toscana-notizie.it, 16 dicembre 2019
Quattrocento coperte inviate da Regione e Misericordie per alleviare il disagio dei detenuti del carcere di Sollicciano a Firenze, a causa di un guasto all'impianto di riscaldamento. L'iniziativa del presidente della Regione Enrico Rossi, che si attivato assieme alla Protezione civile regionale e la Alla federazione Regionale delle Misericordie della Toscana.
"Duecentocinquanta coperte arriveranno grazie alla Protezione civile regionale ha detto Rossi e altre centocinquanta dalle Misericordie, grazie all'interessamento del presidente Corsinovi. Sappiamo tutti qual la situazione di disagio che vivono i detenuti nella maggior parte delle strutture penitenziarie italiane per cui ci chiediamo cosa stia facendo il ministro Bonafede per migliorare una situazione molto delicata, essendo, Sollicciano come il resto delle carceri italiane, strutture che ricadono nella sua competenza". Il presidente Rossi ha inoltre annunciato che sabato prossimo, 22 dicembre, far visita al carcere fiorentino insieme al garante regionale per i diritti dei detenuti Franco Corleone.
sienafree.it, 16 dicembre 2019
Si terrà martedì 17 dicembre alle ore 17,30, nella Sala delle Lupe di Palazzo Pubblico di Siena, la presentazione del libro scritto dai detenuti della Casa circondariale di Siena dal titolo "Diciassette storie per diciassette Contrade".
All'appuntamento, aperto alla cittadinanza, l'assessore al Sociale Francesca Appolloni, il direttore del Carcere Sergio La Montagna, il Rettore del Magistrato delle Contrade Carlo Rossi, il curatore dell'opera Michele Campanini e rappresentanti dei gruppi dei piccoli delle Contrade.
La pubblicazione ispirata ai simboli araldici delle Contrade nasce grazie al supporto di Michele Campanini, professore di Lettere, che ha raccontato ai detenuti di S. Spirito cosa è, e cosa rappresenta il Palio. Un racconto avvincente quello di Campanini che ha stimolato i detenuti a regalare diciassette storie ai bambini di Siena. Fiabe che prendono spunto dagli animali dell'araldica contradaiola.
"Storie fantastiche - come scrive Campanini nella prefazione - ma con richiami a Siena e alle sue tradizioni, nate da un laboratorio di scrittura iniziato per caso e durato quasi un anno, che ha portato alla creazione di racconti unici nei quali confluiscono anche culture e tradizioni lontane. Non si parla mai di Siena, ma la città in qualche modo è presente in ogni racconto. Un laboratorio di scrittura che è diventato, in parallelo, laboratorio di pittura grazie a Monica Minucci che ha dato continuità, con i colori, alle fiabe scritte, per arricchire il testo con splendide illustrazioni".
Un vero e proprio percorso di integrazione per conoscere, e quindi capire la città. "L'inclusione - come dice l'assessore Appolloni - può avvenire attraverso la conoscenza. La conoscenza della realtà dove si vive, dove si intrecciano rapporti, dove, un domani, si cercherà un'occupazione, perché lo svantaggio sociale, alla base di molte devianze, nasce proprio dalle differenze culturali che entrano in conflitto quando non si hanno gli strumenti del sapere, quelli che portano al rispetto del "diverso" e a una convivenza civile.
Un ringraziamento, quindi, al direttore La Montagna per la scelta ed adozione di strategie tese alla riduzione del disagio sociale che non solo ha ricadute efficaci sui detenuti, ma anche sulla collettività tutta, perché un detenuto che ha avuto la possibilità di imparare, di apprendere, di essere informato sulle peculiarità della realtà in cui si trova a vivere, forse ha più possibilità di inserirsi e di essere accolto".
di Simone Bianchin
La Repubblica, 16 dicembre 2019
Il Coro dei detenuti di San Vittore insieme ai professionisti di quello della Scala insieme per i bambini. L'appuntamento per unire le forze con la musica e col canto, per contrastare e scacciare via la povertà aiutando concretamente, è l'iniziativa benefica in programma alle 21 di domani all'Auditorium di Largo Mahler. Un coro per aiutare i bambini.
