70 euro che avevo in tasca al momento dell'arresto, perché la cassa del carcere era già chiusa. Mi hanno dato un foglio per poter salire sul treno senza biglietto", racconta De Domenico.
Ma per potersi sentire definitivamente "al sicuro", ha dovuto attendere altri due anni, fino a quando, finalmente, è entrato in possesso dell'atto di archiviazione della sua posizione. Poi ha aspettato altri 6 mesi perché l'archiviazione diventasse definitiva e solo ora ha potuto avviare la pratica per chiedere il risarcimento dei danni. "Ma non mi faccio illusioni", commenta.
di Emilio D'Arco
La Città di Salerno, 1 gennaio 2015
Era lo scorso ottobre quando alla vedova di Carmine Tedesco arrivò la notizia della richiesta di supplemento d'indagine firmata dal giudice per l'udienza preliminare, Renata Sessa. Delle indagini che servivano a far luce sui motivi che avevano portato al decesso, all'interno della Sezione detenuti del San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, del 58enne originario di Montecorvino Rovella a causa di un infarto del miocardio. Aria per la vedova Anna Sammartino, che in più occasioni aveva dichiarato che non si sarebbe mai fermata fino a quando non avesse avuto giustizia.
Il 3 dicembre la doccia fredda, con la richiesta, da parte del sostituto procuratore della Repubblica, Roberto Penna, di archiviazione del caso dopo nemmeno un mese di indagini. Indagini totalmente insufficienti, secondo l'avvocato difensore della famiglia Tedesco, Massimiliano Franco, che ieri ha definito assurde le motivazioni di questa seconda archiviazione, annunciando battaglia.
"Secondo la richiesta d'archiviazione - spiega Franco - si sarebbe dovuto tenere conto della precaria logistica della Sezione detenuti dell'ospedale che non prevedeva la presenza continua di un medico, praticamente condannando a morte Tedesco. Ci è sembrato anche assurdo il modo nel quale il sostituto procuratore Penna abbia condotto le indagini a carico dei sei indagati, ovvero senza mai presentare una testimonianza delle persone presenti quella sera, nonostante un accurato rapporto non solo delle forze di polizia penitenziaria, ma anche degli infermieri di turno".
Insieme all'avvocato Franco, all'avvocato Fiorinda Mirabile segretaria del circolo "Franco Fiore" e alla vedova Sammartino è stato Donato Salzano, segretario cittadino dei Radicali di Marco Pannella a fare delle precise richieste per far si che le indagini continuino: "Chiediamo tre incontri per far si che le istituzioni siano di nuovo garanti del diritto alla vita dei cittadini. Il primo con il sindaco di Salerno, affinché convochi il comitato per la sanità pubblica e verifichi lo stato d'assistenza nelle nostre carceri; il secondo con il vescovo Moretti; infine con il procuratore capo Corrado Lembo, per discutere sull'inadeguatezza delle indagini".
www.foggiatoday.it, 1 gennaio 2015
Guardie penitenziarie insufficienti, condizioni generali di degrado scarsa assistenza medico-sanitaria: ecco l'impietosa "fotografia" degli attivisti dell'associazione Mariateresa Di Lascia. Detenuti in sovrannumero e guardie penitenziarie assolutamente insufficienti, condizioni generali di degrado scarsa assistenza medico-sanitaria. È questa l'impietosa fotografia che viene fuori dal blitz degli attivisti dell'associazione radicale Mariateresa Di Lascia che ieri mattina hanno fatto visita al carcere di Foggia.
Una struttura che dovrebbe ospitare 270 detenuti, almeno per questo numero era stato progettato e costruito. In passato, nei momenti peggiori ne ha ospitati anche 800, oggi ce ne sono 520, a fronte di una cosiddetta "capienza tollerabile" di 540. "Cosa significano questi numeri? - spiegano - Una cosa molto semplice: nel carcere di Foggia i detenuti vivono male, in condizioni che possiamo tranquillamente definire degradanti e disumane, costretti a condividere piccoli e sporchi spazi per quasi tutte le ore del giorno e della notte".