L'appuntamento per unire le forze con la musica e col canto, per contrastare e scacciare via la povertà aiutando concretamente, è l'iniziativa benefica in programma alle 9 di domani sera (fino alle 23) all'Auditorium di Largo Mahler. In scena il concerto natalizio del Coro dei detenuti della Nave di San Vittore. Con 26 dei 44 carcerati (tutti uomini) che "hanno sentito il desiderio, anche l'urgenza, di fare qualcosa per chi ha bisogno".
Vivono in un reparto speciale al terzo raggio della casa circondariale, gestito da una équipe medica che si occupa delle terapie per le persone con problemi di dipendenze. Un reparto condotto, sin dalla nascita nel 2002, dalla dottoressa Graziella Bertelli, psicologa e criminologa. Anche lei si trova tra i volontari che domani cantano con quei detenuti che hanno ottenuto dal giudice il permesso di uscire.
Quasi tutti italiani e tutti in attesa di giudizio. Si stanno esercitando per il concerto dall'estate scorsa, con le prove fissate ogni martedì dalle 14,30 alle 16. E si conferma il salto di qualità artistica: si esibiscono ancora assieme ai professionisti del Coro della Scala e agli attori del Macrò Maudit Teàter (sede in via Grigna 5, un attivo centro di produzioni teatrali, corsi e laboratori).
Oltre alle canzoni classiche del periodo (da Jingle Bells a White Christmas, più qualcosa di lirico "Ma è una sorpresa", dicono), la presenza degli attori si spiega con un'idea: sono chiamati a dare voce e corpo sul palcoscenico ad alcuni racconti inediti, scritti dai detenuti. A dirigere il concerto sarà Bruno Casoni, il responsabile del coro della Scala.
Partecipa con trentotto suoi coristi. Ed erano stati loro, lo scorso aprile - dopo il debutto con il coro dei detenuti in occasione del saluto per "fine mandato" di Giuseppe Guzzetti come presidente della Fondazione Cariplo - a proporre di continuare l'esperienza del cantare insieme. L'ingresso domani si apre a tutte le persone che hanno lasciato la donazione per sostenere il programma QuBì - la ricetta contro la povertà infantile, stimata per i casi di oltre ventimila minori che abitano a Milano - promosso da Fondazione Cariplo.
Il denaro ricavato con queste donazioni servirà per dare a molti la possibilità di andare dal dentista e potersi curare (non pochi "saltano" le cure per l'impossibilità di sostenerle". Per ogni donazione compresa tra dieci e venti euro viene inviato un voucher per prenotare un posto al concerto "Voci fuori dal coro"; invece, per ogni donazione uguale o superiore a venti euro vengono inviati due voucher. In entrambi i casi, la serata va prenotata seguendo le indicazioni e il sito al quale collegarsi per effettuare la donazione è www.forfunding.it.
Poi arriverà il ringraziamento con l'invito al concerto. Poter portare ciascuno di questi bambini dal dentista diventa concreto anche grazie agli studi dei professionisti che hanno aderito per volontariato: sono realtà non profit che si impegnano per offrire anche giornate di screening per i bambini, e lo fanno nei vari quartieri della città.
di Federico Rampini
La Repubblica, 16 dicembre 2019
Tremendo il flop della conferenza di Madrid. Il tempo scarseggia, l'emergenza impone di agire subito per tagliare le emissioni carboniche, o la crisi ambientale diventerà irreversibile e le conseguenze ancora più tragiche.
La tentazione è facile, basta leggere il coro di condanne delle Ong ambientaliste. La colpa è dei "soliti sospetti": Donald Trump e la lobby dell'energia fossile. Questa è una caricatura della realtà. Non aiuta a risolvere i problemi veri.
Trump ha responsabilità gravi nel suo negazionismo; l'industria petrolifera e altre che usano l'energia fossile si macchiano di colpe imperdonabili. Ma le cause del disastro sono più ampie. Partiamo da alcuni dati di fatto, spesso ignorati. Ne11992 gli scienziati e i leader del mondo si occuparono di cambiamento climatico alla conferenza di Rio de Janeiro.