Nel carcere di Foggia le strutture sono obsolete, "ad esempio i detenuti hanno docce comuni fuori dalle celle, sporche e malandate, in cui spesso non c'è l'acqua calda. Nel carcere fa freddo. La differenza di temperatura tra esterno e interno non si avverte. I detenuti non svolgono in massima parte alcuna attività lavorativa. A parte pochissimi impegnati in cucina, o come scopini e quei fortunati, una decina forse, che svolgono attività all'esterno, tutti gli altri trascorrono, le ore, i giorni, le settimane, i mesi e gli anni della loro detenzione a non far nulla, se non litigare tra di loro, mangiare, giocare a carte, pochi, pochissimi a leggere".
Gli stranieri sono 88, i "giovani-adulti" - come chiamano tecnicamente in carcere gli under 21 - sono 55, ben 136 sono seguiti dal presidio del Sert, e 12 di questi sono trattati con metadone o similari. Due persone sono in carrozzella, uno è in dialisi. Altri lamentano varie patologie e tutti i detenuti si lamentano dell'assistenza medica. Gli stessi operatori sanitari si lamentano delle condizioni in cui sono costretti a lavorare, per la carenza del personale e la mancanza di un servizio di reperibilità, che li costringe in pratica a non ammalarsi mai, loro i medici, poiché non potrebbero essere sostituiti.
"Nel carcere di Foggia è possibile, ci hanno detto, effettuare visite specialistiche con l'infettivologo, l'ortopedico, il fisiatra, l'oculista, l'internista, il radiologo. Non c'è il ginecologo, benché vi sia un reparto femminile. È possibile fare esami radiologici, solo che, non si capisce perché, se si mettono in funzione le apparecchiature, "salta il contatore". Così come non si riescono a fare gli interventi odontoiatrici perché spesso i macchinari sono fuori uso. C'è poi il capitolo farmaci", spiegano. "La farmacia territoriale fornisce unicamente determinate tipologie di farmaci e non tutti quelli disponibili normalmente in commercio".
Non c'è una infermeria con letti di degenza, il detenuto ammalato resta in cella. "Vi è poi il reparto femminile. Ci sono in questo momento 26 detenute, di cui 6 definitive, 3 ricorrenti, 16 in attesa di giudizio. I reati prevalenti sono legati all'uso di droghe e alla prostituzione, molte sono le straniere, che spesso parlano pochissimo l'italiano e sono quindi due volte prigioniere, del carcere e della incapacità di comunicare adeguatamente. Il reparto femminile è un "gioiello" rispetto agli altri reparti del carcere. Pulito, decoroso, anche se anche qui le detenute hanno le docce fuori dalle celle".
"Nel reparto non ci sono bambini, non ce ne sono stati più dopo le denunce fatte due anni, a seguito di una nostra visita ispettiva in cui trovammo tre bimbi di cui uno di 20 giorni. Nelle carceri italiane i bimbi, purtroppo ci sono ancora. Questa minima battaglia di civiltà è ancora di là da essere vinta. La Polizia penitenziaria è drammaticamente sotto organico, ci vorrebbero il doppio degli agenti in servizio. Fanno turni massacranti in condizioni di grande disagio. Nei turni, ad ognuno di loro tocca un braccio con non meno di 60/70 detenuti. Sono generalmente stanchi e sfiduciati, alcuni di loro covano un profondo sentimento di rabbia".
www.radicali.it, 1 gennaio 2015
Mercoledì 31 dicembre 2014, nell'ambito del "Satyagraha di Natale con Marco Pannella", una delegazione composta da Luigi Recupero (segretario dell'associazione Radicali Catania e membro del Comitato nazionale di Radicali Italiani), Gianmarco Ciccarelli (Comitato nazionale di Radicali Italiani), Patrizia Magnasco (direzione Radicali Catania) e Vito Pirrone (presidente dell'Associazione nazionale forense di Catania) ha effettuato una visita presso la casa circondariale di Catania Piazza Lanza.
La delegazione è stata accompagnata nella visita dalla vicedirettrice dott.ssa Gruttadauria e dal comandante di polizia penitenziaria Tramontana.
I detenuti attualmente presenti nel carcere di piazza Lanza sono 361 (di cui 342 uomini e 19 donne); come risulta dal sito del ministero della Giustizia, erano 341 alla data del 31 luglio 2014. La capienza regolamentare effettiva dichiarata dal ministero della Giustizia è di 238 posti: questo dato appare leggermente superiore alla reale capienza regolamentare effettiva del penitenziario catanese.
Rispetto ad alcuni anni fa, quando sono state toccate punte di 600 detenuti, il tasso di affollamento nel carcere di piazza Lanza è notevolmente diminuito.