Da allora ad oggi, anziché tagliare le emissioni, o fermarle, o anche soltanto rallentarne la crescita, è stata immessa nell'atmosfera terrestre la stessa quantità di CO2 che fu generata dall'inizio della Rivoluzione industriale. Il disastro di questo trentennio è avvenuto prevalentemente in Cina e in India. Era cominciato molto prima che a Donald Trump venisse in mente di fare politica. La Cina è un caso da studiare.
Fu applaudita la svolta ambientalista di Xi Jinping, quando nel 2015 decise di unirsi a Barack Obama e così sbloccò gli accordi di Parigi. Sotto la sua guida Pechino si lanciò in un Green New Deal, senza aspettare che il termine diventasse di moda in Occidente. La Cina ha investito così tanto nelle fonti rinnovabili da conquistare il primato mondiale nell'energia solare. Pechino ha ritrovato cieli azzurri come non si vedevano da molti decenni.
Però la stessa Cina ha continuato a costruire nuove centrali a carbone; e a esportarne in molti paesi emergenti dall'Asia all'Africa. Infine il "verde" Xi Jinping ha avuto un ripensamento proprio quest'anno. Al primo segnale di rallentamento della crescita cinese ha tagliato gli investimenti nelle energie rinnovabili. Il maggiore produttore cinese (e mondiale) di pannelli solari, è finito in bancarotta.
La lezione qual è? Perfino un regime autoritario, dominato da un Uomo Forte con una straordinaria concentrazione di potere, in grado di pianificare su un arco temporale di venti o quarant'anni, alla fine deve fare i conti con il consenso. Xi Jinping teme il risentimento popolare in caso di crisi economica; non vuole che i cortei di Hong Kong contagino Shanghai.
Ricordiamo la reazione che ebbe Emmanuel Macron di fronte ai gilet gialli. Il presidente francese si rimangiò la tassa carbonica, una misura ambientalista, dando ragione a chi gli urlava nei cortei: "Tu ti preoccupi della fine del mondo, noi non sappiamo arrivare alla fine del mese". Cina e India stanno trascinandoci verso un disastro ambientale perché la decresciti felice è improponibile. Purtroppo, nessuno ancora è riuscito a dimostrare che la sostenibilità genera più occupazione e più reddito del capitalismo carbonico.
L'Europa si candida a farlo, almeno in apparenza, con il piano verde presentato da Ursula von der Leyen. Anche su quello però abbondano gli equivoci. Si è parlato di centinaia di miliardi di investimenti, ma di soldi veri l'Unione ne mette pochi, aspettandosi che il resto venga dai privati. Inoltre i paesi emergenti sospettano che l'ambientalismo sia la nuova veste politically correct del protezionismo: il Green New Deal di Ursula include una tassa anti-inquinamento sulle importazioni di beni fabbricati generando CO2.
Questi sono i dazi di Trump con una verniciata di colore verde. Il tema vero rimane quello del consenso. Trump vinse anche grazie ai voti dei siderurgici e dei minatori, in Ohio e Pennsylvania. Hillary Clinton dava per scontato che per salvare il pianeta quei lavori brutti sporchi e cattivi andassero eliminati; magari riconvertiti ai bei mestieri della Silicon Valley... inventori di app? Trump gli promise la sopravvivenza. Loro non ebbero dubbi.
di Vinicia Tesconi
lagazzettadimassaecarrara.it, 16 dicembre 2019
Un gesto d'amore che contempla anche le persone che stanno scontando la loro pena nelle carceri. È questa la molla che ha innescato l'iniziativa " L'altra cucina per un pranzo d'amore" ideata da Prison Fellowship Italia Onlus con la collaborazione di Rinnovamento nello Spirito Santo e Fondazione Alleanza del Rns che, quest'anno, è giunta alla sua quinta edizione.
L'idea è quella di regalare ai detenuti un pranzo di Natale cucinato da uno chef e servito da personaggi famosi insieme a volontari ai detenuti ed ai famigliari di quelli che vorranno partecipare all'evento. Tredici carceri da nord a sud dell'Italia, per un totale di circa duemila persone che il 18 dicembre condivideranno un momento di gioia nel più puro spirito natalizio e tra queste, per il secondo anno consecutivo ci sarà anche il carcere di Massa.
Duecentocinquanta saranno i commensali del penitenziario massese per i quali cucinerà lo chef del ristorante Le Palme di Marina di Carrara, Alessandro Bandoni che ha accolto con entusiasmo l'invito fatto da Don Leonardo Biancalani e che ha risposto ad alcune nostre domande:
Non è facile scegliere di fare un'esperienza come questa nel carcere: cosa l'ha spinta ad accettare?
"La prima volta che visitai il carcere fu quando avevo 17 anni con la consulta studenti. Poi l'ho visitato di nuovo quando ero presidente della commissione Pari opportunità. Quando Don Biancalani mi ha prospettato questa possibilità non ci ho pensato due volte: ho detto subito sì. Anzi...all'inizio pensavo che fosse uno scherzo e non fosse vero. Ne sono stato felice perché avendo visto come può essere la vita nel carcere ho pensato che con la cucina potevo portare un sorriso a quelle persone."
Come ha formulato il menù?
"Ho richiesto una riunione in carcere per sapere quanti erano gli islamici, quanti gli allergici, quanti gli intolleranti. Il mio scopo era fare un menù che potesse essere mangiato da tutti e credo di esserci riuscito al 95 per cento. Il ragù che farò sarà solo di vitella e manzo, senza maiale, per rispetto degli islamici, per chi non può mangiare il pomodoro farò un sugo in bianco e per chi non può mangiare il grano farò qualcosa di adatto ai celiaci. Poi ho voluto anche fare una cosa tipica apuana: il sugo stordellato, che di solito nella nostra tradizione si fa per il pranzo dell'Epifania accompagnando la " bianca lasagna".
Ovviamente non posso impastare per 250 persone anche perché non saprei dove mettere la pasta, per cui ho optato per i rigatoni con il ragù stordellato. Come secondo farò la polenta con la fonduta valtellinese e una ricetta della madre del mio socio e cioè un crostone di pane passato nel latte e nella farina e poi fritto, con spinaci e carne saltati nel burro. La ricetta avrebbe anche una fetta di prosciutto sulla carne ma per rispetto degli islamici ho scelto di non metterla. Infine, il classico pandoro con la crema inglese come dolce."
Il pranzo avrà anche l'accompagnamento musicale del trio composto da Paolo Biancalani, Roberto Duma e Maurizio Marchini: armonica, voce e violino. Essendo così elevato il numero dei commensali, una parte di questi pranzerà nella mensa del carcere, oppure all'interno della propria cella, secondo la scelta di ciascuno, e una parte parteciperà al pranzo che verrà allestito nella parrocchia di Don Biancalani.
di Eraldo Affinati
Il Riformista, 16 dicembre 2019
Quando scriviamo giustizia dobbiamo usare la maiuscola o la minuscola? Questa domanda, antica e moderna, resta sempre cruciale: la maschera giuridica viene di volta in volta usata come grimaldello per distruggere l'avversario di turno o quale trama tesa a ricostruire le vicende della storia contemporanea. Ma non ci vuole un filosofo del diritto per scindere il lavoro che si svolge nei tribunali da quello che avviene all'interno della coscienza di ognuno. Senza nemmeno aprire, perché ci porterebbe troppo lontano, il libro sacro delle devozioni.
Cosa rappresentano le carte processuali, al di là della loro possibile strumentalizzazione? In ultima analisi e nel migliore dei casi indicano la buona intenzione umana tesa al superamento dei conflitti. A ben riflettere: un modo commovente di sistemare le cose. Chi cerchi la verità, credendo sia possibile lasciarsi alle spalle la mediazione e il compromesso, forse dovrebbe dirigersi verso l'altro mondo a cui lo spinge la saggezza popolare.
Tale visione amara e sconsolata guidò la poetica di Friedrich Dürrenmatt, scomparso a Neuchâtel nel 1990. In particolare "La promessa", riedito da Adelphi in una nuova traduzione di Donata Berra (pp.162, 15 euro) esprime, come meglio non si potrebbe, lo scetticismo e il disincanto del grande scrittore svizzero che, non senza malizia, sottotitolò questo libro, pubblicato nel 1958, Requiem per il romanzo poliziesco.