Tuttavia permane una situazione di sovraffollamento: nelle celle dei reparti maschili "Amenano" e "Simeto", di circa 20 mq, sono ospitati cinque, sei e in alcuni casi sette detenuti, con uno spazio quasi sempre inferiore ai tre metri quadrati calpestabili per ciascun detenuto.
In alcune sezioni è stato introdotto il regime delle "camere aperte", con possibilità per i detenuti di uscire dalle camere di pernottamento dalle ore 9 alle ore 17.
Il reparto "Nicito" (isolamento) è stato recentemente interessato da una profonda ristrutturazione e oggi si presenta conforme alla normativa vigente; in questo reparto al momento della visita non era presente alcun detenuto.
Con riferimento alla posizione giuridica, sono presenti 241 imputati in attesa di primo giudizio, 74 appellanti, 11 ricorrenti in Cassazione e 35 condannati in via definitiva.
Circa un terzo della popolazione detenuta è composta da stranieri; si segnala, a tal proposito, l'assenza all'interno della struttura dei mediatori linguistici.
Accanto al sovraffollamento persiste una carenza di agenti di polizia penitenziaria: la pianta organica prevede 440 unità, gli agenti assegnati sono 334 e quelli effettivamente in servizio sono 253; i turni di servizio degli agenti sono della durata di otto ore e si articolano su tre quadranti orari nelle ventiquattrore, sebbene l'accordo quadro preveda turni di sei ore articolati su quattro quadranti orari.
L'assistenza psicologica risulta inadeguata: soltanto 36 ore mensili per l'attività di "osservazione e trattamento", mentre il presidio "nuovi giunti" può contare su una copertura mensile di 155 ore.
Una delle criticità segnalate dalla vicedirettrice è legata alla circostanza che l'assistenza sanitaria dipende ancora dal ministero della Giustizia, poiché la Regione Siciliana non ha ancora effettuato il trasferimento in capo alle Asl.
Un'altra grave criticità è rappresentata dalla carenza di attività trattamentali e dalla carenza di risorse destinate a tali attività. I detenuti che lavorano sono meno del 20% della popolazione detenuta, e soltanto le donne hanno la possibilità di lavorare con cooperative interne (pasticceria e lavorazione del feltro), mentre gli uomini possono effettuare lavori non professionalizzanti (scopino, porta vitto, etc.) alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria.
Il reparto femminile "Etna" si presenta in condizioni fatiscenti e nelle finestre delle celle, oltre alle sbarre, sono applicate reti a maglia stretta. Il personale riferisce che è quasi pronta la nuova sezione femminile appena ristrutturata e che nelle prossime settimane sarà avviato il trasloco. Gli ambienti detentivi del carcere di piazza Lanza sono privi di riscaldamento.
Agi, 1 gennaio 2015
Presidio di fine anno davanti a Palazzo Marino per richiamare l'attenzione del sindaco Giuliano Pisapia sul problema delle carceri. Il radicale Lucio Bertè, già Consigliere regionale dal 2003 al 2005, è stato davanti alla sede del Comune dalle ore 18 di ieri fino alle prime ore del 2015, "nel nome di ogni Detenuto Ignoto, per ricordare al Sindaco il suo dovere di intervento". L'esponente radicale lo annuncia in una nota nella quale ricorda che "l'allarme lanciato dai medici penitenziari impone ai sindaci di intervenire come ufficiali del governo in materia di prevenzione sanitaria contro i rischi di epidemia per la popolazione generale".
Intanto Bertè è impegnato a fianco di Marco Pannella nell'azione nonviolenta "Satyagraha di Natale" per far ristabilire subito, con amnistia e indulto, la legalità della Repubblica, come chiesto dal Presidente Napolitano, da Papa Francesco e dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria che a luglio ha ispezionato le nostre carceri. Con il presidio di oggi l'Associazione radicale 'il detenuto ignoto', intende chiedere conto al sindaco della "mancata attuazione, da tre anni, della delibera per verificare le condizioni di salute dei detenuti e l'abitabilità delle singole celle nelle carceri milanesi".
Dal marzo scorso, il Presidente della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe) ha lanciato l'allarme per il rischio di epidemie per la popolazione generale a partire dalle carceri e ha dichiarato: "i dati ufficiali sottostimano la situazione effettiva. È una vera e propria emergenza, perché la tutela della salute nelle carceri è un problema di salute pubblica, in quanto si traduce sull'intera collettività".