Il nucleo tematico prende lo spunto da uno dei più brillanti investigatori di Zurigo, Matthäi. Personaggio indimenticabile di caparbia volontà propositiva. Chi, come lui, non si arrende all'evidenza e vuole scoprire i segreti più reconditi, è destinato a fare una brutta fine. L'esperto poliziotto aveva capito che non era stato l'ambulante von Gunten a uccidere la piccola Gritli Moser, bensì un uomo rimasto sconosciuto: la bambina lo aveva persino disegnato sul quaderno. Tuttavia, soprattutto quando l'accusato si era impiccato, nessuno aveva creduto alle fantasie di Matthäi.
Gli stessi suoi colleghi lo avevano messo da parte alla maniera di un arnese inservibile. Il vecchio commissario, per mantenere la promessa fatta ai genitori della povera vittima, secondo cui prima o poi sarebbe riuscito ad arrestare il responsabile, aveva continuato le indagini da solo, arrivando al punto di comprare una stazione di benzina, stabilirsi lì e fingere di essere un semplice pensionato.
Il tempo trascorse. Nel tentativo di attirare l'omicida nella trappola, il cocciuto agente non si fece scrupolo di usare come esca un'altra bambina. Il suo progetto si stava realizzando ma un incidente stradale causò la morte del vero colpevole e tutto restò nell'ombra. L'immagine finale di Matthäi farneticante, in preda al delirio senile, chiude il magnifico film che nel 2001 Sean Penn ricavò da quest'opera. È stata l'ultima straordinaria interpretazione di Jack Nicholson.
In realtà le pagine conclusive del romanzo rivelano l'identità dell'assassino seriale, un mentecatto protetto dall'anziana moglie, finita anche lei all'ospizio. È come se lo scrittore, narrando l'estrema quasi inconsapevole confessione dell'anziana svanita, ci consegnasse lo scrutinio fallimentare di ogni tentativo di fare luce e chiarezza nel fondo oscuro dell'animo umano. Con tutta la nostra buona volontà, non arriveremo mai a chiudere la pratica. Resterà sempre un assurdo col quale fare i conti, una ferita da accettare, l'enigma irrisolvibile. Sembra quasi che Friedrich Dürrenmatt inizi a ragionare là dove Luigi Pirandello aveva terminato.
Ancora oggi, rileggendo questo testo di stringata efficacia, si apprezza la magnifica resa degli ambienti provinciali elvetici, chiusi nella difesa della loro presunta autonomia: in questo senso la figura dell'anziano detective, la cui perspicacia non serve più a nulla, illustra con splendida persuasione stilistica l'inganno a cui sarebbero destinati tutti coloro che volessero ricavare dai propri sistemi logici un'interpretazione plausibile di ciò che accade: "La nostra ragione getta una luce insufficiente sul mondo".
di Goffredo Buccini
Corriere della Sera, 16 dicembre 2019
Il nuovo saggio dei coniugi premio Nobel Esther Duflo e Abhijit Banerjee invita a cercare di capire gli interlocutori per arrivare almeno a un "ragionato disaccordo". Il Mes? Una tenzone tra "servi di Berlino" e "agenti di Putin". I migranti? Tutti da accogliere o tutti da rispedire in Libia. L'Ilva? Futuro parco giochi o eterna distilleria di veleni... Ma quanto sappiamo davvero del meccanismo europeo di stabilità? Chi conosce il tasso di criminalità e l'apporto alla previdenza sociale determinati dalla presenza degli stranieri in Italia? Qual è il livello di produzione e di occupazione entro il quale la grande acciaieria di Taranto è sostenibile? Bisognerebbe parlarne. Magari senza strillare, in modo da ascoltare (anche) le ragioni degli altri: perché non è detto siano peggiori delle nostre.
C'è un libro che, in questi tempi di reciproche scomuniche, dovrebbe stare sul comodino di ogni politico. Si chiama "Good economics for hard times" (Public Affairs 2019, in uscita da Laterza). Possiamo tradurlo con "buona economia per tempi duri", ma potremmo chiamarlo, più semplicemente, Manuale di democrazia. L'hanno scritto i due coniugi premi Nobel Esther Duflo e Abhijit Banerjee, lei francese, lui indiano, entrambi docenti al Mit di Boston. Affronta, soprattutto in premessa, la decadenza della nostra vita pubblica. Meglio, l'eclissi di quell'elemento che di ogni democrazia è il sale: il dialogo.
Il discorso pubblico, scrivono i due professori, è "sempre più polarizzato", tra sinistra e destra è sempre più "un match di insulti" con "pochissimo spazio per una marcia indietro". Non vi sembra di vedere scene da talk show nostrano? Non ritrovate la trincea dei famosi valori non negoziabili? Beh, se in Italia ci si picchia a Montecitorio sotto gli occhi delle scolaresche in visita, in America il 61% dei democratici vede i repubblicani come razzisti, sessisti o bigotti e il 54% dei repubblicani chiama i democratici "maligni".
Un terzo degli americani sarebbe deluso se un membro stretto della famiglia sposasse un sostenitore dell'altro partito. Ciò che ci interessa delle grandi questioni è riaffermare "specifici valori personali" ("Io sono a favore dell'immigrazione perché sono generoso", "Io sono contro l'immigrazione perché i migranti minacciano la nostra identità"). E per supporto ricorriamo a numeri fasulli e letture semplicistiche dei fatti.
La sinistra "illuminata" parla in termini "millenaristici" dell'ascesa mondiale della nuova destra, la quale ricambia i pregiudizi. I punti di vista sono "tribalizzati", non solo sulla politica ma anche sui problemi sociali, tutte questioni che richiederebbero qualcosa più di un tweet. Scrivono Duflo e Banerjee: "La democrazia può vivere con il dissenso finché c'è rispetto da entrambe le parti".
Infatti, il virus discende aggressivo dai politici ai loro supporter. Lo scrittore Gery Palazzotto ha di recente tracciato per Il Foglio una fenomenologia dell'hater nostrano, l'odiatore da social, riportando i verbali di interrogatorio di una nonna (nonna!) di 68 anni, appartenente alla pattuglia che vomitò oscenità web contro Sergio Mattarella quando il capo dello Stato, nel maggio 2018, fermò la nomina del professor Savona a ministro dell'Economia.
La signora, che aveva tirato in ballo il fratello del presidente assassinato dalla mafia, si è detta assai pentita, spiegando che era un "periodo surriscaldato da parlamentari Cinque Stelle" per i quali simpatizzava, con Grillo che strillava di qua, Di Battista di là, invocando la piazza... "Non dormo più la notte da quando mi sono resa conto di quello che ho fatto", ha concluso, svelando un vero sdoppiamento di personalità.
La chiave forse sta lì. Nello sdoppiamento, sul quale, al di là della strampalata chiamata di correità, dovrebbero riflettere i primi Mister Hyde della catena, coloro che hanno un ruolo pubblico. Per stare a un caso famoso, fuori da questa forsennata tammurriata collettiva, sarebbe assai improbabile che un dentista bergamasco (Roberto Calderoli) desse dell'orango a una dottoressa di origine congolese (Cécile Kyenge). Ecco, i politici sono i primi chiamati in causa perché il loro sdoppiamento ha un effetto esponenziale, produce legioni di odiatori che, specie in un Paese segnato dall'analfabetismo funzionale quale è il nostro, odiano senza sapere bene perché.
La risposta, ci dicono con molto pragmatismo i due Nobel, sta nello spacchettare quel perché. Scoprendo così che dentro, quasi sempre, non c'è nulla. Da scienziati sociali, Duflo e Banerjee si propongono insomma di offrirci fatti empirici di mediazione, che "aiutino ciascuna parte a capire ciò che l'altra parte sta dicendo e quindi arrivi a qualche ragionato disaccordo se non al consenso".
Un'ottica, per tornare ai nostri casi, in cui potrebbe stonare una chiusura irridente alla pur inopinata proposta di dialogo di Matteo Salvini su un tavolo di "salvezza nazionale" per regole condivise. Sarà anche tattica, per sfuggire a un certo isolamento.