La necessità di dati certi è confermata anche dal Cosp (Coordinamento Sindacale Penitenziario), mentre a dicembre 2014 il Si.Di.Pe. (Sindacato dei Direttori Penitenziari) - nonostante il criterio dei 3 mq netti/persona stabiliti dalla Cassazione penale nel febbraio 2014 - rammenta che il Dap considera i 9 mq/persona di tutti i regolamenti edilizi comunali, fissati sulla base di norme di igiene vincolate alla fisiologia umana. Comunque è violato il diritto di ciascun detenuto ad un "trattamento individualizzato" per conseguire gli obbiettivi educativi previsti dalla Costituzione. "I Sindaci sono avvisati - scrive Bertè - ed ora hanno il dovere di sventare il pericolo come Ufficiali del Governo, per non incorrere nel reato di omissione".
di Giulia Destefanis
La Repubblica, 1 gennaio 2015
Seicento sessantuno detenuti per 450 posti. "Ad oggi sono 100 in meno rispetto a un anno fa, ma il passo avanti non basta: resta il sovraffollamento, restano celle in cui 6 detenuti vivono stipati in 8 o 9 metri, e lamentano attese lunghissime per avere un lavoro, frequentare corsi o ricevere cure". Il racconto del "sottomondo" del carcere di Marassi, simbolicamente tra una festività e l'altra, arriva dalla segretaria dell'associazione Radicali Genova Marta Palazzi: lo ha visitato in occasione di Satyagraha di Natale con Marco Pannella, la campagna che sta portando i militanti radicali nei carceri di tutta Italia.
"A Marassi abbiamo parlato con molti detenuti, e quasi tutti lamentano condizioni di disagio - spiega Palazzi, una dei 4 volontari che hanno percorso le 6 sezioni di Marassi guidati dalla vicedirettrice del carcere Cristina Marrè e dalla vicecomandante della Polizia penitenziaria Alessandra Arcuri - In effetti non sembrano rispettate le norme europee che vogliono almeno 3 metri quadri per ogni detenuto". Ci sono rabbia e amarezza nelle sue parole. "L'altra criticità è il centro clinico, con malati anche da fuori Regione, anche anziani". Alla fine, "c'è sì un giudizio positivo sul teatro, sul laboratorio interno di serigrafia e sulla scolarizzazione - conclude - Ma le attività riguardano pochi detenuti".
di Gianluca Amadori
Il Gazzettino, 1 gennaio 2015
Il detenuto ristretto in una cella con meno di tre metri quadrati a disposizione deve essere risarcito dallo Stato, in quanto obbligato a subire condizioni non dignitose. Lo sancisce la prima sezione della Corte di Cassazione nel provvedimento con cui ha rigettato il ricorso presentato dal ministero della Giustizia, confermando l'ordinanza emessa lo scorso febbraio dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, il quale aveva riconosciuto uno sconto di pena di un giorno ogni 10 di detenzione subita in condizione di sovraffollamento, nonché il diritto ad un risarcimento da quantificarsi in sede civile.
A vincere la battaglia contro lo Stato all'insegna del principio di umanità della detenzione è Doriano Vecchina, 45 anni, residente a Marghera, che sta scontando in carcere a Venezia una pena di 4 anni e 4 mesi di reclusione per una serie di rapine commesse nel 2013 tra le province di Venezia, Treviso e Padova.
A presentare per lui il ricorso al Tribunale di Sorveglianza era stato il suo difensore, l'avvocato Florindo Ceccato, sulla base di alcuni pronunciamenti emessi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, nei quali per la prima volta, nel 2013, è stato determinato lo spazio vitale minimo delle celle, al di sotto del quale è ravvisabile la violazione del divieto di infliggere trattamenti inumani o degradanti stabilito dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L'avvocato Ceccato si è costituito anche di fronte alla Suprema Corte per difendere la decisione favorevole al suo assistito, e ha ottenuto la condanna del ministero al pagamento delle spese di giudizio. Ora che il provvedimento è definitivo, il legale ha annunciato che avvierà la causa davanti al Tribunale civile per ottenere il risarcimento dei danni sofferti da Vecchina.
Il ministero della Giustizia aveva presentato ricorso contestando la modalità con cui i giudici della Sorveglianza avevano calcolato la superficie a disposizione del detenuto, escludendo dai 3 metri il mobilio presente nella cella. Secondo il Dipartimento penitenziario, infatti, anche i mobili vanno calcolati, come se il detenuto potesse muoversi arrampicandosi sopra l'armadio o il comodino.