Suonerà persino bizzarra, venendo da chi ieri si appellava alla Madonna di Medjugorje contro il premier Conte e ancora oggi tiene due profeti dell'Italexit a capo delle commissioni economiche del Parlamento. Ma pure se servisse solo a svelenire il clima, mostrando innanzitutto agli odiatori di ciascuna fazione che esiste una strada diversa, sedersi a quel tavolo non sarebbe inutile.
di Angelo Panebianco
Corriere della Sera, 16 dicembre 2019
Prima la sicurezza dell'Europa era delegata agli Stati Uniti, ma il mondo è radicalmente cambiato. Tuttavia a giudicare da certi summit europei sembra che leader e opinioni pubbliche non se ne siano accorti. Se non credessimo che la storia pregressa condizioni il presente, potremmo dire "finalmente, meglio tardi che mai" di fronte all'incontro di pochi giorni fa tra Conte, Merkel e Macron sulla situazione libica.
La Libia pone un problema urgente e grave di sicurezza per l'Europa. Parrebbero buone notizie sia la fine delle rivalità che fino a ieri hanno diviso Italia e Francia sia la decisione di Italia, Francia e Germania (a cui presto dovrebbe aggiungersi la Gran Bretagna) di coordinare gli sforzi per favorire una soluzione negoziata che pacifichi e mantenga unito il Paese africano. Ma le apparenze ingannano, la storia passata pesa e spazio per l'ottimismo ce n'è poco.
Né per ciò che riguarda il futuro della Libia né per ciò che riguarda (anche al di là del caso libico) la capacità dei governi europei di coordinarsi efficacemente per fronteggiare le crescenti minacce alla sicurezza del vecchio continente. L'incontro fra le principali (im)potenze europee è il segno della loro debolezza. Russi e turchi ci stanno "scippando" la Libia: non solo a noi europei ma anche agli americani, primi responsabili, a causa della loro latitanza strategica, di quanto è già avvenuto in Siria e di quanto si sta replicando in Libia. Ciascuno è schierato dietro il proprio cliente locale (il signore della guerra, generale Haftar, è sostenuto dai russi, e il capo di governo di Tripoli, al-Sarraj è appoggiato dai turchi).
Ammesso che sia improbabile, come sostengono gli esperti, che Haftar conquisti Tripoli e il resto del Paese con le armi, restano solo due possibilità: o la guerra civile continuerà ancora a lungo, magari per anni, oppure russi e turchi troveranno un accordo anche sulla Libia (come già sulla Siria) favorendo una soluzione negoziata che metta termine alla guerra civile e che possa soddisfare gli interessi degli uni e degli altri (magari anche con qualche vantaggio per altri Paesi coinvolti, dall'Egitto al Qatar).
Nell'uno come nell'altro caso saranno guai per l'Europa. Nella prima eventualità la Libia resterà una porta spalancata a disposizione di trafficanti di esseri umani e di terroristi decisi a colpire i Paesi europei. In caso di soluzione negoziata fra turchi e russi, il controllo su cruciali risorse energetiche nonché il potere di usare i rischi di destabilizzazione dei Paesi europei per ricattarli saranno nelle mani di potenze ostili all'Europa. Non è tale solo la Russia. Lo è anche la Turchia nonostante l'ipocrita tentativo occidentale di fingere che sia ancora un Paese membro della Nato uguale a tutti gli altri.
Proprio perché la storia passata pesa, quando si parla di Europa l'attenzione si concentra sempre sui problemi della governance economico-finanziaria e sulle questioni commerciali. Cose importantissime, certamente, sulle quali, peraltro, le divisioni sono oggi in Europa assai forti.
Gioca però anche un riflesso antico. C'è stato un tempo in cui l'Europa poteva essere solo "Europa economica" (gli aspetti politici e di sicurezza erano delegati agli Stati Uniti). Il mondo è radicalmente cambiato ma a giudicare da certi summit europei sembra che leader e opinioni pubbliche non se ne siano accorti.
Le questioni della sicurezza dovrebbero essere ora il principale assillo dell'Europa, il primo punto all'ordine del giorno in tutti gli incontri nelle sedi europee. Ma gli europei non sono riusciti a trovare una posizione comune nemmeno sulla questione dei foreign fighters (i combattenti islamici di ritorno, molti dei quali pronti a fare scorrere il sangue in Europa). Anche la vicenda Brexit non dovrebbe essere considerata solo per le sue conseguenze economico-finanziarie e commerciali.