Sono già oltre un migliaio i ricorsi finora presentati da persone detenute nelle carceri del Veneto che lamentano di essere stati ristretti in condizioni non dignitose: tutti chiedono di poter usufruire dello sconto di pena o del risarcimento che, dallo scorso agosto, sono previsti anche in base al decreto 92 del 2014, meglio conosciuto come "svuota carceri".
Il Velino, 1 gennaio 2015
"Il 2014 si chiude, in un carcere italiano, con la notizia dell'ennesima aggressione di un detenuto ad un appartenente alla Polizia Penitenziaria. È avvenuto ieri, a S. Maria Capua Vetere". Lo rende noto il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, che torna a chiedere al Ministro della Giustizia Andrea Orlando ed al nuovo Capo dell'Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo di dotare in via sperimentale anche le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, in analogia a quanto avviene per Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, dello spray anti aggressione. "Ieri mattina - spiega il segretario generale del Sappe Donato Capece, un sovrintendente è stato aggredito da un detenuto ad Alta Sicurezza del carcere di S. Maria Capua Vetere, dopo il controllo detenuti del Reparto Tevere".
"Decine - ricorda Capece - sono stati gli episodi di ferimenti e colluttazioni nel carcere campano in questi ultimi mesi, e molte centinaia sono, purtroppo, gli eventi critici analoghi accaduti nelle carceri italiane in questi dodici mesi del 2014. E il numero delle aggressioni ai Baschi Azzurri, che prestano servizio nelle sezioni detentive e in carcere assolutamente disarmati e senza alcuna forma di difesa personale, è costante, se non in crescita nell'ultimo periodo. I gravi fatti accaduti ieri e nello scorse settimane proprio a S. Maria lo confermano drammaticamente".
Da qui la richiesta del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria al Guardasigilli Orlando: "Sono anni che sollecitiamo di dotare le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria di strumenti di tutela efficaci, come può essere proprio lo spray anti aggressione recentemente assegnato - in fase sperimentale - a Polizia di Stato e Carabinieri. Mi auguro che il Ministro della Giustizia Andrea Orlando e il nuovo Capo Dap Santi Consolo valutino positivamente questa nostra proposta e, quindi, assumano i provvedimenti conseguenti", conclude il segretario generale Sappe Capece.
La Nazione, 1 gennaio 2015
Il sindaco al Governo: "Questo è un carcere modello, così fate morire il progetto di rieducazione". L'amministrazione comunale di Livorno ha inviato il 3 dicembre, una lettera indirizzata ai ministri Orlando e Galletti, e per conoscenza al Presidente del Consiglio Renzi, nella quale si chiedeva di bloccare da subito il procedimento di vendita dei 165 animali d'allevamento legati al progetto per la rieducazione dei 70 detenuti del carcere dell'isola di Gorgona.
"Spero che il Governo receda da questa scelta", commenta il sindaco Filippo Nogarin. "Tale procedimento inevitabilmente condurrebbe alla fine del progetto e con esso questo carcere modello, molto apprezzato dal Ministero degli Interni, rischia seriamente la chiusura.
Va da sé che la vendita di questi animali, che hanno consentito ai carcerati d'intraprendere un percorso virtuoso, porterà inevitabilmente alla soppressione degli stessi. Tutto questo in nome di una spending review nella quale non si tiene affatto conto che per i detenuti che hanno preso parte a progetti di questo tipo, una volta scontata la pena, la percentuale di recidiva è di un quarto rispetto alla media nazionale di chi esce da case circondariali che non prevedono tali percorsi lavorativi".
Nella lettera veniva inoltre richiesta la convocazione di un tavolo di confronto tra amministrazione carceraria ed enti locali, allargato alle onlus che si battono per i diritti degli animali. Al 31 dicembre il Comune non ha ancora avuto nessuna risposta.
- Caltanissetta: nel carcere il 29 dicembre concerto della corale polifonica "Don Milani"
- Caserta: gli internati dell'Opg di Aversa protagonisti di due eventi natalizi
- Palermo: permesso in ritardo, detenuto a Pagliarelli non ha potuto vedere la madre morta
- Vercelli: i volontari della Comunità di Sant'Egidio a Billiemme per incontrare i detenuti
- Ferrara: applausi alla Cash per gli artisti ferraresi che hanno suonato per i detenuti