Il fatto che la prima potenza militare europea (insieme alla Francia) se ne vada dall'Unione certo non le impedirà di collaborare con gli altri europei in materia di sicurezza. Però rende evidente la futilità, non dico di allestire, ma ormai anche solo di ipotizzare, piani per una futura difesa europea. Piani che erano comunque deboli già prima di Brexit: le opinioni pubbliche erano e sono indisponibili a pagare il tanto che dovrebbero pagare per tutelarsi contro le minacce. Brexit ha solo chiuso il discorso.
Che fare allora? Gli europei, grazie alla lunga pace di cui godono dal 1945, sembrano pensare che questa sia una condizione naturale, non revocabile, della vita sociale e politica. Immemori della storia pensano che pace e sicurezza - da cui dipendono la libertà, la democrazia, il benessere economico - siano beni acquisiti per sempre. Questa mancanza di realismo contribuisce a spiegare perché gli europei non possano fare a meno dell'Alleanza atlantica. Se saranno gli americani a sancirne definitivamente l'irrilevanza, gli europei si troveranno nudi, inermi.
Nel frattempo, i vecchi tic politici sono duri a morire. Il presidente francese Macron dichiara la "morte celebrale" della Nato non solo per scuotere dal torpore americani ed europei ma anche per richiamare implicitamente, a beneficio dell'opinione pubblica francese, l'antica polemica gollista contro l'Alleanza atlantica. Dimenticando che in età bipolare, dominata dalle due superpotenze, il generale de Gaulle potè permettersi il lusso di recitare la parte dell'eretico all'interno del sistema occidentale solo perché quel sistema era forte e vitale, non in coma come oggi. Il neo-gollismo non ha più senso.
Chi non ha la forza né la volontà di decidere il proprio destino diventa preda degli appetiti altrui. Già oggi si può constatare, e verosimilmente sarà ancora di più così in futuro, quanto siano disponibili vari Paesi europei a impegnarsi, separatamente, in giri di valzer con i russi o con i cinesi. Facendo finta di non sapere che i prezzi che si pagano nello stabilire rapporti privilegiati con potenze autoritarie diventano, nel lungo periodo, assai alti.
Russi e turchi si prendono la Libia, minacce terroriste incombono, predatori affamati circondano la debole Europa. Gli europei più consapevoli dei pericoli si chiedono se i cittadini americani, nelle prossime elezioni presidenziali, premieranno chi pensa che il legame con l'Europa sia nell'interesse degli Stati uniti oppure chi ritiene che sia tempo di abbandonare il vecchio continente al suo destino. In ogni caso, plausibilmente, le decisioni che più contano non le prenderanno gli europei.
di Enrico Cisnetto
Il Messaggero, 15 dicembre 2019
"Causa che pende, causa che rende", recita un vecchio proverbio su cui forse può sorridere qualche avvocato, ma non certo l'economia italiana paralizzata dalla giustizia lumaca. Il governo ha licenziato un disegno di legge delega di riforma del processo civile - con il passaggio da tre riti a uno, sanzioni a chi intraprende "cause temerarie" e una generale riduzione dei tempi - ma purtroppo, oltre ad essere lo strumento della delega per sua natura piuttosto lento, dopo dieci giorni sembra già finito nel dimenticatoio.
di Lorenzo Giarelli
Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2019
Per il senatore del Pd "l'etichetta" favorirebbe l'accusa. Da Mani pulite a Mafia capitale. "Vetro nero", "Onda blu", "Ombre". A scorrerne i nomi, per restare alle meno celebri, si potrebbe pensare ai finalisti dello Strega o alle uscite natalizie in sala.
- "Beni confiscati, ora rivoluzione"
- La nuova legittima difesa può salvare (anche) i già condannati
- Napoli. "Progetto IV Piano", a Poggioreale un aiuto per chi è tossicodipendente
- Monza. Recupero dei detenuti, il Rotary sostiene il progetto
- Calabria. L'Osservatorio regionale sulla violenza di genere presenta il primo rapporto